lunedì 31 luglio 2017

Questo NON è un corso di scrittura #12

12 Stereotipi? No grazie

Siamo alla fine. Dodici come le rose, queste chiacchierate che mi sono concessa. Poi, chissà, potrei produrre dei corollari ma oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta particolarmente a cuore: la propagazione degli stereotipi di genere in narrativa. Sia chiaro, parliamo di narrativa di intrattenimento. Una branca dello scrivere più che degna perché, alla fin fine, la lettura è, tra le molte altre cose, evasione. Quindi nessuno impone allo scrittore o alla scrittrice di trovare una risposta univoca ai grandi quesiti dell’esistenza o di fornire una soluzione ai problemi dell’umanità. Ma.
Scrivere e pubblicare significa lanciare un messaggio. Volenti o nolenti. Scrivere e pubblicare non è un modo per mettere “scrittore” tra nome e cognome sul profilo facebook. Scrivere e pubblicare non è un modo per guadagnarsi il quarto d’ora di felicità, il primo posto in classifica su Amazon per ben cinque minuti cinque, un centinaio di like e una messe di cuoricini palpitanti dal fan club. Scrivere e pubblicare è una responsabilità. Non ci si chiede, solo, di saper usare una tecnica narrativa leggermente al di sopra del tema scolastico di quinta liceo. Non ci si chiede, solo, di usare una sintassi corretta e di non apostrofare qual è. Non ci si chiede, solo, originalità e credibilità nella trama. Diciamo che, di fondo, ci si chiede di collegare il cervello alla tastiera. E di riflettere su ciò che andiamo a raccontare.
Ora, chi mi conosce lo sa, ho cominciato a undici anni a incazzarmi contro i plot dove la donna mandava a quel paese lavoro e carriera pur di farsi impalmare dal belloccio di turno e sfornargli torte, figli e lasagne in parti uguali. Quando leggevo Salgari, io volevo essere Sandokan, non quella sfigata di Lady Marianna, volevo essere il Corsaro Nero, non quella poveretta di Honorata Van Gould. Volevo essere Jolanda, la figlia del Corsaro Nero. Mi innamorai di Jo, in Piccole donne. I maschi, e le femmine lasciate libere di esprimersi, nei romanzi si divertono molto di più. Sognavo, fin da piccola, un cowboy con le maniche della camicia rimboccate che fissava la sagoma della sua donna, a cavallo, allontanarsi verso l’orizzonte. E, da adulta, questa storia sono riuscita a raccontarla, insieme alla mia socia. Gli stereotipi, e i personaggi stereotipati, mi danno il voltastomaco.
Se state pensando che protagoniste indipendenti e capaci di ragionare con la propria testa segnino la fine del genere rosa, vi sbagliate.
Le storie d’amore sono alla base della narrativa mondiale fin dai primordi. Adamo ama Eva, per lei - ci raccontano - molla il Paradiso Terrestre. Perché quella sciocchina si fa infinocchiare dal serpente. Oppure, dico io, perché se ti dicono di non toccare una cosa, probabilmente quella è l’unica cosa che valga la pena toccare. Eva sceglie la conoscenza, ma la Bibbia l’hanno scritta i maschi, e quindi… eccola trasformata nell’esempio principe di donna incapace e combinaguai. Che è poi lo stereotipo per eccellenza.
Nella narrativa rosa e chick-lit è tutto un fiorire di donne che, sì, lavorano e, sì, hanno successo e soldi e, sì, ricoprono anche ruoli di responsabilità. Ma, udite udite, sono cretine.
Sono cretine perché guidano auto di lusso ma non le sanno parcheggiare, non hanno idea di come funzionino, non sanno cambiare una gomma, figurarsi tenere a mente a cosa serve la lucina che segnala: metti l’olio, oca giuliva, o fondo la testata.
Sono cretine perché partono per visionare uno stabilimento di lavorazione di pellicce di orso polare a un passo dal Circolo Polare Artico e si presentano con tacco dodici, calze 10 denari, tailleur manageriale e trolley minimal, rosa fucsia, ovvio.
Sono cretine perché a loro cade di tutto: il caffè sulla camicetta, il faldone con i documenti del più controverso caso legale mai disputato, il vassoio con tutto il pranzo a mensa, il raccoglitore con le fiale del più micidiale virus artificiale mai creato. Perché? Se non vi basta che siano cretine, aggiungiamo che hanno i tacchi troppo alti, la gonna troppo stretta, troppi oggetti da tenere in bilico - e che non manchi uno specchietto per passarsi il lip-stick - oppure tutti questi motivi più uno. Lui.
Lui è un fico stratosferico. Non importa la collocazione professionale, l’epoca, il luogo, il contesto. Lui è fico. Spalle da nuotatore, addominali scolpiti - se è vestito, lei li coglie lo stesso - cosce muscolose, pacco in evidenza, sguardo assassino e sorriso inderogabilmente da canaglia. E lei, mentre le cade di mano la provetta che può sterminare l’umanità sul pianeta, cosa fa? Si bagna. Non date retta alle pubblicità. I salvaslip non servono per eventuali problemi di incontinenza o strascichi mestruali. Servono nel caso in cui il vostro sguardo incroci LUI e vi porti a estemporanee liquide eccitazioni sessuali.
State per dire che questo genere di situazioni attiene al romance e che il romance ha le sue regole, lo so. Ma che io sappia nessuna regola inderogabile stabilisce che la protagonista debba essere irrimediabilmente stupida.
Esistono le storie d’amore con protagonisti credibili, realistici, sfaccettati. E non tutte inciampano nei propri piedi, si mordono le labbra, si bagnano e strappano contratti di lavoro a tempo indeterminato pur di seguire lui e fargli da colf, finché morte non li separi.
Le protagoniste vere si innamorano, possono decidere di dedicarsi alla casa e ai figli, possono perdere la testa… possono sbagliarsi clamorosamente e scegliere proprio l’uomo dal quale avrebbero dovuto scappare a gambe levate. Tutto può accadere in una storia di fantasia. Ma voi autori e autrici dovete essere responsabili di quello che scrivete e di ciò che lasciate tra le righe.
Una donna può innamorarsi di chi l’ha picchiata e stuprata?
Una donna può interpretare violenza e umiliazione come una manifestazione d’amore?
Una donna può guardare l’uomo che sta per farle molto, ma molto male, e pensare che è bellissimo?
No. La risposta, l’unica risposta giusta, è no.
Scrivete il cosiddetto dark romance? Vi piace raccontare di rapporti basati su violazione, sopraffazione, umiliazione? Fatelo. Ma quel romance affiancato a dark è peggio di uno stereotipo. È una menzogna. Non c’è amore, non c’è romanticismo, non c’è consapevole scelta, non c’è rispetto reciproco. E non è giusto, non è accettabile che un certo genere di libri possa finire tra le mani di ragazzi e ragazze e plasmare la loro idea di rapporti tra i sessi. Esistono le donne intelligenti e capaci e gli uomini superficiali e vanesi. Esistono le persone e un autore o un’autrice ha la possibilità di creare vite, caratteri, personalità. Belle o brutte che siano. Buone o malvage. Ma, per piacere, non stereotipate, prevedibili, artificiali. I lettori non sono sciocchi. E se capita che siano distratti è bene riportarli alla realtà. Che può essere dura e spiacevole, ma cretina no.

venerdì 21 luglio 2017

Questo NON è un corso di scrittura #11

11 Quel che vuole il mercato

Vi avverto: non sono convinta che questa specifica NON lezione possa avere una qualche utilità. Io ve l’ho detto.
Il mercato. La prima volta che mi hanno detto che un libro altro non è che un prodotto, esattamente come un detersivo, un elettrodomestico, una pattumiera, ho reagito come un credente osservante di fronte a una sanguinosa bestemmia. Eppure è così. Le case editrici sono imprese a scopo di lucro. I libri sono prodotti e a dettare le regole è il mercato. La regola numero uno è quella della domanda e dell’offerta. Quel che i lettori domandano, quello e non altro gli si deve offrire. Quindi la domanda regina è: cosa vogliono i lettori? O, meglio ancora, i lettori sanno cosa vogliono? Prima della Rowling nessun lettore era consapevole di voler tornare a credere nella magia. Prima della Meyer nessun lettore immaginava di preferire vampiri “vegetariani”, romantici e glitterati. Prima della James nessun lettore sapeva di aspirare, nel profondo, a farsi appendere al soffitto di una stanza dalle pareti rosse per farsi ridurre le chiappe più rosse delle pareti. Qualcosa non vi torna? Neanche a me. Perché, se ci pensate, il mercato è sempre un passo indietro rispetto a ciò che i lettori vogliono. Il mercato si mette in scia. Esplode il fenomeno Harry Potter e le case editrici vogliono maghi, streghe, oscuri signori e oscuri incantesimi. Tutti si innamorato di Edward Cullen e le case editrici vogliono solo personaggi con canini ipertrofici. Christian Grey fa mugolare Anastasia, oltre che milioni di lettrici, e le case editrici diventano succursali di sexy shop e videoteche porno. Normali dinamiche di mercato. Ma un autore, un vero autore, dovrebbe aspirare a lanciare un genere, non a inseguirlo. Rowling, Meyer e James non hanno scritto quel che voleva il mercato. Hanno seguito il proprio istinto. E non venitemi a dire che le signore in questione non sono Hemingway, Atwood o Steinbeck. Non stiamo parlando di valore letterario, perché non ha senso parlarne. Cosa sarà letteratura non lo decidiamo noi, così come non decidiamo quale canzone resterà nella storia della musica. Lo scopriremo solo vivendo, ascoltando e leggendo, ovviamente. Ma questa cosa del mercato e dei libri come prodotto è vera, sì, però non potete pretendere che mi piaccia. Perché correre dietro alle mode è, per come la vedo io, un tradimento bello e buono. Nei confronti di se stessi. Sono giornalista, lo sapete. E il mio lavoro mi obbliga a scrivere, in modo  dignitoso, di qualsiasi argomento. Lo so fare? Sì. Sarei in grado di farlo narrativamente parlando? Certo. Ma non voglio, capite? Perché prima che scrivere, amo leggere. E, da lettrice, non voglio essere presa per i fondelli. Confesso che “Il codice da Vinci” di Dan Brown mi ha divertita. Ma nessuno dei suoi epigoni scatenati tra archivi vaticani, biblioteche segrete, simboli arcani e libri maledetti mi ha avuta. E prima che me lo veniate a dire voi, sì, io non faccio testo. In quanto addetta ai lavori non posso essere un esempio di lettore/lettrice medio/a. Pare che l’entità neutra LM (lettore medio) cerchi nella lettura distrazione, conforto, protezione, svago, conferma delle proprie convinzioni e delle proprie conoscenze. Quindi, sull’altare dell’entità LM, il mercato vuole scrittura semplice, parole di uso corrente, sintassi ridotta all’osso, plot consolidati, personaggi perfettamente aderenti agli stereotipi correnti. Nel giallo l’entità LM cerca la certezza della pena; nel noir la conferma che i cattivi sono negli Stati Uniti e in Svezia; nel mainstream che la crisi dei trentenni si perpetua nei quarantenni e nei cinquantenni e che si cura col sesso, meglio se intellettuale; nell’erotico che è comune e quasi auspicabile anelare a farsi mettere la museruola; nel romance che essere imbranate e bisognose di protezione è il viatico giusto per accaparrarsi lo stronzo fascinoso e riprogrammarlo in coniuge devoto. Questo vuole il mercato. Perché questo cerca l’entità LM. Se questi argomenti/cliché sono nelle vostre corde, avviate i motori. E sperate che, nel frattempo, non giunga un altro autore che se ne fotte del mercato e dia il via a una nuova moda.