mercoledì 30 novembre 2011

I miei articoli per "La Sesia": Scarico di responsabilita'

Vi sarà capitato di vedere in tv una serie di spot pubblicitari. La merce da vendere è un’automobile di marca francese, ma questo interessa poco. È il plot immaginato dai creativi a essere degno di nota. Finora se ne sono viste due versioni. La prima: un uomo e una donna, tutti e due sulla trentina, eleganti e belli com’è giusto che siano due protagonisti di uno spot. Passano davanti alla vetrina di un negozio per mamme in attesa e neonati. La lei si blocca in contemplazione. Il lui sbianca. Lei, ignara, mormora sognante: “Luca, lo sai cosa mi piacerebbe?”. L’uomo è in preda al panico che lo rende totalmente afasico, la colonna sonora lancia il vagito di un neonato che assume lo stesso significato minaccioso dei barriti dei dinosauri di Jurassic Park. La tensione è alle stelle. Ma fortunatamente lei completa la frase: “Le scarpe che indossa la commessa”. Inutile dire che l’uomo si sente esattamente come uno scampato a terremoto scala 7 e tsunami in contemporanea. La seconda versione: sempre un lui e una lei, anche loro belli, eleganti, sulla trentina. Stanno visionando una casa, segno evidente che vogliono convivere, sposarsi, costruire qualcosa insomma. Mentre l’agente immobiliare declama le meraviglie dell’appartamento, lei entra in una stanza dalle pareti color pastello e sussurra con un sorriso: “Luca, lo sai cosa potremmo farci qui?”. Luca, che ha una faccia diversa da quello di prima, ma la stessa espressione atterrita, si sente nelle orecchie vagiti e ninne-nanne e attende il colpo di grazia. Ma lei continua: “Abbattiamo una parete e ci facciamo una stanza guardaroba”. Luca, manco a dirlo, torna a respirare liberamente. In entrambi i casi la pubblicità continua affermando che ci sarà un tempo per tutto, ma adesso è meglio godersi la vita. E acquistare l’auto di marca francese. Direte che la pubblicità vive di queste cose. E avrete ragione. Ma possiamo aggiungere che la pubblicità fotografa la realtà, alle volte meglio di inchieste e reportage. Non potete conoscere Antonella. Lei è una bella ragazza di Rossano Calabro, ma vive a Roma. Non li dimostra, ma ha 39 anni. E i suoi occhi azzurri sono molto tristi. Perché sebbene i medici le abbiano appena salvato l’utero da un enorme fibroma, Antonella non si nasconde che sarà difficile esaudire il proprio desiderio di maternità. Non per l’età, non per il quadro clinico. Ma perché Antonella ha appena chiuso una storia di tredici anni con un coetaneo. Che proprio come il Luca dello spot non se la sentiva. Di crescere. Di assumersi delle responsabilità. Di rinunciare a un viaggio o a una bella macchina nuova per sobbarcarsi l’impegno di un figlio. Alle volte basterebbe farsi un giro nei reparti di ginecologia per toccare con mano la realtà e realizzare come sia possibile la proliferazione di primipare attempate. Perché se Antonella non lo capisce subito che Luca non se la sente, gli anni fuggono via. E lo scarico di responsabilità diventa un modus vivendi. Per tutti.

Laura Costantini

giovedì 24 novembre 2011

Pensieri poco lucidi

Mi capita di ascoltare la canzone che Jovanotti ha dedicato alla madre, mi pare si intitoli "Tasche piene di sassi", ma non ci giurerei. Mi capita, dicevo, e mi metto a piangere. E' automatico, quasi ridicolo nella sua meccanicità. Jovanotti canta: Sono solo stanotte senza di te... e io piango. La mamma di Jovanotti è morta. Credo fosse molto orgogliosa di suo figlio, a ragione. Lo sarebbe di più se potesse ascoltare questa canzone che non è solo una canzone. Ecco. Mia mamma è viva e spero lo resti ancora a lungo. Ma domani la operano. Niente di gravissimo, operazione di routine (così si dice, no?), ma la paura c'è tutta. E il pensiero se ne va per strade tutte sue che io mai vorrei intraprendere: è orgogliosa di me? L'ho resa felice? Saprei, alla bisogna, scrivere qualcosa di tanto bello e importante da restare, da renderle giustizia? Mi rendo conto che spesso ho parlato di mio padre, sul blog, su FB. Mio padre è morto 17 anni fa, giovane. Troppo giovane per andarsene. In quel modo poi. Mia mamma è qui, c'è stata per me nei momenti bui, mi ha riaccolta tra le sue braccia quando ho perso la strada che credevo giusta per me. Eppure di lei non parlo mai. Non le ho dedicato neanche un post. Questo è il primo e vorrei avesse un senso compiuto. O per lo meno una sua poesia. Che poi non ci vogliono tante parole per dire: ti voglio bene, mamma. Resta con me.

giovedì 17 novembre 2011

I miei articoli per "La Sesia": L'esempio di Lavinia

Sarebbe facile raccontare di un uomo cui, volenti o nolenti, stiamo affidando la speranza di uscire alla meno peggio dalla crisi. Commentare la differenza di stile di un signore che, tra applausi e flash, sussurra alla guardia del corpo: “Ma dopo non sarà così, vero?”. No, professor Monti, non sarà così. Arriveranno i fischi, le critiche. Ma non parleremo di lei e della sua splendida giornata. Parliamo di Lavinia e dei pregiudizi di cui siamo tutti schiavi. Lavinia ha trent’anni, è di Roma. Lavora presso un centro estetico. È una nail-artist, una di quelle pazienti artigiane che armate di boccette e pennellini trasforma le unghie delle donne in manifesti della volontà di apparire. A volte sono trash quelle unghie. Ma sono frutto di ore di lavoro, chine sulle mani della cliente, una mascherina sulla faccia per difendersi dalla polvere del gel e delle unghie che vengono modellate con la fresatrice, guanti di lattice che lessano le dita. Quelle della nail-artist che rende splendenti le unghie della cliente e macera le proprie nel sudore di ore di lavoro. Guadagna bene, Lavinia. Saltare un appuntamento vuol dire pietire per trovare spazio nei giorni successivi. Lavinia non è padrona di avere la febbre o di essere stanca. Ma non le pesa. Come probabilmente non le pesa la consapevolezza che le donne giovani o meno giovani che le si alternano davanti pensino a lei come una che non ha avuto ambizioni. Che non aveva voglia di studiare. Che ha scelto la strada più facile. Una con cui parlare del più e del meno. Del tempo, delle notiziole di gossip sui rotocalchi, degli ultimi colori moda lanciati dal Cosmoprof. Non sappiamo se valga anche per voi, ma chi scrive questo errore lo ha fatto. Almeno fino a quando, indecisa tra un gel trendy color tortora e uno verde Tiffany, ha fatto una scoperta. Lavinia non ha sempre desiderato spennellare unghie e sagomare french. Lavinia ha frequentato il liceo linguistico, poi si è iscritta a Giurisprudenza alla Sapienza di Roma. Per chi non lo sapesse, la principale università romana è una sorta di girone dantesco che sforna, per lo più, studenti confusi e fuori corso. Lavinia no. A lei studiare piaceva, era in regola con gli esami, era al secondo anno di corso quando, racconta, si è seduta a tavolino e ha guardato in faccia la realtà. E la realtà erano lei e la sua mamma, due donne sole e la necessità di contribuire al bilancio familiare. “Non conoscevo nessuno, sarei stata una dei tanti avvocati tirocinanti che scarpinano tra studi e aule di tribunale, senza neanche un rimborso spese.” Ha pianto Lavinia, ha sofferto. Ma ha capito che anche i sogni hanno un prezzo e il suo era troppo caro. Si è guardata intorno. Un corso di ricostruzione unghie ed eccola qui. È brava Lavinia. E non ha rimpianti. Ma sarebbe bello se il professor Monti, che si schermisce dagli applausi, tra lacrime e sangue inserisse almeno una speranza per chi vuole ancora permettersi i sogni.

Laura Costantini

lunedì 14 novembre 2011

venerdì 11 novembre 2011

Pare che Splinder possa chiudere...

Pare che Splinder, la piattaforma, possa chiudere a breve. Il che significa che tutti i blog li' presenti, svaniranno nel vuoto digitale. Pare anche che non ci sia modo di importarli in toto. Pare quindi che sia finita un'epoca e ci viene da pensare che forse e' giusto cosi'. Una piattaforma digitale non puo' essere eterna, un blog non e' un archivio storico.
Svaniranno nel nulla commenti, scontri, cattiverie, troll assortiti, amicizie da clic compulsivo.
Comunque, se avete voglia di un ultimo clic da quelle parti, i nostri vecchi blog sono sempre:

http://lauraetlory.splinder.com/

http://lestoriedilauraetlory.splinder.com/

martedì 8 novembre 2011

Oggi su "La Sesia": La lezione dell'acqua

Ce lo insegnano a scuola. Puoi comprimere un gas, sempre. Puoi comprimere un solido, alle volte. Ma non si può comprimere l’acqua. È una prerogativa dei liquidi. Non puoi imprigionarli in uno spazio più piccolo di quello di cui hanno bisogno. Non puoi, nel senso letterale del termine, costringerli. Dovremmo saperlo, tutti. Dovrebbero saperlo, meglio di altri, coloro cui è demandato il compito di organizzare paesi e città, creare piani regolatori e farli rispettare, costruire abitazioni, scuole, strade, fognature. E lo sanno, di questo non possiamo dubitare. Ma fanno finta di non saperlo. E i risultati li abbiamo sotto gli occhi in questi giorni di piogge eccezionali che da eccezione stanno passando a regola. Nell’epoca che ci vede tutti inviati sul campo, i cittadini della Liguria e della Toscana, i sopravvissuti del Levante e della Lunigiana, continuano a riversare in Rete filmati amatoriali che poi vengono ripresi dai notiziari nazionali. In un’orgia di tsunami fangosi, di urla, di pianti, di bestemmie, di auto trascinate via. Di morti. È la pornografia della cronaca perché quei filmati danno allo spettatore il turbamento dell’imbarazzo, oltre a quello dell’orrore. Ma si parlava di acqua. Ci spiegano, a catastrofe compiuta, che i corsi d’acqua che attraversano le nostre città sono stati derubati, costretti, incarcerati. Convinti che bastassero ponti robusti e argini di cemento, gli urbanisti di ieri e di oggi hanno ridotto lo spazio di manovra dell’acqua. Le hanno imposto il come, il quanto, il dove scorrere. E l’acqua, ce lo hanno insegnato, si adatta. I liquidi prendono la forma del contenitore. Purché il contenitore sia abbastanza grande da contenerli. Ma i torrenti di Genova, i fiumi di Aulla, i ruscelli delle Cinque Terre non lo erano. E quando la piena sale, l’acqua non conosce regole. Cerca uno sfogo e lo trova, possiamo starne certi. Lo stesso prezioso elemento che ci lasciamo scorrere tra le dita, abbatte case, divelle argini, trascina massi, erode montagne. È la lezione dell’acqua. Una lezione che si ripete, negli anni, nei secoli, in tutto il mondo, ma che proprio non riusciamo a mandare a mente. Lungo il corso dei fiumi sono nati i primi insediamenti umani, le prime grandi città. Ci confrontiamo con l’acqua da millenni, ma non sappiamo ascoltarla. Eppure quel che potrebbe insegnarci è importante. Perché come la molecola H²O, anche la rabbia, il senso di ingiustizia, la ribellione sono incomprimibili. Come l’acqua, anche la pazienza della gente può un giorno esaurirsi. E ha poco senso imporre argini sempre più alti allo scontento oppure vietare a un corteo di sfilare. Lo abbiamo visto, ce lo hanno fatto vedere i testimoni. Nel mondo dei telefonini che registrano immagini senza filtro alcuno, dovremmo averlo imparato. Un tronco di traverso non ferma un torrente in piena. E la volontà di mantenere il potere nelle solite mani non può fermare la piena di chi ha deciso di farsi sentire.

Laura Costantini

mercoledì 2 novembre 2011

I miei articoli per "La Sesia": Generi di prima necessita'

Ha suscitato stupore quanto accaduto lo scorso giovedì a Roma. Non perché l’intera città si sia bloccata. A Roma succede. Per le partite di calcio. Per le manifestazioni di piazza. Per le udienze papali. Per le piogge. Basta poco, a Roma. Ma stavolta non era poco. Stavolta erano decine di migliaia di persone. Attratte dal tamtam pubblicitario come e più che da un beffardo pifferaio magico, si sono riversate nel luogo convenuto per il rito collettivo: l’inaugurazione di un nuovo centro commerciale. Inaugurazione sbandierata insieme a sconti strepitosi. E in tempo di crisi lo sconto conta. Soprattutto se taglia generosamente i prezzi non sempre abbordabili di generi di prima necessità. Perché è di questo che stiamo parlando. Un tempo era il pane, poi con il boom economico furono l’automobile e gli elettrodomestici. Oggi è la tecnologia. Il nuovo centro commerciale romano, l’ennesimo, vende solo gadget tecnologici: smartphone, computer, tablet, schermi piatti 3D. E venticinquemila persone lo hanno preso d’assalto. Alcuni addirittura pernottando all’addiaccio, pur di garantirsi il posto in prima fila. Al momento dell’apertura la ressa è stata tale da causare la rottura di alcune vetrine. I tempi di percorrenza sulla tangenziale hanno superato le tre ore. Ce n’è da far riflettere. Perché, a cose fatte, le cifre mettono paura: spesi due milioni e mezzo di euro con una media di 270 euro a cliente. Sono tanti? Pare di no, se è vero che gli italiani (ma giovedì c’erano anche tantissimi extracomunitari in fila, in quelle che Marco Lodoli ha definito efficacemente le Nazioni Unite del consumismo) spendono fino a 2 miliardi di euro l’anno in iPhone, tv e laptop. E lo fanno a costo di indebitarsi. Si potrà obiettare che così è sempre stato. I nostri genitori negli anni ‘50/’60 hanno firmato montagne di cambiali pur di inseguire il modello imposto da Carosello. La 500 parcheggiata in strada, in casa il Brionvega dalle linee tondeggianti, il frigorifero, la lavatrice, il frullatore. I sociologi ci spiegano che è importante questo adeguarsi ai modelli, per non sentirsi esclusi. Soprattutto oggi che la differenza tra benessere e povertà passa, agli occhi del mondo, proprio dal gadget tecnologico. Se hai un iPhone, allora non te la passi poi così male. Allora non sei ancora uscito dal consesso di quelli che, crisi o non crisi, vanno avanti. Allora forse un futuro ce l’hai. E vengono in mente certi contrasti stridenti da Terzo Mondo. Chi ha viaggiato lo sa: strade sterrate e pickup rutilanti, case fatiscenti e antenne paraboliche, niente fognature ma telefonino incollato all’orecchio. Perché non sapremmo dire come ci siano riusciti, ma è sotto gli occhi di tutti. In attesa che il 2012 sancisca la fine di un’era invertendo il polo magnetico terrestre, come vogliono i catastrofisti, l’inversione è avvenuta nelle nostre teste. E genere di prima necessità è tutto ciò che può darci l’unica qualifica che conti. Quella di consumatori.

Laura Costantini