Si diceva a proposito di
editor e di editing. Ho letto commenti di autori che definiscono l’editing come
un vero e proprio trauma subito. Altri, invece, ritengono che senza l’editing
il loro testo avrebbe avuto lo stesso valore di un blocco di marmo prima dello
scalpello dello scultore. Non sono d’accordo con nessuna delle due definizioni.
Noi scriviamo a quattro mani e questo, consentitecelo, garantisce un doppio
filtro. Non solo per i refusi, ma anche per il ritmo, le ripetizioni inutili, l’aggettivazione
ridondante, la scelta dei vocaboli, la costruzione delle scene. Ogni volta che
ci vediamo, noi rileggiamo le pagine prodotte la volta precedente, a voce alta.
Un ottimo sistema, datemi retta. Ma vale solo se la voce è un’altra, magari
quella di un beta-reader, come si usa definirlo oggi. Dovete ascoltare ciò che
avete scritto, perché se funziona nella lettura a voce alta, funziona anche in
quella silenziosa che ha il compito di portare il lettore dove volete voi. A
fronte di tutto ciò, gli editor che si sono trovati a lavorare sui nostri testi
hanno avuto ben poco da fare. Lo diciamo fuori dai denti: gli autori che si
vantano di buttar giù pagine alla rinfusa, senza badare alle virgole, alle
ripetizioni e ai particolari, presi dal sacro furore della creazione, perché
tanto poi ci pensa l’editor… No, grazie. La professionalità sta nel consegnare
alla rifinitura un lavoro già fruibile. Perché l’editing è, appunto, un
rifinire, limare, aggiustare quel punto lì dove stringe un po’. Un lavoro di
sartoria, di alta sartoria. Non tutti gli editor ne sono capaci. E non tutti
gli scrittori sanno porsi nei confronti di un editor. Esempio vissuto da noi
con il romanzo uscirà il 5 ottobre. Marco Rosati, fantastico editor di goWare,
ci manda il file corredato di commenti a margine. Su 201 fogli A4 i commenti
erano meno di quaranta. A proposito di lavoro preliminare svolto dalle
sottoscritte. Uno di questi commenti (tutti centrati, motivati e spesso
esilaranti) diceva: “ributtante!” con tanto di punto esclamativo. Quando
abbiamo rivisto insieme i punti, su quello abbiamo riso più che su altri e
Marco ha tirato un sospiro di sollievo, perché temeva che ce la saremmo presa a
morte. La frase che definiva ributtante a noi non sembrava così male. Non lo
era, a dirla tutta. Ma “sdolcinava” troppo un momento in cui la “sdolcinatura”
non era necessaria. Cassata senza pietà e senza eterne diatribe. Marco, che ci
conosce già dal Puzzle di Dio, sa anche quando i nostri “no” sono
insindacabili. C’era un paragrafo, a suo dire troppo melò. Lo abbiamo tenuto,
lui ha capito il nostro ragionamento. Dialogo, disponibilità e, soprattutto,
rispetto reciproci. Noi riconosciamo a lui professionalità e attenzione e
sensibilità nell’interpretazione del testo. Lui riconosce a noi la capacità di
difendere le nostre scelte senza mai pregiudizi e partiti presi. Nessun trauma,
anzi, il piacere della collaborazione e, per noi, anche un’occasione di
crescita. Fermo restando che se il testo è un blocco di marmo, lo scalpello per
tirarne fuori una storia ce lo mettiamo tutto noi. All’editor, com’è giusto che
sia, resta la lima, quella morbida, che rende le superfici morbide e avvolgenti
per lo sguardo del lettore.
ZG