Ambientazione e
descrizione dei luoghi
Potrebbe essere una (non) lezione due bis, perché il
discorso ambientazione è
conseguenziale al discorso scrivi di ciò
che conosci. Come giustamente faceva notare Carlotta Borasio di Las Vegas
Edizioni il problema non è tanto dove ambientare la nostra storia, ma il motivo
per cui decidiamo di ambientarla in quel determinato luogo. Ed è un fatto che
la maggior parte degli aspiranti scrittori hanno una vera e propria
fascinazione per le location di
tendenza. New York, per dirne una su tutte. Molti, moltissimi romance si
svolgono a New York. Pare che innamorarsi davanti alle vetrine della Fifth
Avenue sia molto più fico che innamorarsi in vicolo delle Zoccolette, a Roma.
Ma è davvero così? E, soprattutto, quali caratteristiche deve avere una storia
per raccontare anche il luogo dove si
svolge?
Andiamo per gradi. Se sei di Milano, ambientare una storia
a Scicli, in Sicilia, potrebbe presentare le stesse difficoltà che ambientarla
a Ulan Bator, in Mongolia. Ci sei stato a Scicli? Mettiamo di no. Magari hai
visto tutte le serie di Montalbano, che aiuta, ma non ci sei stato, non hai
passeggiato per i vicoli, non hai sentito l’odore dell’aria, il caldo estivo, i
suoni. Rinunci? No. Sfatiamo un mito, anzi più di uno. Con la scrittura non ci si
arricchisce, salvo alcuni talenti che si possono contare sulla punta di una
mano, per quanto riguarda l’Italia. Quindi, a meno di non essere ricchi di
famiglia, sarà difficile prendere su un cambio di biancheria e andare a
documentarsi sul posto. E allora? Allora subentra l’enorme fortuna di vivere
nell’epoca di Internet, di Google Earth, Street, Maps e via digitando. È
sufficiente? No. Perché per essere efficace un’ambientazione deve raccontare lo
spiritus loci. Ovvero una realtà
immaginale che possa essere riconosciuta come reale. Non è un lavoro facile e,
badate, non è facile neanche se un romano decide di ambientare la propria
storia a Roma. Intanto è fondamentale evitare quello che viene chiamato infodumping. A me lettore non importa un
fico secco se tu autore mi descrivi il tragitto che il personaggio A percorre
in auto per arrivare dal personaggio B meglio di un Tom-Tom con tanto di
svolte, traverse, sensi unici e semafori. Ma se mi dici che il personaggio si muove
nei sobborghi di Stoccolma e la canicola fa tremolare l’aria sui prati aridi di
siccità, io prendo il tuo libro e lo inserisco direttamente nel cassonetto
della carta da riciclo. L’esempio è tratto dalla realtà di un’aspirante
scrittrice che abbiamo avuto, io e la socia, la sfortuna di leggere da inedita.
Del fatto che non sia poi mai andata in stampa potete ringraziarci. L’eccezionalità
climatica può accadere, certo, ma il lettore ha un proprio immaginario legato a
suggestioni accumulate. E se pensa a Stoccolma, immagina un posto pulito,
magari bello, tutto arredato Ikea, di sicuro freddo, piuttosto cupo e pieno di
serial killer e di uomini che odiano le
donne. Di certo non associa la Svezia alle ascelle sudate.
Quello che è importante capire è che l’ambientazione non è
una piatta scenografia, ma un personaggio non diversamente da quelli in carne e
ossa che avete deciso di far agire, amare, soffrire, tradire, uccidere, morire
nella storia. Se il romanzo, o il racconto, è ambientato a Las Vegas, deve
esserci un motivo che renda necessaria quell’ambientazione. La storia che state
raccontando non avrebbe senso se fosse spostata dal Nevada in Brianza? È questa
la domanda. Questo il discrimine. Perché se l’ambientazione è solo uno sfondo
buttato lì, c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Sarà capitato anche a voi
di leggere libri dove l’autore o l’autrice piazzano un accenno a Piccadilly
Circus, una passeggiata sul Black Friars Bridge, uno spuntino a base di fish
and chips e pretendono di avervi collocato a Londra. Poi si dimenticano che si
guida sulla sinistra, tanto per dirne una.
E qui torniamo al discorso dello scrivere ciò che si conosce per come lo intendo io. Mettiamo che
vogliate ambientare una storia in Brasile. O ci siete nati e ci avete vissuto,
come l’autrice Amneris Di Cesare, oppure vi armate di santa pazienza e andate
oltre wikipedia. Il segreto è leggere libri di autori del posto; guardare film;
trovare testimonianze di turisti, ma di quelli che non si limitano a chiudersi
in un resort; guardare documentari. Accumulare informazioni e suggestioni.
Riempirsi gli occhi di immagini, di colori, di modi di muoversi, di modi di
vestirsi. Non importa se di tutto questo bagaglio solo una minima percentuale
entrerà nella vostra storia. Non state scrivendo una guida turistica né uno
stradario. Dovete restituire al lettore l’atmosfera, fargli visualizzare quel
tipo di ambiente, di strada, di casa. E sì, fargli anche sentire odori e
sapori. Se state pensando che non è facile, benvenuti in una delle mille
difficoltà che incontra chi vuole scrivere
e non buttare giù quel centinaio di paginette tanto per. E ricordate che stiamo
parlando di ambientazioni e storie contemporanee. Per i viaggi nel passato
avremo una (non) lezione apposita e lì saranno veramente dolori.
Vogliamo provare a tirare le somme?
Dovunque lo vogliate portare, il lettore deve arrivarci
senza alcuno sforzo. Gli sforzi devono essere tutti vostri. E non si devono
percepire. Se la storia è ambientata dal 2000 a oggi, a meno di non avere per
protagonisti dei boscimani o delle tribù dell’Amazzonia, non sarà credibile che
non siano muniti di smartphone. Se dovessero prendere un aereo, dovranno fare i
conti con i controlli anti-terrorismo. Se nuotano nel Mediterraneo potranno
affogare o essere punti da una medusa. L’attacco dello squalo bianco lo vedo
poco probabile. Se sono a Londra e guidano l’auto, non potranno mai tenere il
braccio sinistro fuori del finestrino. Se fanno trekking in Nepal verso il
campo-base dell’Himalaya dovranno fare i conti con le difficoltà respiratorie
ma se avranno bisogno di un caffè espresso, potranno berne uno in un rifugio
gestito da profughi tibetani muniti di una macchina Cimbali; che ci crediate o
no è una realtà. Se sono donne e si muovono in un paese islamico, sarà bene
fare i conti con il vestiario e con il velo. Possono scegliere di non
indossarlo, ma questo, come minimo, causerà salve di sguardi di riprovazione da
parte degli autoctoni. Se immaginate un inseguimento a Venezia, immaginatelo a
piedi o, al massimo, in motoscafo. Vedo il sopracciglio alzato e allora
rilancio: ad Amsterdam un inseguimento in auto può trovare seri ostacoli, lì
opterei per biciclette o, al limite, moto.
Superate gli stereotipi legati alla nazionalità: il mafioso
russo, il terrorista ceceno, la prostituta ucraina, la badante romena, il
riccone americano, il francese lezioso, l’inglese rigido, l’italiano arruffone.
Superate gli stereotipi legati ai luoghi: Napoli sporca e
assolata, Londra piovosa, New York luccicante e glamour, Milano nebbiosa, Mosca
innevata, Pechino oppressa dalla coltre di smog. I luoghi, come i personaggi,
hanno uno spessore e molte sfaccettature. Assodato che a Stoccolma la canicola
e i miraggi della fata Morgana sui prati aridi li vedo difficili, descrivere
Londra sotto un bel sole primaverile o San Pietroburgo assediata da nugoli di
zanzare durante le notti bianche estive può offrire spunti diversi e dimostrare
lo sforzo di conoscenza che l’autore vuole mettere al servizio della storia e
del lettore.
Se poi, dopo quanto detto, decidete di ambientare la storia
nel vostro condominio, posso comprendervi. E anche leggervi con piacere. A
patto che quel vostro condominio me lo descriviate con lo stesso trasporto che
usereste per Greenwich Village a New York.