giovedì 19 dicembre 2013

Ci hanno assassinato lo stupore


RaiUno. Quiz preserale, 12 dicembre scorso. La domanda: "In che anno Adolf Hitler viene nominato cancelliere?" Quattro opzioni, ché ormai i quiz si fanno col multiple choice, così dove non arriva la preparazione, può arrivare la buona stella. Ma la buona stella latitava. Così i quattro concorrenti, persone giovani, presumibilmente con un titolo di studio, inanellano assurdità
1948? No. 
1964? No, e il conduttore è bastevolmente basito. 
1979? No. Resta l'ultima opzione, 1933. 
Ma il conduttore sente la necessità di sottolineare, bonariamente, con un: "Ragazzi, Adolf Hitler..." A nessuno dei quattro sembra accendersi una lampadina davanti al nome di uno dei protagonisti della storia del XX secolo.
Facebook, settimana scorsa. Rimbalza nelle condivisioni lo status di una ragazza. Non ne conosciamo l'età. Dalla foto si direbbe maggiorenne, ha un nome e un cognome, ma non è questo l'importante. Scrive: "Onestamente penso che anziché dare così tanta importanza a dei coglioni che hanno scritto due righe decenni fa e che ora sono morti e sepolti, dovremmo conoscere e parlare più spesso delle persone che stanno salvando il mondo... Persone come Alessandra Amoroso o Justin Bieber oppure Miley Cirus o One Direction. Persone che nella loro vita hanno avuto più sconfitte e dolore di un Manzoni, ma ovviamente la maggior parte delle persone questo non lo sa." Lo status è molto più lungo di così ed è troppo ben scritto, con accenti, virgole e tempi verbali giusti, per essere stato digitato da una persona che pensi quello che sta dicendo. I commenti sono stati tra l'ironico e il rassegnato, pur con tutto il rispetto per le vicissitudini umane, che "ovviamente" ignoriamo, dei divi e divetti pop citati.

Ancora RaiUno, ancora quiz preserale. E va detto che un gioco che prevede una vasta conoscenza delle parole della nostra lingua è pur sempre un benemerito nel deserto culturale che ci affligge. Peccato però che la novità introdotta dagli autori in questa edizione, ovvero una serie di domande basate sui tempi verbali, abbia portato a galla la macroscopica ignoranza di uomini e donne, di varia età, che nel presentarsi declinano curricula universitari. Ricordiamo una ragazza, chiamata a scovare il congiuntivo presente dei verbi all'infinito citati dal conduttore. Non solo non li conosceva, neanche uno. Ma quando il conduttore glieli rivelava, per poi ripartire nella sequenza, li dimenticava all'istante. Quel video andrebbe recuperato come prova, posto che di prove avessimo ancora bisogno, del fallimento della scuola italiana. Per non parlare del quiz, sempre introdotto quest'anno dagli speranzosi autori, basato sulle tabelline. La cosa che spaventa non è che non si riesca a coniugare un congiuntivo o a rispondere col numero esatto alla domanda "quanto fa 6 x 9?". Ciò che colpisce, e colpisce duro, è la mancanza di reazione. È che appaia normale. Anche a fronte di un neoeletto senatore grillino che, interrogato su quanti fossero i membri del Senato, sparò un numero a caso. Non paghi di aver ucciso la cultura, ci hanno assassinato lo stupore. 
Laura Costantini

mercoledì 11 dicembre 2013

Uomini speciali ed eroi misconosciuti

Parafrasiamo il più celebre degli incipit tolstojani e diciamo che tutti gli uomini normali sono simili fra loro, ogni uomo speciale è speciale a modo suo. Lo scorso 5 dicembre è morto, alla bella età di 95 anni, Nelson Mandela. E nessuno di noi ha avuto bisogno di consultare wikipedia per sapere chi fosse e in che modo ha cambiato la vita delle minoranze di colore in Sudafrica e nel mondo. Pochi giorni prima, il 2 dicembre, è morto Ambrósio Vilhalva. Se lo cercate su wikipedia, non troverete una pagina tutta per lui. Viene solo citato nella voce dedicata alla popolazione Guaranì. Ne era il leader. È morto per loro. Assassinato. Come Mandela ha fatto per tutta la sua lunga vita, Vilhalva lottava per garantire al suo popolo il diritto di vivere sulla sua terra. Come ai neri del Sudafrica nei tempi oscuri dell'apartheid, agli indios Guaranì non viene riconosciuta pari dignità, non viene accordato il diritto di continuare a vivere secondo le proprie tradizioni, secondo la propria cultura, nella terra che da sempre li ospita, il Mato Grosso. Come Mandela, ma non con la stessa visibilità e fama nel mondo occidentale, Vilhalva è stato simbolo di diritti negati, di dignità calpestate, di esseri umani immolati sull'altare di interessi economici e politici. Un simbolo forte, al punto da aver ispirato il pluripremiato film "Birdwatchers La terra degli uomini rossi" di Marco Bechis, in cui, lui protagonista, si raccontava la lotta disperata dei Guaranì. Aveva viaggiato, Vilhalva, aveva portato nel mondo la voce della sua gente. Aveva fatto pressioni sul governo brasiliano, per come poteva e sapeva, per ottenere giustizia. La sua comunità, nota come Guyra Roká, era stata privata della terra alcuni decenni fa, per volere di ricchi latifondisti. Per anni i Guaranì avevano vissuto di niente, come mendicanti sul ciglio di una strada. Poi, nel 2007 avevano rioccupato una parte della loro terra, incorrendo nelle ire dei proprietari delle enormi piantagioni di canna da zucchero che ne sono state ricavate. Vilhalva aveva ricevuto minacce nei mesi scorsi. Poi, la notte del 2 dicembre, l'agguato a colpi di pugnale. E quasi nessuno nel mondo ne ha parlato. Ogni uomo speciale è speciale a modo suo. Mandela è stato un protagonista del Novecento. La sua lotta, la sua lunghissima prigionia, l'amore che ha saputo suscitare, con la forza dell'esempio, anche nel mondo della cultura e dello spettacolo, ne hanno fatto un'icona. Era malato da tempo e oggi il mondo intero piange Madiba. Ambrósio non ha avuto lo stesso impatto sull'opinione pubblica mondiale. Ma la violenza del suo assassinio testimonia di quanto il suo schierarsi contro il potere della Raízen, una joint venture tra Shell e Cosan che utilizza la canna da zucchero per produrre biocarburanti, avesse toccato nervi scoperti. La campagna che lui, la sua comunità e Survival International avevano intrapreso, ha costretto la Raízen a rinunciare alla canna da zucchero coltivata nelle terre guaranì. Ma questa vittoria Ambrósio Vilhalva l'ha pagata con la vita.

Laura Costantini

martedì 3 dicembre 2013

Ma quanto è comodo dar la colpa a loro...

Se ne è parlato fin troppo delle baby-squillo dei Parioli, a Roma. Si è analizzata la facilità con cui, pur riconoscendole vittime, hanno accettato di essere usate pur di ottenere ciò che un sistema malato ha indicato loro come ciò che conta veramente: oggetti di lusso. Proprio come loro sono state considerate dagli utilizzatori. Proprio come loro hanno considerato il proprio corpo. Ma poco, o nulla, è stato detto sui suddetti utilizzatori. Uomini adulti, spesso maturi, spesso padri a propria volta di coetanei e coetanee delle giovanissime con cui si intrattenevano. Sulla loro psicologia, sulle loro motivazioni, sulle giustificazioni che devono essersi dati per poter entrare in quei letti e intrattenersi con quei corpi, nessuno si è soffermato. Le parole di condanna son state tutte per loro, le ragazzine senza valori, e per loro madri. Soprattutto per la madre che, consapevole del mestiere esercitato dalla figlia quindicenne, ha volentieri accettato di dividerne i proventi. Una condanna unanime ai suoi danni, condivisibile. Ma è mancato il contraltare. Le colpevoli, a giudicare dai mille pareri espressi nei talk show pruriginosi che per settimane ci sono stati imposti a reti unificate, erano loro. La parte femminile. Le assetate di lusso. Le senza valori. Le superficiali. Vittime, sì, ma... C'è sempre stato un ma. E mai una volta il ma ha compreso i clienti, facoltosi, entusiasti, esigenti, come testimoniato dalle richieste, dagli sms messi agli atti. È così facile accettare che l'errore sia dalla parte delle donne. Lo è stato anche per il branco che, si è saputo la settimana scorsa, ha abusato per mesi di una quattordicenne. È accaduto a Molfetta. In tanti sapevano, in tanti avevano capito. Ma quella ragazzina era una facile, una poco di buono. Non lo dicevano i suoi tormentatori, non solo. Lo diceva il paese, lo dicevano le coetanee a scuola. Lo hanno anche scritto sul social network, aprendo un falso profilo intestato alla ragazzina e facendole dichiarare di essere disponibile a tutto. Con tanto di numero di telefono. Non viene da chiedersi come sia possibile che tanto basti? Nel branco di dieci maschi che hanno abusato di lei, molti erano maggiorenni. Il più adulto aveva 25 anni. E a quell'età, nonostante questa nostra strana epoca, si è responsabili, consapevoli, padroni delle proprie azioni. Cosa succede nella mente di un essere umano di sesso maschile, quale interruttore scatta, quale diabolico meccanismo ormonale impedisce di rendersi conto di quello che si sta compiendo? Un uomo maturo elargisce centinaia di euro per abusare del corpo di quella che potrebbe essere sua figlia, se non sua nipote. E un uomo di 25 anni abusa, senza alcun consenso, nonostante il pianto, le urla, il dolore, di quella che potrebbe essere una sorellina minore. Una creatura da difendere. E lo fa in compagnia di altri, abbassandosi al rango di bestia in un branco di animali senza alcuna coscienza di se stessi. Nessuno di noi, credo, ha gli strumenti per capire come tutto ciò possa accadere. Ma già cominciare a porsi la domanda, quella giusta, sarebbe un passo avanti.

Laura Costantini