domenica 16 giugno 2013

Grazie Roma

Posso dirlo? Non me lo aspettavo. Sapevo che le passeggiate d'autore, grande idea di Veruska Armonioso e Paolo Melissi, sperimentate a Milano e approdate a Roma, stavano andando bene. Ma sabato sera, all'esordio con la versione serale e con noi Lauraetlory, è successo qualcosa di magico. Avete presente la celeberrima canzone di Rugantino "Roma non fa la stupida stasera"? È andata così e scusate se la prendo alla lontana, perché le premesse sono importanti. Allora, Veruska mi scrive la settimana scorsa per chiedermi se sono disposta a fare un'intervista di lancio con Isoradio. Certo. Scatto sull'attenti e comincio a pensare a come conciliare una seduta fiume in sala di montaggio con un'intervista radiofonica in diretta alle due e mezza di pomeriggio del venerdì. Mi attrezzo mentalmente. Poi me ne dimentico. Oh, è l'età, che vi devo dire? Così venerdì, alle 14 e 29 mi squilla il telefono. Pronto, qui Isoradio, tra un minuto è in diretta. Panico. Non ho un luogo tranquillo a disposizione. Mi piazzo in un cortile del palazzo a ringhiera dove ha sede la società di montaggio: operai al lavoro, gente che si chiama da una finestra all'altra, la linea che fa i capricci. Incrocio le dita, respiro profondo, mi passano la linea e mi ritrovo a chiacchierare amabilmente con il conduttore, Sandro Iadanza. Mi dicono sia andata bene. Per il rotto della cuffia. E arriviamo a sabato mattina. Chiamo Lory per accordarci e lei mi dice, con una vocina da oltretomba, che non è sicura di poterci essere: una colica renale la sta mettendo a dura prova. Non ci voleva proprio. Lei ci prova fino alla fine a esserci, ma è fuori discussione. Così, in una Roma di elicotteri che volano bassi come in Apocalypse Now, di cortei in marcia per il Gay Pride e di nugoli rombanti di motociclisti brutti e cattivi in sella alle Harley Davidson, raggiungo Largo Argentina in ampio anticipo. Ve l'ho detto che faceva un caldo porco? Faceva un caldo porco e non si vedeva un'anima. E già pensavo alla desolazione di una passeggiata io e Veruska quando arriva Luisa, un contatto FB, poi Silvio, il nostro amico bibliotecario, poi Annalisa, una mia collega di lavoro. In men che non si dica siamo una folla e io mi ritrovo un microfono in mano, un altoparlante a tracolla e la convinzione che non ci riuscirò. Non ci riuscirò, senza Lory accanto, a trasmettere le emozioni che l'amore per Roma ci suscita, quelle che abbiamo messo in Fiume pagano e in Carne innocente. E così, mentre ci avviamo verso il lungotevere, in vista ponte Sisto, mi parte nella mente la canzone: "Roma non fa la stupida stasera, damme 'na mano a faje dì che valeva la pena..." E lei, Roma, ci ha messo del suo: il tramonto dai colori d'ambra e corallo, il fruscio di seta del fiume, la magia dei ponti e degli argini, gli scorsi inattesi anche per chi a Roma ci vive. Mi dicono sia stato un successo. E il ringrazio Roma, per prima, il Tevere, il nostro romanzo, coloro che hanno voluto condividere la passeggiata, Veruska e Paolo che l'hanno organizzata e l'ignoto che, mentre si passeggiava, disquisiva sulla differenza tra il maresciallo Rocca, della Toscano, e il nostro Quirino Vergassola. A tutto favore del bonario ma efficace carabiniere che abita le nostre pagine.

martedì 11 giugno 2013

Dittatore e cittadino onorario

Benito Mussolini, duce del fascismo, dittatore e responsabile di una delle pagine più dolorose nella storia recente del nostro paese, è cittadino onorario di Varese dal 1924. Non che oggi le cittadinanze onorarie si concedano per meriti stratosferici e inoppugnabili, ma Mussolini fu insignito perché aveva deciso per Varese capoluogo e Varese provincia. Ergo, nel 1924, era un benemerito della cittadina lombarda assurta ai fasti del capoluogo. Aggiungiamo che era, il Mussolini, anche il capo del partito fascista e presidente del consiglio e si capisce come, all'epoca, fosse salutare annoverarlo nella cittadinanza. Poi accadde quel che tutti noi, cittadini italiani dotati di diritti civili, saremmo tenuti a sapere: ventennio, che nel '24 era ai primi sanguinosi vagiti, dittatura, alleanza col nazismo, leggi razziali, entrata in guerra, morte e distruzione. È anche normale che, morto Mussolini e finita la seconda guerra mondiale, tutti presi nel ricostruire dalle macerie fisiche e morali, ci si sia dimenticati di quella cittadinanza onoraria. Sono passati 89 anni. Abbiamo pur avuto altro a cui pensare. Ma qualcuno, magari scartabellando faldoni, si ricorda del Mussolini varesino ad honorem e decide che forse è il caso, "considerato il negativo giudizio storico, morale e politico condiviso sulla figura di Mussolini", di annullare il quasi centenario provvedimento. E si verifica quello che, purtroppo, era facile immaginare. Chi oggi si stupisce della vergogna consumata in sede di consiglio comunale di Varese, forse non ricorda che pochi mesi fa, in occasione della Giornata della Memoria, un altro lombardo doc ebbe a dire che sì, insomma, le leggi razziali se le poteva risparmiare. Ma in fondo il Mussolini ha fatto anche tante cose buone. Da Varese gli hanno fatto eco e il video è in rete, a disposizione di chiunque non abbia avuto modo di vederlo nei tg nazionali. In un clamore da assemblea di condominio, con applausi e urla mutuati pari pari dai talk show televisivi, i sostenitori del cittadino Mussolini hanno dichiarato che "il giudizio sui dittatori è un conto, altro è la cittadinanza onoraria a Mussolini". E per motivare il curioso distinguo hanno cominciato a urlare, nei confronti dei rappresentanti dell'A.N.P.I. Li hanno chiamati assassini. Li hanno accusati di aver massacrato il capo dello stato, cosa che Mussolini non era perché nominalmente il ruolo era detenuto da Vittorio Emanuele III. Hanno ricordato, con evidente nostalgia, che il duce ha governato l'Italia per vent'anni. E hanno sottinteso che quanto accaduto di tragico in quei venti anni fu, esattamente come le leggi razziali, peccato veniale di un benemerito. Alla luce di quelle urla, alla luce di quelle parole, alla luce della votazione che ha mantenuto il Mussolini ben saldo nel suo ruolo di varesino ad honorem, sarebbe interessante permettere, a coloro che urlano in difesa della repubblica di Salò e contro i partigiani, di raccontarci la storia di quegli anni e di quelli che seguirono, con parole loro. Nell'attesa, potremmo informarci quale città tedesca mantenga Adolf Hitler tra i meritevoli di onorificenza per il suo impegno e le sue opere.

Laura Costantini

lunedì 10 giugno 2013

Una favola vera, di fragole e di quadratini di cioccolato.

Avete presente Fedro e le sue favole? O Esopo? Ecco, voglio raccontarvi una favoletta in quello stile lì. 
Ma vera. Vera tanto. 
Allora, c'erano degli gnomi (potete scegliere anche una categoria diversa purché rappresenti esserini laboriosi) che svolgevano tutti lo stesso lavoro. Mettiamo che si trattasse di raccogliere fragole. Tutto l'anno (sì, nascevano a getto continuo) e tutti gli anni. A un certo punto venne fatta una proposta.
Il capo gnomo disse: gnomi, potete scegliere come venir ricompensati. Una tavoletta di cioccolato al giorno a prescindere da quante fragole riuscite a raccogliere, oppure un quadratino di cioccolato al giorno per ogni fragola raccolta. Cosa preferite? 
Ora, dovete sapere che le tavolette di cioccolato, da quelle parti, sono una merce di scambio necessaria per vivere. E così ci furono gnomi che scelsero la tavoletta sicura e gnomi che scelsero il quadratino a cottimo. Tutti continuarono a lavorare, con solerzia. Gli gnomi dei quadratini misero via montagne di cioccolato, quelli delle tavolette gestirono meno risorse, ma si ritrovarono, un giorno di carestia delle fragole, comunque garantiti. 
Gli altri no. 
E a quel punto, visto che la carestia minacciava di durare, gli gnomi dei quadratini gridarono a gran voce che non era giusto, che loro non avevano tutele e garanzie. E che il sistema andava cambiato. Anzi, che gli gnomi delle tavolette erano cattivi, perché non le volevano dividere con loro. Nessuno chiese mai agli gnomi dei quadratini, conto delle riserve accumulate né della scelta fatta in autonomia tanto tempo prima. Quando le fragole erano numerose e la scelta dei quadratini appariva la più furba.

venerdì 7 giugno 2013

Di compleanni, di vita, di scelte e di speranze

Tra pochi giorni sarà il mio compleanno. Un compleanno importante. Uno di quelli che ti spingono a girarti e guardare la strada che hai percorso, come quando in montagna sei quasi in cima e ti stupisci di quanto sei riuscito a salire senza crollare. Il tempo è una cosa strana, si dilata, si accorcia, compie delle strane giravolte, alle volte sembra divertirsi a riproporti situazioni, errori da compiere o scelte. Esattamente dieci anni fa sono stata costretta a voltare le spalle a una fetta della mia vita, a un lavoro, a delle persone. Fu doloroso, ma inevitabile. Fu doloroso, ma giusto. Lo rifarei, anche se oggi, con dieci anni di più sulle spalle, avere quel coraggio mi sembra impossibile.
Eppure. Ho sempre pensato che il segreto per rimanere giovani e vitali e per fregarsene dei numeri che si accumulano sulla torta di compleanno, sia continuare ad avere degli obiettivi. E, oggi più che mai, obiettivi ne ho. Tanti o forse uno solo. Mi siedo qui, sul tornante del mio imminente compleanno e contemplo la strada percorsa.
Volevo essere giornalista e sembrava, quando avevo solo 11 anni, una velleità non diversa dal compagno di scuola che voleva fare l'astronauta. Eppure ce l'ho fatta. Ho scritto sui giornali, lavoro in televisione, sono iscritta all'albo da 13 anni, ho conosciuto persone comuni e cosiddetti Vip e da ogni incontro sono uscita arricchita. Non è stato un sentiero facile, piuttosto un viottolo scalcinato affiancato alla comoda strada maestra che altri percorrono con meno fatica e più soldi. Ma non è detta l'ultima parola.
Volevo essere scrittrice e sembrava, quando avevo solo 8 anni e componevo favole su un quaderno o quando ne avevo 14 e rubavo tempo allo studio insieme a Loredana per immaginare viaggi interstellari con tutta la nostra classe liceale, velleitario quanto la compagna di scuola che voleva fare l'attrice. Eppure ce l'ho fatta. Ho pubblicato nove libri, non con grandi case editrici, certo. Ma ho, abbiamo, avuto riscontri importanti oltre che positivi. Ho, abbiamo, ricevuto la stima di scrittori che, in un ambiente che passa per un covo di vipere invidiose, ci hanno dimostrato amicizia sincera (ricambiata) e ci stanno aiutando. Non è stato un sentiero facile, piuttosto un vicoletto dignitoso che corre accanto alla strada luccicante del successo, che altri hanno imboccato al primo colpo. Ma non è detta l'ultima parola.
Volevo essere una donna amata. E le scelte sentimentali che ho fatto mi hanno fruttato, spesso, sofferenza. Ma le strade del cuore, seppur tortuose, la svolta giusta la trovano da sé. E io l'ho trovata.
Volevo essere una persona corretta, un'amica leale, una mente coerente, una figlia affettuosa, una sorella e una zia presente. I fatti mi dicono che anche questi obiettivi sono stati raggiunti, non senza difficoltà, ma con costanza e dedizione.
Adesso posso tornare a guardare avanti, al tornante del mio imminente compleanno e a tutta la strada che, spero, verrà dopo. Non la percorro da sola e questo la rende più lieve, la rende bella, la rende divertente e interessante.
Sarò un'illusa, ma io ci credo che il meglio debba ancora venire.

martedì 4 giugno 2013

Schiavisti di ritorno

Alle volte è bene riflettere su quanto la vita reale ci mette sotto gli occhi. Noi italiani siamo brava gente. Ma adattabili e permeabili alle storture, nostre e altrui. Nella secolare storia dell'emigrazione italiana, non sono partiti solo bastimenti. C'è stata una migrazione diciamo più comoda e più recente. Primi anni '70, crisi energetica, austerity. Ve le ricordate le domeniche a casa, la benzina col contagocce, la raccomandazione a spegnere la luce presto la sera? Per chi lavorava nei locali notturni fu una Caporetto che spinse una piccola massa di lavoratori dello spettacolo a migrare altrove. Un altrove che poteva essere il luminoso skyline di Johannesburg. Paese ricco, il Sudafrica. Petrolio, carbone, oro, diamanti e apartheid. I bianchi a divertirsi. I neri a sgobbare. Gli italiani arrivavano lì democratici e non razzisti. Ma bastava poco perché rinunciassero alla lavatrice, altrimenti la nera di casa, che doveva chiamarli padroni, come se li guadagnava vitto e alloggio (e basta, nessuno stipendio)? Altri tempi e altri luoghi? Forse. Basta alzare lo sguardo, passeggiando in qualsiasi parco cittadino. Anziani in sedia a rotelle, oppure con bastoni e deambulatori, accompagnati da donne troppo diverse per essere scambiate per figlie. I figli italiani non hanno tempo per i vecchi. Lavorano, hanno famiglia e problemi. Pagano, con la pensione del genitore, una badante. Le badanti, per lo più, non sono italiane. È un lavoro pesante, difficile. Ci vuole pazienza, abnegazione, capacità. O magari soltanto una gran disperazione. Un gran bisogno di lavorare. Le badanti sono quasi sempre donne dell'est Europa. Non giovanissime. A loro volta hanno famiglie, figli e mariti lontani. Imparano la lingua, si prodigano. Quasi mai sono messe in regola, un po' per convenienza della famiglia che le assume, un po' per la loro. Guadagnano circa 800 euro (ma c'è chi si accontenta di 650) al mese più vitto e alloggio. Non sembrerebbe una brutta situazione, se non tornassimo al discorso iniziale: italiani, brava gente. Sì, ma provate ad accostarvi a una di quelle dolci vecchine, provate ad ascoltare i loro discorsi. Le badanti sono la nuova frontiera dello schiavismo in chiave italica. In cambio di stipendio, vitto e alloggio, gli anziani (più spesso le donne che gli uomini) pretendono un servizio sulle 24 ore filate, 7 giorni su 7. Incentivati dai figli, ai quali fa oggettivamente comodo non doversi preoccupare del genitore neanche nel fine settimana, i badati pretendono dalle badanti una dedizione assoluta e senza cedimento alcuno. Una dedizione che spazia dal pretendere che dormano nella stessa stanza per assicurarsi che la notturna passeggiata verso il bagno non incontri ostacoli al vietare telefonate in lingua madre con i propri familiari, per controllare quanto viene detto. E se si fa presente che tutti i lavoratori hanno, ancora e non si sa per quanto, dei diritti, si scopre che le badanti no. Loro non sono italiane, loro se ne approfittano, loro sono diverse. Brava gente gli italiani, schiavisti di ritorno.

Laura Costantini