martedì 26 giugno 2012

Oggi su "La Sesia": I luoghi comuni non mentono


Andrebbero superati. Lo sappiamo tutti. Ma i luoghi comuni non mentono. Anzi. Fotografano ciò che siamo e la direzione che stiamo prendendo. Partiamo dalla televisione. Ormai da qualche anno Aldo, Giovanni e Giacomo, il noto trio di comici, ha legato il proprio nome a un gestore telefonico mettendo in scena spot che rimandano alla tradizione di Carosello. Piccoli film, spesso a puntate, che raccontano e ci raccontano. L’ultimo in ordine di tempo vede Giacomo nei panni di un cittadino rampante che arriva in un agriturismo gestito da Giovanni e Aldo, rispettivamente nonno e nipote. I due vestono camicione a scacchi e cappelli di paglia. Hanno le espressioni argute e la parlata grezza che rimandano direttamente al vecchio detto: contadino, scarpe grosse e cervello fino. Giacomo, invece, è il classico cumenda milanese che, smartphone alla mano, si aggira tra animali e pozze di letame senza avere alcuna consapevolezza della natura che lo circonda. Con le comiche conseguenze che tutti sappiamo. La settimana scorsa un imprenditore agricolo ha scritto una piccata lettera di protesta a un quotidiano nazionale, lamentandosi del modo superficiale con cui viene presentata la figura del contadino. Un luogo comune, appunto, che il lettore voleva sfatato citando il suo stesso esempio di persona di cultura, anche tecnica, e perfettamente in grado di accedere a internet e alla tecnologia degli smartphone. Si è guadagnato la risposta dello stesso Giacomo che, invece, difendeva la scelta autorale, affermando che vittima del luogo comune sarebbe stato il cittadino (cioè il suo personaggio), presentato come incapace di rapportarsi alla campagna e preoccupato della presenza di connessione wi-fi. Inutile chiedersi chi abbia ragione, perché ce l’hanno tutti e due. La pubblicità è il regno incontrastato del luogo comune perché gioca su meccanismi di identificazione. Passiamo alla radio. Se in tv si può giocare con la suggestione delle immagini, in radio sono le parole le contano. Così gli spot di questa o quella macchina sportiva, che sul piccolo schermo campano di desolati nastri d’asfalto da percorrere a manetta nella campagna islandese, in radio puntano sul sesso. Il motore è performante. La personalità (stiamo parlando di un’auto) è scolpita. La città (che ha una suadente voce femminile) chiede di essere posseduta. La strada (che sempre femmina è) vuole essere dominata. L’immagine che ne deriva è quella dell’auto come propaggine della virilità del conducente. Maschio, ovviamente. Così come per forza maschio deve essere l’acquirente dei biglietti di una compagnia di traghetti (la cui pubblicità ha attirato giustamente le ire del Codacons) che collega Napoli, messa in cartellone come una biondona in abitino bianco, a Catania, un’erotica vedovella in gramaglie e cosce a vista. In mezzo, a confermare il luogo comune imperante, un popeye in carne, baffi e pipa che le abbranca tutte e due alla vita. Perché i marinai, si sa, ne hanno una in ogni porto.

Laura Costantini

lunedì 25 giugno 2012

Sfatiamo un po' di miti?

La nostra amica Silvia Ancordi mi ha intervistata QUI invitandomi a parlare di scrittura a quattro  mani, editoria a pagamento, e-book, invidia tra scrittori. Ho provato a sfatare qualche mito. Ditemi voi se ci sono riuscita. In questa sede vi riporto solo una domanda che mi è stata posta molto spesso:



Hai mai pensato di intraprendere la carriera da scrittrice da sola?
Dovrei? Anche questa è una domanda che ci viene rivolta spessissimo, ma maggior parte delle volte con il chiaro intento di scoprire dove sia la magagna. Perché pare impossibile che due donne (due donne, non due uomini ovviamente) possano lavorare insieme senza coltivare nel profondo invidia reciproca e competitività aggressiva. Mi è capitato di scrivere da sola, così come è successo a Lory. Sapremmo scrivere romanzi divise? Ovvio che sì. Abbiamo intenzione di farlo? No, perché la scrittura è una creatura che ci piace allevare insieme.

Il resto vi invito a leggerlo sul bel blog Mathilda Stillday

martedì 19 giugno 2012

Oggi su "La Sesia": Se penso quello che dico...


N.B. Come sappiamo la Nazionale ha, con una certa fatica, sconfitto l'Irlanda mentre la Spagna ha sconfitto la Croazia dandoci una bella lezione di correttezza. Questi i fatti. Ma gli sproloqui di Antonio Cassano restano agli atti, molto più del suo gol di ieri.

Mentre scriviamo son tutti lì a disquisire di biscotti spagnoli o croati e di tattiche contro l’Irlanda. Quando leggerete, tutti sapremo se l’Italia del calcio in macerie sia riuscita a restare negli Europei. Ché nessuno lo dice, ma sembrerebbe già buon auspicio per la malferma salute dell’Europa e della sua moneta. Ma il discorso vuol sorpassare la stretta attualità e riavvolgere il nastro verso un ragazzotto dai capelli e spazzola e dalla faccia butterata che, seduto davanti a un plotone di cronisti sportivi in vena di pettegolezzi, ha detto un’immensa verità: se penso quello che dico. Sì, lo sappiamo che, forte di un’ignoranza inalberata come vezzo da chi con un calcio guadagna quanto un’intera generazione di plurilaureati, quel ragazzotto ha solo invertito i termini. Se dico quello che penso, intendeva con aria sorniona. Ma mai lapsus fu più rivelatore. Perché se penso quello che dico potrebbe essere tatuato indelebilmente su un’intera categoria di persone. Ci si potrebbe contestare che il ragazzotto barese, noto per le sue intemperanze in campo e fuori, fosse perfettamente consapevole di ciò che stava dicendo. Lo abbiamo visto e sentito tutti. Qualche notiziario (Rai) ha purgato la dichiarazione, qualche altro l’ha mandata in tutta la sua rustica, volgare, arrogante completezza. Richiesto se nella Nazionale italiana ci siano due calciatori omosessuali, come rivelato dal sempre prodigo di outing Alessandro Cecchi Paone, il ragazzotto ha inanellato il termine froci tre volte in meno di due concetti. Prendendo le distanze, sia mai che il machismo professato a piene mani prima di convolare a giuste e pacificanti nozze fosse messo in dubbio, e concludendo che, se froci sono, il problema è tutto loro. Niente di nuovo sotto il sole. Soprattutto se è un sole che batte su un prato striato di bianco e percorso da frotte di maschi muscolosi, sudati e in mutande. Ai quali si chiede di essere efficaci con i calci certo, ma soprattutto di ostentare fiumi di denaro, cumuli di donne, abissi di ignoranza. Possono dire qualsiasi cosa. Possono evitare lo sforzo di usare il cervello a tutto vantaggio dei quadricipiti. Ma non possono distruggere il transfert del tifoso medio che in quei muscoli scolpiti, in quella pelle sudata, in quelle ninfette esibite e cambiate come e più delle maglie vede tutto ciò che avrebbe voluto essere e avere. Non sappiamo se quanto affermato da Cecchi Paone, con il suo elenco di omosessuali, bisessuali e metrosexual in maglia azzurra, abbia o meno un fondo di verità. E non è questo l’importante. Quello che importa è che Antonio Cassano è uno dei ventitré atleti chiamati a rappresentarci davanti all’Europa e che il massimo che ha saputo fare è reiterare lo stereotipo del maschio italico dal sorriso ribaldo, dal testosterone imbizzarrito e dall’ignoranza certificata. Mentre pensa quello che dice, qualcuno l’avverta che perfino il Billionaire ormai ha chiuso.

Laura Costantini

venerdì 15 giugno 2012

Soggettiva di ZG: Il giovane Holden di J.D. Salinger

Ordunque sia chiaro, se siete fautori della sacralità di opere letterarie assurte nell'empireo della storia della letteratura mondiale, non leggete oltre. Perché non siamo qui per tessere le lodi del giovane Holden Caulfield o come Vattelappesca si chiama. Quando ho visto questa famosissima copertina candida e spoglia mi sono detta: questo romanzo mi darà del filo da torcere. Lo si capisce da tutto 'sto bianco, dallo snobismo evidente nella scelta di non scegliere una qualsiasi vera copertina e tutto quel che segue. Poi l'ho aperto e ho cominciato a leggere, non prima di aver riflettuto sulla lunga nota dell'Editore circa l'impossibilità di tradurre il titolo originale Catcher in the rye (che suona più o meno uno che acchiappa nella segale e tutto quanto). Ora, se il titolo di un romanzo non lo si riesce a tradurre, capisci bene che il romanzo stesso deve avere delle, come dire, asperità. La scoperta è conseguenziale: c'è questo fanciullo che, causa trasposizioni cinematografiche (che non ho visto), immaginiamo belloccio. Il fanciullo ha sedici anni e la capoccia confusa che di solito attiene ai sedicenni. Non gli va di andare a scuola, non perché non sia bravo, anzi. A lui quello che proprio non gli va giù è l'assurda pretesa degli insegnanti di incanalarlo su un binario preciso. Per lui divagare o meglio, saltare di palo in frasca, è quanto di meglio ci sia per tenere allenata la mente. Guai a gridargli "fuori tema", come avviene durante le esercitazioni di esposizione orale nella sua scuola. Quindi, visto che ha anche un decreto di espulsione che gli incombe sulla testa e tutto quel che segue, decide di togliere il disturbo imbarcandosi in un viaggio notturno dalla scuola a New York che si trasforma in una specie di calvario a suon di sbronze e pacchetti di sigarette e decisioni di telefonare alla vecchia June, alla vecchia Sally, alla vecchia Phoebe. Di tutte queste nessuna è vecchia, garantito al limone. Anzi, due sono coetanee, la terza è la sua sorellina che lo adora. Va da sé che ogni volta che decide, il vecchio Holden ci ripensa e intanto intesse incontri con due ragazze di provincia a caccia di divi in un night malfamato, con un ragazzo dell'ascensore/pappone che gli procura una prostituta con la quale non ha il coraggio di perdere la verginità, con un vecchio e stimato professore che, per avergli fatto una carezza sulla testa, viene bollato come pederasta. E questa è la storia e non crediate che, per dirla con il nostro amico Holden, stiami prendendo in giro. Certo, c'è anche il rimpianto per Allie, il fratello perso in giovanissima età e la domanda delle domande che il fratello maggiore D.B. (scrittore e sceneggiatore) in partenza per la guerra porge proprio ad Allie: chi ha scritto le migliori poesie di guerra, Rupert Brooke (che la guerra l'ha fatta) o Emily Dickinson (che, donna, l'ha solo vissuta attraverso la sofferenza degli altri)? Allie risponde senza esitare: Emily Dickinson. Le pagine belle non mancano, non possono mancare. Ma è evidente che questo libro, compreso in qualsiasi classifica tra quelli che NON puoi non aver letto, è stato una vera bomba quando è uscito, nel 1961. Per novità di linguaggio, per novità di trama, per aver descritto quello che probabilmente nessuno aveva mai creduto degno di passare su carta, ovvero il continuo interrogarsi e divagare di una mente adolescente. Ma oggi tutto questo è acquisito e quel che resta è una scrittura che, personalmente, ho trovato ostica. Soprattutto per quel gergo che di rivoluzionario non ha più nulla. Garantito al limone, appunto.

ZG

martedì 12 giugno 2012

Oggi su "La Sesia": Gli orchi e le bambine

Si dice che le favole non servono per insegnare ai bambini che gli orchi esistono. Questo i bambini lo sanno. Le favole insegnano che gli orchi si possono sconfiggere. Quasi sempre. Perché poi succede che gli orchi abbiano la faccia segnata dalla fatica e dal sole, i capelli bianchi e radi, gli occhi stanchi. Succede che gli orchi siano padri e nonni e che non sappiano spiegare il motivo per cui hanno fatto del male. Davanti alla foto segnaletica di Giovanni Vantaggiato, il presunto colpevole dell’attentato di Brindisi, si possono fare due considerazioni. Una è che Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale, non lo avrebbe messo tra i criminali nati, l’altra è che, per molti versi, assomiglia a Michele Misseri. Tutti e due sono pugliesi, figli di una terra meridionale ma intraprendente. Tutti e due hanno una famiglia tutta al femminile, moglie e figlie. Tutti e due in gioventù sono emigrati in Germania a cercare fortuna. E l’hanno trovata, seppur in modi e misure diversi. Giovanni Vantaggiato ha 68 anni, un cabinato d’altura all’ormeggio a Porto Cesareo, una villa in città, una casa in campagna con annessi diversi poderi e il deposito di carburante, ora sotto sequestro. Michele Misseri di anni ne ha 59, ha sgobbato in Germania abbastanza da mettere via i soldi per diventare  padrone di terre a casa sua e continua a sgobbare, come un ciuccio dicono ad Avetrana, anche nei poderi degli altri. Infatti non era suo il fondo della zona Mosca, la tomba di Sarah. Giovanni è un imprenditore. Michele è un contadino. Giovanni legge il “Manuale del guerriero della luce” di Paulo Coelho e prende appunti. Michele riesce a malapena mettere insieme le parole nelle sue numerose lettere dal carcere. Giovanni potrebbe non essere nuovo agli attentati dinamitardi. Su Michele si è vociferato di abusi sulle figlie. Orchi insospettabili, entrambi. Uomini che dietro uno sguardo senza ombre nascondono un insondabile buco nero. Giovanni ha sbalordito gli inquirenti fornendo come movente per l’attentato alla scuola “Francesca Morvillo Falcone” un semplice stringersi nelle spalle. Michele ha confessato tutto e il contrario di tutto. Ma accanto alle foto degli orchi restano quelle di due bambine e il sorriso della sedicenne e bruna Melissa si sovrappone senza fatica a quello della quindicenne e bionda Sarah. Uccise, tutte e due, senza una ragione, posto che la morte di una ragazzina possa mai trovarne una. Morte in procinto di fare qualcosa che amavano: la scuola, per Melissa, una giornata in spiaggia, per Sarah. Ingannate da una favola che nessuno aveva raccontato loro. Una favola dove gli orchi navigano su barche da 16 metri o guidano trattori sotto un sole feroce, maneggiano timer e bombole di gas oppure semplici corde. Soprattutto una favola dove gli orchi non vengono sconfitti. Anche se finiscono dietro le sbarre, confessano e alla fine piangono.

Laura Costantini

lunedì 11 giugno 2012

Brodo d'umanità, seconda parte con premessa


Prima di lasciarvi alla seconda parte del racconto (la prima, ve lo ricordo, la trovate QUI) vorrei precisare che quello che avete letto la volta scorsa, lungi dall’avere la benché minima pretesa letteraria, era una bufalata che in un momento di tregua dai miei doveri d’ufficio avevo scritto in una mail inviata a Laura dopo aver letto l’ennesimo racconto in cui la profezia Maya si riduceva alla solita invasione Visitors. Mai e poi mai mi sarei sognata di vederla postata sul blog. Ne è conferma il fatto che i numeri corrispondenti ai vari personaggi nell’originale erano stati scritti digitando a caso. Poi Laura, che oltre alla mania di postare tutto quello che le capita a tiro ha anche la fissazione delle correzioni, ha rimesso ogni cifra al posto giusto. Di questa sua debolezza che ha messo in crisi anche il sistema di correzione automatica del mio computer vi parlerò in un secondo tempo. Ora temo che vi toccherà sorbirvi la seconda parte del racconto. 
Non è niente di ché ma dopo avervi lasciato in sospeso una fine ve la dovevo. 
Siate indulgenti.


“A me questa storia che noi del pianeta Bufalon possiamo morire solo di fame 

mi fa imBUFALONire. Credevo che dopo aver distrutto il seme da cui abbiamo 
avuto origine fossimo a metà della risoluzione del problema. Niente più nascite meno bocche da sfamare. E invece… Praticamente siamo riusciti ad ingurgitare tutto quello che ci orbitava intorno. Siamo arrivati in galassie inimmaginabili anche per quei cervelloni del consiglio dei grandi e le abbiamo ridotte in cacca…”, dice746530978 tenendo d’occhio le lancette e alzando la fiamma sotto il pentolone.
“Che poi quello delle scorie è un altro dei problemi da affrontare”, fa notare 
5241488.
“Ti ho già graziato una volta 5241488. Lasciamo stare i discorsi di merda e 
restiamo concentrati sul problema, ti spiace?”
5241488 preferisce non sfidare la suscettibilità di 746530978 e torna a 
succhiare quanto resta della cartilagine dell’orecchio di un betagammiano, i 
suoi molari, provati da secoli di masticazione forzata, gli impediscono un 
pasto normale.
“Concentrati sul problema?”, tuona la voce di infinitamente 1 alle loro spalle. “A pochi secondi dall’ora x, con l’acqua che comincia appena appena ad agitarsi nel pentolone, vi mettete a fare i filosofi? Fai qualcosa per quella fiamma 746530978 o ti giuro che a costo di rovinarmi il pranzo il prossimo brodo lo faccio con la tua carcassa avariata.”
746530978 prova a ruotare la manopola ma la fiamma invece di alzarsi comincia a tremolare incerta.
“Sei sordo 746530978? Alza quella bufala di fiamma.”
“Non è colpa mia illustrissimo. La mandata è al massimo.”
“Ho paura che il pullman di siciliani lo ricorderò come il mio ultimo pasto”, sussurra a mezza bocca 5241488 rimediandosi uno scappellotto da 25478115. Un’altra bufalata del genere e Infinitamente 1 sarebbe capace di infilarci tutti 
loro nel pentolone. Per come si stanno mettendo le cose poi non avrebbe molto da perdere. All’improvviso una puzza nauseante comincia a diffondersi nella cucina. Un misto di zolfo ed effluvi da cloaca.
“La paura gli fa un brutto effetto a ‘sti umani”, commenta ormai votato al 
martirio 25478115. “Sta’ a vedere che ne viene fuori un brodo di merda.”
“Noi con la puzza non c’entriamo niente.”
La voce fuori dal coro appartiene a un umano pelle e ossa, con una massa di 
capelli bianchi e un paio di occhiali modello Telefunken anni 80. Tutti i 
bufaloniani si voltano a guardarlo incuriositi.
“Come ti permetti?”, grida 746530978 ansioso di riacquistare punti col capo. 
“Scusate tanto, ma alla soddisfazione di dirvi che avreste dovuto documentarvi meglio sulla situazione che abbiamo sulla Terra prima di venire a fare la spesa, non posso rinunciare. E mo so’ cazzi, e non bufali, altrimenti nel pentolone ci potevate mettere quelli.”
“Che sta dicendo? Chi è ‘sto menagramo?”, latra 746530978 mentre la sirena d’allarme rompe il silenzio diffondendo il panico.
“Venti secondi al d-day. Venti secondi al d-day. Iniziare processo di 
brodizzazione. Venti secondi al d-day. Venti secondi al d-day. Iniziare 
processo di brodificazione.”
“Che facciamo?” Sembrano chiedere i bufaloniani volgendo lo sguardo all’illustrissimo mentre tra gli umani un bisillabo rimbalza di bocca in bocca. Il 
brusio comincia come un sottofondo, poi cresce fino a sovrastare la voce metallica degli altoparlanti.
“Conti… tonti… fonti…”. 
Infinitamente 1 vorrebbe riportare la calma. Ma il suo cervello è come svuotato. Il count-down gli pulsa in testa, numero dopo numero.
“Si sta spegnendo, la fiamma si sta spegnendo!”, grida 25478115 abbracciando 5241488 in lacrime.
“…. 4, 3, 2, 1, 0….” 
E su quello zero i bufaloniani si inginocchiano pronti a dire addio alla loro 
ultima possibilità di salvezza.Di fronte alla loro disperazione anche gli umani provano pietà. Ma non lui, non l’unico tra loro che avesse trovato il coraggio di parlare. Quello si pulisce gli occhiali sulla tonaca di Infinitamente 1 poi, con l’indifferenza che ha sempre caratterizzato il suo modo di dare le cattive notizie, dice: “Io ci ho provato a uscire dalla crisi. L’Italia è un piccolo paese ma ero convinto di poter dare l’esempio a tutto il mondo. Alla fine non tutti i mali vengono per nuocere e sebbene fossimo già in mutande prima che voi ci preparaste per il gran salto nel pentolone, io ci speravo che i russi dopo anni e anni di morosità… ci tagliassero il gas.”
Lory

sabato 9 giugno 2012

I miei articoli per "La Sesia": Vedi alla voce solidarietà

La parola più usata delle ultime settimane è solidarietà. Solidarietà per le vittime del devastante terremoto in Emilia, ovviamente. Solidarietà per i 28 milioni di italiani che provano sulla propria pelle la reale portata della crisi. Solidarietà per i nostri due marò che, dopo più di tre mesi di carcere in India, hanno finalmente ottenuto la libertà condizionata. Di conseguenza solidarietà per Rossella Urru, prigioniera chissà dove dallo scorso ottobre, e per la sua famiglia che attende invano di poterla riabbracciare. Il Papa dichiara solidarietà alle famiglie di tutto il mondo, purché sorte nel sacro vincolo del matrimonio. I cattolici dichiarano solidarietà al Papa per i brutti momenti che il Vaticano sta passando tra corvi impiccioni e documenti svelati. Il presidente Napolitano è solidale, tra gli altri, con la Nazionale di calcio in partenza per gli Europei. I leader sindacali, in visita il 2 giugno nelle zone terremotate, sono solidali con gli operai e gli imprenditori emiliani il cui lavoro è messo in serio pericolo. I cultori del parmigiano son solidali col triste destino delle forme danneggiate dal sisma e rilanciano in Rete l’acquisto solidale di spicchi non del tutto stagionati ma comunque ottimi, e convenienti. Succede allora che ci si interroghi, oltre che sulle situazioni, sulle parole. Solidarietà. Se aprite un dizionario etimologico il termine vi rimanderà a solidale o solidario. La derivazione è dal latino solidus, ovvero intero, compatto, massiccio, senza cavità o vuoti esterni. Il significato, per come lo intendiamo noi, viene dalla formula in solidum che, giuridicamente parlando, sta per obbligato con gli altri per l’intero. Per estensione se ne ricava vincolo di fratellanza, coesione sociale, reciprocità. Niente, nel termine solidarietà, rimanda alla leggerezza irresponsabile del semplicistico dichiararsi solidali. Solidarizzare significa impegnarsi, obbligarsi, agire. Se sostituissimo solidarietà con impegno l’impatto sarebbe ben diverso. Gli unici veramente impegnati verso gli sfollati d’Emilia sono i volontari e i soldati che lassù prestano il loro servizio. E avremmo finito, perché non riusciamo a vedere in faccia chi si sta occupando degli italiani sulla soglia della povertà, senza lavoro e con una famiglia da sfamare. Non sappiamo se e chi si sta occupando di riportare a casa Rossella Urru. Possiamo individuare chi materialmente acquista il parmigiano terremotato ma, a parte i diretti interessati, chi si impegna per rimettere in moto capannoni, imprese, macchinari, operai? Pochi giorni fa in un supermercato. Solita folla alle casse. Urla e pianti di un bimbo. Un neonato è caduto dalle braccia della mamma. Corse a procurare ghiaccio e momenti di panico. Le casse si bloccano. Si chiama un’ambulanza mentre la mamma piange col bimbo. Una signora in fila sbuffa. È stanca, accaldata. “Povero bimbo”, solidarizza. Poi rilancia: “Sì, ma diamoci una mossa.”

Laura Costantini

giovedì 7 giugno 2012

In preparazione della fine del mondo prossima ventura... Lory

E' iniziato il conto alla rovescia. Due minuti ancora e la lancetta dell'orologio della Torre batterà la mezzanotte. Il 21 dicembre 2012 scoccherà e... l'acqua ancora non bolle! E tutti questi terrestri che si lamentano e chiedono pietà, che barba. A forza di agitarsi rovineranno tutto e il brodo di umanità che stiamo preparando, quello che salverà noi alieni dalla distruzione, non verrà buono.
"E se ci aggiungessimo un po' di prezzemolo?", chiede 536459 sollecita.
"Che cazzo c'entra il prezzemolo adesso?", rispondo sbruciacchiando gli ultimi 
peli a un omone che non ha mai visto una ceretta.
"Lo sai che il prezzemolo va dappertutto, 746530978."
"Se non la pianti con queste stronzate ti ficco nel pentolone insieme a questa 
massa di deficienti. Ma dico io con tanti pianeti a disposizione proprio il brodo di umanità dovevamo fare?"
"La colpa è del nostro consiglio dei grandi". risponde 25478115 controllando 
l'orologio. Trentacinque secondi al d-day.
"'Sta storia del brodo di umanità a me mi pare tutta 'na minchiata."
Guardo 5241488 mostrando il mestolo minaccioso.
"L'hai fatto?!", chiedo alzando la voce oltre il rumore dell'acqua che 
comincia a bollire.
"Coosa?"
"Ti sei mangiato quel pullman di siciliani in pellegrinaggio a San Pietro. Confessa!"
5241488 si fa piccolo, piccolo.
"Per favore, non dirlo alla sorvegliante. Quella non vede l'ora di rispedirmi 
su Bufalon a morire di fame." 


Il resto alla prossima puntata, hihihihihihi!


Lory

domenica 3 giugno 2012

Una nuova recensione per FIUME PAGANO a più di due anni dall'uscita


I libri non muoiono. Ne siamo convinte, nonostante tutto nel mondo editoriale italiano dica il contrario. I libri non muoiono. Fiume pagano, il nostro giallo romano è ancora acquistabile con pochi click, non solo, da qualche settimana è anche un e-book disponibile sul sito di Bookrepublic al comodo prezzo di 3,90 euro. Soprattutto, alla veneranda età di due anni (un'enormità per un libro di oggi), piace ancora. Quella che segue è la recensione che Michele di Marco (che l'ha pubblicata anche su Thrillerpages ci ha dedicato con un voto di 4 su 5. Mica male, no?


Quando, anche noi che la viviamo – e, personalmente, la amiamo – da lontano, pensiamo a Roma, difficilmente riusciamo a separare il presente dai ricordi della sua fantastica e ingombrante storia, anzi credo che poche città come Roma intreccino così strettamente il proprio presente e passato. 
Ma credo che sia molto meno comune, probabilmente per l’incombente, e spesso bellissima, presenza della Chiesa cattolica, dei suoi luoghi di potere e di culto, il ricordo della religione pagana pre-cristiana, dei suoi riti e dei suoi simboli, se non in quanto, ormai morti e confinati nel passato remoto,  sono all’origine di vestigia e reperti archeologici e artistici.
Invece, Laura Costantini e Loredana Falcone (d’ora in poi LauraetLory, come nel loro blog), scelgono di contrapporre alla modernità – che, inopinatamente rispetto ai luoghi comuni, in questa prospettiva include anche il cattolicesimo – un’improbabile, ma non del tutto inverosimile, movimento neopagano a noi contemporaneo. E pongono questo scontro, con originalità, come sfondo del loro intrigante giallo, una complessa vicenda in cui l’inchiesta su una successione di assassinii seriali obbliga a ricercare e riannodare le connessioni tra credenze, addirittura ideologie, e pratiche religiose, che si perdono nel tempo remoto della romanità dei secoli passati, e che riverberano i propri riflessi, e le proprie ombre, fino all’oggi.
Non basta essere “originali” o “creativi” per destreggiarsi, come sanno fare più che bene le autrici, nell’intricato labirinto di storie, di riti e simboli apparentemente incomprensibili, di drammi personali e familiari, che diventa l’inchiesta condotta con diligenza, poi con crescente partecipazione, dal luogotenente Vergassola.
Serve una profonda cultura, nel senso della competenza e non della pura erudizione, che permetta di riconoscere i riferimenti, di comprenderli e di collegarli per favorire la soluzione del rompicapo: e LauraetLory, che questa competenza mostrano di possederla, l’affidano al vero protagonista dell’indagine, Nemo Rossini , un romanissimo “redattore anziano di un giornaletto da diecimila copie”.
A lui, che sa muoversi con la stessa efficacia e la stessa simpatia (condivisa da chi legge) nel commissariato di Polizia e nei bassifondi popolati dai barboni del letto del Tevere, spetterà l’incarico di condurci, grazie al suo intuito e alle sue conoscenze, all’uscita di quel labirinto, sapendo anche cogliere, con molta maggiore prontezza del poliziotto, gli indizi che gli vengono offerti dall’evoluzione della storia che costituisce il secondo filone del romanzo. 
Ne è protagonista Monica, con la sua disperata ricerca del padre perduto, il tentennare tra i due rivali che si contendono il suo amore, la (quasi eccessiva, è forse un difetto del libro) capacità di calamitare coincidenze, di essere occasionalmente presente in tutti i momenti in cui si dipana una parte della matassa: intorno a lei, le autrici si divertono a costruire una vivace corte di personaggi, alcuni poco più che comprimari, altri più delineati (menzione speciale per la zia Nerina, che a me ricorda, con la stessa simpatia e, se possibile, ancora maggiore bonomia, la Sora Lella dei film di Verdone), tutti o quasi perfettamente funzionali all’economia della trama, fino al suo finale ricco di effetti speciali drammatici (e non del tutto sorprendenti, altro difetto), che però si stempera nell’esito contrastato delle vicende di Monica, perché alla fine l’umanità del presente diventa più importante delle conseguenze, gloriose o criminali, del passato.
Insomma, un bel giallo, che sfida le capacità di congettura del lettore, portandolo alla soluzione, almeno parziale, ben prima del finale, nel quale le autrici sanno delineare, senza confusione, due storie principali convergenti, oltre a qualche rivolo minore. 
Sullo sfondo di tutto questo, Roma, spesso ripresa nei suoi angoli oscuri, ma anche pronta ad offrire i vivaci spaccati dei dialoghi in cui Nemo sfrutta la propria vena popolaresca: una Roma mai prevedibile, che non si limita a far da scenario alla velocità, quasi alla frenesia con cui tutti si muovono nella parte del labirinto che è loro assegnata, anche se, nel solco della sua millenaria esperienza, mantiene fermo il proprio fulcro, perché, alla fine, si sa che “a Roma tutto cambia e solo il Tevere resta”.

venerdì 1 giugno 2012

I miei articoli per "La Sesia": Donne cancellate


Giovedì scorso su RaiUno, in pieno pomeriggio, è accaduto qualcosa che lascia il segno. Per chi si fosse sintonizzato aspettandosi le solite amenità da salotto televisivo, il colpo deve essere stato forte. Seduta su un divano bianco c’era Valentina Pitzalis, una ragazza di Carbonia. Indossava un abitino scollato sulle spalle, aveva i capelli neri pettinati all’indietro, un moncherino al posto della mano sinistra, una grossa fasciatura a difendere ciò che resta della destra. E il volto cancellato. Per chi non l’avesse vista, chiariamo: non era un mostro. Anzi. Gli occhi intatti e vividi, le labbra pronte al sorriso, il sapiente lavoro di chirurghi estetici. Valentina non è più bella come appariva nelle impietose foto alle sue spalle. Ma è viva. Passata attraverso le fiamme dell’inferno. Eppure viva. Accanto a lei c’erano l’avvocato Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker, ovvero la fondazione Doppia Difesa che si occupa di donne vittime di violenza. È grazie a loro che Valentina è arrivata in televisione per portare la propria testimonianza e il proprio monito. Perché a condannarla al rogo, come una strega del passato, è stato l’uomo che diceva di amarla. Quello che lei aveva sposato nel 2003 e lasciato nel 2006. Un ragazzo dal volto aperto, dagli occhi chiari nei quali è impossibile cercare traccia dell’orrore che ha saputo concepire. Di lui resta solo una foto. Il carnefice di Valentina è morto nello stesso rogo che a lei ha consumato le mani, le braccia, il volto, le caviglie. E Valentina non sa dire se volesse morire con lei o se invece non avesse calcolato la potenza del fuoco alimentato a kerosene. “Ma voglio pensare che si immaginasse unito a me nella morte. Perché se invece voleva guardarmi morire e poi scappare, allora la sola idea mi farebbe impazzire.” Parla Valentina, di un percorso doloroso e non solo dal punto di vista fisico. Dice che aveva tutto, ma che le resta comunque molto. È viva, sta lottando per riacquistare l’autosufficienza. Soprattutto non odia e mette in guardia le donne: non pensate di poterli cambiare, gli uomini fragili e violenti. Non cambieranno. Non per voi e non con voi. Fuggite lontano e diffondete il messaggio. Quel messaggio che al documentario “Saving Face” ha fruttato l’Oscar. Eppure Zakia, Rukhsana, Naila, le donne pakistane sfregiate con l’acido e protagoniste del film non vogliono che sia visto in Pakistan. Al punto da dar vita a una battaglia legale contro i registi Chinoy e Jung. Il motivo? Proiettarlo in patria sarebbe “irrispettoso nei confronti delle nostre famiglie”. Una posizione condivisa anche dall’Acid Survivors Foundation Pakistan, l’associazione che le rappresenta e che, pure, ha partecipato alla realizzazione e ai festeggiamenti per l’Oscar. Una storia lontana, una diversa cultura. A unire Valentina, Zakia, Rukhsana e Naila è il comune destino di donne cancellate dalla vendetta dei maschi. A dividerle il coraggio. Perché Valentina a lasciarsi cancellare, non ci sta.

Laura Costantini