mercoledì 25 settembre 2013

E fatelo un bel gesto!

Di giorni non ne sono passati molti. Era il 30 agosto scorso e il presidente Napolitano nominava quattro nuovi senatori a vita. Nel frattempo abbiamo avuto, tutti, altro a cui pensare. Certo, le polemiche si sono sprecate, per non parlare degli insulti. Erano necessari altri quattro stipendiati a carico dei contribuenti? E non stipendiati qualsiasi, perché basta fare un giro in Rete per appurare che si tratterebbe di 12mila euro mensili. Ma non è ancora un mese, ricordiamolo. Ha ancora senso aspettarsi un bel gesto da chi è stato riconosciuto speciale. Sì, perché  a parte i presidenti della repubblica, che lo diventano automaticamente a fine incarico, della  carica di senatori a vita vengono insigniti coloro che abbiano dato lustro alla patria. E qualcuno dovrebbe spiegare il significato della locuzione "dare lustro" a colei che esigeva la carica per Silvio Berlusconi. Il Quirinale ha scelto Claudio Abbado, direttore d'orchestra di fama mondiale, carico di gloria oltre che di anni; Elena Cattaneo, ricercatrice internazionalmente apprezzata per il lavoro sulle cellule staminali; Renzo Piano, architetto inserito da Time fra le 100 persone più influenti al mondo nel 2006; Carlo Rubbia, vincitore, tra mille altre cose, del Nobel per la fisica nel 1984. Dati alla mano non possiamo obiettare nulla sulla scelta. Ma, immersi come siamo nella quotidianità, non possiamo neanche negare ascolto alle lamentele. Questi benemeriti della società, questi italiani che ci regalano la possibilità di sentirci fieri di vivere sotto la stessa bandiera, hanno bisogno di aggiungere ai loro già alti, e meritati sia chiaro, emolumenti anche quei 12mila euro mensili? La polemica, cavalcata con l'ormai consolidato populismo da chi odia tutto ciò che non può e non vuole capire, non è sterile. Lo dimostra il gesto di Elena Cattaneo che, più giovane degli altri e decisamente meno star, ha rinunciato allo stipendio... da ricercatrice.  Da responsabile di ricerche che potranno salvare migliaia di vite umane guadagnava solo 3.300 euro al mese. Una vergogna. Ospite di un talk televisivo, la dottoressa Cattaneo ha sottolineato che in Italia i ricercatori di esperienza e di livello medio-alto guadagnano meno di duemila euro al mese, all'estero "le offerte sono cinque volte tanto." Quindi i 12mila arrivati insieme alla carica sono, per lei, un adeguamento ai parametri internazionali. Sono sacrosanti. E non possiamo escludere che proprio questo pensiero abbia avuto Napolitano nello sceglierla, terza donna senatrice a vita dopo Camilla Ravera e la grandissima Rita Levi Montalcini. Tutto risolto? No, restano gli altri tre. E se la Cattaneo ha rinunciato allo stipendio da ricercatrice, perché il maestro Abbado, il professor Rubbia e l'architetto Piano non seguono il suo esempio? Carichi di onorificenze, di premi, di riconoscimenti. Apprezzati e richiesti a livello mondiale. Verrebbe da dire, e senza alcun intento polemico, strapagati. A loro è concesso restituire agli italiani, anche quelli più distanti dall'amore per la cultura, la fiducia. E quei 12mila euro mensili. 
Laura Costantini

martedì 10 settembre 2013

La cultura dell'eccezione

Capita a tutti. Un semaforo rosso, magari di quelli pedonali. Nessuno che attraversa e lo scooter, che ha fatto gimcana tra le auto, si porta in prima fila. Un'occhiata a destra, una a sinistra e poi via, in barba al semaforo. A nessuno sembra strano, a nessuno appare per quello che è: una lampante infrazione del codice della strada. Perché il semaforo rosso significa stop. Sì, si risponde indulgenti, ma non passava nessuno, dai. Ancora. Si passeggia per strada, in una qualsiasi città italiana. Le strade non sono un elvetico esempio di nitore, ma insomma. Una persona davanti a noi estrae il pacchetto delle sigarette. Lo libera del cellophane. Rapido sguardo a destra, uno a sinistra. Nessun cestino in vista e il cellophane vola in terra e a nessuno sembra strano. È segno di inciviltà ma, ci si dice, i cestini chissà dove sono, sono sempre pieni e per terra non sarà quella l'unica cartaccia. Ancora. Siete in auto, il semaforo vi dà via libera, viaggiate tranquilli del vostro diritto al passaggio. Ed ecco un ciclista che ha visto il segno di stop che lo riguarda così come ha visto voi in arrivo. Ma lui ha fretta e chi ha detto che un ciclista debba rispettare il codice stradale? Così, privo di casco e a rischio della sua stessa vita, vi taglia la strada. Frenate ovvio, magari provate a sfogarvi con un giusto improperio e vi ritrovate seppelliti da una valanga di insulti. Perché il ciclista sa di essere nel torto, ma non importa. Hai frenato, che vuoi che sia? Entrate in un bar, prendete un caffè, pagate, chiedete lo scontrino. La cassiera vi fissa con odio e vi fa sentire un aguzzino della Santa Inquisizione. Nel vostro quartiere ci sono i cassonetti per la differenziata e voi vi sforzate di suddividere il pattume secondo le regole. Accumulate la carta, bella, pulita e impacchettata, raggiungete l'apposito contenitore e lo scoprite zeppo di cartoni unti di pizza. Tanto, vi dicono, se vogliono riciclano anche quella o, peggio, è tutta una finta e in discarica finisce tutto insieme. Noi italiani ci vantiamo di questa nostra caratteristica. Il nostro trovare sempre un'eccezione alla regola, il forzare i codici a nostro uso e consumo, lo consideriamo manifestazione di un'italica propensione al sano buon senso. Perché rispettare un rosso, se non passa nessuno? Perché gravarsi di cartacce, se le strade sono sporche? Perché emettere uno scontrino, se tutti evadono le tasse? Eccezioni che sembrano piccole, insignificanti, perfettamente sensate. Ma che, per la loro stessa esistenza, aprono la strada a squarci sempre più ampi nel fragile tessuto del vivere in un consesso civile. E per un ciclista che si sente in diritto di tagliare la strada senza rispettare un semaforo rosso, si arriva facilmente a una persona che tre gradi di giudizio hanno riconosciuto colpevole, penalmente colpevole, che si sente in diritto di pretendere un'eccezione. Di forzare le regole, di ritenersi, come in fondo facciamo quasi tutti noi italiani, al di sopra della legge.

Laura Costantini

martedì 3 settembre 2013

Il Nobel tradito

Il 28 agosto scorso si è celebrato il cinquantenario del discorso di Martin Luther King davanti a duecentocinquantamila persone, a Washington,  Lincoln Memorial. I have a dream. Io ho un sogno, dichiarò il reverendo King e niente fu più lo stesso. Un anno dopo, nel 1964, Martin Luther King venne insignito del premio Nobel per la pace e solo una pallottola vigliacca, quattro anni più tardi, riuscì a fermare il suo inesausto impegno per l'affermazione dei diritti civili dei neri d'America. Si dirà che l'ingiustizia della segregazione razziale era talmente palese che, prima o poi, lottando, cadendo e rialzandosi, gli afroamericani sarebbero riusciti in ogni caso a ottenere ciò che spettava loro, come a qualsiasi essere umano. Ma è pensiero comune che se King non avesse, quel giorno estivo di cinquanta anni fa, espresso a voce alta il desiderio di venti milioni di neri d'America, oggi Barack Obama non sarebbe il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti. Eletto nel 2008 sulla base di uno slogan forte quanto il sogno di King: yes, we can. Sì, possiamo. Insediato nel 2009 con le spalle cariche di aspettative che avrebbero stroncato chiunque. Insignito estemporaneamente e nello stesso anno del Nobel per la pace, come il reverendo King, "per i suoi sforzi straordinari volti a rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli". E non aveva ancora fatto nulla, se non sedersi sulle speranze del mondo intero. Non è un caso se oggi, alla vigilia di un possibile intervento armato nella Siria del massacro di civili anche a colpi di gas nervino, merita la suggestiva copertina che lo ritrae, piccolo e lontano, sotto il titolo: unhappy warrior. Il guerriero infelice. Il guerriero suo malgrado. Il guerriero indeciso. Il guerriero che tradisce il Nobel per la pace e tutte le aspettative, raffreddate da un primo mandato non brillante, ma ancora vive e vegete. Ci aspettiamo molto, moltissimo da Obama. La domanda è: perché? Perché è afroamericano? Anche Condoleeza Rice lo é, eppure ha espresso, lei donna e nera, l'aspetto più aggressivo e cinico della politica di Bush junior. Perché è democratico come lo fu Kennedy? Ma il mai abbastanza compianto John Fitzgerald aveva dato la stura all'inferno vietnamita e, a meno di non lanciarsi nella più sfrenata ucronia, nessuno di noi può esser certo che avrebbe fermato il conflitto. Quel che sappiamo è che, cinquanta anni fa, in un'assolata giornata da novembre texano, una o più pallottole fermarono lui stampando nella memoria del mondo l'istantanea di un presidente giovane, bello, sorridente e dichiarato portabandiera di un mondo migliore. Era al terzo anno del primo mandato, aveva gestito una crisi difficilissima con Cuba, ma non sappiamo come sarebbe andata. Quali e quante speranze avrebbe disilluso. A Barack Obama che, colore della pelle a parte, ci è stato presentato come il Kennedy del terzo millennio, è toccata la prova dei fatti. E i fatti sono che si appresta a scatenare una nuova guerra di esportazione della democrazia. Nei sogni di Martin Luther King questo non c'era.

Laura Costantini

lunedì 2 settembre 2013

Azzurra e Papillon

Azzurra e Papillon non sono due persone. Sono due agapornis roseicollis, due pappagallini cosiddetti inseparabili. Azzurra, come il nome suggerisce, è di un morbido azzurro pervinca con sfumature rosa e lilla. Papillon ha la testina rossa, le ali verdi, coda e groppa blu. Papillon era rimasto solo, che per un inseparabile non è una buona cosa, così io e la mia mamma ci siamo attivate per trovargli una compagna. Ed è arrivata Azzurra. Dovete sapere che gli inseparabili non sono soggetti di bocca, anzi becco, buono. Non è detto che un maschio e una femmina si prendano. Così, li abbiamo messi in due gabbie distinte, ma vicine, perché si annusassero, si conoscessero e, magari, si innamorassero. Perché gli inseparabili si innamorano, è un fatto. Sabato scorso, dopo circa un mese e mezzo di occhieggiamenti, cinguettii e tentativi di raggiungersi anche attraverso le sbarre, avevamo deciso che fosse il momento di metterli fisicamente insieme. Solo che gli inseparabili, oltre che di gusti difficili, sono anche furbissimi e curiosi peggio di scimmie. E' sempre buona norma mettere dei fermi agli sportellini delle gabbie, perché sono bravissimi a forzarli. Anelito alla libertà? Forse, ma propendo per curiosità e voglia di "vediamo se riesco ad aprirla". Non dovete mai dimenticare che Azzurra e Papillon sono nati in cattività e non hanno alcuna idea di cosa sia la vita allo stato brado. Comunque, proprio sabato, prima che trovassimo tempo e modo di unirli, Papillon ha trovato lo sportellino senza fermo, lo ha aperto ed è volato via. Avreste dovuto vedere e sentire la disperazione di Azzurra. Il modo in cui lo chiamava, attaccata alle sbarre della sua gabbia. Una cosa da stringere il cuore.
Ora dovete sapere che gli inseparabili hanno un buon senso dell'orientamento e si affezionano ai luoghi, quindi c'erano buon speranze che Papillon ritrovasse la via di casa, anche guidato dal canto di Azzurra. Però non potevamo dimenticare che ci sono altri uccelli in zona, oltre che gatti. E Papillon è piccolo di stazza e poco abituato al volo. Lo abbiamo aspettato per tutto il pomeriggio di sabato, insieme ad Azzurra. Ma niente. Abbiamo sperato di trovarlo la mattina di domenica. Ma niente. Appena è sorto il sole Azzurra ha ricominciato a chiamarlo, ma non si sentivano più le sue risposte. Lo abbiamo dato per perso. La notte è calata e mia madre ha suggerito di mettere la gabbia di Azzurra in una posizione più riparata di quella adottata per permetterle di richiamare Papillon. Accendo la luce sul terrazzo e... Una scena da film, da libro Cuore, da love story. Papillon era tornato e se ne stava appeso alle sbarre della gabbia, zampette contro zampette, testolina contro testolina con Azzurra. A dividerli le sbarre. Lui fuori, lei dentro, ma non avrebbero potuto essere più uniti di così. Uniti e addormentati. Mamma ha preso Papillon, che non ha protestato come al suo solito, intontito dal sonno e anche dalle ore trascorse fuori, senza cibo e acqua, e lo ha messo nella stessa gabbia di Azzurra. Stamattina, prima di uscire di casa, sono andata a guardarli. Dormivano sullo stesso bastoncino, ala ad ala. Inseparabili.