martedì 31 gennaio 2012

Oggi su "La Sesia": Vedasi alla voce ipocrisia

Oscar Luigi Scalfaro è morto. Aveva 93 anni, la quasi totalità trascorsi a far politica. La tv manda in onda un’intervista, una delle ultime. Il presidente emerito, anziano e fragile, ma sempre agguerrito, dice (citiamo a memoria): “se tra le posizioni di un ladro e quelle di un carabiniere ci si dichiara equidistanti, si può esser certi che l’equidistante è dalla parte del ladro”. Difficile trovare una presa di posizione che, meglio di questa, fotografi la nostra realtà. Decenni di “sì, però…” ci hanno procurato un’evidente difficoltà nel dirimere il giusto dallo sbagliato, nel prendere una posizione. Siamo cresciuti prede di un cerchiobottismo che emerge prepotente in questi giorni difficili. Bravissimi a condannare il singolo (esempio ne sia la mediatica gogna inflitta al comandante Francesco Schettino), ci teniamo ben stretta l’equidistanza quando le vicende ci toccano più da vicino. E cosa di più vicino delle tasse? La dichiarazione di guerra all’evasione fiscale presentata dall’attuale governo ha scatenato dibattiti su tutti i mezzi di comunicazione. E non è raro sentirsi invitare a mantenere una certa equidistanza nei confronti degli evasori fiscali, addossando al governo l’istigazione all’odio nei confronti dei parassiti della società (come da efficacissima campagna televisiva). Scalfaro saprebbe subito da quale parte collocare questo tipo di equidistanti. Tipo al quale, per fare un nome e un cognome, appartiene Beppe Grillo. Dichiara sul suo blog: “Tutti contro tutti e loro (i politici n.d.r.) sopra a ogni cosa. Suonano l'arpa come Nerone mentre il Paese brucia, da Sud a Nord. La caccia all'untore, alla singola categoria sociale, è iniziata. Una battuta dopo l'altra con i media a demonizzare i redditi dei tassisti o degli avvocati. I tassisti ricchi sono rari come i politici onesti”. Probabile. Ma l’invito ai contribuenti in regola a non odiare gli evasori fiscali suona sospetto se l’equidistante Grillo si oppose fieramente al controllo sui conti correnti da parte dell’Agenzia delle Entrate. Tuonando contro la repubblica dei soviet prossima ventura. Eppure qualcosa sta succedendo. Come ha efficacemente analizzato Massimo Gramellini, c’è in corso un “cambio di atteggiamento degli italiani nei confronti degli evasori”. Se prima il vicino di casa con due Suv, beni al sole e appartamento a canone agevolato grazie al modulo Isee falso destava invidiosa ammirazione, adesso “l’invidia si è trasformata in disprezzo e rabbia. Specie verso quegli evasori totali […] che non evadono per sopravvivere ma per continuare a spassarsela sulle spalle di chi non ce la fa più”. Scrive a Grillo un certo Leo: “riguardo ai redditi, sei certamente 2 milioni (di euro) di volte più sensibile di me. Quando si parlava di intercettazioni urlavi: intercettatemi! Quando si parla di soldi, lo urlo io: controllatemi pure!” Il presidente emerito Scalfaro sarebbe felice di scoprire che gli italiani stanno imparando a non essere equidistanti.

Laura Costantini

lunedì 30 gennaio 2012

I racconti del lunedi': Evoluzione

Ho deciso di postare questo racconto del 2008 (scritto a cinque mani, con Antonio Consoli che ce ne ha messa una sola, a dirla tutta) mentre ho negli occhi un'immagine: centro commerciale, una panchina davanti a un negozio di elettrodomestici. In vetrina un plasma da 60 pollici, costo 3999,99 euro, davanti alla vetrina un gruppetto di anziani. Il plasma trasmette un cartone dei Simpson, senza audio. I vecchietti guardano ipnotizzati un oggetto che vale 8 volte la pensione di ciascuno di loro. Io ci vedo qualcosa di profondamente sbagliato e quindi...

Evoluzione
Resta poco di me al termine di una giornata di lavoro.
Trovare parcheggio è un’insperata botta di culo. Un po' stretto vabbè, ma è proprio sotto casa, di fronte al portone. Due manovre, una toccatina alla berlina parcheggiata dietro, poi raccatto la valigetta dal sedile e scendo. Sono le sette di sera, il sole è basso e se Dio vuole i 42 gradi di oggi a pranzo sono solo un brutto ricordo. Finirà che dovremo girare con dei condizionatori d'aria incorporati nei vestiti. Forse ci sono già, magari in America o in Giappone. Inventano di tutto da quelle parti.
Mazzo di chiavi: chiavetta elettronica del conto in banca, chiavi del box, cantina, posta. Portone d'ingresso. Apro.
Il condominio è immerso nel silenzio. Grazie, sono tutti in vacanza. Non io.
Mi piace il mio lavoro e poi, se questo progetto andrà in porto, ci scappa pure un aumento di stipendio.  A settembre ne riparliamo, ok? Ha detto il boss.
Ok, certo. Non c'è mica fretta.
Sono dieci anni che vivo attaccato a un computer e non m'importa se quando torno a casa  continuo a lavorare. Non ho una moglie da portare fuori a cena, non ho figli, tanto meno una compagna. Ma sta bene così, per ora. 
Con un abile gioco di dita, afferro la chiave di casa. Appena apro la porta, Bernie mi viene incontro con tutti i suoi sette chili di felino peloso. C'è puzza di orina. Come al solito l’avrà mollata contro la tenda della cucina. Lo lascio solo tutto il giorno e questo è il suo modo di vendicarsi. Provvedo a rifornire le sue ciotole di acqua e croccantini, faccio una doccia e mi trasferisco nello  studio.
Accendo il notebook e penso che più tardi, forse, mangerò qualcosa. 
“Ma non dovreste mangiare tre volte al giorno?”
Schizzo su dalla sedia e mi guardo intorno. La stanza sembra vuota ma la tachicardia non vuole saperne.
“Sono qui.”
Mi giro. Davanti a me il divano. Vuoto.
Scuoto la testa. Colpa mia, tutte quelle ore davanti a un monitor mi hanno mandato in pappa il cervello.
“Mi vedi?”
No, non lo vedo. Accendo la luce. Sul divano una chiazza d’ombra. Niente altro. Perfino Bernie si è dileguato.
“Sono io.”
Io chi, cazzo? Mi faccio avanti con le mani tese. Sembro un cieco ma tutto intorno a me è chiaro, svelato dall’alogena. Anche l’ombra che adesso sembra più morbida, rilassata.
“Sì, immaginavo che una civiltà come la vostra si rivelasse nelle comodità. Di sicuro non fate molto movimento.”
Per fortuna trovo la poltrona dietro di me.
“Non credevo che ti saresti spaventato. Da quel poco che ho visto di questo mondo, siete abituati a parlare con voci prive di corpo.”
Sì, grazie. Ma quelle voci escono da un apparecchio, non dai cuscini del mio divano.
“Capisco. Forse avrei fatto meglio a telefonare.”
Poteva essere un’idea, sì… coso.
“Coso?”
Sto impazzendo. E’ il caldo.
“Ho notato che il problema della temperatura è molto sentito qui da voi. Forse perché ve ne fate una colpa.”
Sta’ a vedere che adesso mi metto a disquisire dell’effetto serra con il mio divano.
“Disquisire? Forse è questa la chiave. Voi metabolizzate i vostri errori con le parole. Anche se tu non sei molto loquace.”
Mi arrendo.
“E che ti dovrei dire?”, chiedo.
“Tutto. Sono qui per imparare.”
“Ti sei scelto un ottimo maestro, coso.”
“C’è stata una lunga selezione.”
Da un’ombra sul divano non mi aspetto il senso dell’umorismo. E l’idea della selezione, a questo punto, mi terrorizza.
“Eppure non sembri spaventato dalle responsabilità. Sei ciò che voi definite una persona affidabile.”
Mi viene da ridere.
“Se fosse vero avrei corso il rischio di legarmi a una donna. Avrei messo su famiglia.”
“Ma a te basta il tuo lavoro.”
Sarà un’impressione, ma la voce sembra preoccupata.
“Mi prendo per il culo, coso”, rispondo. “E’ quello che facciamo tutti da queste parti.”
Lo capirà il concetto di presa per il culo?
“Sì, lo capisco: siete così evoluti da confezionarvi le vostre illusioni.”
“Non so da dove vieni, ma chiamarla evoluzione mi pare un grosso errore.”
“Stai cercando di scoraggiarmi. Eppure lo so che avete molto da insegnare.”
“Hai sbagliato persona. Io posso solo insegnarti a essere uno schifoso egoista.”
“Il concetto di egoismo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.”
Devo bere. Tiro fuori la bottiglia di Cointreau avanzato a Natale. E’ caldo e sciropposo, ma serve allo scopo. Sono solo, in una stanza vuota, a colloquio con un’ombra. Che altro posso fare se non scoppiare a ridere?
“Quando fate così siete felici.”
“Ti sbagli”, rispondo tracannando un’altra sorsata all’aroma di arancia. “Sei preparato ma ti sfuggono le sfumature.”
“Insegnami.”
“E da dove dovrei cominciare? Questo pianeta va a rotoli.”
“Perché?”
“Perché ognuno di noi pensa solo ai pochi centimetri quadrati di terra che riesce a calpestare.”
“E non è questa la vostra forza?”
“E’ che alla fine è difficile stabilire dove debba finire il proprio egoismo per lasciar spazio a quello degli altri.”
Un sospiro, ma non è il mio.
“Non vi rendete conto di quanto siete fortunati.”
Mi viene da pensare che c’è qualcosa di sbagliato in uno che è qui per imparare e vuole dare lezioni. Poi capisco. Ma non è merito mio. Nel caldo afoso del mio salotto percepisco un’alienazione che non è quella delle mie giornate di lavoro tutte uguali.
“Ma questa è una società perfetta.”
Suona consolatorio, ma lo penso davvero. Ciò che mi ha mostrato è la realizzazione di un’utopia.
“Nella perfezione non c’è evoluzione. Per questo sono qui.”
Aiutami. Non lo dice, ma è nell’aria.
Mi attacco alla bottiglia, di nuovo. Il prossimo Natale faccio scorta di Chivas. Ma intanto penso che voglio provarci. Chissà che da qualche altra parte, pianeta o quel che diavolo sia, non si riesca a fare le cose per bene. 

Lauraetlory

martedì 24 gennaio 2012

Oggi su "La Sesia": lutto da audience

In un’epoca di crisi come quella che stiamo vivendo, verrebbe da pensare che la gente abbia voglia di ridere, di volare con la fantasia. Non è così. Basta accendere un televisore e fare un rapido zapping per accorgersene: non c’è contenitore, mattutino o pomeridiano, feriale o festivo, che non sia lì a discettare sulle colpe del comandante Francesco Schettino. Sempre con le telecamere a favore di Costa Concordia spiaggiata. Si dirà che è il fatto del giorno. Che è il nostro Titanic cento anni dopo. Si dirà, soprattutto, che gli ascolti parlano chiaro. Basta nominare poche magiche parole: naufragio, crociera, Concordia, Schettino, e l’audience si impenna. Che poi, parliamoci chiaro, è l’unica cosa che conta. A dimostrarlo ci sono le polemiche sorte sul tempestivo cambio di programmazione di La7 la sera di sabato 14 gennaio. Doveva esordire il programma di Serena Dandini. Ma Enrico Mentana, vecchio lupo di mari ben più tempestosi del placido Tirreno, ha fiutato il vento e ha deciso di dedicare la serata al naufragio. Va fatto notare che erano trascorse 24 ore, che la notizia era volata di emittente in emittente, che, insomma, se ne stava parlando ovunque. Soprattutto, che non stava succedendo in quel momento. E va fatto notare perché un noto critico televisivo ha approfittato dell’iniziativa di Mentana (e del buon risultato in termini di audience) per inchiodare alla gogna degli insensibili rispettivamente Ballando con le stelle e Italia’s got talent. Sottolineando che la colpa del varietà di RaiUno era tanto più grave, trattandosi di servizio pubblico. E analizzando che la progressiva perdita di pubblico da parte delle ammiraglie generaliste come, appunto, RaiUno e Canale5, si debba sostanzialmente all’incapacità di manovrare in tempo reale. Insomma, i dirigenti dell’una e dell’altra parte sarebbero un po’ come il comandante Schettino: distratti alla guida. E si potrebbe anche prendere per buona se non fosse che a conclusione del ragionamento la domanda è sempre quella: di che vi lamentate? Mandate in onda le tragedie, meglio se grosse, e gli ascolti torneranno. Il lutto fa audience. Ma solo da un tot di vittime in su. Perché anche qui parliamo di serie A e serie B. Senza nulla togliere all’ingiustificabile tragedia che si è consumata davanti alle spiagge del Giglio: perché non cambiare la programmazione televisiva anche a seguito delle reiterate stragi del sabato sera? La memoria è quella che ci fa sempre difetto, ma facciamo qualche esempio: lo scorso 11 dicembre sono morti due ragazzi in provincia di Latina, una ragazza a Ostia, una turista a Roma e un uomo in provincia di Torino. Tutti incidenti stradali. Mercoledì scorso 5 ragazzi sono stati falciati da un Tir sul raccordo di Roma. Sono vite umane ma nessuno ha chiesto la sospensione di partite di calcio o fiction. Motivo? Mancava, sullo sfondo, il colpo d’occhio spettacolare di una nave da 115mila tonnellate.

Laura Costantini

lunedì 23 gennaio 2012

I racconti del lunedi': Il sepolcro

Lory scrisse questo racconto per l'iniziativa HIGHLANDER 2009 sul nostro vecchio blog. Ve lo ripropongo con il piacere di rileggerlo insieme a voi.

“E’ la sua tomba?”
Quello del ragazzo fu poco più che un sussurro tra lo stormire delle fronde e le frustate del vento contro la scogliera. Ma quella voce incerta, inattesa come l’amore quando non hai ancora cominciato a raderti il mento, costrinse il vecchio a voltarsi. Spostò lo sguardo da quell’icona vuota nel freddo del marmo, nella quale aveva disperatamente cercato un volto, un’appartenenza ,al calore di quelle iridi nocciola.
 “Ho sempre pensato che lei fosse semplicemente scomparsa”, ancora un sussurro, ma più deciso, con uno strascico dell’uomo che non sarebbe mai diventato. “Insomma, non mi aspettavo di trovarmi qui, di fronte alle sue spoglie mortali… è così che si dice?”
Il vecchio si chinò a strappare un ciuffo d’erba dalle crepe che il tempo aveva scavato nel sepolcro.
“E’ così che si diceva, ragazzo”, precisò con voce fioca. “Perché mi segui?”
“Perché voglio conoscere la verità. E’ un mio diritto.”
Il vecchio sorrise con l’impertinenza delle sue rughe.
“Diritto? Anche questa è una parola in disuso. Non ci sono più diritti o doveri  ma solo il lento svolgersi del tempo. Quel tempo che non ci consuma ma che ogni volta che ci sfiora ci strappa un lamento. Era questo che lei temeva. Questo ciò che si è avverato.”
“Dimmi quello che sai, vecchio.”
Una nuvola in forma di vela si spiegò sullo loro teste. Le prime gocce di pioggia scesero a picchiettare ciò che restava del mausoleo, si rincorsero sulle foglie morte strappate dal vento, caracollarono lungo la tesa del suo cappello, portato per abitudine perché la necessità non albergava più tra gli uomini.
“Io non so niente.”
 “Non ti credo”, disse il ragazzo seguendo con un dito il solco che gli attraversava la fronte, sfiorandogli il viso con mani fredde. “Tu non sei come tutti noi. La tua pelle ha la consistenza della carta, i tuoi capelli hanno il colore della neve e i tuoi occhi… sono offuscati. E’ per questo che ti nascondi. ”
Si sottrasse a quell’esame, a quelle dita indagatrici che cercavano conferma ad un sospetto che ormai era certezza. Ma sapeva che non avrebbe potuto sottrarsi alla voracità di quel bisogno, alla spinta inconsapevole e perversa di chi non si accontenta di ciò che ha, di quel che è, ma brama di andare oltre, di ripercorrere quel passato ormai lasciato alla dimenticanza, all’oblio.
“Ti sbagli. Neanche a me è concesso ciò che tu desideri. Neanche a me è concesso il sollievo della morte.”
 Fece per allontanarsi.
“Perché?”, chiese il ragazzo afferrandogli un braccio. “Perché per noi è diverso? Le piante, gli animali nascono e muoiono e noi, noi siamo costretti a restare qui, attaccati ad una vita che non ci appartiene. Senza radici, con un futuro che è insieme presente e passato. Dimmelo. Dimmi cosa ci lega a questa tomba senza nome e senza volto. Ti prego.”
Non avrebbe voluto tradirla. Ma era stanco di portare sulle spalle il peso della verità. Stanco di non poterne dividere la pena con qualcun altro.
“Era mia madre.”
“Non capisco, noi non abbiamo genitori.”
Il vecchio annuì.
“Non ne abbiamo nel senso che la storia ricordi. Ma ognuno di noi ha una madre e un padre biologico.”
Il vento rinforzò da nord strappando lamenti alle cime degli alberi. L’antico cimitero sembrò riprendere vita nel turbinio di foglie brune che danzavano tutt’intorno a loro. Il vecchio accarezzò la cavità che avrebbe dovuto ospitare il ritratto della donna defunta.
“Fu merito suo se il genere umano riuscì a sopravvivere alla più grande pandemia che ricordasse. Ma il frutto dei suoi studi, dei suoi esperimenti fu al contempo la salvezza e la dannazione dell’umanità. Quando lo capì tentò di rimediare. Unì una delle sue cellule di mortale a quella di un immortale. Lo scopo era ripercorrere il processo inverso. Ridare all’umanità la propria essenza ripristinando il circolo della vita e della morte. Non le riuscì. Ho provato invano a togliermi la vita. Diversamente da tutti gli altri io posso invecchiare ma niente può distruggermi.”
La disperazione allagò il viso del ragazzo, gli piegò le ginocchia gettandolo a terra. Il vecchio si inginocchiò accanto a lui e abbracciò i suoi muti singhiozzi.
“Mi dispiace”, mormorò. “Avrei voluto che le mie ossa scricchiolanti, i miei passi incerti, il battito soffuso del mio cuore ti dessero la risposta che cercavi, ma la realtà è che siamo condannati a calpestare questa terra all’infinito.”
Lo sfrigolio di un lampo squarciò la volta del cielo. Il viso del ragazzo riaffiorò dietro le mani tremanti. Nel suo sguardo liquido di lacrime il vecchio scorse un luccichio nuovo, il bagliore di una flebile illusione, in un tempo lontano qualcuno l’avrebbe detta speranza.
Il ragazzo lo aiutò a sollevarsi.
“La risposta che cercavo” disse alzando gli occhi al cielo, alle nuvole che si sfilacciavano nella furia del vento, a un pallido raggio di sole incuneato nel blu cobalto che li sovrastava “è sempre stata sotto i nostri occhi. La risposta è questo universo inviolato, frutto del caso e scevro da manipolazioni. Con lui siamo nati”,  sorrise. “Con lui troveremo la fine.”

Loredana Falcone

mercoledì 18 gennaio 2012

I miei articoli per "La Sesia": Non ne avevamo bisogno

N.b. Alla luce di personaggi come il comandante Schettino, direi che questo articolo acquista ancor piu' valore. Parere mio, ovvio.

Capita di avere un’idea e non il coraggio di esternarla, almeno fino a quando non la si sente esprimere da altri. E ci si trova ad annuire davanti a quattro semplici parole: “Non ne avevamo bisogno”. Di un altro straniero colpevole. Stiamo parlando dell’omicidio del vigile urbano Nicolò Savarino. L’arma del delitto, due tonnellate di suv lanciate a manetta, non era nuova. Così come non lo era la ferocia di chi ha visto in quell’uomo solo un ostacolo. Era già successo a Brescia, una lite per un posto macchina. Anche in quel caso il conducente del suv ha dato gas e travolto l’uomo che lo aveva messo davanti alla responsabilità di maleducato occupatore di posti per disabili. Vale la pena ricordarlo, perché il nostro problema è la memoria selettiva. Quella che compiace il bisogno di sentirci migliori. E oggi, c’è da giurarci, saranno in molti a sentirsi migliori e pacificati davanti alla morte di un uomo di quarantadue anni, ucciso mentre svolgeva il proprio lavoro. Perché a premere quell’acceleratore come fosse un grilletto, non è stato uno di noi. Non è stato un italiano. E riaffiora quel pensiero inconfessato, condiviso con tutti coloro che distinguono la polveriera sociale che abbiamo intorno: non ne avevamo bisogno. Sarebbe stato meglio se a perdere la testa nel parcheggio desolato della Bovisa fosse stato uno di noi. Perché aveva fretta, gli era scaduto il tagliando dell’assicurazione, non aveva la patente. Futili motivi? Sufficienti. Esercitiamola, la memoria. E ricordiamo l’italiano che, per uno scambio di insulti, insegue uno scooterista e lo travolge uccidendolo. Ricordiamo gli italiani che hanno massacrato di botte un tassista per aver involontariamente investito un cagnolino. Ricordiamoci chi siamo diventati prima di lasciarci trascinare dalla comoda corrente del “dalli allo straniero”. Perché la valvola di sfogo del razzismo è dietro l’angolo. Anzi, è già qui e la tocchiamo con mano ogni volta che apriamo un giornale, che ascoltiamo un notiziario. È vero, l’uomo che ha travolto Nicolò Savarino è uno slavo. Serbo-croato con passaporto tedesco e nutrito curriculum di precedenti. Così come sembra che gli assassini della piccola Joy e del suo papà Zhou Zeng siano magrebini. Ma non possiamo crederci esenti, innocenti, superiori. I fatti parlano e raccontano storie diverse da quelle che vorremmo. Uccidiamo per un dito alzato da un automobilista, per una sigaretta negata, per uno sguardo di troppo, per una canna fumaria. Siamo pronti a scandalizzarci per le discriminazioni sessuali imposte da religioni diverse dalla nostra, ma ogni giorno siamo messi di fronte a uomini italiani che uccidono donne italiane perché non ne accettano la libertà. L’ex carabiniere di Cagliari che uccide ex suocera e nuovo compagno della moglie. Il quarantenne di Trapani che ha distrutto l’intera famiglia della donna che voleva lasciarlo. No, non avevamo bisogno di una nuova scusa per crederci migliori.

Laura Costantini

martedì 17 gennaio 2012

Lettera di una lettrice a Maurizio De Giovanni

Caro Maurizio,
alla fine il richiamo di quelle trenta pagine che mi mancavano per ultimare il tuo romanzo è stato più forte della volontà di procrastinare il momento in cui mi sarei separata un’altra volta dal commissario Ricciardi.
Che dire?
Ogni volta è come entrare in un sogno. Uno di quelli che al mattino non si vorrebbero lasciare, quelli che continui a tenere le palpebre strizzate mentre tiri la coperta sulle spalle per conservarne il tepore. E’ sufficiente alzare la copertina, scorrere poche righe per ritrovare volti e vite noti, per immergersi in un mondo che è sconosciuto ma vicino, in una irrealtà che si fa reale man mano che quelle voci ritornano, che quei personaggi si dipanano nel loro essere insieme fittizi e reali. E allora quello che ti circonda sparisce, si dissolve nel racconto e la mano sapiente che ha tracciato quelle righe ti trasporta dove vuole e dove tu, consapevolmente, vuoi andare… per mano sua. Per ritrovare il calore, la saggezza, la spontaneità, la ricchezza di sentimenti che solo la fantasia può tenere insieme in un unico contesto. Entri in punta di piedi per poi slanciarti ad assorbire la storia. La lasci entrare dentro di te, per essere di volta in volta Ricciardi, Maione, Enrica, Lucia o l’ultimo artigiano del presepe. Perché il tuo talento sta nell’intagliare dei personaggi nei quali immedesimarsi a prescindere dal proprio sesso, dalla propria età e dalle proprie esperienze. Tu non narri storie ma sentimenti. E lo fai con una sensibilità che non è né maschile né femminile. E’ l’una e l’altra e tutte e due insieme. E allora accade che io, che sono moglie e madre, non mi emoziono solo quando Lucia fissa il blu dei suoi occhi in quelli del marito per ricondurlo alla ragione, quando Enrica spia dalle imposte socchiuse l’uomo che ama insieme a un’altra donna. O quando Rosa davanti alla mano che trema si preoccupa di lasciare solo Luigi Alfredo. La commozione mi stringe la gola anche quando Ricciardi si confessa a Enrica con una lettera che non le consegnerà mai. Quando Maione regala la dolcezza del Natale a una bambina che il destino ha lasciata sola. Perché i sentimenti non hanno sesso, non hanno età, non hanno tempo. E’ questo che io riscopro leggendo le tue pagine. E mi sento più ricca, più vicina ad un’umanità che non è solo quella descritta nel libro ma anche quella che mi circonda.
E allora non posso fare altro che dirti: grazie.
Lory

mercoledì 11 gennaio 2012

I miei articoli per "La Sesia": Storie di bambini

A volte leggendo i giornali ci si accorge di strane coincidenze. Nella prima settimana di questo 2012, sorvolando spread e blitz anti evasione fiscale a Cortina, tre storie saltavano agli occhi. Storie di bambini. Si chiamava Joy, si era affacciata alla vita da pochi mesi. Era in braccio al suo papà in una fredda serata di fine feste natalizie. Era cinese, ma era nata a Roma e a Roma è morta, freddata da una pallottola che le ha attraversato il corpo prima di uccidere suo padre. Una rapina, forse. Ma non è questo che conta. Quel che conta è che Joy non c’è più. E una mano anonima ha scritto sul muro accanto al bar di periferia dei suoi genitori: oggi anche Roma è morta. Retorica? Facile pensarlo. Ed è per sfuggire alla retorica del genitore  perfetto che il papà di Moreno ha confessato in un libro tutta la sua rabbia. Perché Moreno, ci dicono, è bellissimo. Ma è cerebroleso e suo padre alle volte proprio non sopporta le sue urla insensate, i suoi maldestri tentativi di comunicare, posto che si questo si tratti. Il papà di Moreno scrive che il suo bambino ha un cervello piccolo come una zigulì e che alle volte vorrebbe picchiarlo, poi invece lo chiude urlante nella sua cameretta. E lo ritiene già un successo. Non è che non gli voglia bene, ma non ci sta a far passare il messaggio che convivere con un bambino gravemente handicappato sia una benedizione. Non lo è. Non può esserlo. Ed è esattamente questo che devono aver pensato i genitori di Pietro. Il nome è di fantasia, ma la storia è drammaticamente vera. Che Pietro fosse affetto da acondroplasia, ovvero nanismo, i suoi genitori lo hanno scoperto alla trentaduesima settimana di gravidanza. Sei settimane dopo la sua mamma lo ha partorito, non ha voluto neanche vederlo e se n’è andata. Prassi perfettamente legale. Così Pietro ha dovuto affrontare da solo una grave crisi respiratoria che lo ha portato in terapia intensiva. Si è ripreso, ma non si escludono ulteriori complicazioni e i sanitari sperano che i genitori ci ripensino entro i termini di legge e non permettano che Pietro resti in attesa di qualcuno che voglia prendersi cura di lui. Bambini vittime di violenza bruta. Bambini vittime del destino. Bambini vittime della mancanza di coraggio. E intanto c’è chi pensa a coloro che bambini non sono mai diventati. A Roma, la stessa dove Joy è stata uccisa, è nato il Giardino degli Angeli. Un cimitero per i feti abortiti. Due angeli di pietra a vegliarli e siepi di camelie candide. L’iniziativa è partita da una donna che ha perso il bambino che aveva in grembo. Ha chiesto dove fosse il corpo. Le hanno risposto che era stato smaltito come “rifiuto ospedaliero”. Uno choc che l’ha spinta a chiedere al Comune la creazione di un luogo di sepoltura per i bimbi mai nati. Immediate le polemiche di chi ci vede l’ennesimo tentativo di screditare la legge 194 del ’78. E di chi chiede quale senso abbia spendere risorse per chi alla vita non si è neanche affacciato.

Laura Costantini

lunedì 9 gennaio 2012

I racconti del lunedì: La favola di Lara e Valentina

Riprendiamo, con il nuovo anno, la pubblicazione dei racconti del lunedì con una cadenza mista: un racconto di Laura, un racconto di Lory, un racconto di Lauraetlory. Quello che vi proponiamo oggi è un inedito assoluto visto che venne scritto nel 2006, in occasione della nascita di Valentina, la seconda nipotina di Laura. Buona lettura.

C’era una volta una bambina che si chiamava Lara.
Come tutti i bambini di questo mondo (e di ogni altro mondo), Lara aveva un esserino speciale che vegliava su di lei. Ora, gli esserini speciali c’è chi li chiama angeli custodi, chi li chiama fate del dentino, chi li chiama folletti, gnomi, piccoli elfi, chi non li chiama affatto. E’ chiaro però che tutti sanno, da sempre, che tutti i bambini hanno un esserino speciale (o forse è l’esserino speciale che ha il bambino? Bah…)
Come che sia i due vivono in simbiosi e finché il bambino è piccolo, lui (o lei, è lo stesso) e l’esserino si divertono moltissimo, giocano e riescono a stare insieme, a confidarsi, soprattutto a vedersi.
Poi i bambini crescono e questo non cambierebbe molto le cose se non ci fossero di mezzo… gli adulti!
Perché dovete sapere (se non lo sapete già) che gli adulti, sotto sotto, sono invidiosi, ma veramente invidiosi del rapporto che tutti i bambini hanno con il proprio esserino speciale. Talmente invidiosi che appena i bambini crescono, li convincono che gli esserini speciali (angeli custodi, fate, folletti e tutti quel piccolo mondo speciale che popola la nostra infanzia, per capirci) non esistono. Riuscite a immaginare sciocchezza più grande? Eppure è così che fanno gli adulti.
Ma stavamo parlando di una bambina che si chiamava Lara.
Lara era una bambina bellissima e aveva giocato a lungo con il suo esserino speciale. Poi però aveva cominciato ad andare a scuola, a conoscere nuovi amichetti, a dare ascolto agli adulti. E aveva finito col dimenticare il suo esserino speciale.
Ora dovete sapere che l’esserino speciale di Lara era bellissimo, proprio come lei. Aveva occhioni grandi e pieni di stelle, una boccuccia deliziosa e una forma piuttosto tondeggiante. Già, perché gli esserini speciali possono avere forme diverse, somigliare ad animaletti, a bambini, a tutte le creaturine graziose e tenere che riuscite ad immaginare. L’esserino speciale di Lara era dolcissimo ma triste e con gli occhioni pieni di lacrime perché voleva giocare ancora con lei e, soprattutto, perché voleva che Lara riuscisse ancora una volta a vederlo, a credere in lui, a essere sua amica. Ma non sapeva come fare.
Così, un bel giorno, andò dal capo degli esserini speciali e gli chiese se c’era un modo per tornare da Lara. Il capo degli esserini speciali, che era ancora più rotondo dell’esserino di Lara, ci pensò così intensamente da diventare ancora più tondo, così tondo da sembrare un pesce palla.
L’esserino di Lara cominciò a temere che sarebbe esploso dal gran pensare e sobbalzò quando il capo degli esserini speciali esclamò: “CI SONO!!! Devi diventare una bambina come Lara!”
L’esserino pensò che era stato uno sciocco a non pensarci da solo: era così semplice…
Ma non era semplice come credeva.
Il capo degli esserini cominciò ad elencare tutte le cose che bisognava fare per diventare una bambina. In testa a tutto convincere la mamma e il papà di Lara ad accogliere una sorellina. L’esserino pensò che gli sarebbe bastato farsi vedere perché i genitori lo accogliessero, grazioso e tenero com’era. Ma gli adulti non credono negli esserini speciali, non possono vederli e l’unica che poteva davvero convincerli era Lara.
Così l’esserino cominciò a sussurrare nell’orecchio di Lara l’idea di una sorellina. Lei non poteva più vederlo, appeso con il suo faccino rotondo alla sua spalla. Ma quella vocina riusciva ancora a sentirla…
Non che bastasse, però. Il capo degli esserini gli spiegò che bisognava trovare un posticino nella pancia della mamma di Lara, sistemarsi per bene e avere pazienza, perché per fare una bambina ci vogliono nove mesi di duro lavoro. Poi c’era il problema dei poteri. Perché gli esserini speciali volano, non diventano mai adulti, rimangono dolcissimi, bellissimi, simpatici e felici per sempre. L’esserino di Lara non sapeva che per gli esseri umani non era la stessa cosa e rimase piuttosto perplesso.
“Pensaci bene…”, disse il capo degli esserini speciali.
Ma l’esserino di Lara voleva troppo bene alla sua bambina e soffriva troppo all’idea di non poter rimanere con lei e superò tutti i suoi dubbi. Compresa la fatica di starsene chiuso in una pancia, morbida e calda per carità, ma anche piuttosto stretta per nove lunghi mesi. Più volte si agitò, girando su se stesso e rimpiangendo la libertà di svolazzare all’aria aperta. Ma, alla fine, anche quei nove mesi passarono.
Il capo degli esserini speciali salutò l’esserino di Lara svolazzando nella sala parto, un attimo prima che venisse al mondo come bambina.
“Ehi”, lo chiamò, “non hai deciso come ti chiamerai!”
“Valentina”, rispose l’esserino ormai bambina, “è il nome che piace a Lara.”
“Bene”, disse il capo degli esserini, “ma abbiamo un problema: adesso che sei umano, anche tu devi avere un tuo esserino speciale…”
Valentina, perché ormai lei era, scoprì di non averci proprio pensato.
“Non può essere Lara il mio esserino speciale?”, propose timorosa.
Il capo degli esserini pensò che era una gravissima infrazione delle regole, ma agli esserini speciali piaceva da sempre infischiarsene delle regole e poi quello era un caso eccezionale, mai successo prima.
Senza contare che la proposta di Valentina aveva un vantaggio da non sottovalutare: una volta cresciute, Lara e Valentina avrebbero continuato a vedersi, parlarsi, giocare e poter contare l’una sull’altra. Anche quando gli adulti le avessero convinte che gli esserini speciali non esistono.

Laura Costantini

martedì 3 gennaio 2012

Oggi su "La Sesia": Vieri, Rivera e il canone Rai

Per chi lavora nel mondo dell’informazione, niente di più odioso che veder spacciare disinformazione strumentale. Parliamo di televisione. Parliamo di Rai. Che il servizio pubblico nostrano faccia acqua da molti punti di vista è un fatto. Che il balzello del canone sia discutibile è un’opinione, rispettabilissima. Ma che l’esistenza del canone sia usata per sobillare l’opinione pubblica è, insieme, un fatto e una vergogna. Siamo nel campo del varietà. Quel varietà che, come ci siamo già detti, è l’uovo di Colombo per la tv prossima ventura. Il varietà è luci, colori, bei costumi, belle scenografie, ospiti illustri. Tutte cose che costano. Sappiamo in quale congiuntura economica ci troviamo e che per la Rai è stato elaborato un piano d’emergenza da 95 miliardi, una sorta di manovra nella manovra. Ovviamente si parla di tagli, di esuberi e di esternalizzazione. Termine orribile che equivale a usare appalti esterni per fare ciò che la Rai è in grado di svolgere da sé. Inutile chiedersi come questo possa risultare un risparmio di spesa. Crisi dunque. Crisi nera. Ed ecco associazioni di consumatori, opinionisti e quotidiani nazionali lanciare una campagna moralizzatrice contro i cachet troppo sostanziosi per i Vip di turno. Come funziona lo sappiamo bene, vi ricordate i 250 mila euro a Benigni nella scorsa edizione di Sanremo? Si gridò allo scandalo a fronte di un intervento che portò 18 milioni di telespettatori e relativi sostanziosissimi introiti pubblicitari. Si è cercato di scandalizzarsi davanti al costo del “Più grande spettacolo dopo il week-end” di Fiorello. Con scarsi risultati, va detto. Mentre sta funzionando alla grande con la partecipazione di Bobo Vieri e Gianni Rivera a “Ballando con le stelle”. Pare che il consiglio d’amministrazione Rai sia stato a un passo dal bloccare tutto perché le cifre proposte erano troppo alte. E si è avuto buon gioco nel porre all’opinione pubblica la retorica domanda: ma in tempi come questi, ha senso spendere denaro pubblico e strapagare due ex calciatori per sgambettare il sabato sera? Messa così non fa una piega. Ma analizziamo la questione. In tempi come questi la Rai ha bisogno di fare cassa. Accertato che il canone chi può lo evade. Accertato che il ministero del Tesoro i soldi del canone alla Rai li centellina, al punto che si è vociferato di sospendere lo stipendio ai dipendenti nel mese di dicembre. Accertato che la crisi esiste per tutti, ma non per decidere di aumentarsi di 250 mila euro lo stipendio come ha fatto il direttore generale Lei. L’errore sta tutto in quel “denaro pubblico”. Perché i cachet di Vieri (600 mila euro) e Rivera (400 mila) non vengono pagati con il canone. Sono solo un anticipo, in attesa delle entrate pubblicitarie che nomi come questi garantiscono. Con loro la Rai farà cassa e pagherà gli stipendi di tutti coloro che la compongono. Poi possiamo discutere sul perché Vieri e Rivera valgano tanto. Ma questa è un’altra storia.

Laura Costantini

domenica 1 gennaio 2012

Addio 2011 (e meno male)

Se n'è andato, finalmente. Non ne potevo più. Eppure era un anno dal numero dispari (di solito i più simpatici), eppure era iniziato, ed è finito, vedendomi felice accanto al mio amore. Ma non lo rimpiangerò. In genere rimpiangere gli anni che passano non ha senso, in questo caso non avrebbe motivo. Ma voglio comunque cercare di analizzarlo, magari attraverso qualche numero:
42 i libri che ho letto. Un po' meno del solito, ma ho avuto i miei motivi. Ho letto libri belli e libri meno belli. Ho confermato giudizi e capito che ci sono fin troppe persone che hanno la pretesa di scrivere senza avere nulla da dire.
3 le volte che mia madre è andata sotto i ferri in questi eterni 12 mesi. E' la cosa peggiore, quella che rischia di rendere molto meno ricco di speranze questo nuovo inizio. Perché non ne siamo ancora fuori.
18 gli anni compiuti da mia nipote acquisita. La chiamo così perché non ci lega il sangue, ci lega la volontà di sceglierci. E l'orgoglio che provo per come lei è.
10 gli anni raccontati nell'antologia che ho curato insieme a Loredana Falcone, un impegno letterario che mi ha aiutata a mantenere la serenità, per quanto era possibile.
2 i romanzi che abbiamo affrontato io e Lory. Uno lo abbiamo terminato, l'altro è ancora in fase di lavorazione.

Altro non mi viene in mente e non saprei associare un numero alla fatica, alla paura, alle lacrime, ai saliscendi di speranza e depressione. Ho lavorato molto, mi sono esposta inutilmente, ho sperato in una svolta per questo paese, ho imparato che la gente cattiva è tanta, troppa. Ho vissuto ma non vorrei indietro nessuno di questi dodici mesi. Preferisco guardare avanti con lo spirito che da sempre mi contraddistingue. Come se il meglio dovesse ancora arrivare.
Buon inizio a tutti