lunedì 28 novembre 2016

Dimmi di che segno sei e ti dirò qual è il romanzo per te



Dimmi di che segno sei e ti dirò qual è il romanzo per te.
Vi avverto che siamo all’autopromozione spinta, perché si tratta, in soldoni, di consigli per gli acquisti natalizi. Ovvero quale potrebbe essere il libro da dedicare a voi stessi o ai destinatari del vostro pensiero, tra quelli scritti dal vostro duo scrittorio preferito.
Ci siete?

Partiamo dai segni d’aria, amanti degli ampi spazi, del mistero, dell’avventura: “Il puzzle di Dio” è il romanzo per voi e lo trovate QUI

Passiamo ai segni di terra, dediti al culto delle origini ancestrali, del rapporto con la natura, della vita all’aria aperta: “Il destino attende a Canyon Apache” è la storia che stavate aspettando e la trovate QUI

È la volta dei segni di fuoco, quelli della passione, degli amori assoluti, della dedizione agli ideali e alla rivoluzione: “Ricardo y Carolina” vi farà sognare, soffrire, innamorare e lo trovate QUI


Finiamo con i segni d’acqua, quelli del cambiamento, delle traversate, delle sfide impossibili: “Contrabbandieri d’amore” vi offrirà un intero oceano di emozioni, una meta tutta da conquistare e lo trovate QUI

domenica 9 ottobre 2016

News dalla cucina di Lory: il maiale "arraganato"



Tempo d'autunno. Tempo di accendere il forno. Questo piatto della cucina pugliese merita, oltretutto è un piatto unico - vi assicuro, dopo averlo mangiato, nel vostro stomaco non ci sarà posto per niente altro - e quindi risolve una cena come niente.
Se accettate la sfida fatemi sapere i risultati.
Buon appetito.

Maiale "arraganato" ( dosi per 4 persone)

Ingredienti:
4/6 bistecche di maiale
1 barattolo di pomodorini o una confezione di pachino freschi
4/6 patate
Aglio
Olio evo
Sale & pepe
Origano
Pane grattugiato
Parmigiano reggiano

Preparazione:
Prendete una teglia da forno, ungete la con l'olio di oliva e adagiatevi le bistecche. Salate e pepata te.

Sbucciate le patate, tagliatele a cubotti e risciacquatele in acqua corrente. Senza asciugarle posizionatele sopra la carne. Salate e pepate.

Aggiungete i pomodorini, 1 o 2 spicchi d'aglio a fettine, l'origano, e l'olio evo.

Spolverate con il pane grattugiato e il parmigiano.
Versate una generosa dose di olio evo e un bicchiere di d'acqua ( per fare in modo che le patate restino morbide mentre la carne cuoce)
Infornate a 250 gradi ( 200 se il forno é ventilato) per un'ora circa.

Servite caldo accompagnato da una bottiglia di Nero di Troia.


P.s. di Laura: "Piatto buonissimo"

venerdì 23 settembre 2016

Di condivisione, di plagio, di editoria e di lettori

Credo sarà un post lungo. Siete avvisati.
Comincio dall'inizio. Ai tempi di Splinder io e Loredana avevamo due blog. Uno legato alle esternazioni estemporanee (diciamo tipo bacheca Facebook), l'altro - chiamato non a caso Le storie di Lauraetlory - legato alla nostra produzione narrativa (tipo una attuale pagina autore). Neofite nel mondo digitale, comunque molto meno frequentato di oggi, e incatenate al ruolo di esordienti, volevamo farci leggere. E sul blog più narrativo cominciammo a pubblicare, a puntate, un intero nostro romanzo. L'adesione dei lettori, a loro volta tutti blogger, andò oltre le nostre aspettative. Ci fu chi definì quel romanzo "il più bel film che abbia mai letto". E ci fu chi ci scrisse in privato per chiederci se fossimo interessate a pubblicarlo, quel romanzo. Saltammo sulla sedia. Quel romanzo era "Le colpe dei padri" e nel 2008 vide la luce quale primissima uscita della casa editrice Historica di Francesco Giubilei. Ci prendemmo gusto. E cominciammo a pubblicare, a puntate, altri romanzi. Lo facemmo anche sul sito dedicato alle fanfiction, EFP, notoriamente dedicato alle seguaci di saghe e serie tv per immaginare avventure alternative per i loro personaggi preferiti. Ma c'era, e c'è ancora, uno spazio dedicato alle opere originali. Lì uscì, completo fino alla fine e con decine e decine di recensioni, il nostro western. Tanto che il romanzo trovò un altro coraggioso editore, Las Vegas Edizioni. Ci siete?
Non ci furono plagi e copiature. Ci furono troll e hater assortiti, ma quelli fanno parte del gioco. Mi dicono che oggi tutti è cambiato. In un lasso oggettivamente breve in termini di tempo, la Rete ha spalancato le porte a tutto e il contrario di tutto. E pare che adesso essere plagiati sia quasi la norma, mentre è scontato vedersi piratare gli e-book. Ora, come molti di voi sanno, ho il fondato sospetto che il mio romanzo a due sole mani, "Un diario vittoriano", che stava uscendo a puntate sul portale www.cultora.it , sia stato plagiato. E l'opera molto, troppo simile, sta per uscire in self. La comprerò, leggerò, capirò. Intanto però devo sospendere la pubblicazione. E, forse non lo crederete, ma è la cosa che mi dispiace di più. Come tutte le cose che mi riguardano, la storia di Robert e Kiran è partita piano, pianissimo. Pochi riscontri, pochi lettori. Poi, piano piano, si è conquistata attenzioni e sono arrivati lettori che attendevano con ansia la nuova puntata. L'attenderanno invano, da oggi in poi. E vi dirò che ne sono talmente spiacente da aver ventilato, tra me e me, di contattarli e spedire loro i capitoli in privato. Mi dicono, però, che così sminuisco la mia opera, il mio valore come autrice. Pare che per essere riconosciuta come autrice valida si debbano avere sì, lettori, ma lettori paganti. I soldi, diciamocelo, non fanno schifo a nessuno. Pretendere, come sento fanno in molti, di arricchirsi a suon di libri, e-book e uscite quindicinali, è velleitario. Io quando ricevo il rendiconto dei diritti da parte dei nostri editori, mi sento piena di gratitudine, come se mi stessero facendo un regalo. Sì, lo so, non dovrei neanche dirlo. Ma la cosa più importante, per me, è sempre stata la condivisione. Vedere le nostre storie attraverso gli occhi, il cuore e le emozioni di chi ci legge. Un commento, un'osservazione, un ringraziamento o una maledizione (ce ne giungono da chi perde il sonno sui nostri libri) sono il compenso più grande e più gradito. E qui veniamo al discorso lettori (ve lo avevo detto che sarebbe stato un post lungo). 
I lettori in Italia sono pochi. E di quei pochi, la maggior parte sono quelli che nella scelta si lasciano guidare da classifiche, anche quelle istantanee di Amazon (alzi la mano chi non è stato primo in classifica su Amazon almeno una volta), prezzi modici e appartenenza a determinati generi. Tutte motivazioni valide e ricordiamoci sempre che de gustibus e quel che segue. Ma mentre siam sempre lì a sparare a zero sugli editori vigliacchi, gli autori incapaci, la distribuzione cinica e bara e i librai pigri, non spendiamo mai una parola sulle responsabilità dei lettori. Perché una responsabilità esiste e pesa.
Spostiamo lo sguardo sulla tv, tasto meno dolente perché meno coinvolgente per tutti noi. Ci sono serie tv superlative, scritte con tocchi di genio, girate con perizia e dovizia di mezzi, recitate da veri e propri artisti. Hanno seguito? Sì, molto, Ma non moltissimo, attenzione. A ben vedere c'è una tribe planetaria di orgogliosi nerd che si passano le dritte e i link per questa o quella serie, per poi affollare forum di dibattito e condivisione dell'immenso piacere di una bella storia ancor meglio raccontata. Poi ci sono le fiction e soap opera. Colori spenti, tutto girato in uno scalcagnato teatro di posa, recitazione basica, costumi tirati via (ho visto dei falsi storici per quanto riguarda i costumi... meglio che taccia), emozioni di quelle genialmente raccontate da Boris. Colpi di scena prevedibilissimi, situazioni sbrodolate per mesi. Ci siete? Ebbene, il seguito di tali fiction e soap opera è irraggiungibile da una qualsiasi delle suddette superlative serie tv. Cosa voglio dire? Ebbene, se un lettore da un libro (ma stento a definirli tali) pretende solo intrattenimento banale e fine a se stesso, se non gli importa della qualità della scrittura, dell'uso della punteggiatura, della sintassi a pene di segugio, se, anzi, pretende un uso della lingua italiana basico, elementare, che non preveda alcun tipo di sforzo. Insomma, se siamo di fronte a un lettore passivo esattamente come un telespettatore di quelle fiction e soap opera di cui sopra, allora di cosa vogliamo parlare? Perché sono gli stessi lettori ai quali non interessa se quella storia sia o meno farina del sacco di chi l'ha scritta, non interessa capire come sia possibile sfornare un libro (?) ogni quindici giorni. Sono gli stessi che affollano Amazon di stelline e aggettivi superlativi per storie che non stanno in piedi a partire dalla sinossi. Sono gli stessi, alla fine, che determinano che quell'autore (?) si veda proporre da una CE medio-grande una pubblicazione, certi del riscontro.
Guardando in faccia questa desolante realtà io proporrei di tutelare i veri lettori, quelli che sanno riconoscere uno stile, un'idea, un uso della lingua diverso per lo meno da quello dei pensierini della terza elementare. Rendiamoli specie protetta. Coccoliamoli, vezzeggiamoli, teniamoceli ben stretti. Io e Loredana ne abbiamo una bella raccolta e, grate da sempre, da oggi in poi li ameremo con convinzione e consapevolezza della fortuna di averli incontrati. Non ci renderanno ricche, no. Ma non li cambieremmo per niente al mondo con quella massa che sparge stelline a piene mani tra le recensioni di Amazon.

lunedì 5 settembre 2016

Scotland memories

Siamo state in Scozia. 
E ne abbiamo ricavato impressioni e suggestioni e sensazioni legate alla vita quotidiana degli scozzesi. Che poi, secondo noi, dovrebbe essere lo scopo principale di un viaggio. Si parla molto di globalizzazione e di una sorta di conformismo planetario che, almeno per quanto riguarda la parte occidentale del mondo, rende ogni luogo uguale a un altro. Ma non è vero. Se ci avessero private della facoltà di leggere e distinguere una lingua da un'altra e ci avessero teletrasportate in un qualsiasi vicolo di Edimburgo o di Glasgow o di Inverness, avremmo immediatamente capito di trovarci nel Regno Unito. Da cosa? Il colore delle mura, lo stile (o la mancanza di stile) delle insegne, sempre un po' spartane al punto che un supermarket a colpo d'occhio potrebbe essere un'agenzia di pompe funebri o una sede di franchising immobiliare. Poi, ovvio, dalle auto che viaggiano al contrario, dalla segnaletica orizzontale fatta di tratteggi e zig zag inediti nel resto d'Europa (e d'America). E ancora dal colore del cielo. In Scozia i colori sono acquarellabili, tutti. Cielo, nubi, fiori, prati. I prati, ragazzi. I prati sono incredibili.
Tappeti di velluto verde, occasionalmente trapunti da ceppi funerari. Perché la morte gli scozzesi se la tengono accanto, quasi nel cortile di casa. Un atteggiamento di accettazione che dovrebbe farci riflettere. E non solo riguardo all'evento conclusivo dell'esistenza. Gli scozzesi, i britannici in genere, sono "sportivi". Quel legging fiorito, quella gonnellina rigida, quel cappellino assurdo, quella scarpa carnevalesca. Va tutto bene. Indossano un pessimo gusto con allegra noncuranza, così come indossano senza problemi una linea appesantita o una certa qual trascuratezza igienica. No, non stiamo per lanciare la filippica sull'assenza del bidet (anche se manca almeno quanto un buon espresso, anche di più). La maggior parte degli scozzesi non sembra indulgere volentieri nella pratica della doccia quotidiana. Per non parlare dello shampoo. I viaggi in autobus oltre a regalarci panorami stupendi sulle Highlands, ci hanno omaggiate di effluvi assortiti che stenteremo a dimenticare. Fin qui cose che, più o meno, si sanno. Non si parla spesso, invece, del fatto che nelle grandi città l'attraversamento dei pedoni al semaforo è anarchico quanto e più che in una qualsiasi delle nostre. Si passa se è rosso, se è verde, se è giallo. Si passa perché si ha fretta, perché il "wait" resta lì per quarti d'ora, perché il verde dura due secondi netti. La differenza è nel rischio che si corre. Gli automobilisti scozzesi corrono, molto. Ma considerano sacro il pedone. E se ti vedono in piedi sul bordo del marciapiede, si fermano. A prescindere dalla tua reale intenzione di attraversare. A quel punto, per non deluderli, passi. Ancora: le strade sono sporche, esattamente come da noi. Cartacce, bicchieri di cartone, incarti di snack vari, pezzi di carta, mozziconi e, negli angoli più riparati, la traccia inequivocabile di evacuazioni urinarie. Perché la birra, si sa, da qualche parte deve pure uscire. Ci siamo trovate a Glasgow durante un venerdì sera.
E di persone sbronze in giro non ne abbiamo viste molte. Ma forse reggono bene, da buoni scozzesi, perché i bicchieroni di birra andavano che era un piacere. Che altro? Amano le 500 Fiat, possibilmente rosse. Ne abbiamo viste molte. Coltivano, con successo, rose e fiori che si tende a immaginare in luoghi più assolati. Hanno un alto tasso di giovani e bambini. Ma non sono ricchi e, dalla nostra impressione, neanche in ripresa. Molte le saracinesche chiuse sulle strade di grande passaggio. A Fort William abbiamo letto, su una vetrina, il messaggio commovente di tal John Steel che, costretto a chiudere il proprio emporio, ringraziava i clienti e chiedeva scusa per non essere riuscito a continuare a tenere sollevata la saracinesca. Nei supermarket la carne è poca e solo tagli a buon mercato. I negozi di grido, i vari Prada, Clark e via griffando, sono scicchissimi ma vuoti. Mentre i clienti affollano Primark, Zara, H&M. La crisi c'è e si sente. E allora meglio alzare lo sguardo verso l'orizzonte dei laghi, dei castelli, delle Highlands.
Un inganno, le "alte terre" scozzesi. Morbide come le forme di una donna in carne, all'apparenza, ma con un'anima di roccia tagliente. Le abbiamo viste avvolte in stole di erica fiorita, eleganti nella loro desolata bellezza sotto un cielo che riesce a essere enorme e vicino da toccarlo.
Ecco, la Scozia è questo e molto, molto, molto altro. Bellissima, selvaggia e insieme amichevole, ospitale, sorridente e malinconica. 


martedì 23 agosto 2016

News dalla cucina di Lory: pomodori col riso (i miei preferiti)

Mia nonna ha passato la sua intera vita dietro ai fornelli. Probabilmente devo a lei la passione per la cucina. Non c'era nulla che non potesse essere guarito con una bella pietanza. Il segreto era conoscere il piatto preferito di ognuno dei membri della sua famiglia. La sua potrebbe essere definita "cucina omeopatica".
Tra i piatti estivi che mi cucinava uno dei mei preferiti erano i pomodori col riso
Quella che segue è la ricetta originale della "Sora Assunta".

Ingredienti:
 6/8 pomodori maturi (ma non troppo) di media grandezza
6/8 cucchiai di riso
Sale & pepe
Olio evo
1 spicchio d'aglio non troppo grande
Prezzemolo
1 bicchiere di vino bianco
4 grosse patate

Preparazione:

Lavate i pomodori e asciugateli.
Con un coltello togliete via il "cappello" che terrete da parte.
Con un cucchiaio o con l'apposito attrezzo scavate l'interno del pomodoro avendo cura di non romperlo.
Posizionate i pomodori svuotati in una teglia e spolverizzateli con del sale. Quindi capovolgeteli.
In una terrina sminuzzate la polpa di pomodoro.
Aggiungete il sale e il pepe, lo spicchio d'aglio sminuzzato e il prezzemolo tritato.
Schiacciate un poco con una forchetta quindi aggiungete l'olio, i cucchiai di riso e il vino.
Rimescolate.






Riempite i pomodori e copriteli con il "cappello" che avete tenuto da parte. Annaffiateli con una dose generosa di olio evo.
Pelate le patate, tagliatele a spicchi grandi e conditele con sale, olio e pepe.
Aggiungetele alla teglia di pomodori.
Infornate a 200 gradi per 1 ora ca.
I pomodori col riso possono essere consumati caldi o freddi a seconda delle preferenze.

Per il vino io consiglierei un Frascati.


giovedì 11 agosto 2016

Cominci un romance e ti scappa l'omicidio...



Abbiamo sempre spaziato tra i generi della narrativa. Non ci è mai piaciuto saperci incastrate in uno scaffale con una targhetta. Ci siamo cimentate con il giallo, il noir, il thriller, la fantascienza (romanzo ancora inedito), lo storico, il western. Ogni volta, o quasi, è saltato su qualcuno a dire che però, sì, va beh, comunque era un romanzo d'amore, dai.
Perché in tutti i suddetti generi, nell'ambito della storia, evolveva anche un rapporto amoroso. E dato che noi siamo donne (e oltre la penna e la tastiera c'è di più - semicit.), ovvio che su trecento pagine con un serial killer, indagini e cinque morti ammazzati, a spiccare di luce propria fossero i due che si innamorano, no?
Così, prendendo spunto da quel genio di Massimo Troisi, a forza di sentirci chiedere "ma è un romanzo d'amore?", alla fine abbiamo deciso di rispondere che sì, muore un po' di gente, scoppia un guerra, c'è una carestia, si riflette sui grandi temi dell'esistenza, ma è un romanzo d'amore. Così stavano tutti più tranquilli.
E dato che ci piace fare le cose per bene, ci siamo documentate sui paletti di genere per quanto riguarda il romance: un lui figo, una lei figa meglio se imbranata, tenera, sfigatella, un antagonista (con o senza apostrofo, dipende dal punto di vista), casini assortiti e lieto fine obbligatorio. Ci siamo guardate e abbiamo detto: "Ok, ce la possiamo fare". Perché abbiamo anche scoperto che il romance si declina all'ennesima potenza, purché ci sia lui, lei e l'altro/a, puoi ambientare la vicenda nel medioevo, su un'astronave, in un laboratorio nucleare, in una rete tv, ovunque.
Meglio che mai. E ci siamo messe all'opera di buzzo buono.
Personaggi, scaletta, casini assortiti... 'spetta un attimo. Però, dai, non è che per tutto il tempo questi si possono correre dietro, lasciarsi, riprendersi e spalpitare. Che palle, no? E certo, allora facciamo così: quelli che contano sono loro due, però magari l'antagonista può essere implicato in qualcosa di losco, per cui lei, per dargli una mano, si lascia invischiare... Sì, funziona: facciamo che lei è una ricercatrice e lavora in un laboratorio genetico e si rende conto che sta succedendo qualcosa di strano. Chiama in soccorso l'antagonista, che è un esperto in sequenziamento di DNA vegetali per gli OGM, ci sei? Perfetto, lui scopre qualcosa e decidono di incastrarlo. Muore il sospetto trafficante di DNA modificati, tutti pensano che il colpevole sia l'antagonista. Lei no, perché... perché lo conosce bene. E allora il lui (quello di lei, sì, insomma, l'innamorato che deve trionfare alla fine), che è un poliziotto, fa di tutto per scoprire le prove che inchiodino il rivale. Ma si rende conto che...
Fermi tutti. Un morto ammazzato, un traffico internazionale di DNA modificati, un lavoro di documentazione che levati. Ma la storia d'amore che fine ha fatto?
Uhm... vero. Va beh, dai, due bacetti, una scopata, due piantarelli ce li buttiamo in mezzo. Poi finisce bene e tutto a posto. O no?

mercoledì 10 agosto 2016

News dalla cucina di Lory: melanzane ripiene




Lo so. Avevo promesso una ricetta al mese ma col caldo che ha fatto la voglia di mettermi ai fornelli o peggio di accendere il forno non c'è stata. Provo a farmi perdonare con una ricetta  della cucina povera pugliese che non solo è gustosa ma si adatta anche a un menù vegetariano.



Ingredienti:

2 melanzane nere
I tazza di pane grattugiato
400 gr. di pomodoro pelato  o 3/4 pomodori maturi
1 spicchio d'aglio
Sale & pepe
Olio evo
Origano

Preparazione:

Lavate le melanzane e tagliatele a metà nel senso della lunghezza.
Scavatene l'interno e dalla polpa ricavate dei dadini che andrete a posizionare in una insalatiera capiente.

Tagliate a dadini il pomodoro e aggiungetelo ai cubetti di melanzane, salate e pepate.
Tritate finemente uno spicchio d'aglio e aggiungetelo al composto insieme al pane grattugiato, ad abbondante olio extravergine e una spolverata di origano.


Quindi lavorate Il ripieno con le mani fino a renderlo omogeneo.
Ungete con olio una teglia, riempite le barchette di melanzane e adagiatele sul fondo.


Aggiungete due dita di acqua e infornate a 200 gradi per 40 minuti ca.
Anche se ormai le melanzane si trovano tutto l'anno questo è un piatto tipicamente estivo. Consiglio quindi di lasciare raffreddare e gustarle a temperatura ambiente.

Solitamente accompagno questo piatto con dei bocconcini di mozzarella e un boccale di birra chiara gelata.


mercoledì 8 giugno 2016

News dalla cucina di Lory: torta rustica alle cipolle

Il blog è uno strumento che ha bisogno di quotidianità per restare vivo. E se la quotidianità della socia è sfornare articoli e servizi giornalistici, la mia, come molti di voi sapranno, è quella di accudire la mia famiglia. Incarico che svolgo, nonostante qualche momento topico fatto di urlacci e minacce, con tutto l’amore che posso. Non essendo una persona molto espansiva, è in cucina che esprimo i miei sentimenti, preparando i loro piatti preferiti, sperimentando secondo i loro gusti e gli stimoli che mi arrivano dall’esterno. Così ho pensato di dar vita su questo blog a una rubrica in cui vi proporrò alcune delle mie ricette, piatti semplici, in cui si mescolano le mie origini pugliesi, la mia romanità e la mia fantasia.

Il primo piatto che vi propongo è una torta rustica alle cipolle, ideale per un aperitivo, come antipasto o, se preferite, al posto del classico piatto di pasta.

Ingredienti:
1 kg di cipolla fresca di Tropea ( in alternativa potete usare dei comuni cipollotti o del porro)
4 hg di olive nere dolci
40 gr di uva passa
2 confezioni di pasta sfoglia a base rotonda
Sale, pepe, olio extravergine di oliva.
Preparazione:


In una padella antiaderente fate scaldare 4 cucchiai di olio, aggiungete la cipolla mondata, asciugata e tagliata a fettine non troppo sottili. Prima che si colori, aggiungete un bicchiere d’acqua, quindi le olive denocciolate e tagliate a rondelle e l’uva passa. Salate, pepate e cuocete a fuoco moderato con un coperchio.

Quando gli ingredienti si saranno ammalviti, togliete il coperchio e lasciate asciugare, sempre a fiamma moderata, fino a ottenere un ripieno denso. Quindi togliete dal fuoco e lasciate raffreddare una mezz’ora a temperatura ambiente.

Nel frattempo munitevi di una teglia da crostata nella quale metterete il primo disco di pasta sfoglia avendo cura che i bordi siano più o meno della stessa misura.




Versatevi dentro il ripieno e livellate con un cucchiaio.
Disponete il secondo disco di pasta. Unite i bordi e arricciateli tutti intorno per chiudere.
Bucate la superficie della torta con una forchetta per evitare che si gonfi troppo e infornate a 180° per una mezz’ora.








Sfornate e servite calda.
Non sono un’esperta di vini ma, se posso suggerire, io questo piatto lo gradisco con un bicchiere di prosecco.


lunedì 30 maggio 2016

Non sei tu a decidere cosa io sia in grado di raccontare

Quando io e la socia abbiamo cominciato a scrivere (era il 1978) di fatto mettevamo nero su bianco i nostri sogni di adolescenti. Cominciammo con un’astronave in viaggio verso un buco nero (e ci documentammo su dove gli astronomi collocassero il più vicino, comunque un’ipotesi, la loro, e comunque non c’era Internet all’epoca, ma ci documentammo). Proseguimmo con un circo in viaggio in tutta Europa (e ci documentammo su città, usanze, strade da percorrere, distanze, ponti, fiumi, modelli di auto, senza dimenticare tutto l’armamentario strettamente attinente all’attività circense, e non c’era Internet all’epoca, ma ci documentammo). Le location italiane non ci attiravano e continuarono a farlo per molti anni ancora. Decenni, direi. Perché nel frattempo diventammo grandi. E arrivò Internet a facilitare il compito, anche se la Biblioteca Nazionale di Castro Pretorio a Roma non si batte. La nostra prima pubblicazione, di cui quest’anno ricorre il decennale (non ve ne importa un fico secco farcito di mandorle, lo so, ma quest’è), fu un romanzo ambientato in Irlanda, sulla baia di Kenmare. All’epoca non c’eravamo mai state, ma ci documentammo a tappeto su qualsiasi aspetto potesse tornare utile alla storia: credenze celtiche, rituali di stregoneria, pub, rapporto tra pecore da lana e numero di abitanti, distanze da percorrere, condizioni delle strade, interventi necessari a restituire la vista a una persona. E via così.

Non bastò. Non facemmo errori. Italiani che vivevano in Irlanda ci fecero i complimenti per aver saputo restituire l’atmosfera, i colori, l’Irlanda stessa. Ma non bastò. Perché, e noi non lo sapevamo ancora, gli esordienti erano considerati, e lo sono ancora, colpevoli di esterofilia. Per cui, se non avete mai pubblicato un romanzo, accertatevi di ambientarlo nel vostro quartiere. Perché dovete scrivere di ciò che conoscete. E va da sé che voi/noi, poveri neofiti (allora lo eravamo) della scrittura narrativa, conoscessimo a malapena il citofono del nostro palazzo. E di quello dovevamo parlare, per essere credibili. Il titolo di questo piccolo sfogo la dice lunga sulla nostra reazione. Nel 2008 tenemmo a battesimo la casa editrice del giovanissimo Francesco Giubilei, Historica, con un romanzo ambientato nel Wyoming (e ci documentammo su tutto, dall’allevamento all’estrazione in situ dell’uranio alle stazioni radiofoniche di zona). E così abbiamo continuato. Non è che non amiamo il nostro paese e la nostra città. A Roma abbiamo dedicato due gialli molto apprezzati e abbiamo in cantiere un romanzo storico. Ma documentarci, fare ricerca è la nostra passione. Ricreare mondi, situazioni, periodi storici… Si chiama fantasia. Puoi applicarla in una stanza chiusa oppure su un pianeta alieno. A te, lettore, riconosciamo il diritto di decidere se la storia ti piace o non ti piace, se è scritta bene o con i piedi. Ma, sia chiaro, non sei tu a decidere cosa noi siamo in grado di raccontare.

sabato 21 maggio 2016

Questo blog è vivo e lotta insieme a noi

Una commentatrice - ne esistono ancora per i blog, da non crederci - ci chiede se questo blog è morto. No, non lo è. Magari tace, rimane in attesa. Una sorta di animazione sospesa. Ma è vivo. Se ascoltate bene il cuore batte. E non potrebbe essere altrimenti, visto che moltissimo gli dobbiamo. È nato dieci anno fa, in occasione della nostra prima pubblicazione. All'epoca Facebook era una roba da pioneri, in Italia. Twitter doveva ancora nascere. I blog invece c'erano e potevano fare la differenza. Per noi l'hanno fatta al punto che un nostro romanzo trovò un editore proprio grazie alla pubblicazione a puntate sul blog. All'epoca Lauraetlory era su Splinder e aveva uno spin-off interamente dedicato alla nostra produzione narrativa, ovvero Le storie di Lauraetlory. Altri tempi.
Comunque, questo blog è vivo e ci rispecchia. Poco appariscente, come noi. Poco sgomitante. Ma il succo c'è. E il succo è che noi scriviamo. Pubblichiamo, anche, ma soprattutto scriviamo. E leggiamo. E ci appassioniamo. E alle volte veniamo qui, sul blog, a dirlo. Ci siamo appassionate a Florence, di Stefania Auci. Adesso ci stiamo appassionando alla serie di Victorian Solstice di Soprani e Corella. Penne italiane, penne femminili, penne che vale la pena leggere.
Oh, poi fate come volete, sia chiaro. E prima che qualche commentatore sardonico si appalesi, sì, Soprani e Corella sono nostre amiche. E se questo impedirà di prendere in considerazione la loro scrittura, a perderci sarete voi.
A presto.
Laura e Lory

lunedì 22 febbraio 2016

Loredana ha letto "Florence" di Stefania Auci

Chi mi conosce sa che non amo scrivere recensioni, le mie sono impressioni di lettura dettate dall'amore per le parole e dalla stima che nutro per chiunque si cimenti con la narrativa. Qualche giorno fa ho avuto il piacere di ricevere in dono il romanzo di Stefania Auci, "Florence". L'ho letto tutto d'un fiato, spero che quello che segue, ve ne chiarirà il motivo.



Quello che sto per dire farà storcere il naso a qualcuno. Qualcun altro penserà che sono piena di me, di noi dovrei dire visto che nell'affermazione che sta per seguire, è inclusa anche la socia. Okay, non la tiro per le lunghe: finalmente ho letto un romanzo che mi ricorda uno dei nostri. Non saprei dire se è scritto meglio o peggio, se lo stile è migliore o la trama più avvincente, ma è un romanzo vero  con personaggi di fantasia, certo, ma inscritti in una storia che racconta la Storia, quella vera.
Il romanzo in questione è "Florence", di Stefania Auci. E di quello che accade nelle quattrocentosei pagine di cui si compone non vi dirò molto. Per non rovinarvi il piacere di farvi catturare pagina dopo pagina, riga dopo riga, parola dopo parola.  Vi basti sapere che il protagonista è Ludovico Aldisi, giornalista della "Nazione" e che la vicenda ha inizio nove mesi prima dell'entrata dell'Italia nel primo conflitto mondiale.
Ludovico è un cinico, un opportunista. Un uomo pronto a sacrificare gli affetti più cari per affrancarsi da umili natali, per riscattare un passato fatto di umiliazioni, per costruirsi un ruolo in una società che lo rigetta. Ma la guerra, vissuta nelle trincee insieme agli uomini del capitano Jasper Freeman, stravolgerà la sua visione del mondo. La guerra e l'incontro con Irene Laurenti, una giovane donna attraverso i cui occhi Ludovico vedrà la parte più vera e più nascosta di sé.
La grandezza di questo romanzo sta anche qui, nella cura che Stefania dedica ai personaggi secondari facendone dei coprotagonisti. È il caso di Claudia, donna bellissima e fragile che nella trasgressione di una relazione adulterina soffoca il dolore della propria sterilità. Di Dante, amico sincero di Ludovico e Irene, la cui bontà d'animo, la cui gentilezza nascondono il disagio per un amore impossibile. Perfino il "cattivo" ha un suo fascino, l'avvocato Mario Anselmi concentra su di sé quanto di più negativo possa aver espresso il genere maschile in un'epoca in cui la donna non aveva libertà di scelta alcuna.
La scrittura di Stefania è attenta, precisa eppure meravigliosamente fluida. Il lavoro di ricerca che si intuisce leggendo queste pagine intense è puntiglioso, metodico. Nella ricostruzione delle  battaglie, nella descrizione dei luoghi, delle strade di Firenze, dei costumi e dello stile di vita dell'epoca. Quando si scrive un romanzo storico è facile cadere in qualche sbavatura, soprattutto nel linguaggio, nell'incalzare di alcuni dialoghi. Qui non accade. Fin dalle prime pagine si viene sbalzati indietro di cento anni, tra il boato dei cannoni, il calpestio degli zoccoli sul selciato, la  pace operosa  della campagna del Chianti.
È la magia della scrittura che si compie trasportandoci in una dimensione fantastica che per qualche ora diventa la nostra realtà.
È un dono. Che non si impara nei corsi di scrittura creativa. O ce  l'hai, ed è il caso di Stefania, o non puoi fare altro che rassegnarti alla mediocrità.

Loredana Falcone



giovedì 4 febbraio 2016

Lettera al barone Luigi Alfredo Ricciardi di Malomonte

Quelli di voi che pensano che alla mia età non sia possibile innamorarsi di un personaggio di fantasia sono, perdonatemi, degli sciocchi. Oppure ignorano come sia possibile vivere una vita parallela, fatta di pagine e parole, mie e altrui, di un mondo che ignora ogni legge, per essere libero di rappresentare e di rappresentarsi così come esso stesso reclama. E in quel mondo trova la giusta collocazione la lettera che segue, uscita dalla penna di un'inconsistente e devota ammiratrice.



Illustrissimo barone di Malomonte,
spero vogliate perdonare l'ardire di questa mia.
Voi non mi conoscete e del resto non potrebbe essere altrimenti, ma io vi seguo da anni.
La vostra vita, la vostra carriera, i vostri sentimenti mi stanno a cuore molto più dei miei.
Non so come sia possibile che uno sconosciuto, tanto lontano da me nel tempo, nello spazio, nella realtà, sia riuscito a entrarmi nell'anima. Non so e ho smesso di chiedermelo il giorno in cui ho capito che non posso nulla contro questa passione che mi brucia dentro come una fiamma inestinguibile.
Se chiudo gli occhi vi immagino solo e tormentato in quella casa vuota, sento il profumo della vostra tristezza, assorbo la cupezza del vostro sguardo, accarezzo silenziosa il ciuffo ribelle che esprime così tanto di voi.
Mi struggo al pensiero che nulla è in mio potere per lenire il vostro dolore, per dare a pace all'irrequietezza che vi toglie il sonno e l'appetito, per riempire il vuoto che impedisce al vostro cuore di scegliere tra le tante che vorrebbero il vostro amore.
E tra quelle ci sono anch'io, lo confesso, spudorata, ignorando il rossore che mi imporpora le guance, che mi fa abbassare lo sguardo come se voi foste qui, come se poteste ascoltarmi.
E invece non potete. Imprigionato come siete nelle pagine di un libro, invischiato in casi di morte e di sangue che non fanno altro che aggiungere pena alla pena, dolore al dolore.
Quante volte avrei voluto essere al vostro fianco, coprirvi la vista di quei morti che vi torturano con le loro ultime parole. Quante volte avrei voluto prendere su di me quella maledizione che fa di voi un bravo investigatore ma che, passo passo, vi trascina nell'abisso della disperazione.
E disperata sono anch'io.
Di non potervi vedere, di non potervi toccare, di non poter dare un corpo  e  un respiro e la parola all'unico uomo in grado di rapire il mio cuore.
Ma i nostri mondi sono troppo lontani e, sebbene io lo brami come l'aria che respiro, non potranno mai incontrarsi. Dentro e fuori da una pagina, questo è il nostro destino. Dentro e fuori da un libro che è tutto ciò che posseggo di voi.
La vostra esistenza è la mia pazzia eppure non saprei immaginare la vita senza di voi. Perché non c'è dolore se non c'è sentimento e non c'è vita se non c'è amore.
E voi, Luigi Alfredo, questo lo sapete bene.
Quindi, se posso permettermi l'ardire di un consiglio, io vi scongiuro di dare ascolto a quella voce, l'unica vera e saggia, che vi chiede di liberare i sentimenti che nutrite per Enrica e lasciarli liberi di donarvi la felicità che meritate.
Dimenticate quella sciocca, vanesia di Livia.
Evitate di unire il vostro tormento a quello della contessa di Roccaspina.
L'unica donna in grado di restituirvi la pace è quella che da anni spiate dietro un vetro. L'unica alla quale posso perdonare di occupare il posto che sento mio.
E voi, Luigi Alfredo, se potete, perdonate me. Dietro questo mio scellerato delirio si cela una devozione immensa che mi fa sperare nella vostra benevolenza.
Abbiate cura di voi, mio caro e fedelissimo amico, come io avrò cura di tenervi sempre al riparo del mio cuore.

Per sempre vostra...

(Loredana)