martedì 15 dicembre 2015

E se ci arrendessimo?

Non metto link, vi avverto. Chi ha voglia potrà, nel caso, andare a cercare su google. Succede che un direttore di una grande libreria stili la classifica dei dieci autori che preferisce e suggerisce ai clienti. Succede che nella sua lista non ci sia neanche una donna. Succede che gli venga chiesto come mai e che lui risponda che le donne non le legge. Punto. Vi suona come un dejavù? Lo è. Succede spesso. Ve lo ricordate il professore di Toronto che si chiamava come uno dei Pink Floyd e che si rifiutò di inserire nelle proprie lezioni di letteratura libri scritti da donne? Dice: va beh, era un maschilista. No, il problema è che come lui la pensano in tanti. E in tante. Per quanto gente in gamba come Loredana Lipperini e Marilù Oliva rispondano, controbattano, polemizzino con una tendenza che è puro distillato di discriminazione di genere, le donne che non leggono donne per partito preso sono tante. Troppe. Dice: ma se non mi piace il romance, come faccio a leggere donne? Qui potrei mettermi a stilare una lista di gialliste/noiriste. Vi faccio due nomi a caso: Marilù Oliva, Marzia Musneci, Simonetta Santamaria, Maria Silvia Avanzato. Sono quattro? Potevano essere molti di più. Che poi, voi che dite che non volete leggere donne perché scrivono romance… lo avete mai letto un romance? E se poi trovate una donna che ha scritto un horror, un western, un hardboiled, vi fidate o pensate: ma figurati, una donna che scrive questo genere…
Io già vi sento. Una legione in tumulto. Io non guardo chi ha scritto cosa. Io leggo solo libri belli. Belli per chi? Per me, ovvio. E mica è colpa mia se i libri che mi piacciono li scrivono solo gli uomini.
Vi si potrebbe rispondere che, come molti lettori e molte lettrici, trovato uno o più autori che aggradano, perché rischiare spaziando? Perché alzare lo sguardo verso l’orizzonte di altri scaffali?
Ma che lo pensi un lettore X o una lettrice Y può anche andar bene. Che un direttore di libreria mi certifichi che, se anche avesse in scaffale un mio libro a) non lo leggerebbe perché mi chiamo Laura e non Lorenzo, b) è fiero di dichiararlo al mondo, c) non ci trova niente di strano in questo, anzi si considera più sincero di altri… beh, mi fa cadere le braccia. E allora dico a Marilù Oliva, che ha scritto una bella lettera aperta al direttore suddetto, hai fatto bene, Marilù.
Ma comincio a chiedermi a cosa serva. Sto accusando la stanchezza. La voglia/consapevolezza delle donne di aver diritto di esistere e di occupare un posto nel mondo la sto vivendo come una marea che dopo un'avanzata che sembrava gloriosa, quella del tanto vituperato vetero femminismo, ora si ritrae. E per quanto noi, io, te e le moltissime splendide donne che conosciamo e amiamo e stimiamo, si tenti di fare muro contro il riflusso, l'acqua della combattività di ieri ci scivola tra le mani trasformata nel siero dell'arrendevolezza di oggi.

Hai fatto bene, fai bene. Avrei dovuto farlo anch'io. Ma sono stanca. Spero passi presto, perché ti meriti compagne di lotta forti e luminose quanto tu sei.

martedì 24 novembre 2015

Personaggi (di Lauraetlory) in subbuglio. Ancora

“Ma nun s’era detto che ce se rivedeva pe’ Allouin?”
“Oh, te le regole gnente, eh! Nome e romanzo, come al solito.”
“Cheppalle, Quirì, come ar solito. Nemo Rossini, Fiume pagano e Carne innocente. E, ribadisco, non s’era detto che ci saremmo rivisti tutti per Halloween 2015?”
“Sì, s’era detto. Ma non ci siamo riusciti.”
“Quirì, nome e romanzo, e pure grado visto che sei un carabiniere. Tiè!”
La cucina di Lory, di nuovo. Affollata, come sempre.
“Maresciallo luogotenente Quirino Vergassola, Fiume pagano e Carne innocente. Come sapete l’assemblea è convocata per fare il punto della situazione dei personaggi creati dalle autrici Lauraetlory.”
“Pe’ noi er punto è sempre quello. Ce se so’ scordate, quelle due str…”
“Stravaganti signore, giusto? Però mi è giunta voce che potrebbero avere intenzione di riprenderci in mano.”
“Seh, come no? Mettece n’artro condizionale, se te riesce. Quelle ormai se so’ date al romance. Che nun ce lo sai?”
“Immagino che vi stiate riferendo a me, signore. Sono Carolina Crivelli, dal romanzo Ricardo y Carolina, e vorrei chiarire che a me e a tutti coloro che hanno condiviso il mio viaggio nel mondo della revolución di Benito Juarez si è richiesto di esercitare la dote della pazienza, visto che da almeno tre anni le autrici ci avevano dato vita.”
“Arieccoteli, quelli della telenovela!”
“Nemo, se non la pianti ti caccio a calci nel sedere.”
“Non si preoccupi seňor Vergassola. Stavolta don Ricardo Calleja de Hormigas, di Ricardo y Carolina, appena pubblicato, è qui per dirvi che se la storia vale, prima o poi viene alla luce."
“Ma quella che parlava in terza persona n’era la pellerossa?”
“Shenandoah Aquila che grida, Il destino attende a Canyon Apache."
"Ariecchetela, pure questa!"
"Nemo, sta' zitto. Signorina, dica pure."
"Mi sono messa in viaggio ormai da tre anni fa per ritrovare il mio David e le creatrici non hanno alcuna intenzione di scrivere di me."
"To’ ridico come l’anno scorso: benvenuta ner club, regazzì. Noi è dal 2012 che aspettamo de vedè come annamo a finì. Se prometti 'na trilogia, poi non è che te poi rimagnà l'impegno. C'è gente che c'aspetta. Lettori che se sò appassionati."
"Nemo, per favore. Lei, lì dietro, che alza la mano."
"Sergente Lanee Marler, Viole(n)t red. Il caso mio e dei miei compagni di pagina è ancora più complesso. Le creatrici ci hanno concesso altre pagine, ma non le hanno mai proposte a un editore. L'idea, anche per noi, era di una trilogia noir. E la seconda avventura ha un finale che più aperto e sospeso non si potrebbe."
"Il problema è che una trilogia noir, ambientata tra Stati Uniti e Italia, scritta da due donne difficilmente trova mercato. Il noir è inflazionato, dicono gli addetti ai lavori."
"Perché il giallo te lo riccomanno. A Quirì, a me me pareno tutte scuse. Er problema è che so' femmine. Volubili. Te pensano, te creano, te danno n'anima e poi se stufeno e passano al prossimo. Tiè, guarda questi, appena usciti da 'n firm de Star Trek. Io t’avevo detto che l’inediti non li devi convocà!"
"Nemo, per gli inediti è ancora più frustrante, ma siamo tutti nella stessa barca. Vorremmo altre pagine, altra vita. Ma non abbiamo alcun modo per far pressione sulle creatrici. E loro intanto..."
"Intanto?"
Un coro di voci, di sguardi, di costumi, colori, origini diverse.
"Intanto hanno creato una storia nuova..."
"N’artra? O è quella dell’anno scorso?"
"Colonnello Yael Logie Baird, romanzo di fantascienza ancora senza titolo. Confermo. Erano appena scese dalla nostra astronave. Non ci hanno neanche rivisto e corretto. Subito sono corse dietro a quegli altri…"
"Lo so. Ma ormai dovreste conoscerle. Una ne scrivono e mille ne pensano."
"Guardate che non c'è niente da invidiare a una nuova storia."
"Te chi saresti, scusa?"
"Guglielmo Zoltan, romanzo senza titolo che si svolge in un castello. A me e ai miei compagni ci hanno mollati a poche pagine dalla fine."
"Bastarde!"
"Anche stronze, direi. Non sapete cosa ci hanno fatto passare."
"Quindi non siete voi la nuova storia", sancisce il sergente Marler.
"No", si inserisce Quirino. "La nuova storia l’hanno appena terminata. Top secret. L’unica cosa che sono riuscito a scoprire, attraverso indagini approfondite…”
“Taja, Quirì, vieni ar dunque.”
“Il dunque è che una dei protagonisti si chiama Giuditta. C’è di mezzo il mare…”
“Seh, tra il dire e il fare. Scusa, Quirì, annamola a pijà 'sta Giuditta e scatenamoie Mister Liberty e tutti li colonnelli presenti. Mica perché è inventata non se po’ più ‘na fraccata de botte."
"Nemo, la violenza non è una soluzione."
"Questo lo dici te. Io a quelle due le pijerei a schiaffi a due a due finché..."
"Però, scusate, ribadisco quanto detto la volta scorsa: voi l'occasione l'avete appunto avuta e dovreste lasciar spazio a noi..."
"Nome e romanzo, per piacere."
"Pepper, anzi, Rebecca Black, Pepper & Cream."
"Sì, me ricordo. Er pornazzo anni '80."
"Nemo, un'altra parola e ti faccio accompagnare fuori da Mister Liberty. Signorina Black..."
"Io e i miei compagni di storia aspettiamo un'occasione dal 1986. Adesso pare stiano meditando di buttarci in pasto a Babelcube..."
“E che robba è?”
“Un sito per far tradurre i romanzi e aprire loro il mercato estero. In fondo noi siamo americani e quindi potremmo avere una qualche chance.”
“In bocca al lupo. Insomma, mi pare che la situazione non sia molto diversa da quella che avevamo lasciato lo scorso Halloween.”
“Beh, una novità ci sarebbe…”
“Nome e romanzo, per favore.”
“Maggiore Mattias Landi, Il puzzle di Dio. Le autrici ci hanno fatto partecipare a un premio letterario e siamo arrivati secondi.”
“Mejo che ‘n carcio nelle palle…”
“Molto meglio direi. Complimenti maggiore, a lei e agli altri personaggi. E ritiene che questo possa, al di là del valore della notizia in sé, fare la differenza per tutti noi?”
“Sì, ne sono convinto. E’ una strada lunga e difficile, ma mi sento di dire che tutti noi, inediti compresi, dovremmo accordare maggior fiducia alle nostre creatrici. Vogliamo scommettere che il prossimo anno saremo qui a raccontarci grandi novità?”
“Ce sto’. Se scommettemo ‘na matriciana. E se nel frattempo quarcuno de voi militari riesce a beccà ‘sta Giuditta che c’ha a che fa’ cor mare, portatemela. Che je le vojo proprio dì du’ paroline.”
"Ssssttttt!", lo zittisce il colonnello Logie Baird.
"Che c’è, ve parte lo shuttle?"
"Una delle creatrici sta per entrare qui."
"Via, via tutti, presto!"
"Sì, ma che avemo deciso?"
"Che di Giuditta mi occupo io", risponde Mister Liberty.
"Conto sul maggiore Landi per impedire che vengano usate maniere non consone. La seduta è tolta. Ci aggiorniamo al prossimo Halloween."
Fuggi fuggi generale. Rumore di sedie smosse. Voci bisbigliate. Lory apre la porta della cucina e accende la luce. Nessuno. Un sorrisetto, poi impugna la macchinetta del caffè.



venerdì 13 novembre 2015

Lory ha letto "Il coraggio delle madri" di Marco Proietti Mancini - Edizioni della Sera

Ci sono molti modi di raccontare la guerra. Molte angolazioni dalle quali affrontare il bagaglio di tragedie che porta con sé. E ci sono molti romanzi che parlano di guerra. Ma quello di Marco è diverso da tutti. Non ci sono scene di atrocità e sangue. Non c'è il pathos della battaglia. Nella guerra raccontata da Marco c'è l'uomo. Nella totalità del suo essere.  Ci sono le sue paure, le sue speranze. La disperata ricerca della normalità in un mondo che va allo sfascio portandosi dietro ogni cosa. 
Ma Benedetto, il protagonista della splendida epopea della famiglia Properzi, una cosa proprio non vuole dargliela alla guerra, la speranza. Quel filo sottilissimo e fragile che lo tiene legato alla vita, che lo rivuole a casa, accanto alla bella Elinu'  tra la gente del quartiere San Lorenzo che ha imparato ad amare e da cui è riamato. È questo barlume indistinto, questa tenue fiammella che lo aiuta a sopportare la durezza della guerra in Africa, della prigionia, delle privazioni  e del dolore che lo accompagnano mentre l'Europa si ribella alla follia omicida di Hitler. 
Quello di Marco non può definirsi un romanzo storico, la guerra è il fulcro dove si rincorrono  i sentimenti, i più disparati. Il vero protagonista di queste pagine imperdibili è l'amore.
Quello che lega un uomo alla propria donna. Una madre ai figli. Un padre alla propria famiglia.
L'amore che ha mille sfaccettature ma una sola verità: la semplicità. Perché non è artefatto, perché viene dal cuore. Come le pagine di questo romanzo che si snodano tra l'Africa e Roma, tra Roma e Subiaco in un alternarsi di emozioni che ci ricordano la sensibilità di questo scrittore, capace di cogliere e tradurre in parole anche le più piccole sfumature del sentimento.  
E allora anche lo stile è semplice. Perché il soggetto non ha bisogno di artifizi per arrivare alla pancia e renderci partecipi di una vita che potrebbe essere quella di tutti noi. Se amiamo.
Ho sentito il bisogno di rileggere più volte i brani di cui sono protagonisti Benedetto ed Elena. La quotidianità spesso ci porta a dimenticare ciò che ci lega al nostro partner. La complicità, l'intesa che non ha bisogno di parole. La consapevolezza di essere una cosa sola. 
Le ho rilette e mi hanno commosso, così come mi ha commosso il padre di Benedetto. Un omone di cinquant'anni, l'età della saggezza se pensiamo che parliamo di settant'anni fa, che riesce  a superare la propria ruvida timidezza, per esternare, unica volta nella sua vita, il proprio bene al figlio. C'è la grandezza della gente semplice in Bittuccio, la generosità del mondo contadino che rivive nelle pagine di Marco riportandomi alla mente l'atmosfera, i contenuti, i personaggi usciti dalla penna di Antonio Pennacchi nel suo "Canale Mussolini". 
"Il coraggio delle madri" è un romanzo che fa riflettere perché riconduce la famiglia al ruolo principe che ha avuto nel nostro passato spingendoci a riconsiderare le nostre priorità. E se anche, personalmente, non amo la scrittura che si sofferma troppo sui sentimenti, che eviscera le emozioni in tutte le sue sfaccettature, questa volta sono riuscita a superare questo mio limite, per godermi un libro che mi sento di consigliare al lettore di qualunque età, di qualunque estrazione sociale o formazione culturale. Perché il vero scopo della narrativa deve essere quello di arricchire non di insegnarci qualcosa. 

Loredana Falcone

giovedì 29 ottobre 2015

Brividi di lettura per Halloween





Ci siamo rese conto che, quando non affrontiamo romanzi, ci piace indulgere nel genere horror. E visto che Halloween è alle porte, abbiamo deciso di regalarvi alcuni racconti da brivido nei quali ci siamo cimentate.

Un vampiro molto molto originale?
 https://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2008/12/22/nella-notte-sanguigna-dei-lampioni/

Un esempio di dove possa portare la minipolazione genetica a scopi estetici?
http://www.liberarti.com/schede.cfm?id=993&denti_come_perle

Gli acquisti equi e solidali possono riservare sorprese...
http://www.websitehorror.com/index.php?content=website_horror&id=15;

Buona lettura

sabato 17 ottobre 2015

Il puzzle di Dio finalista per Amarganta


Lo avete visto. Il nostro thriller, quello che era troppo complesso, troppo lungo, troppo poco "italiano", non adatto al nostro mercato, comunque da rivedere, e poi scritto da due donne (sto citando alcune delle obiezioni che hanno reso estremamente difficile per Il Puzzle di Dio arrivare alla pubblicazione), dopo essersi aggiudicato il titolo di Miglior edito 2014 a giudizio dei lettori di Liberi di Scrivere, è tra i 6 finalisti della prima edizione del Premio Letterario Amarganta. Ora mi par di udire sogghigni e alzate di sopracciglio (sì, si possono udire): mica è lo Strega, il Bancarella. il Grinzane buonanima. No, certo. Ma qui lo dico, certa di esprimere anche il parere di Loredana Falcone, e qui lo confermo: è una soddisfazione grande. Ed è già una vittoria. Perché questo romanzo, per noi due e per chi lo ha letto e amato, è importante, è denso di significati, lascia il segno. Non lo voleva pubblicare nessuno, finché non siamo incappate nel coraggio e nella lungimiranza di goWare.
E da quel momento le soddisfazioni non si sono contate.
Abbiamo già vinto, perché nei sei finalisti, c'è (e non ce ne vogliano gli altri) un romanzo bello, forte e originale come "Dodici posti dove non volevo andare" di
Clara Cerri. L'unico che abbia letto. Ed è un onore vederlo affiancato al nostro.
P.s. quanto mi piacerebbe taggare tutti quelli che "non lo pubblicherete mai". Quanto mi piacerebbe...

sabato 3 ottobre 2015

Nel nome di Carolina

Ormai lo sapete. Lunedì esce il nostro nuovo romanzo, "Ricardo y Carolina", romance storico edito da goWare.  La protagonista principale è Carolina Crivelli, 24 anni nel 1865, ribelle alle convenzioni, aspirante giornalista, pronta a giocarsi tutto, anche la vita all'occorrenza, per inseguire il suo sogno.



La sua stella polare, il suo esempio di vita è la contessa Clara Maffei, colei che disse "Io appartengo a me medesima, e solo io voglio essere giudice del mio operare".

Non vi anticipiamo niente, ma a breve ci sarà un contenuto inedito riguardante proprio la contessa Clara Maffei, legato al lancio del nostro romanzo e a una collaborazione straordinaria col sito Pasionaria.it

Ora, grazie ad Amneris Di Cesare, abbiamo scoperto che esiste un personaggio meraviglioso nella storia del Brasile, Chiquinha Gonzaga. Musicista, donna ribelle ai conformismi, pronta a sfidare tutto e tutti per amore. Dell'arte e non solo.

E alla luce di chissà quante altre donne nascoste nelle pieghe della storia, ci è venuta un'idea: andiamo a scovarle, queste donne, nel nome di Carolina?
La nostra protagonista è un personaggio di fantasia, ma quante ne sono esistite?
Quante non ne conosciamo?
Di quante ci piacerebbe conoscere la storia?
 
 

martedì 29 settembre 2015

Trauma da editing? No, grazie


Si diceva a proposito di editor e di editing. Ho letto commenti di autori che definiscono l’editing come un vero e proprio trauma subito. Altri, invece, ritengono che senza l’editing il loro testo avrebbe avuto lo stesso valore di un blocco di marmo prima dello scalpello dello scultore. Non sono d’accordo con nessuna delle due definizioni. Noi scriviamo a quattro mani e questo, consentitecelo, garantisce un doppio filtro. Non solo per i refusi, ma anche per il ritmo, le ripetizioni inutili, l’aggettivazione ridondante, la scelta dei vocaboli, la costruzione delle scene. Ogni volta che ci vediamo, noi rileggiamo le pagine prodotte la volta precedente, a voce alta. Un ottimo sistema, datemi retta. Ma vale solo se la voce è un’altra, magari quella di un beta-reader, come si usa definirlo oggi. Dovete ascoltare ciò che avete scritto, perché se funziona nella lettura a voce alta, funziona anche in quella silenziosa che ha il compito di portare il lettore dove volete voi. A fronte di tutto ciò, gli editor che si sono trovati a lavorare sui nostri testi hanno avuto ben poco da fare. Lo diciamo fuori dai denti: gli autori che si vantano di buttar giù pagine alla rinfusa, senza badare alle virgole, alle ripetizioni e ai particolari, presi dal sacro furore della creazione, perché tanto poi ci pensa l’editor… No, grazie. La professionalità sta nel consegnare alla rifinitura un lavoro già fruibile. Perché l’editing è, appunto, un rifinire, limare, aggiustare quel punto lì dove stringe un po’. Un lavoro di sartoria, di alta sartoria. Non tutti gli editor ne sono capaci. E non tutti gli scrittori sanno porsi nei confronti di un editor. Esempio vissuto da noi con il romanzo uscirà il 5 ottobre. Marco Rosati, fantastico editor di goWare, ci manda il file corredato di commenti a margine. Su 201 fogli A4 i commenti erano meno di quaranta. A proposito di lavoro preliminare svolto dalle sottoscritte. Uno di questi commenti (tutti centrati, motivati e spesso esilaranti) diceva: “ributtante!” con tanto di punto esclamativo. Quando abbiamo rivisto insieme i punti, su quello abbiamo riso più che su altri e Marco ha tirato un sospiro di sollievo, perché temeva che ce la saremmo presa a morte. La frase che definiva ributtante a noi non sembrava così male. Non lo era, a dirla tutta. Ma “sdolcinava” troppo un momento in cui la “sdolcinatura” non era necessaria. Cassata senza pietà e senza eterne diatribe. Marco, che ci conosce già dal Puzzle di Dio, sa anche quando i nostri “no” sono insindacabili. C’era un paragrafo, a suo dire troppo melò. Lo abbiamo tenuto, lui ha capito il nostro ragionamento. Dialogo, disponibilità e, soprattutto, rispetto reciproci. Noi riconosciamo a lui professionalità e attenzione e sensibilità nell’interpretazione del testo. Lui riconosce a noi la capacità di difendere le nostre scelte senza mai pregiudizi e partiti presi. Nessun trauma, anzi, il piacere della collaborazione e, per noi, anche un’occasione di crescita. Fermo restando che se il testo è un blocco di marmo, lo scalpello per tirarne fuori una storia ce lo mettiamo tutto noi. All’editor, com’è giusto che sia, resta la lima, quella morbida, che rende le superfici morbide e avvolgenti per lo sguardo del lettore.

ZG

domenica 27 settembre 2015

De gustibus non disputandum est


Dibatto spesso con le persone che conosco, e che leggono (ne conosco parecchi di lettori, il che alle volte mi fa dubitare del poco amore per la lettura degli italiani, poi mi dico che è una questione di frequentazioni e io, modestamente, gli amici me li so scegliere) sul reale valore di un testo e sulla questione “gusto personale”. Spesso mi trovo nella posizione di quella che dice che alcuni pilastri della letteratura mondiale non possono non piacere. Poi mi smentisco da me. Ho faticato, e molto, a leggere “Il maestro e Margherita” e, per buona metà del testo, ho dovuto trattenere la voglia di far volare il volume oltre la finestra. Giunta alla fine, però, mi sono ricreduta. E’ un grande libro, dice moltissimo se si ha la voglia (o la capacità?) di ascoltarlo. Ma non posso condannare chi proprio non l’ha sopportato. Un lettore ha il sacrosanto diritto di chiudere un testo e usarlo come supporto per la tazzina del caffè. Anche se si tratta di un pilastro della letteratura mondiale. Figurarsi se, invece, si tratta dell’ultima fatica di autori ben inseriti nei salotti che contano. Mi sono divertita a leggere le recensioni su GoodReads di un romanzo italiano uscito da pochi mesi. Non ha importanza quale. Ha goduto di ottima critica, battage giusto, visibilità. Le recensioni, a colpo d’occhio, erano per lo più negative. Una o due stelline, argomentate da lettori delusi e pure arrabbiati. Ma ce n’erano molte entusiastiche, con tre o quattro stelline. È la scoperta dell’acqua calda? Certo. Ma è interessante. Perché lungi dal definirsi critici letterari, i lettori di quel romanzo dimostravano, argomentando, riportando stralci, facendo riferimenti ad altri autori e altri testi, di aver riflettuto su quelle pagine. Di averci ragionato, esercitando un diritto di critica che è inalienabile. Un esercizio fatto senza timori né dietrologie, come invece accade tra scrittori (o sedicenti tali). Perché, ammettiamolo, se capita, a noi che scriviamo, di leggere un testo di un altro autore, che magari conosciamo personalmente, che ci è simpatico, che magari potrebbe metterci una buona parola con quel giornalista/libraio/editore, e quel testo ci fa, fantozzianamente, cagare, scatta il dramma. Impossibile dire che ci è piaciuto. Ma ancor più impossibile mettere nero su bianco che, per i nostri gusti, quel testo non avrebbe mai dovuto vedere la luce. Adesso ci vado giù dura, sia chiaro. Ma sarà capitato anche a voi di scuotere la testa davanti a pagine banali, non necessariamente mal scritte, ma sostanzialmente inutili. Ecco, forse il peccato peggiore è questo: un libro può essere bello, brutto, mediocre, pieno di strafalcioni o ben scritto, troppo lungo, troppo corto, troppo strombazzato. Ma non può mai permettersi di essere inutile. Di far pensare al lettore di aver perso tempo (e denaro) che avrebbe potuto utilizzare in modo più proficuo. Ecco, di lettori così quel romanzo di autore italiano molto noto e ben introdotto ne ha incontrati parecchi. A dimostrazione che ciò che ci viene costantemente presentato come “imperdibile” dalle fascette, dalle case editrici, dai critici, può non esserlo. E lo si può affermare, questa è la notizia, senza doversi per forza sentire ignoranti, invidiosi o superficiali.

sabato 26 settembre 2015

Ricardo y Carolina - Quiero ser tu heroe

Più o meno tutti gli scrittori ascoltano musica per ispirarsi. O si ispirano ascoltando musica. I generi (musicali) possono variare a secondo del genere (narrativo) del romanzo cui si sta lavorando. Per "Ricardo y Carolina" la canzone non poteva che essere romanticissima. E nella lingua adatta. Non a caso nei ringraziamenti in coda al romanzo si cita espressamente Enrique Iglesias e la sua struggente interpretazione, in spagnolo, di "Quiero ser tu heroe".
Se non la conoscete, ascoltatela.
Se la conoscete, una volta letto il nostro romanzo, non riuscirete a non pensare a don Ricardo Calleja de Hormigas.
 
Con l'occasione vi ricordiamo che il romanzo è in prenotazione QUI fino al 5 ottobre.

domenica 20 settembre 2015

Dell'invidia degli scrittori e di altri luoghi comuni


Soffro di una forma acuta di mal sopportazione dei luoghi comuni. Le donne non sanno parcheggiare. I napoletani non hanno voglia di lavorare. I migranti ci islamizzeranno tutti. Gli scrittori sono invidiosi. Potrei dilungarmi sui primi tre con vaste argomentazioni, ma stavolta voglio affrontare la diffusissima credenza per cui uno scrittore (se è una scrittrice, meglio) non può non essere invidioso/a del successo degli altri. Dove per successo si spazia dalla vetta della classifica delle vendite su Amazon (dove succede di toccare il vertice per quei tre nanosecondi durante la promozione a 0,99 euro) al premio Strega; dalla consegna della targa placcata argento di “scrittore primo classificato nel concorso Autore del pianerottolo” alla traduzione in tutte le lingue comprese nella torre di Babele; dalle 5 stelline su Goodreads (o Amazon o Anobii) alla megarecensione galattica sul supplemento “La lettura” del Corriere. Ora, sia chiaro, non sono bionda, non sono ottimista, non sono un tenero virgulto e non mi chiamo Pollyanna. Ma secondo me vi state sbagliando. Dico VI perché io non mi allineo mai ai luoghi comuni. E già di per me, come autrice, vi sconfesso: non sono invidiosa. Tirate giù quel sopracciglio inarcato e cancellate la smorfietta scettica. Vado ad argomentare. E faccio nomi e cognomi. Se Elena Ferrante, nel chiuso del suo tanto discusso anonimato, sono anni che scrive e anni che si fa leggere, se senza presenziare eventi letterari, senza partecipare a trasmissioni tv, senza farsi intervistare nella rubrica “Billy” del Tg1 e senza, udite udite, partecipare alla messa cantata di Fabio Fazio con la nuova uscita in piedi e in primo piano tra le dita “midiche” (nel senso di Re Mida) del conduttore, è arrivata finalista allo Strega, io che motivo ho di invidiarla? Io non scrivo come lei (non dico peggio né meglio, ognuno ha il suo stile), non tratto i suoi temi, non sono Elena Ferrante. E il fatto che migliaia di lettori la amino, vuol dire che migliaia di persone leggono libri. Mi seguite? Una persona che si appassiona ai noir di Romano De Marco, alla poesia in prosa di Maurizio de Giovanni, alla penna sarcastica e dolce insieme di Marilù Oliva è un lettore in più per tutti coloro che sanno scrivere una storia appassionante, non un sostenitore in meno per me o per qualcuno di voi. Mi dicono (io non frequento i salotti letterari) che gli scontri al veleno ci siano sempre stati, così come i giudici tranchant dietro le spalle e gli sdilinguimenti ipocriti negli incontri vis a vis. Così va il mondo, mi dicono. Mi dicono, anche, che uno scrittore che ti recensisce favorevolmente 9 su 10 sta per chiederti qualcosa in cambio, motivo per il quale tutto quel proliferare di stelline tra “amici” di penna sia indice di falsità e non di qualità. Non so per quale malinteso (perché è chiaro che un malinteso “ci ha da essere”), moltissimi autori mi chiedono di leggere i loro romanzi. E difficilmente dico di no. Magari li faccio aspettare mesi (Gianluca Mercadante, autore tra l’altro di un divertentissimo “Casinò Hormonal” Lite Editions, può testimoniarlo), ma li leggo. Ed esprimo quel che penso. Mi dicono che sono sempre magnanima nel dispensare stelle e lodi. E nel sillogismo da luogo comune chi recensisce positivo si aspetta una contropartita. Ecco, abbassate quel sopracciglio e cancellate la smorfietta, perché adesso vi sfido a dirmi quali contropartite abbia ottenuto una come me e come possa collocarsi nell’assioma degli scrittori sempre e comunque invidiosi del successo altrui.

Un libro in più venduto, una presentazione strapiena, un premio vinto (certo, non quello di autore del pianerottolo, ma anche sì, in fondo) sono successi che si devono ai lettori. E quanti più lettori ci sono, tante più possibilità esistono che quei lettori si interessino ad altre storie, ad altri autori. Un lettore non è una risorsa in esaurimento. Un lettore ha spazio per milioni di storie, molte più di quante ne contenga un kindle. Un lettore che si appassiona a un libro, ne cercherà tanti altri. E vi rivelo un altro segreto, custodito quasi quanto il terzo di Fatima: un lettore non è un binario unico. Lo so, perché prima di tutto leggo. Un lettore può amare la Trilogia della città di K e Andrea Vitali, può non averne mai abbastanza di Twilight e coccolarsi Paul Auster, può andare in overdose di romance e centellinarsi La ferocia di Nicola Lagioia. Uno che ci capiva già tanti secoli fa disse “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio…”.

Quindi piantatela, voi autoeletti giudici, di dire che tutti gli scrittori sono invidiosi del successo altrui. E piantatela, voi autoeletti veri scrittori, di lamentarvi, perché ne avete una fottuta paura, della ressa di aspiranti scrittori che si accalca alle porte. Le storie, come le stelle, sono tante. Milioni di milioni. Ci sarà sempre chi ha voglia di raccontarle e ci sarà sempre chi ha voglia di starle a sentire. Di leggerle. Su uno schermo, su un foglio di carta. Non importa. Ci sarà. C’è. Se smetteste di pensare che qualcuno vi odia per quel briciolo di fama in più, riuscireste ad accorgervene. E a goderne mentre scrivete la prossima storia.

 

martedì 15 settembre 2015

La rivoluzione di Lauraetlory è in arrivo


Ci siamo. È successo altre volte. Una persona che ha creduto in noi quasi dieci anni fa, ci disse che ogni inquietudine, ogni dubbio, ogni timore sarebbe terminato nel momento in cui avessimo avuto tra le mani il nostro libro. All'epoca di e-book non si parlava. Quella persona ebbe ragione e torto insieme. Perché avere tra le mani la nostra prima pubblicazione, nel settembre del 2006, fu terapeutico. Ma sancì anche l'inizio di una serie di emozioni cui non possiamo e non vogliamo rinunciare.

Sta per uscire il nostro nuovo romanzo. E-book curato, vezzeggiato, pubblicato dalla squadra di goWare. Ricardo y Carolina arriva dopo Il puzzle di Dio. Due storie che più diverse non si potrebbe. Un romance storico dopo un thriller con elementi mistery. Figli nostri, entrambi. Uniti dalla nostra passione e dalla fiducia di chi ha investito nella nostra scrittura. Li abbiamo amati, educati, corretti, limati, difesi. Il puzzle è andato nel mondo con la sua copertina zafferano e si è fatto onore. Ricardo y Carolina lo seguirà con una copertina tutta rosa e la pretesa di raccontare di donne d'altri tempi senza mai cadere nello stereotipo. A questo romanzo corposo (i nostri lo sono quasi sempre) e variopinto di sete e merletti, di cartucciere e sombreri, di vita e di morte il compito di traghettarci verso un anniversario importante. Il decennale della nostra presenza (piccola, in sordina ma costante) nell'editoria italiana. E, credeteci, non avremmo potuto affidarci a mani migliori di quelle di Don Ricardo, aristocratico e idealista, e della signorina Carolina Crivelli, decisa a prendersi dalla vita esattamente quello che vuole.

venerdì 24 luglio 2015

Ancora su librai e librerie

Mi ritrovo, ancora, a parlare di librai e librerie perché, alla notizia che una bella antologia pubblicata da Las Vegas Edizioni ("Prendi la De Lorean e scappa") sia stata di fatto "boicottata" da una commessa di una libreria di catena ho proposto di procedere con acquisti online, che per i lettori di editori non grandissimi sono garanzia di successo (li trovi, li compri, li leggi). Las Vegas mi risponde che ci sono ottime librerie e ottimi librai che perderebbero il loro posto di lavoro se tutti la pensassero come me. Sempre oggi sul blog Rosapercaso trovo questo post che, giustamente, inneggia alle librerie indipendenti e ai libri di qualità. E allora mi ricordo di aver dedicato una riflessione alla crociata contro Amazon, questa. Crociata che non mi trova d'accordo, in soldoni. Ma urgono alcuni chiarimenti: non ho nulla contro i librai, anzi. Una che adora i libri da sempre non può che essere dalla loro parte. Il problema è che non c'è mai stato un libraio di fiducia nella mia vita. Perché non c'è mai stata una libreria di fiducia. Pigrizia mia, probabilmente. Ma l'unica che potrei considerare tale è la Ubik di Monterotondo dove a coccolare libri, lettori e autori c'è, tra gli altri, Chiara Calò . Peccato che io viva a Campobasso e che le mie pur frequenti puntate a Roma difficilmente mi consentano di andare a salutarla e a farmi consigliare nuove letture, come vorrei. Tutto questo per dire che vorrei, ma non posso. E per non rinunciare al mio motto #ioleggodifferente, i libri, quasi tutti i libri, li acquisto online. Se è una colpa, mi dichiaro colpevole.

mercoledì 22 luglio 2015

Goduria - ovvero l'arte di togliere senso alla narrazione


E' Loredana che vi parla. Visto il successo dell'esperimento di scrittura non-sense derivato da riflessioni sul trionfo della narrativa "supercazzoliana", ho pensato di unificare quanto fin qui prodotto e rendervi noto che Sconfitto e Distrutta sono i protagonisti della non-storia che ho intenzione di raccontarvi per intero. Buona lettura.
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Sconfitto sapeva che nel suo nome, aggrovigliato nei tessuti di un'umanità apologetica, svirgolato dalle sinapsi del suo colon che emanava pensieri presbiteriani, combustionando paradigmi di inusitati alveoli avrebbe emulsionato sfinteri creando una ballata Escherichia coli putrescenti.

Le labbra di Distrutta, esegetica compagna di Sconfitto, si attaccarono suggenti al marmo aspirando microbiche drosofile che impattano scivolanti su papille consumate da logorroici amplessi. La salita suggerisce il tempo della siderurgia. Che lima soffioni di elio evaporati da riflessioni che si affacciano sperticandosi (come cellule gliali insabbiate) mentre il nulla vortica incontrando il niente e figliando ibride stelle che attendono in medicei destini.

Era bollente, vulcanizzata da un'assioma pettegolo  e incoerente che friniva sbriciolando orgasmi serpentini senza contare le fistole suppuranti lussuria che straripavano correndo lungo percorsi infiniti di mani piedi braccia tentacoli occhi e orecchie e sapeva, sì, sapeva, che dietro quella palingenesi di filantropia dissociata  si nascondeva un trasudo catartico di testosterone stantio.


Sconfitto senti crescere il terrore di averlo perso, più si incrinava l'insicurezza di quella mancanza più un gelido torpore saliva a bagnargli il ventre rigonfio di desiderio ancestrale.
Distrutta lo fissava, gli occhi cerchiati da una ialina libidine, il seno afflosciato sul desiderio colloso e aspro che le rantolava tra le gambe. Gambe di gazzella, di giraffa filiforme che allunga il collo in cerca di uno scroscio di sassi che percorrono all'inverso il desiderio sepolto di una vorace astinenza. Ma il momento era giunto. Lei lo sapeva e questa ignoranza la catapultava in una strisciante rotondità di onniscienti presenze.
Non c'era tempo per riflettere, non c'era tempo per pensare, agire, fare, baciare lettere o testamento. Sesso. Sozzo, bollente, urticante, strafottente, malato, insano, smidollato, sbrodolante come nebbia di pulviscolo che investe latrine incrostate di escrementi. Merda.
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Alla prossima

lunedì 20 luglio 2015

Ebbene sì: esiste il FEMMINISMO ROSA


Rifletto. Mi capita. Anzi, direi che è la mia attività principale. E non sono uno specchio. Okay, la battutaccia la dobbiamo al caldo. Ma, dicevo, rifletto. Chi mi segue sa che da tempo mi interrogo sulla scrittura. E sulla scrittura delle donne. Ho intervistato un bel po’ di autrici, ne ho ricavato un saggio (https://www.bookrepublic.it/book/9788896656815-scrivere-non-e-un-mestiere-per-donne/) e non ho mai nascosto il fastidio che provo per il radicato pregiudizio in base al quale a una firma di donna in copertina, corrispondano per forza pagine dedicate a una storia d’amore. Un fastidio spesso condiviso dalle autrici che ho intervistato. Averne parlato mi ha procurato non pochi scontri con lettori/scrittori maschi convinti che il sillogismo sia “le donne parlano solo d’amore – le donne scrivono libri – i libri delle donne parlano solo d’amore”. Potremmo facilmente dimostrare che non è così, ma non è di questo che voglio parlare adesso. Perché l’amore è l’argomento principe del 99,9% delle storie da che esiste la scrittura. E anche prima. Raccontarne è una pulsione insita nell’animo umano, a prescindere dal cromosoma X o Y. La questione è come lo si racconta. Ed è qui che voglio introdurre il concetto di “femminismo rosa” per il quale rimando al blog di Mara Roberti https://rosapercaso.wordpress.com/ con un sottotitolo che è tutto un programma. Ovvero “O di come una femminista convinta iniziò a scrivere rosa”. Una dichiarazione che è un distillato di coraggio perché l’immagine che si associa oggi al termine femminista è descritta da poche parole: brutta, vecchia, zitella, acida. Non conosco personalmente Mara Roberti ma sono certa che neanche una di queste quattro categorie le appartenga. Mentre sicuramente le appartengono intelligenza e ironia, quelle con cui affronta l’apparente dicotomia tra l’essere femminista e lo scrivere storie d’amore. Il femminismo rosa esiste. Lei lo ha messo nero su bianco, ma a ben guardare è sempre esistito. Riconoscerlo è facile. Ogni volta che un romanzo ci propone figure di donne descritte a tutto tondo, con pregi e difetti, capacità e carenze, momenti di forza e attimi di debolezza. Ogni volta che non si indulge nello stereotipo della fanciulla in difficoltà che mai verrebbero superate se non intervenisse il principe di turno. Ogni volta che la conquista e l’espressione del sentimento non sono il solo motivo di vita per la protagonista. Ogni volta che i ruoli non sono cristallizzati in preda e cacciatore, in candida colomba e lupo tenebroso. Ogni volta che la storia d’amore è, anche, storia di vita, percorso di realizzazione, ricerca del meglio per sé. Ritengo che le scrittrici abbiano, oggi più che mai,  compiti importanti: spezzare i limiti della banalizzazione, mostrare al lettore donne vere, persone complete. Non vuol dire rinunciare alla storia d’amore. Tutti i libri ne contengono una, anche quelli del più macho degli scrittori. Ma mettere nero su bianco un rapporto paritario. E reale. Perché di donne disposte a perpetuare lo stereotipo dell’angelo del focolare se ne incontrano sempre meno. Per fortuna.

p.s. se vi va, sull’argomento c’è la mia chiacchierata con Florelle

sabato 2 maggio 2015

Ecco come funziona #ioleggodifferente

Il post originale lo trovate qui:


http://www.cultora.it/come-funziona-ioleggodifferente/


Servono, nell'ordine:
- Lettori curiosi di nuove letture;
- autori disposti a mettersi in gioco;
- editori coraggiosi e pronti a sostenere le proprie scelte editoriali;
- librai con qualche scaffale libero dai soliti noti.


Ci saranno copertine, incipit, stralci da spulciare, leggere, commentare, anche criticare se ne avete voglia.
Soprattutto ci saranno da leggere libri differenti.


Il sito (online, ma ancora in allestimento) è www.ioleggodifferente.it


Ci sarà da divertirsi, vi aspettiamo.

martedì 28 aprile 2015

La socia volante

Ci sono donne che affrontano le tempeste senza timori e senza esitazioni. Donne che vedresti bene con un mantello nero e un cappello piumato al timone della Folgore del Corsaro Nero mentre la procella imperversa sul golfo dei Caraibi, corpo di mille cannoni! Ebbene, la socia è una di queste donne.
Averla dalla propria parte è una grande fortuna. Trovarsela avversaria, ragazzi, sarebbe una jattura. Questo deve aver pensato quell'innocente patina di sporco che si era depositata sulla tenda del suo balcone nel corso dei mesi invernali. Che poi, sporco, parliamone. Un lieve grigiore. Quel tocco di smog che fa ambiente metropolitano, anche se la socia vive in una delle poche zone ancora bucoliche di Roma. Io ne avrei avuto pietà, del grigiore intendo. Lei no.
Quindi oggi, degna sodale di Jolanda la figlia del Corsaro Nero, mentre il vento mugghiava intorno al piano attico, cortine di pioggia fitta sferzavano il ponte... pardon, il balcone, Essa, armata di spazzolone, detersivo e tubo per innaffiare, paludata che manco il capitano Achab nell'affrontare il bianco e riluttante cetaceo, ha affrontato le intemperie per sconfiggere il nemico sulla tenda. Inutili i tentativi del vento di strapparla alla tolda. Inutile lo sforzo del lieve grigiore di resisterle. Vana la furia degli elementi. La socia, incurante del rischio di involarsi sulla campagna romana sulle orme del protagonista di UP, ha spazzolato, sfregato, sciacquato, sagramentato (oh, figlia di pirata per l'occasione non signore) e... VINTO. Alla fine, zuppa come una vongola nella fossa delle Marianne, è rientrata in casa. La tenda sfavillante, il lieve grigiore disciolto nella pioggia come i ricordi del replicante di Blade Runner, le armi grondanti e rinfoderate.
Ci sono donne così, ora lo sapete.
Quello che non sapete è che, se quando torno a Roma la trovo raffreddata morta e impossibilitata a scrivere, la detersa tenda servirà per il trasporto del suo cadavere.

sabato 28 marzo 2015

#ioleggodifferente: si va a incominciare


In Italia si legge poco. E quei pochi leggono sempre gli stessi. E' un fatto. Questione di visibilità, di ben orchestrate campagne marketing, di un monopolio editoriale conclamato. Difficile convincere un non lettore ad appassionarsi alle pagine scritte o allo schermo di un e-reader, lo sappiamo. Ma è altrettanto difficile far sì che un lettore forte, di quelli che leggono più di un libro al mese, scopra un panorama narrativo diverso da quello che gli viene proposto sugli scaffali delle grandi librerie di catena. Ed è per raggiungere quel lettore che nasce #ioleggodifferente.

Differente non vuol dire migliore, vuol dire diverso. Ci sono molti autori validi, pubblicati da case editrici piccole e indipendenti, che non riescono materialmente a raggiungere i lettori. Manca la distribuzione, manca la pubblicità, manca la volontà, anche, di andare “a caccia” di qualcosa di diverso, di un nome nuovo, di storie inconsuete.

#ioleggodifferente nasce per favorire l’incontro tra scritture poco conosciute e lettori.
#ioleggodifferente è su twitter: https://twitter.com/leggodifferente
e su Facebook con la pagina https://www.facebook.com/ioleggodifferente
#ioleggodifferente è su instagram, su pinterest, su google+
#ioleggodifferente è una rete di blog che da sempre si interessano di scrittori e scritture differenti.
#ioleggodifferente sarà un sito (di prossima pubblicazione).
#ioleggodifferente è, soprattutto, voglia di agire adesso:

gli autori che aderiscono al progetto mettono a disposizione una copia di un loro libro; uno stralcio verrà pubblicato sul sito. Chi vorrà lo leggerà e lo commenterà. L’autore, a proprio insindacabile giudizio, regalerà a un lettore/commentatore una copia del libro. Il lettore riceverà il libro e ne documenterà l’arrivo con una foto che verrà pubblicata sul sito, sui blog e su tutti i social coinvolti. Il lettore leggerà il libro, lo commenterà (a proprio insindacabile giudizio), poi sceglierà un altro lettore cui passarlo. E la procedura riprenderà in una catena di lettura/passaparola che può allargarsi ai librai che vorranno partecipare, mettendo in vetrina uno o più libri DIFFERENTI consigliandoli ai propri clienti (con l’indispensabile complicità degli editori coinvolti).

Invitiamo editori, autori, lettori e librai interessati ai libri DIFFERENTI:

a seguire #ioleggodifferente sulla pagina fb e sugli altri social e/o
a collaborare attivamente alle iniziative in preparazione iscrivendosi al gruppo fb  #ioleggodifferente.
A breve il sito e molte novità: restate in contatto!

lunedì 23 marzo 2015

Scrivere? Non è un mestiere per donne: discriminazione editoriale in pillole


 
 

A parità di talento e di meriti, la scrittrice dovrà faticare il doppio

(se non il triplo) per essere anche soltanto presa in considerazione.

La triste verità è che, perlomeno in Italia, questo accade in ogni ambito

della vita di una donna.

Gaja Cenciarelli

 

“…penso che il problema si aggravi quando si parla di giallo, o peggio

di horror, in quest’ambito c’è certamente una sorta di diffidenza per

le autrici e quindi una certa forma di discriminazione, so che ad alcune

colleghe è stato proposto di pubblicare con uno pseudonimo maschile.”

Floriana Tursi

 

“…fateci caso, uno scrittore ha, in genere, molti più fan di una scrittrice,

e la maggioranza sono donne. Perché la donna vede a tutto tondo,

giudica su varie sfaccettature, non si ferma all’apparenza.

Simonetta Santamaria

 

Un mio amico scrittore diceva che per scrivere il suo ultimo romanzo

aveva impiegato 13 mesi durante i quali si era auto recluso. Per

mettere insieme 13 mesi pieni di scrittura io, tra impegni familiari di

vario tipo e necessità di sbarcare il lunario, devo impiegare 13 anni.”

Mavie Parisi

 

Le scrittrici per essere note o famose o avere i propri libri in vista

in libreria devono essere profonde e impegnate, serie e senza troppi

vezzi, oppure (apparentemente) leggere e dedite alla scrittura chick

lit. Prestazioni maggiori, o caratterizzate da ciò che è di moda.”

MariaGiovanna Luini

 

“…le lettrici leggono indifferentemente scrittori maschi e scrittori

femmine, guardano solo all’interesse per la trama, mentre i lettori

no. I lettori maschi si fidano poco di un libro scritto da una donna,

pensano che per forza sarà una menata rosa, con poca azione…”

Lilli Luini

 

Viviamo in un paese in cui il maschilismo - spesso con la complicità,

duole dirlo, delle donne stesse - è una piaga ben lungi dall’essere

debellata. Anzi, direi proprio che da diversi anni è in corso un tentativo

di restaurazione che mira a demolire conquiste che purtroppo

non sono affatto assodate e che a volte hanno addirittura una sostanza

solamente formale.

Francesca Bonafini

domenica 15 marzo 2015

Scrivere? Non è un mestiere per donne: prologo

“…ci sarà sempre qualcuno disposto a spergiurare che non è vero, che tutti scrivono, uomini e donne, che tutti pubblicano, e che, oggi, non pubblicare in Italia è raro quasi quanto non aver fatto i provini per il Grande Fratello, e soprattutto, che una scrittrice donna italiana può scrivere un best seller così come essere il nuovo emergente caso da dibattito culturale. Peccato che fatte salve preziose eccezioni, a scalare le classifiche siano i consigli di Nonna Papera e il caso letterario stia mettendo adesso i denti da latte. Perché, vedete, oltre che delle buone intenzioni l’Italia è il paese dove un libro di ricette è capace di rimanere il libro più venduto per settimane se non per mesi. Perché allora sorprenderci e farci venire l’orticaria galoppante quando anche in ambito editoriale siamo ancora rappresentate per lo più come nonne papere o lolite?”
(Silvia Mango – blogger )

 
 
Ed eccoci qui. A cercare di tirar le somme dopo quasi due anni di interviste a scrittrici famose e misconosciute, a donne blogger, a donne editor, a coraggiose autrici di horror e gialli e noir (generi notoriamente
da maschi), ad ancora più coraggiose autrici di famigerata,
vilipesa ma quanto letta e consumata narrativa rosa (confessate, avete arricciato il naso!), nello sforzo di capire. Perché lo so, l’ho provato sulla mia pelle, che saranno moltissime le voci contrarie. Ma ritengo che, così come esiste nella società italiana di oggi, una questione femminile sia viva e presente anche nel mondo rarefatto dell’editoria.
Non sto preparando il terreno per le quote rosa, cui non credo neanche dal punto di vista economico, politico e sociale. Ma ci sono dati di fatto sui quali vale la pena ragionare, come abbiamo tentato di fare insieme alla scrittrice e giornalista Marilù Oliva con una mini inchiesta
sul blog La poesia e lo spirito.
Era l’8 marzo del 2011 e si constatava che, entrando in libreria e girando tra gli scaffali, così a colpo d’occhio appariva e appare evidente che gli autori sono molti più delle autrici. Poi allargando il punto di vista e concentrandoci sulle persone che circolano tra gli scaffali, prendono volumi, vanno alla cassa e acquistano, si appurava e si appura senza sforzo che sono soprattutto donne.
La dicotomia esasperata che ne potrebbe uscire è: gli uomini scrivono, le donne leggono. Ma solo la seconda parte della frase si avvicinerebbe alla realtà. Le donne leggono. In un paese come il nostro, dove i lettori cosiddetti forti sono una sparuta, ma agguerrita, minoranza, le lettrici sono di più. Il dato curioso è che anche le scrittrici, o aspiranti tali, sarebbero di più. Ma a parte pochi esempi di estrema e a volte discutibile attualità, gli editori non cercano donne. Mi si dirà che l’editore cerca la storia efficace. Giustissimo. Ma poiché le maggiori frequentatrici dei cosiddetti corsi di scrittura creativa sono donne, per la legge dei grandi numeri, verrebbe da pensare che la maggior parte dei manoscritti che giungono alle case editrici siano firmati da donne.
E che qualcosa di efficace, tra tutti quei fogli, debba pur esserci.
Ma in catalogo gli uomini sono di più. Non solo. I lettori uomini, che non sono maggioranza, ma esistono e pesano, spesso scelgono i libri in base a un pregiudizio: se l’ha scritto una donna, no.

No, perché le donne scrivono rosa.
No, perché le donne parlano di privato, famiglia, figli.
No, perché gli uomini scrivono meglio.

Magari non enunciato così brutalmente, ma la convinzione di fondo esiste pur prevedendo eccezioni. Poche. Quando decisi di lanciare il progetto Scrivere Donna sul sito Scrivendo Volo, ricevetti sul blog il commento di un lettore che affermava di apprezzare Rosa Matteucci perché, cito testualmente: vivaddio, non scrive da donna.
Mi piace anche citare, in questo preambolo introduttivo, un estratto della prefazione che Gianluca Morozzi ha dedicato al divertente e consigliato volume Caro scrittore in erba… di Gianluca Mercadante (Las Vegas Edizioni). Lo leggiamo insieme?

“Ti sei visto diventare (Morozzi si sta rivolgendo allo scrittore in erba cui il libro è dedicato, n.d.r.) quantomeno un Andrea De Carlo, fascinoso, sempre in barca o tra casolari di campagna, eternamente giovane e piacente, se sei maschio. O una figura di riferimento per la nuova scrittura femminile al di là degli stereotipi, se donna.”
 
Vi chiedo: salta agli occhi solo a me?
Dovendo scegliere e, sì per carità, ironizzare, il prefatore sull’esempio maschile ha avuto solo l’imbarazzo della scelta. Per inciso Andrea De Carlo, con la sua partecipazione al talent Masterpiece, è un’icona
(involontaria) perfetta. Ma lo sforzo, se pur c’è stato, è miseramente fallito nella ricerca di, rileggiamolo insieme, “una figura di riferimento (che evidentemente non esiste) per la nuova scrittura femminile (nuova?) al di là degli stereotipi (quali lo vedremo in seguito)”.

In soldoni al Morozzi, stimabilissimo e divertente autore, un nome di scrittrice da affiancare all’icona De Carlo non gli è proprio venuto.
Secondo voi è un caso?
È su questa realtà che ho voluto capire e far capire perché la discriminazione (eccola, la parolaccia) sia presente anche in un ambito dove dovrebbe regnare il talento. E il talento, nel migliore dei mondi possibili, è come gli angeli: non ha sesso.
Lungi dal volerci ghettizzare o dal lanciare una crociata contro gli scrittori, nelle pagine a seguire ascolteremo tante donne raccontare il loro modo di vivere la scrittura. E scopriremo quanta grinta sia necessaria per realizzare ciò che a nessun uomo verrebbe mai chiesto:

tenere in equilibrio vita e sogno, panni da stirare e capitoli da finire, cene che rischiano di bruciare e personaggi che pretendono attenzione, successi in pubblico e sensi di colpa nel privato.

Pronti?