sabato 26 luglio 2014

Il puzzle di Dio: l'idea

Sebbene si tenda a pensare che i giornali, nel senso di quotidiani, siano destinati a lasciare poca o nulla traccia, io li ho sempre letti con attenzione e affetto (deformazione professionale, probabilmente). E loro mi hanno ricambiata. L'idea portante del Puzzle di Dio nasce dalla lettura (e successiva interpretazione arbitrarissima) di un articolo. Questo articolo:


Era giugno del 2002 e ricordo che chiamai la socia al telefono.

- Pronto?
- Hai presente Project ESP (era il titolo del primo abbozzo del romanzo che oggi potete leggere, n.d.r.)? Ho trovato l'idea giusta.
- Tipo?
- Tipo una serie di tessere sparse per il mondo e risalenti a un tempo in cui non ci poteva essere nessuno a confezionare tessere.
- Uhm. L'hai sognato? (a me, Laura, capita spesso di sognare idee strampalate per romanzi, n.d.r)
- No, l'ho letto sul giornale.
- Uhm. Esistono sul serio?
- Così pare.
- Uhm. Va beh, porta il giornale e vediamo che se ne può tirare fuori...

Cosa ne abbiamo tirato fuori oggi lo sapete. E lo potete acquistare QUI in cartaceo o in digitale. A vostra discrezione.

martedì 22 luglio 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: l'Amnis Petronia

 
 
Acque sotterranee. Antiche vie di storia e di mistero. Roma è anche questo. E la sede del Servizio, l'organismo occulto che indaga sul puzzle di Dio è proprio a Roma e si sposta nel sottosuolo, grazie all'Amnis Petronia.
Pronti per il viaggio?
 
L’Amnis Petronia era uno spettacolo che non cessava di stupire. Neanche quando lo si aveva sotto gli occhi tutti i giorni. Quando le porte scorrevoli dell’ascensore si aprirono, nella livida penombra delle lampade al neon, Lorenzo e Mattias si trovarono davanti il piccolo molo di cemento armato proteso nelle acque limpide e gorgoglianti di un fiume che sgorgava proprio lì, a qualche decina di metri sotto i resti degli Orti Sallustiani, per scorrere con veemenza lungo un piano inclinato di roccia sotto via Sallustiana. Il tunnel che l’acqua si era scavata nei secoli era basso e li costrinse a chinarsi per prendere posto nella piccola cabina galleggiante che li avrebbe portati fino al bunker sotterraneo posto a meno di un chilometro di distanza. Lì dove la fonte che scaturiva sotto Palazzo Barberini confluiva a cascata nell’Amnis Petronia.
Dovrebbero aprire tutto questo al pubblico”, disse Mattias arpionando le maniglie di sicurezza lungo i bordi della cabina, mentre Lorenzo liberava la strana imbarcazione dall'ormeggio attivando il meccanismo di traino. Una fune in acciaio assicurata a una sorta di cremagliera che agganciava la cabina alla volta di tufo.
Lo dici tutte le volte”, commentò accendendo il faro verso il buio del tunnel in leggera discesa. “Te ne rendi conto?”
È l’anima dello studioso. Tu puoi mettermi addosso una divisa e darmi dei gradi, ma io sono e resto uno che non funziona a compartimenti stagni.”
La cabina aveva preso velocità e buie imboccature di tunnel naturali e gallerie artificiali sfilavano accanto a loro. La grande macchia grigia della colata di cemento armato con cui il Servizio aveva ostruito la galleria del villino della Regina Madre li avvisò che erano a metà strada. Sopra di loro, al posto del villino andato distrutto, c'era l’Ambasciata degli Stati Uniti e forse proprio lì si trovava Cayden, l’assassino di Tiziano. Chissà se aveva già fatto rapporto su quello che aveva scoperto, o magari lo stava facendo proprio in quel momento.
Fu un pensiero che colpì entrambi e spense l’inizio di polemica avviato da Mattias. Il maggiore medico Landi era in forza al Servizio da tre anni, era stato Lorenzo a coinvolgerlo e lui, medico e ricercatore di belle speranze, con interessi che andavano al di là degli angusti limiti di molti suoi colleghi, aveva accettato con entusiasmo. Il Servizio non era una cellula deviata partorita dal Sismi o dal Sisde, era un esperimento che inseguiva quelli avviati già da tempo dalle maggiori potenze mondiali. Era un gruppo di uomini con potenzialità intellettive superiori alla media, accuratamente selezionati dal generale Ruggero Ilva, chiamati a investigare su ciò che la scienza cosiddetta ufficiale non voleva o non era in grado di spiegare. Ma era pur sempre un corpo militare, con regole e gerarchia rigide. Ed era contro questi aspetti che Mattias, da tre anni, si scontrava. Consapevole che solo l’influenza e l’amicizia di Lorenzo erano riusciti a evitargli conseguenze più gravi di sonore lavate di capo.
Il fragore della cascata che, giorno dopo giorno, erodeva le fondamenta di palazzo Barberini coprì l’impatto piuttosto brusco con il molo di cemento, prima che l’Amnis Petronia si slanciasse giù per la ripida discesa sotto via del Tritone. Schizzi di acqua gelida imperlarono i giubbotti impermeabili mentre uscivano dalla cabina bloccata dall’ormeggio magnetico e si avviavano verso altre porte d’acciaio sormontate da telecamere. Un sistema di riconoscimento a scansione retinica permise loro di superare lo sbarramento e, poco dopo, liberi da elmetti e giubbotti, furono nel sancta sanctorum del Servizio.


lunedì 21 luglio 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: Mister Liberty

Ha la statua della Libertà tatuata sulla spalla. E' un maggiore dei marines prestato alla misteriosa Sezione. Si chiama Cameron Cayden. Ed è un cattivo soggetto. Non ci credete?

Eccolo in azione:




Il sole stava sorgendo, rapido e radioso sulla desolazione abbacinante della Death Valley. Ma il colonnello Amy Minogue, decine di metri sotto la superficie della distesa delle Bad Waters, poteva solo immaginarlo e rimpiangere una boccata di aria pura. Non che sarebbe servita a molto dopo la notizia che il maggiore Cayden aveva chiesto di conferire con lei.

Lo faccia passare”, disse nell’interfono prima di stringere le mani intorno alla tazza di caffè, cercando di carpirne il calore. Mister Liberty aveva il potere di terrorizzarla. C’era una follia crudele appena sotto la superficie di quegli occhi gelidi. Una follia sempre sul punto di esplodere.

Colonnello”, esordì Cayden appena entrato. E sulle sue labbra suonò come un insulto.

Maggiore, si sieda. Vuole una tazza di caffè?”

Si risparmi i convenevoli.”

Non chiedo di meglio. A cosa devo il dispiacere?”

Ordini superiori. Il mio contatto nel Servizio italiano si è fatto vivo: Demedici e i suoi sono diretti in Marocco.”

Il colonnello Minogue prese un planisfero tra le carte sulla sua scrivania.

La tessera 12/7”, esclamò. “Allora avevo ragione.”

Il sorriso sulle labbra di Cayden fu una smorfia.

Ragione? Lei aveva indicato un’area enorme, da Gibilterra a tutto il Medio Oriente.”

Sempre meglio che dover cercare in tutto l’emisfero boreale, maggiore.”

I loro occhi si sfidarono per qualche istante e Amy riuscì a non abbassare lo sguardo, nonostante l’inferno che vedeva nelle iridi scure di Cayden. L’uomo ne sembrò sorpreso.

Il generale O’Shea vuole che lei faccia parte del mio gruppo”, disse alzandosi per versarsi il caffè.

Cosa?”

Ha capito bene, colonnello. Siamo in partenza per il Marocco e sono qui per chiarirle alcuni punti fondamentali: io me ne sbatto i coglioni che lei abbia un grado superiore al mio. Nel mio gruppo sono io a dare gli ordini.”

Amy tacque il tempo necessario perché Cayden tornasse a sedersi.

Non ha niente da dire?”, chiese l’uomo fissandola al di sopra della tazza.

Ha parlato di alcuni punti fondamentali, maggiore. Sono in attesa degli altri.”

Cayden stirò le labbra in un sorriso da squalo. Il colonnello Minogue, appassionata di immersioni, si trovò a pensare che anche lo sguardo non aveva niente da invidiare al vuoto tenebroso e maligno degli occhi del più feroce tra i predatori del mare.

Si sente al sicuro, non è vero?”, sussurrò Mister Liberty. “Si sente al sicuro perché siamo ancora tra queste quattro mura ed è convinta che non avrei il coraggio di sbatterle la faccia contro la sua ordinata scrivania e fotterla fino a farla sanguinare. Si sbaglia, colonnello. Se solo sapesse quanto si sbaglia.”

Amy non sapeva come, ma era riuscita a reggere il suo sguardo. Il cuore le batteva impazzito nel petto e le sembrava che l’aria fosse all’improvviso rarefatta e ostile.

Bene”, disse con un tono neutro del quale non si sarebbe mai creduta capace. “Se questo è tutto, maggiore, lasci che stavolta sia io a chiarirle alcuni punti fondamentali: la considero un elemento assolutamente dannoso per il compito che siamo chiamati a svolgere, uno psicopatico ormai al di là di qualsiasi possibilità di recupero. Ciò nonostante sono un soldato e ritengo che il nostro primo dovere sia obbedire agli ordini. Se il generale O’Shea mi vuole nel suo gruppo, partirò con lei, maggiore. E accetterò anche le sue condizioni riguardo i ruoli all’interno dell’unità operativa. Mi rendo conto che per il suo instabile equilibrio mentale, accettare ordini da una donna potrebbe essere devastante. Ma non deve mai, neanche per un istante, pensare che le permetterò ancora di minacciarmi come ha appena fatto.”

Ma davvero?”

L’ironia di Cayden non la colse impreparata. Il maggiore, con uno scatto degno di un cobra, si protese ad afferrarla attraverso la scrivania. Fu un errore del quale si rese conto subito dopo. Veloce come e più di lui, il colonnello Minogue era scattata in piedi e, mentre la poltrona bruscamente allontanata continuava la sua corsa fin contro la parete di fondo, lei piroettò su se stessa e colpì Cayden alla tempia con il tallone. Indossava i pesanti scarponi militari e uno strappo nel cuoio capelluto perfettamente rasato cominciò a sanguinare mentre il maggiore tentava di mantenersi in piedi. Amy lo vide scuotere la testa e schizzare sangue intorno come un grosso cane appena uscito dal bagno.

Puttana, tutto qui quello che sai fare?”

A me è sembrato abbastanza.”

La voce era quella del generale O’Shea, in piedi sulla porta. Cayden non abbozzò neanche un saluto. Amy scattò sull’attenti senza mascherare la soddisfazione.

Comodi, comodi. Soprattutto lei, maggiore Cayden. Ha l’aria di aver bisogno di sedersi.”

Per un attimo il colonnello Minogue ebbe la certezza che quel pazzo si sarebbe lanciato a testa bassa contro il loro superiore. Ma non era pazzo fino a quel punto. Non ancora.

Sto benissimo, signore”, rispose a denti stretti.

Me ne compiaccio e spero che questo piccolo scambio di vedute tra lei e il colonnello Minogue sia stato proficuo in vista della vostra partenza.”

Credo che io e il maggiore Cayden, adesso, ci si conosca meglio”, rispose la donna. Non poteva vedere il viso di Mister Liberty, ma ne percepiva la rabbia. Si propagava come l’onda d’urto di un’esplosione sotterranea.

Quindi, colonnello Minogue, sono autorizzato a pensare che lei sia d’accordo a concedere al maggiore una posizione di comando per la durata della missione.”

Non vedo alcun problema, signore.”

E lei, maggiore, vede qualche problema?”

Lo scambio di sguardi con il generale O’Shea ebbe una durata angosciante, poi la mascella di Cayden si rilassò.

No, signore. Nessuno.”

domenica 20 luglio 2014

Da dove parte il puzzle di Dio?


Lui è Ippolito Desideri, un gesuita che, per primo tra gli studiosi occidentali, volle conoscere ed esplorare il Tibet. E tra i mille documenti che ha lasciato nei misteriosi archivi del Vaticano, ce n'è uno che il Servizio ha chiamato "frammento di Ippolito"... Come ve la cavate col latino? Male? Tranquilli, c'è la traduzione a seguire. Leggete con attenzione perché "Il puzzle di Dio" parte da qui:

Doc. Serv.
N. prot. 361420
Roma, 6 giugno 1999
Ris. Pers. Gen. Ruggero Ilva

Cum admodum senex sapiensque monachus, qui a Nepal pervenit, Italiam domum meam esse cognovisset, magnis horrendisque secretis eam premi mihi dixit.
Quae erant exsecratio iacta in orbem terrarum a numquam mortuo nondumque nato daemone.
Ostendit sapiens monachus primam postremamque lapidem eodem redire.
Saxeus anguis in Loti valle iacet, sed intellegendi arcana via in superiore ac frigido loco et in infima atque calida parte inveniri potest.
Monachus in Orbis Terrarum Tecti geminis montibus Iovis Sabatii aedem initium custodire dixit.
Postea ille, quia nimis multa dixerat, in fugam se dedit.

(Avendo saputo che la mia patria era l’Italia, un vecchio e saggio monaco, che veniva dal paese chiamato Nepal, mi disse che un grande e terribile segreto gravava sul mio paese.
Un segreto che era una maledizione scagliata contro il mondo da un demone malvagio mai morto e non ancora nato.
Il saggio monaco disse che la prima e l’ultima pietra coincidono.
Il serpente di pietra giace nella valle del Loto, ma le chiavi del segreto sono in alto al freddo e in basso al caldo.
Il monaco disse che un tempio di Giove Sabazio custodisce l’inizio tra i monti gemelli del Tetto del Mondo.
Poi fuggì da me perché aveva detto troppo.)

Frammento attribuito a Ippolito Desideri S.J.
Luogo del ritrovamento:
Archivio Segreto Vaticano
Datazione probabile:
luglio 1715
Luogo probabile dell’incontro con il monaco nepalese:
Piana di Leh, Ladakh
Autenticità del frammento:
confermata da esperti interni al Servizio
Utilizzo dell’informazione:
a discrezione del gen. Ilva
Livello di classificazione del documento:
massimo

Tra poche ore il nostro nuovo romanzo sarà in vendita su tutte le principali piattaforme digitali. Siete pronti?



sabato 12 luglio 2014

Il Tevere è la madre di Roma

Qualcuno di voi l'ha fatta con noi la passeggiata d'autore dedicata al nostro "Fiume pagano". Altri ne hanno sentito parlare. Oggi, ricordando la presentazione del romanzo sull'argine del nostro fiume, in una serata di luglio afosa e magica, vogliamo farvi un regalo. Una passeggiata bordo fiume con un cicerone d'eccezione.

(La foto è di Marco Flores Tavanti)


Tu lo conosci il Tevere? Scusa, t’ho fatto paura, non volevo. No, non voglio soldi. Sono sporco, non ho un buon odore, ma t’ho visto da come lo guardavi che… Il fiume, intendo. Non lo guardano tutti allo stesso modo. Anzi, guarda, non lo vedono proprio. Passano, corrono, scappano, telefonano. Tu no. Per questo t’ho chiesto se lo conosci. Perché io lo conosco e te lo voglio raccontare. Vieni? Aspetta, sì, hai ragione. Forse è meglio se prima mi presento. Venanzio, e non m’offendo se non mi stringi la mano. È sporca e callosa. Non è sempre stata così. Non mi chiamavo Venanzio, una volta. Non vivevo neanche qui, a Roma. Ma è stata la vita, capisci? La corrente. Come succede col Tevere. Vieni. Cominciamo da qui, da Ponte Sisto. Anche lui, come me, non si chiamava così. Ha avuto una vita precedente. Una lunga vita. Esisteva già nel 12 avanti Cristo quando l’imperatore Augusto lo volle per collegare le sue proprietà sulle due sponde del Tevere. Però sai come si dice? Gli uomini propongono e un dio, o una dea, dispone. No, non mi sono sbagliato, l’ho detto apposta. Una dea. Perché noi lo chiamiamo Tevere, lo pensiamo maschio. Ma questo fiume, come tutti i fiumi, è femmina. È una madre. Una madre diversa da come le pensiamo oggi. Una madre com’erano quelle dei tempi antichi. Generosa, ma dura, pronta a lottare, a morire per i figli, ma anche a punire con severità. E il Tevere Roma l’ha punita più volte. Quello che tu oggi chiami Ponte Sisto venne distrutto da una piena, nel 791. E’ stato un papa, Sisto IV, a farlo ricostruire verso la fine del 1400. Lo sai come se chiama quello? Quel buco lì al centro. Per i romani è l’occhialone e guai se il fiume ci passa dentro. Significa che s’è incazzato. No, non pensare a quelle che i giornali hanno chiamato piene, quelle degli ultimi anni. Noi, tutti noi, il fiume veramente incazzato non l’abbiamo mai visto. Ci siamo convinti che fosse sufficiente chiuderlo tra due muraglioni e dimenticare che esiste. Ma io che ci vivo accanto ho capito che un giorno il Tevere si farà sentire. Sai, come quelle madri che sopportano, sopportano e poi esplodono e allora, parola di Venanzio, avremo paura. Tutti. Perché devi capire che il Tevere è la madre di Roma, non nostra. Noi l’abbiamo usurpata, offesa, sporcata, ridotta a un groviglio di auto. Ed è Roma che vorrà proteggere. Vieni, attraversiamo. E se ti vergogni a farti vedere con me, io resto due passi indietro e intanto racconto. Va bene?

Lo vedi quanto è stretto Ponte Sisto? Per questo è pedonale. Andava bene nei tempi antichi. Ma oggi chi cammina più a piedi? Chi passeggia? Solo i turisti. L’avevano allargato alla fine dell’800, con due specie di mensoloni di ghisa. Te li ricordi? Quasi nessuno se li ricorda. Perché non guardano. Passano e basta. I mensoloni l’hanno tolti con i restauri per il Giubileo del 2000 e il ponte è tornato bello. Come merita il fiume.

Sì, ti capisco. Se il fiume merita ponti belli, come lo spieghiamo Ponte Garibaldi? Brutto e trafficato, è proprio uno di quei ponti che tradiscono la missione. Costruzione recente e, se permetti, indecente. L’hanno fatto alla fine del XIX secolo e solo per favorire lo sviluppo della città verso Trastevere. Il fatto è che una volta i ponti li facevano i pontefici. Lo sai chi erano? Ingegneri, certo, ma anche sacerdoti. Passare da una parte all’altra del Tevere era come ferire il corpo della propria madre. Andava fatto con il rispetto che si porta alle cose sacre. Per questo oggi il Papa lo chiamiamo pontefice. Ecco, vieni, ti mostro l’unica cosa bella di Ponte Garibaldi: i balconcini. Io li chiamo così, balconcini. Credo che il nome esatto sia loggioni semicircolari, ma lo scopo non cambia. Sono punti dove sostare per ammirare, per guardare, per rendere omaggio. Abbiamo Ponte Sisto a monte e l’isola Tiberina a valle. La vedi la forma dell’isola? Una nave, lunga e affusolata, protesa verso il mare. E guarda i ponti. La grazia che hanno. Il rispetto. Sono come gioielli sul corpo di una madre. Sono nati per la città, per la gente, non per le macchine. Sono gemelli, ma devi ricordare che Roma è nata sull’altra sponda del Tevere. Sulla riva sinistra. Quella è la Roma delle origini, quella pagana. Qui, dove siamo noi adesso, c’è quella papalina. Quindi sono gemelli, i ponti dell’isola, ma il più antico dei due è quello di sinistra, ponte Fabricio. Tutto di tufo e peperino. Quando lo attraversi, se presti ascolto, senti la storia che ti scorre intorno. Ma ne parliamo dopo, adesso vieni. Ci aspetta Ponte Cestio, quello dove il Tevere canta.

Il fiume ha un suono, sai. Ma è un suono lieve, un  fruscio, come la carezza di una madre sulla testa del figlio. Difficile sentirlo col frastuono che abbiamo intorno. Dicono che la rapida, la senti? l’abbiano creata rialzando il fondale, ma mi piace pensare che abbiano voluto, in realtà, permetterci di ricordare che oltre i muraglioni il fiume vive, scorre, accarezza. Affacciati. Posa le mani sul parapetto, la pietra è calda, accogliente, il fiume canta. Se chiudi gli occhi puoi quasi immaginare che Roma sia ancora quella del pontefice Lucio Cestio che lo costruì su ordine di Giulio Cesare in persona. Cestio, sì, come la piramide. Non dista molto da qui e l’ha costruita il fratello di Lucio, Caio. Aspetta, non attraversare. Torniamo sull’argine. Quello è Ponte Palatino. Lo chiamano il ponte inglese, perché il traffico gira al contrario, lì sopra. È un ponte moderno, quindi brutto. L’hanno costruito per prendere il posto di Ponte Emilio. Ne resta uno spezzone. E io vivo lì sotto, nel posto più bello di tutta Roma. Puoi non crederci, ti capisco. Ma il fiume ha sparso sabbia fina sull’argine, asciutta. Il sole scalda il travertino e ponte rotto, così lo chiamano i romani, stormisce di fronde e di storia. Affacciati, guarda. Vedi come il fiume se l’abbraccia l’isola Tiberina? È l’amore di una madre.

La leggenda vuole che a formare l’isola sia stato il cumulo dei covoni del grano mietuto a Campo Marzio e gettato nel fiume al momento della rivolta contro Tarquinio il Superbo. Sì, lo so, non è possibile. Ma è bello pensare che il cuore di Roma sia nato dall’amore della sua gente per la libertà e la repubblica. L’isola Tiberina è sacra, lo si percepisce anche oggi che di sacro non abbiamo più niente. Per questo c’è un ospedale, per questo un ospedale c’è sempre stato, anche quando la medicina era affidata al dio Esculapio e ai suoi serpenti, giunti per nave dalla Grecia. Per questo l’isola ha la forma di una nave e, se guardi bene, vedi i marmi che ne ornavano la prua. Te l’immagini come doveva essere questa città ai tempi di Giulio Cesare? E te l’immagini quale forza ci sia voluta per abbattere Ponte Emilio? Vieni, scendiamo.

Da sotto lo capisci che è e resta un monito, come l’occhialone di Ponte Sisto. Che potenza doveva avere l’acqua per fare un danno simile? Eppure oggi avete dimenticato che i ponti non sono lì per la vostra comodità, per le vostre auto, per i vostri motorini, per i vostri pullman. I ponti sono altari, sono omaggi alla madre Tevere. Alza lo sguardo. Anche Ponte Fabricio ha il suo occhialone. Una struttura successiva, anche se questo è il più originale dei ponti, quasi totalmente fedele a quello che Lucio Fabricio costruì nel 62 avanti Cristo per collegare il Campo Marzio all’isola. Prima ce n’era uno di legno, come spesso erano i ponti di Roma. Di legno e smontabili per contrastare invasioni e per consentire al fiume di proteggere la città e i suoi figli. Una madre, ricordi? Riempiti gli occhi e risaliamo. Ormai avrai a noia la mia compagnia e le mie parole.

Non so se ti sono stato utile, se da oggi guarderai al fiume con occhi diversi. Il primo ponte di Roma stava là, a valle di Ponte Palatino. Si chiamava Ponte Sublicio. Era quello sul quale Orazio Coclite fermò i nemici. Era quello da dove, quando Roma era giovane, si celebrava il sacrificio degli Argei. Fa’ un ultimo sforzo, immagina: le Vestali, una processione di donne velate, arrivano al ponte. Lo benedicono con la mola salsa, una mistura di sale e farro, poi gettano nel fiume ventisette fantocci. Sono di paglia, avvolti in tuniche bianche. Ma in tempi ancora più antichi e selvaggi, erano uomini quelli che venivano offerti in sacrificio al fiume. Pensaci la prossima volta che scendi qui sotto a passeggiare. Tu vedi acqua melmosa, ma questo è il Tevere. La madre di Roma.

E adesso ti lascio. No, non mi offendo se mi offri qualcosa. È uno scambio. Pochi spiccioli per me, uno sguardo diverso sul cuore di questa città per te. E sì, se ti va torna a trovarmi, lettore. Mi trovi qui, sulle sponde del Tevere. Il Fiume pagano.

 

Laura Costantini – Loredana Falcone

venerdì 11 luglio 2014

Resoconto di una serata fantozziana

Ci si vede stasera?
Ci si vede.
Che si fa?
Cenetta con belvedere a Ferrazzano?
Andata.
Serata fredda, quasi invernale. Ma dopo la pioggia il cielo è limpido e la luna quasi piena. Uno spettacolo. L'auto sale sui tornanti al suono di musica tecno.
Ma quanto sei coatto?
Dai, entriamo in piazzetta coi finestrini aperti e woofer a palla?
No, dai...
Sì!
In piazzetta non c'è un'anima. Non c'è neanche il ristorante. Chiuso. E non per riposo settimanale. Chiuso. Punto.
E adesso?
Adesso scendiamo a Campobasso, ti pare che non troviamo dove mangiare?
L'auto scende i tornanti al suono di musica depressa. Ci piaceva l'idea del belvedere. Arriviamo in città. Parcheggiamo. Camminata.
Si va da Tonino?
Ma sì, dai.
Arriviamo da Tonino. Chiuso. Non per riposo settimanale. Chiuso per ferie. Punto.
E' il 10 luglio e lui chiude per ferie.
Va beh, le strade son deserte. Ci incamminiamo sotto la luna quasi piena, avvolti in maglioni e giacche. E' il 10 di luglio. La gente non c'è. I ristoranti nemmeno. A parte Mario.
Ci avviciniamo. Sala grande. Almeno trenta tavoli. Vuoti.
Non abbiamo chance. Entriamo rassegnati.
Vogliamo cominciare con un bell'antipasto?
No, guardi, ci elenchi i primi.
Bene, abbiamo antipasto all'italiana, prosciutto e bufala, prosciutto e melone...
Prendiamo l'antipasto all'italiana: due olive, due funghetti, mezzo carciofino, prosciutto direttamente dalla busta presa al supermercato, mezza mozzarella di bufala. Dice.
Bistecca di vitello?
Va bene, avete delle patate al forno?
No, lesse.
Il suicidio comincia a sembrare un'opzione accettabile.
La bistecca è una fettina di carne abbrustolita. Le patate lesse ce le ha ripassate in padella, così sono lesse/abbrustolite.
Dolce? No, per carità di Dio.
Il conto. Mario ci guarda in tralice: io sono buono, fa venti euro a testa. Ricevuta? Sì, ricevuta.
Un furto.
Decidiamo di consolarci con un gelato.
Si va da Iannetta? Ma sì, dai.
Per strada è apparso qualcuno, un accenno di movida. Tre macchine tre riescono a creare un'approssimazione di ingorgo.
Ma Iannetta è chiuso.
E' il 10 di luglio e una delle migliori gelaterie di Campobasso è chiusa.
Eh, ma sono le dieci e mezza di sera... Ah beh, allora.
Ora. Una non è che rimpiange la coda sul lungotevere alle tre di notte durante l'estate romana. Però...

sabato 5 luglio 2014

La morte di Giorgio Faletti

La morte di Giorgio Faletti, sì, ancora. Mi piacquero molti dei suoi libri, non mi sono mai unita al coro dei detrattori/invidiosi che mai digerirono la sua posizione in classifica. Ma la sua prematura dipartita, oltre a dispiacermi moltissimo, mi ha fornito materiale per una riflessione. Da quando io e la socia frequentiamo la Rete, una delle polemiche che andava, va e andrà per la maggiore, è: chi lo dice che uno è uno scrittore?
Lo è se ama raccontare storie? No. Perché esistono un sacco di sedicenti contastorie in giro.
Lo è se ha partecipato a molte antologie? No. Figurarsi, con tutti i sedicenti concorsi in giro.
Lo è se ha pubblicato? No. Con tutte le case editrici a pagamento, il print on demand, il self publishing, oggi chiunqur può dire di aver pubblicato.
Lo è se ha venduto molto? No. Da quando in qua i lettori capiscono qualcosa. Per non parlare dei passaggi televisivi pilotati, dei best seller creati a tavolino dagli esperti di marketing, delle classifiche truccate, delle librerie ciniche e bare.
Lo è se ha vinto dei premi? No. Ma quando mai? I premi abbondano, per lo più son bufale e quelli blasonati son decisi a tavolino.
Potrei continuare, ma è chiaro il concetto, no?
Ecco, io una risposta su chi possa considerarsi scrittore non ce l'ho. Ma posso dire che, per me, Faletti lo era. Ha pubblicato, ha venduto, ha emozionato. Mi sembra sufficiente. E a voi?

giovedì 3 luglio 2014

Pssst, ma non lo dite alla socia

Siamo alle solite e voi siatemi testimoni.
Aveva preso l'impegno, la socia / metà oscura / Loredana, di mandare avanti il blog e di ammannirmi un corso di rieducazione che mi spingesse al rispetto della privacy, soprattutto la nostra, e a non caricarmi di impegni in nome della solidarietà narrativa.
Per un attimo è apparsa presa da un sacro fuoco, che poi si è miseramente esaurito.
E' che lei, la socia, proprio non ce la fa.
E' orsa.
Quindi, se non voglio che questo blog muoia miseramente, devo intervenire io.
No, niente esternazioni lavorative, ché non si può.
No, niente editoriali sulle ultime della cronaca, ché non si può neanche questo.
Ma parlare di libri, quello sì.
Quello nessuno me lo può togliere.
E visto che è estate e che molti di voi si apprestano ad andare in vacanza, tre consigli di lettura:


- vi piacciono le atmosfere accoglienti, i sapori delicati, l'ironia non dissacrante e la provincia italiana? "E le stelle non stanno a guardare" di Loredana Limone (Salani) è il vostro libro;


- vi piace la scrittura limpida e densa come un miele di acacia, vi piace tenere uno zaino in spalla, vi piace leggere una storia che è tante storie e vivere un mondo che ne racchiude mille e che non vi lascerà dopo la prima pagina? "Casa di carne" di Francesca Bonafini (Avagliano) è il vostro libro;


- vi piace ridere, sorridere, riflettere, incazzarvi e tornare a ridere vivendo in un universo parallelo dove a Napoli esiste un quartiere che non c'è, ma che è più vero di quelli che ci sono? "Sirena" di Aurelio Raiola (Homo Scrivens) è il vostro libro.


Buone letture e, mi raccomando, non fate la spia con la socia. Anche lei sta per andare in vacanza e magari riesco a sfangarla.


Sssstttttt, mi raccomando.


Laura