martedì 28 dicembre 2010

Propositi letterari per il 2011

L'annuncio e' semiufficiale ancora, ma per febbraio 2011 Historica dara' alle stampe il mio petit cahier di viaggio "New York is a woman" (cui si riferisce la foto qui accanto, da me scattata durante il viaggio del novembre 2009).

Poi, a settembre 2010 ho messo la parola fine al mio romanzo postmoderno e un po' fantasy "La lunga guerra" che ho pubblicato online sul nostro blog di lettura insieme alle splendide illustrazioni di Niccolo' Pizzorno di cui qui di seguito vi offro un assaggio:


Ma passiamo ai progetti del duo Lauraetlory. Stiamo lavorando a un romanzo storico sul Messico di Massimiliano d'Asburgo e Benito Juarez, titolo provvisorio "Prigioniera della storia", il cui lavoro di documentazione e stesura e' a dir poco entusiasmante (per noi, sia chiaro). Inoltre, in attesa di sapere se il nostro thriller mistery "Il puzzle di Dio" trovera' interesse presso gli editori che lo hanno in visione, abbiamo gia' ben chiaro in mente come si sviluppera' la trama della prossima avventura della coppia investigativa Quirino Vergassola - Nemo Rossini (che avete conosciuto nel nostro Fiume pagano). Non esiste un titolo provvisorio, ma Historica intende farne la nuova uscita per il Natale 2011. Insomma, come ha detto un nostro caro amico, se dovesse quagliare tutto insieme, il 2011 sara' un anno col botto.

domenica 26 dicembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": TPS, un servitore dello stato

Tommaso Padoa-Schioppa è morto nella notte del 18 dicembre scorso, a Roma. Aveva 70 anni e stava partecipando a una cena. Ha avuto un malore, è stato soccorso e portato in ospedale, ma è spirato per arresto cardiaco lasciandoci soli e condannati a quella “veduta corta” cui aveva dedicato il suo ultimo saggio. I mass media ci hanno fatto sapere che gli amici e i giornalisti che avevano la fortuna di conoscerlo personalmente lo chiamavano Tps. Poi ci hanno ricordato che era un timido e che se la cavava molto meglio coi conti e con i saggi che non con le dichiarazioni estemporanee. Perché nel paese dove il 25% dei contribuenti evade il fisco totalmente Tps, con quella sua faccia lunga da medico di provincia, ebbe l’ardire di andare in televisione e affermare che "pagare le tasse è bello", perché ti fa partecipare al bene comune. Aveva ragione, lo sappiamo, ma una cosa del genere in Italia puoi pensarla, non dirla. Soprattutto quando all’opposizione dell’allora governo Prodi c’era Berlusconi a cavalcare la genetica tendenza degli italiani a fare sempre e comunque i propri, ristretti interessi. Una veduta corta, appunto. La stessa che permise che un economista come lui, padre fondatore dell'Unione monetaria e protagonista nel cammino che portò alla nascita dell’euro, uscisse dalla scena politica così come vi era entrato. In sordina. "Le istituzioni vengono prima degli uomini", amava ripetere. E nel rispetto delle istituzioni accettò che gli venisse scippato il governatorato di Bankitalia. Avrebbe dovuto succedere a Ciampi, gli preferirono Antonio Fazio e tutti sappiamo com’è andata a finire. Tps non era attaccato alle poltrone. In quanto tecnico, si sentiva comunque importante per questo paese e meno di un mese fa aveva espresso in un editoriale i quattro difetti da correggere per ricostruire l’Italia: rapporto tra elettori e politica (legge elettorale), rapporto tra politica e l'informazione (televisioni in primo luogo), funzionamento della giustizia (indipendenza e tempi dei giudizi), rapporto tra Nord e Sud (federalismo). Non li portava bene i suoi 70 anni, ma non aveva perso il gusto (che per lui era anche dovere) di una attiva partecipazione alla 'res pubblica'. Sui media è stato tutto un diffondersi di omaggi all’uomo delle istituzioni. Ma Tps era fuori moda come pochi altri: laico, orgoglioso di essere italiano, innamorato dell’Europa, incapace di relazionarsi con la comunicazione di massa. A chi gli ricordava l’infelice battuta sui “bamboccioni” Tps ribadiva che si era trattato di un invito ai volonterosi, non una critica ai nullafacenti (di cui avrebbe detto con ben altri toni Brunetta). Fiato sprecato. Per lui che era un inguaribile idealista non poteva esistere assoluzione. Aveva dimostrato che il rigore nella gestione della cosa pubblica non solo era possibile, ma attuabile. Aveva portato l’Italia dalla “veduta corta” in Europa. Aveva definito bellissime le tasse. Era un servitore dello Stato. Una razza in via di estinzione.

Laura Costantini

mercoledì 22 dicembre 2010

Spirito natalizio?

Sono bloccata a lavoro dalle manifestazioni sacrosante degli studenti contro la riforma Gelmini e mi scopro a pensare al Natale. Quando ero bambina il periodo di attesa, quello che chiamiamo Avvento, sembrava dilatarsi allontanando la meta di quella notte magica che era tale per tutta una serie di motivi che esulavano dalla smania di regali che oggi va per la maggiore. Quando io ero bambina (da meta' anni 60 a meta' anni 70) i regali li portava la Befana. Babbo Natale non lo conoscevo proprio, non lo aspettavo. Aspettavo la riunione della famiglia, i giochi con i cuginetti, le cose buone da mangiare, lo scintillio dell'albero che sembrava acquistare una magia tutta particolare. Lo spirito natalizio era tutto in quell'attesa, nelle vacanze scolastiche che iniziavano e all'improvviso si aveva davanti una teoria di giorni di liberta' che sembrava, anch'essa, eterna. Potevo leggere, potevo disegnare, potevo giocare. Potevo anche fare i compiti, con calma, piu' interessata alle tombolate e ai giochi di carte da fare tutti insieme. Potevo fare tardi. Quello spirito, oggi, non riesco a ritrovarlo. Mi direte che sono troppo vecchia ormai, che il gusto dell'attesa e' roba da bambini. Ma Natale oggi arriva di corsa, sulla scia degli addobbi che occhieggiano gia' a fine ottobre, dei panettoni/pandori/torroni in offertissima da settimane, delle montagne di giocattoli pronti all'acquisto o di quelle confezioni tristi con dentro bagnoschiuma e saponette che nessuno usera' mai. Ho cercato "spirito natalizio" su Google (anche questo e' un segno dei tempi) e mi e' apparsa la foto di questo gatto in mezzo a tante altre. Mi ha colpito, forse per lo sguardo fiero e indifeso, con un fondo di attesa (forse solo che gli tolgano di dosso l'assurdo cappellino). Mi e' sembrato adatto a come mi sento oggi, bloccata a lavoro in un pomeriggio grigio mentre migliaia di giovani lottano contro un governo che minaccia di renderci tutti piu' poveri e piu' ignoranti. Forse se fossi a manifestare con loro, lo spirito del Natale toccherebbe anche me.

BUON NATALE

venerdì 17 dicembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": Succede se ci siamo noi


“Le cose succedono solo se ci siamo noi”. Lo diceva un anziano paparazzo della dolce vita romana, comprendendo in quel “noi” fotoreporter, cameramen, giornalisti. Non era una persona colta quell’anziano paparazzo, ma aveva colto il senso più profondo della funzione dei mass-media. La testimonianza di quanto accade nel mondo. Lo scorso 10 dicembre all’interno della Rai c’è stato uno sciopero. Sigle sindacali diversissime tra loro, spesso in lotta tra loro, si sono unite compatte per manifestare il dissenso dei lavoratori Rai al piano industriale sostenuto dal consiglio d’amministrazione e dal direttore generale Masi. Il pubblico ha percepito che qualcosa stava accadendo dal fatto che i tre notiziari del servizio pubblico, Tg1, Tg2 e Tg3, sono andati in onda in forma ridotta, senza servizi e con uno speaker autorizzato dal comitato di redazione a leggere il comunicato sindacale e quello di risposta dell’azienda. Alcune trasmissioni non sono andate in onda (“La vita in diretta” tra queste), altre sì, ma solo perché erano registrate. Maurizio Costanzo, conduttore dello spazio pomeridiano “Bontà loro”, avrebbe voluto che la puntata venisse trasmessa con un sottopancia che informasse il pubblico a casa che si trattava di una registrazione e che la redazione sosteneva lo sciopero in atto. Non è stato accontentato. L’adesione allo sciopero è stata massiccia, così come considerevole è stata la partecipazione alla manifestazione organizzata davanti alla sede Rai di viale Mazzini a Roma. Sono arrivati lavoratori dalle sedi Rai di Napoli (i primi a presidiare fin dalle 6 del mattino), di Firenze, di Torino, di Trieste, di Milano. Il colpo d’occhio non parlava di folle oceaniche, ma chi si è trovato a transitare nella zona di piazza Mazzini la mattina di venerdì 10 dicembre ha potuto vedere qualche migliaio di persone armate di bandiere, megafoni, trombette e striscioni che bloccava il traffico in tutta la zona. Il problema è che quelle persone erano cameramen, giornalisti, registi, autori televisivi, c’era anche la redazione compatta di “Anno zero”. Erano operatori della comunicazione. Erano quelli cui si riferiva l’anziano paparazzo. Quelli che le cose succedono solo se loro ci sono. Ebbene, noi c’eravamo, in tanti. Ma nessuno se n’è accorto perché noi che la televisione la facciamo, siamo stati praticamente ignorati dalla televisione. Pochissima la solidarietà dai giornali o dalle altre emittenti. Che la più grande azienda culturale del paese, quella che ha reso l’italiano la lingua di tutti, quella che ha testimoniato la storia stessa della nostra repubblica, stia per essere smantellata non fa notizia. Non interessa. Gli incliti critici televisivi che tuonano contro la mancanza di contenuti e condannano l’utilizzo coatto di format esteri nella realizzazione di programmi che i lavoratori Rai sarebbero perfettamente in grado di pensare e realizzare, tacciono. E noi che alle cose grandi e piccole di questo paese diamo voce, siamo stati messi a tacere.

Laura Costantini

martedì 14 dicembre 2010

Ma l'albero di Natale modaiolo no, ve prego

Natale, tempo di servizi giornalistici su temi importanti quali: come addobbare l'albero, come apparecchiare la tavola, come smaltire le abbuffate. Tralasciando sull'aspetto prettamente consumistico del quale ci lamentiamo ogni anno, salvo poi sgomitare come bertucce ammaestrate lanciate alla caccia dell'ultimo regalo griffato, veniamo al discorso addobbo dell'albero.
Intanto l'albero di Natale, come ci viene ricordato ogni anno, fa parte di quel corredo di colonizzazione culturale impostaci dal mondo anglo-americano insieme alla vituperatissima festivita' di Halloween. Propriamente nostro sarebbe il presepe, celebrazione cristiana di nobilissime origini (il primo fu firmato dal poverello di Assisi in persona). E che qualcuno mi spieghi che ci fa un albero di Natale king size nella piu' cristiana delle piazze.
Comunque, si diceva addobbo dell'albero. Un tempo una giovane coppia di sposi all'appropinquarsi del loro primo Natale coniugale andava a comprare l'albero sintetico e il corredo basic di addobbi. Voglio spezzare una lancia per l'albero sintetico perche', se di buona qualita', dura in eterno, non inquina e non costa la vita a una pianta viva e vegeta costretta per un mese nel caldo secco dei riscaldamenti, con un carico di palle, collane, fili d'angelo, lucine e accessoriame vario. Vorrei vedere voi a sopravvivere a tutto questo. Poi, tornando alla nostra coppia di sposini, di anno in anno, con l'accrescersi della famiglia, aumentava il corredo di addobbi e ogni singola pallina aveva un suo significato, un ricordo, una suggestione. Io sono cresciuta cosi', con pianti disperati ogni volta che una delle palle rigorosamente di vetro, rigorosamente decorata a mano, cadeva e si infrangeva insieme a una piccola porzione di vita. Ora mi direte che io sono cresciuta cosi' perche' ho ormai un'eta' veneranda. E avrete pure ragione. Ma io inorridisco al pensiero di quelli che ogni anno comprano un nuovo albero di Natale e un nuovo corredo di addobbi perfettamente intonati al colore piu' trendy del momento. Si porta il grigio? E vai con l'albero tutto argento e catrame. Va il viola? Ed ecco che l'abete si veste in stile quaresima. Tempi di crisi? Albero minimal, ovvero un ramo secco addobbato con ornamenti riciclati tra cui tasti di computer, sim card dismesse, filo di rame (che oggi vale piu' dell'oro) e qualche valvola che fa tanto vintage. Finite le feste l'albero e tutto cio' che vi ha scintillato sopra prende la strada del cassonetto e pronti per la prossima tendenza.
Ecco, per me il Natale non ha il valore religioso stretto. Ma e' una festa familiare quanto altre mai e mi piace che la mia mamma ogni anno mi chieda di tirar fuori gli scatoloni con le palline, alcune sopravvissute dai tempi della mia prima infanzia, e realizzi un alberello un po' sbilenco, bassino e un tantinello obeso, cui aggiungere la stellina, l'angioletto, il dolciume ultimo arrivato. Sull'albero della mia famiglia non si lavora mai per sottrazione. Proprio come fa la vita, a ben guardare.

lunedì 13 dicembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": Opposti televisivi

N.B. Questo articolo e' andato in pagina martedi' 7 dicembre, quindi i riferimenti temporali sono a quella data.

Sabato scorso in Germania, come avviene da più di dieci anni, è andato in onda lo show “Wetten dass?” (Scommettiamo che?) condotto da Thomas Gottschak e Michelle Hunziker. Asteniamoci dal notare che il boccoluto e attempato conduttore è lo stesso fin dalla prima edizione e che la flessione di ascolti lamentata dal settimanale Stern era dovuta al passaggio dai soliti 10 milioni di telespettatori a poco meno di nove. Sabato scorso a “Wetten dass?” è accaduto un incidente. Un incidente grave. Un concorrente è caduto durante un salto spettacolare e si è fatto male. Molto male. Un istante per vederlo cadere, poi la telecamera ha staccato sui conduttori, sul pubblico in piedi, attonito, su una barella che arrivava, sul volto sconvolto di Michelle Hunziker. Minuti di angoscioso silenzio, poi l’annuncio: la trasmissione è sospesa. Se funziona come in Italia, su quei momenti di stasi gli ascolti saranno schizzati alle stelle. Eppure il sipario è calato sulla tragedia di un ragazzo spericolato che rischia conseguenze gravissime. Domenica scorsa i notiziari italiani hanno riportato la notizia che, per casualità di scaletta, è finita quasi accanto a quella di una tragedia tutta nostrana. Un gruppo di ciclisti della domenica, in Calabria, nei pressi di Lamezia Terme. Tutti ragazzi. E una Mercedes lanciata a tutta velocità in un sorpasso impossibile: una strage. In attesa delle immagini, il cronista della sede regionale si attarda nel descrivere l’orrore di biciclette accartocciate e corpi abbattuti come birilli. Poi le immagini arrivano. I corpi sono stesi a terra, pietosamente coperti da lenzuola bianche. Le biciclette sono effettivamente accartocciate. Uno dei soccorritori si china a sollevare un lenzuolo e la telecamera parte di zoom cercando di carpire particolari di quel corpo senza vita con addosso i colori squillanti di una tenuta da ciclista. Non si vede molto, il soccorritore ricopre il corpo, l’obiettivo si allarga sulla strada cosparsa di cadaveri. Tante volte non avessimo capito fino in fondo la tragedia di cui il cronista continua a dire. Tutti giovanissimi e sportivi, l’investitore un marocchino accusato di omicidio colposo plurimo e anche lui grave in ospedale. Due opposti televisivi, modi diversi di trattare il dolore degli altri. Quel dolore che si è ormai impadronito del piccolo schermo. Sempre domenica scorsa, sempre da tg. Michele Misseri chiede di esporre la propria ennesima versione dei fatti sulla morte di Sarah Scazzi. Una morte che ci è stata descritta in ogni particolare, nella durata, nella ferocia, perfino nei tempi di permanenza nello stomaco di un singolo sofficino. E nello stesso giorno in un altro luogo, verrebbe da dire in un’altra Italia, un ufficiale dei carabinieri che avvisa i familiari della tredicenne scomparsa Yara prima di dare ai cronisti accampati a Brembate di sopra la notizia che c’è stato un arresto. E che l’accusa per l’operaio nordafricano è omicidio.

Laura Costantini

lunedì 6 dicembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": Gianna, colpevole di maternita'

Il vespaio intorno a Gianna Nannini, simbolo liberatorio per le “primipare attempate”, aveva cominciato a ronzare ben prima della nascita della piccola Penelope Jane. Una donna di 54 anni? È vecchia, quindi è ricorsa alla donazione dell’ovulo. Un’artista dalle dichiarate ambiguità sessuali? La bimba non potrà crescere equilibrata senza un padre. Ricca, famosa, fotografata con il pancione in copertina? Una che esibisce senza vergogna il proprio egoismo. Poi, lo scorso 26 novembre intorno a mezzogiorno, la bimba tanto attesa è venuta alla luce. Pesa due chili e 530 grammi, è lunga 48 centimetri e la vecchia Gianna l’ha partorita naturalmente e senza eccessivi sforzi grazie a una preparazione atletica che chiunque l’abbia vista su un palco ben conosce. Il tam tam dei media si scatena immediatamente. La notizia si diffonde in Rete e accanto ad auguri e felicitazioni, partono le polemiche. E gli insulti. Su Facebook, ormai cuore pulsante dell’opinione pubblica nostrana, accanto ai link alla notizia della nascita di Penelope si è letto di tutto. Anche un “che schifo!” firmato da un uomo con tanto di punto esclamativo. Che schifo. La nascita di una bambina? Certo che no. Che schifo l’ardire di una femmina che è colpevole non una ma quattro volte. Osa partorire quando la norma vorrebbe che, alla sua età, la fine della fertilità decretasse la fine del ruolo sociale di una donna. Poi non è particolarmente bella e se n’è sempre fregata ostentando rughe, naso importante, fisico androgino. Se non bastasse, non risulta abbia un maschio vicino, quando è prassi consolidata tra le cinquantenni vip accaparrarsi un muscoloso virgulto da esibire ai paparazzi e dal quale assorbire un ritorno ormonale di giovinezza. Non solo, non ha mai fatto mistero di avere una visuale sull’amore aperta a tutte le opportunità, dichiarandosi di fatto bisessuale. Ed ecco servito lo schifo. Una parola brutta, ma che serpeggia tra le righe dei soloni che hanno sentito la necessità di esprimere il proprio parere su quel pancione esibito sulla copertina di “Vanity Fair”. Non ultima la ministra della gioventù Giorgia Meloni che si affretta a diffondere la notizia in base alla quale, a poche ore dalla nascita di Penelope, lo staff della Nannini raccoglieva in giro dichiarazioni per alimentare il dibattito. A parte la secca smentita dell’ufficio stampa che bolla la dichiarazione della Meloni come “falsa e gravemente irrispettosa” non possiamo sapere se, in un eccesso di zelo mediatico, la raccolta di dichiarazioni sia effettivamente partita. Quello che colpisce è lo sforzo di appioppare alla Gianna “primipara attempata” una colpa irredimibile. Quella di aver dichiarato, con le parole e con i fatti, di essere “una che ha bisogno di infrangere i divieti”. E non importa se Penelope è bella, sana e verrà allattata al seno. Per farsi perdonare Gianna dovrebbe essere maschio, sovrappeso, avere almeno 60 anni e avere accanto una velina in perfetta forma dopo il parto.
Laura Costantini

giovedì 2 dicembre 2010

Sorelle di sangue

Abbiamo iniziato a pubblicare il nostro romanzo inedito "Sorelle di sangue" su EFP ad agosto del 2009.
Perché?
Perché è un romanzo storico western, una storia di cowboys e indiani, una cosa che mai e poi mai verrebbe accettata (così ci dicono) dagli editori italiani.
Eravamo curiose di capire se chi ci diceva che una simile storia non poteva interessare i lettori avesse ragione.
Non ce l'aveva.
84 capitoli a cadenza settimanale hanno ricevuto più di tremila contatti, sono diventati la storia preferita di 42 lettori, hanno ricevuto (a oggi) 182 recensioni. Entusiastiche. E le età dei lettori variano dagli 11 anni ai 50.
E' vero che chi si loda si sbroda, ma vorremmo proporvi qualche stralcio di recensioni di fine lettura:

laura e loredana mi sembra di capire che le grandi autrici di questa fan ic siate voi esoprattutto siete due cosa che non immaginavo. devo dire che la vostra storia è stata davvero molto bella e con ansia attendevo di sapere le decisoni finali di personaggi (aquizziana)

Questa storia mi ha fatto sognare. Ho iniziato a leggerla con interesse, ma tutto sommato con poche aspettative e ne sono rimasta folgorata. è scritta molto bene, ma non è solo quello: l'ambientazione è così ben costruita che mi sembra di essere lì a fianco dei protagonisti. (Danu)
Grazie ragazze. Grazie per questa storia che mi ha tenuto a lungo compagnia. Per dei personaggi che non solo ho letto e sognato - quante volte mi sono ritrovata a cavallo di un mustang da quando leggo questa fic? (Gaea)

Applausi, applausi. Se e quando questo romanzo uscirà in libreria, sarò felice di acquistarne una copia (Andy Grim).

Se mai diventerà un libro, spero proprio di trovarlo sulla mia strada per aspirarne il profumo e sentirne il peso fra le mani mentre lo leggo, e non avere solo il ricordo di una meravigliosa storia letta sul video di un pc.
Tantissimi complimenti!
Silvia


Ecco, potremmo continuare, ma ci sembra di avervi dato un assaggio sufficiente. Saremo delle illuse, ma a noi sembra che uno scrittore non possa chiedere più di questo alla propria scrittura.
Se voleste dare un'occhiata, trovate il primo capitolo QUI

mercoledì 1 dicembre 2010

Ce l'ho anch'io un elenco, che credete? Vi presento la mia personale religione laica

Credo che dentro ognuno di noi brilli la scintilla divina della nostra più pura essenza,
credo che dobbiamo amarci l'un l'altro perché il nostro destino è di condividere per dare senso alla vita,
credo che dobbiamo rispettarci,
credo che non abbiamo il diritto di giudicare,
credo che di fronte alla morte siamo soli, ma che non dobbiamo averne paura perché è parte integrante dell'esistenza,
credo che abbiamo il sacrosanto diritto di decidere per noi stessi, quindi credo nel diritto all'eutanasia,
credo nel diritto all'aborto (che non significa usarlo come contraccettivo, l'aborto è tragedia che solo una donna può comprendere e la Chiesa è fatta di uomini),
credo nel diritto a fruire del mio corpo nella misura in cui ne ho bisogno,
credo in un'etica che ci viene dal concetto di giusto e sbagliato che non deriva dai dettami di questo o quel Dio ma dalla profonda consapevolezza dei diritti degli altri esseri umani.
Credo che non si deve uccidere, mai, per nessuna ragione.
Credo che non esistano dogmi e non riconosco a un Papa il diritto di dirmi per chi devo votare, come devo pensare e cosa una donna debba fare del proprio corpo.
Credo in me stessa.
E non odio Dio, per niente. Perché lo sento dentro di me e dentro tutti coloro che incontro. Però non l'ho mai visto dentro un prete. E potrei darti tanti esempi di sacerdoti indegni anche di essere chiamati uomini. Ma non serve. Tu resti della tua idea, io resto della mia. Ma spero tu abbia capito che il mio essere atea non è una vendetta. Non ho nulla di cui vendicarmi. Sono felice della mia vita, di quello che ho, dell'amore che mi circonda e di quello che riesco a dare. Vorrei darne di più. Mi impegno per questo. Ma non voglio farlo sotto la bandiera di una religione.
Se è un peccato... sopravviverò.

venerdì 26 novembre 2010

E adesso tocca a Mara Carfagna

La macchina del fango si è rimessa in moto. Quella che Saviano denuncia. Quella che Belpietro, Sallusti e Feltri, abili timonieri, negano. Quella che Boffo, ex direttore dell’Avvenire, conosce fin troppo bene. Mara Carfagna, ministro delle pari opportunità in odore di dimissioni, deve averla messa in conto. Si spera. Perché neanche lei, con quel suo sguardo sbigottito sul mondo, può aver pensato di passare indenne nella trincea degli infangatori di professione. Speriamo abbia indossato vecchi pantaloni e scarponi pesanti. Speriamo abbia una tempra più robusta di quel suo aspetto da danzatrice classica calata per sbaglio in austeri tailleur. Perché i titoli son tutti per lei, adesso. E non importa sia stata un ministro inaspettatamente efficace. Non importa abbia abbandonato i pregiudizi che la spinsero, nel 2007, a condannare l’omosessualità con parole degne di un vecchio cardinale. Né che si sia fatta promotrice di una legge contro lo stalking, sanando un colpevole ritardo. I titoli sono tutti per lei. Perché non si dichiara impunemente di volersi dimettere da ministro, dal partito e dal parlamento quando si è parte integrante dell’autodefinito partito dell’amore. Perché non si accusa impunemente il popolo del premier di essere in preda a una guerra tra bande. La macchina del fango l’aspettava al varco, pronta a vincere facile. Mara Carfagna è “stata la prima a fare pubblicamente arrabbia­re Veronica Lario per le galanterie che le riserva­va il cavalier Silvio Berlu­sconi”, dichiara Il Giornale dandole della “battistrada”. Libero fa di più, molla gli ormeggi della decenza e si gioca un doppio senso servito su un piatto d’argento sul cognome del portavoce di Fini, amico personale della Carfagna: “Mara e il fascino del Bocchino, spiegatele che non è quello che crede”. L’articolista del Giornale rilancia: “Non è la prima donna che prossima alle nozze - fissate in prima­vera con l’immobiliarista Marco Mezzaroma - coltivi in contempora­nea un’amicizia con un collega di la­voro. Nessuno dubita infatti che die­tro le fibrillazioni di Mara ci sia lo zampino fascinoso di Italo Bocchi­no, il pasdaran finiano.” Ammettiamolo: è difficile aver simpatia per la Carfagna, non foss’altro per quel suo essere il tipo di donna in politica preferito dal premier: bella, giovane, inesperta, succube del fascino del capo. Eppure è la prima a sottrarsi al controllo del seduttore massimo e nessuno se lo sarebbe aspettato. Non dalla ragazzetta campana che nel 1997 partecipò a Miss Italia, colse una fascia da Miss Cinema e debuttò subito a “Domenica In”, al fianco di Fabrizio Frizzi. Era l’anno della clamorosa separazione di Frizzi da Rita Dalla Chiesa e gli indici accusatori si appuntarono sulla fresca bellezza della Carfagna. Fu allora che la conoscemmo. Ci spalancò in faccia lo stesso sguardo sbigottito che le conosciamo e negò. Nessuno era disposto a crederle. Invece era sincera. E se lo fosse anche oggi?
Laura Costantini

martedì 23 novembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": la cicala Califano e le formichine italiane

Franco Califano come Gavino Ledda, Alda Merini, Dario Bellezza, Umberto Bindi e Joe Sentieri. Un elenco di nomi che potrebbe dirvi poco ma che rappresenta solo una parte di coloro che hanno beneficiato della legge n. 440 dell’8 agosto 1985. Meglio nota come Legge Bacchelli, venne istituita per soccorrere lo scrittore Riccardo Bacchelli, famoso per il monumentale romanzo “Il mulino del Po”, e prevede l'assegnazione di un vitalizio a tutti coloro che, nel corso della carriera si siano distinti nella cultura, nell'arte, nello spettacolo e nello sport, ma che versino in condizioni d'indigenza. Proprio quelle condizioni di indigenza denunciate in questi ultimi giorni da Franco Califano, classe 1938 e una vita sregolata che gli ha fruttato il titolo di Califfo. Uno che ha cambiato più donne che camicie. Uno che vanta una citazione nella serie televisiva “Romanzo criminale”, una laurea honoris causa in filosofia dall’Università di New York, una nutrita serie di imitazioni e varie autobiografie con obiettivo puntato sulle proprie performances sessuali. Uno che percepisce una rendita annua di 20 mila euro di diritti da canzoni come “Minuetto”, “La nevicata del ‘56” e “Tutto il resto è noia”. È stato lui stesso a dichiararlo chiamando i media a testimoni della propria situazione. Ma questa cifra, l’equivalente dello stipendio medio di un impiegato, al Califfo non è sufficiente. Come la cicala della favola di Esopo, ha vissuto una vita puntata al presente, sperperando tra donne, grandi alberghi, auto di lusso e frequentazioni non sempre irreprensibili miliardi di vecchie lire. Oggi, anziano e reduce da una caduta dalle scale che gli impedisce di esibirsi nelle piazze, vive in una villa nei pressi di Roma il cui canone di affitto gli è diventato insostenibile al punto da sospenderne il pagamento da mesi. E il ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, si è immediatamente attivato per fargli ottenere il vitalizio previsto dalla Bacchelli, auspice il senatore Gramazio, amico personale del Califfo. Una lunga premessa per arrivare al nocciolo della questione: è giusto? Il vitalizio della Bacchelli prevede un assegno annuo di 24 mila euro. Cifra che molte famiglie si fanno bastare in 3 se non 4 persone. Cifra che molti giovani precari possono solo sognare. Cifra che, per Califano, andrebbe ad aggiungersi a quei 20 mila euro di diritti che lui ritiene insufficienti. Mentre il solerte ministro si attiva, è lo stesso Califfo a fare dietrofront e a smentirsi. Non avrebbe chiesto soldi, ma una “capanna dove poter tornare la sera”. Una casa popolare, come quelle che migliaia di famiglie aspettano invano per anni. E a lui, che è stato definito poeta, verrebbe da ricordare un vecchio adagio romano: “pazienza vita mia se paghi pena, vale pe’ quanno hai fatto vita bona”. Se “tutto il resto è noia” è stato il suo motto, dovrebbe quantomeno essergli coerente, oggi che il resto presenta il conto.

Laura Costantini

domenica 21 novembre 2010

C'è Lory, la mia metà oscura, in questo post: "E' NOTTE"

E’ notte.
C’è aria di mare fuori, aria di mare in questo cielo nero di novembre che solo quando è notte ti consola dal pensiero di tutto il peso che ti porti dentro. Deve essere per via della pioggia che è caduta tutto il giorno, monotona sinfonia che incanta come le note di un carillon.
E’ notte, ed è freddo e il fiato si condensa alla luce dei lampioni e ti sembra che un po’ della tua vita va via, insieme a quel fiato che è tutto ciò che sei.
E’ notte e i pensieri si aggrappano alle scale della mente e premono per venire fuori e si accavallano uno sull’altro, si calpestano che ti sembra di sentirne il lamento.
E’ notte di novembre e l’aria gelida ti pizzica il naso e ti costringe a mettere le mani nelle tasche, in quelle tasche vuote in cui ti affanni a cercare te stessa, ciò che sei stata, ciò che sei, ciò che, forse, non vorresti mai diventare.
E’ notte e intorno a te il silenzio è come una coperta che ti avvolge, che ti protegge dal famelico brusio degli altri, quelli che ti dicono che tutto è perfetto, che la Terra gira intorno al sole, che la marea sale e scende lambendo coste e spiagge che non saranno mai tue, che la tempesta passerà e il vento tornerà nella giara e le ferite che ti ha scavato sul viso si rimargineranno.
E’ notte e le tue gambe sono stanche e invece tu vorresti camminare, vorresti correre per lasciar dietro l’angoscia insieme ai giorni persi, i giorni in cui pensavi che una carezza spazzasse via la solitudine e quella mano, stretta nella tua, era ancora illusione.
E’ notte e sei sola sulla strada che si allunga davanti a te luccicante di umido e di terra. Dall’alto qualche goccia di pioggia lascia il ruvido riparo di un ramo e ti cade sul viso mischiandosi a lacrime silenziose. Ma stavolta col pianto non se ne andrà il dolore. Quello resterà dentro a macerare coi se e coi ma.
E’ notte e tra le nuvole in corsa si affaccia una gravida luna a illuminarti sul viso la consapevolezza che gli errori non si possono dividere con nessuno, le illusioni forse, ma gli errori no. E allora pensi, perché se è notte ed è freddo, e il fiato si condensa sulla via i pensieri vengono fuori puliti, allora pensi che ti basterebbe una voce. E infili le mani in quelle tasche vuote e trovi il cellulare che tante, troppe volte, avresti gettato via per impedirgli di rubarti l’attimo.
E’ notte e la notte dilata il tempo e quegli squilli sembrano allungarsi nell’eternità come le stelle che ti regala questa periferia dove alle cinque, di novembre, è notte.
E tu stai lì, sul ciglio della strada, nemmeno una macchina a illuminarti il cammino. Tu stai lì, più sola di un astronauta alla deriva nello spazio, quando la voce arriva. Poche parole, nessuna filosofia, solo la grande consolazione di un - c’è - .
L’amicizia è più grande, di notte.

Lory

venerdì 19 novembre 2010

Io volevo essere Sandokan

Sono sempre stata una bambina anomala. Mentre le mie coetanee (parliamo di scuola elementare) leggevano a malapena il sussidiario o, al massimo, "Topolino", io mi appassionavo all'intera saga di Tarzan delle Scimmie di Edgar Rice Burroghs. E proseguendo nelle letture da maschio (cosi' venivano considerate all'epoca) scoprivo Jules Verne. Sono stata tarda nell'arrivare a Emilio Salgari, ma basto' il mitico sceneggiato televisivo firmato da Sergio Sollima, perche' mi buttassi a pesce sull'opera omnia di quello che rimane uno dei miei autori preferiti. E qui arriviamo alla vera stranezza. Inebetita dalla bellezza di Kabir Bedi (per me Sandokan e il Corsaro Nero hanno e avranno per sempre la sua faccia), non ho mai sognato di essere la bella di turno (Marianna alias Perla di Labuan oppure Honorata van Gould). Io volevo essere LUI. Volevo il ruolo dell'eroe, di quello che lotta, soffre, sfida, viene ferito, rischia la pelle, arringa la ciurma, si mette al timone durante la tempesta, piange calde lacrime quando perde l'amore della sua vita, ma risorge dalle sue ceneri in nome di ideali piu' grandi. All'epoca non mi rendevo conto della stranezza di queste sensazioni. Poi ho cominciato a elaborare, attraverso romanzi e film, che in realta' il maschio e' quello che si diverte di piu'. Quello che parte per la guerra o verso nuovi orizzonti e lascia lei a casa, a salutarlo col fazzolettone e a tessere, ricamare, sferruzzare sospirando in attesa che l'eroe ritorni. E se poi l'eroe non ritorna, lei piange, si dispera, a volte si suicida, si veste comunque a lutto e vive nel ricordo imperituro. Ora, senza nulla togliere al valore dei sentimenti (sono una romanticona), potrete convenire con me che essere Sandokan, la Tigre della Malesia, destinato a contrastare validamente il bieco invasore inglese sia decisamente piu' appagante che non vestire i panni della languida Marianna, la Perla di Labuan, modernissima nel mollare tutto per seguire il proprio uomo (lei bianca e nobile, lui un delinquente, seppur di nobili origini) ma comunque destinata a cuocergli il riso, lavargli le casacche e, all'uopo, morire di tragica morte per lasciarlo libero di puntare verso nuove ed entusiasmanti avventure a fianco del fido Yanez.
Con questo non voglio dire che Salgari sia stato un maschilista, anzi. Per l'epoca fu moderno e spregiudicato al punto di immaginare eroine avventurose come Jolanda (la figlia del Corsaro Nero) o la Favorita del Mahdi. Ma le figure femminili in letteratura hanno risentito da sempre della classica divisione dei ruoli: la donna a casa, l'uomo fuori a caccia, alla guerra, a farsi gli affari suoi. Facendo un volo pindarico, segnalo una fiction Rai appena terminata: "Ho sposato uno sbirro 2". Flavio Insinna e' un vice questore aggiunto a Roma, Christiane Filangieri e' sua moglie, un'ispettrice di polizia. La serie ha affrontato, in toni da commedia ma efficacemente, il problema di una donna poliziotto, madre di due gemelle e moglie del proprio capo, che pretende di svolgere il proprio lavoro esattamente come fa lui, cioe' correndo i propri rischi. Cosa che ovviamente mette in crisi nera la coppia. Nella fiction, com'e' giusto, tutto si risolve. Ma nella realta' non e' cosi' e io continuo a sentirmi una strana perche', a distanza di anni, continuo a preferire essere Sandokan.

domenica 14 novembre 2010

Per ricordarvi che...

Il mio romanzo inedito LA LUNGA GUERRA si sta avviando a conclusione sul nostro blog di lettura LE STORIE DI LAURAETLORY, accompagnato dalle splendide illustrazioni di Niccolò Pizzorno.
Ve ne regalo una che trovo veramente intensa:

venerdì 12 novembre 2010

I miei articoli per "La Sesia": lo strano caso di "Giovinezza" e "Bella ciao"

Era il 3 novembre. Il flusso mediatico da Avetrana sembrava in stallo, il Veneto veniva sommerso dalle prime piogge autunnali. La giornata, giornalisticamente parlando, era tranquilla quando all’improvviso scoppia la bomba. Lucio Presta, padrone indiscusso del Festival di Sanremo, annuncia in via ufficiosa che sta per sdoganare le canzoni “politiche” sul palco dell’Ariston. C’è di che saltare sulla sedia. Nel regno incontrastato di “sole, cuore, amore” sta per approdare l’impegno, la denuncia, la presa di posizione. Ma siamo sicuri? Nell’attesa della conferma ufficiale in sede di conferenza stampa, ci si prepara a trattare l’argomento e i punti di vista sono, ovviamente, diversi. C’era bisogno di portare la politica tra i fiori della Riviera? Oppure è giusto prendere atto che la musica ha sempre fornito un armonico scivolo alle idee e agli schieramenti? Il melodramma italiano, per dirne uno, si è trovato a coesistere cronologicamente con il nostro tanto vituperato Risorgimento e dietro amori appassionati e intrecci da telenovela ha lasciato intravvedere la netta opposizione ai regimi vigenti, quelli degli usurpatori asburgici, borbonici, pontifici. Viene da pensare, mentre si attende il verbo di Lucio Presta dai suoi profeti Mazzi e Morandi, che a ben guardare la politica sul palco dell’Ariston non è mai mancata. L’orecchiabile “Chi non lavora, non fa l’amore” di Adriano Celentano e Claudia Mori era una canzone politica negli anni ’70 delle grandi lotte sindacali e dei grandi scioperi. Era una canzone politica quanto altre mai “Minchia, signor tenente” di Giorgio Faletti, all’indomani dei sanguinosi attentati a Falcone e Borsellino. Era una canzone politica e provocatoria già nel titolo “Pensa”, di Fabrizio Moro e parliamo di un paio d’anni fa. Ma il tempo delle ipotesi finisce presto, in quel mercoledì 3 novembre, e si svela l’arcano. Il presidente Giorgio Napolitano, nel tentativo di rimediare al colpevole ritardo sulle celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia, aveva chiesto che il Festival della Canzone dedicasse una serata alla nostra storia patria. Detto e fatto, il duo Mazzi-Morandi partorisce l’idea: “nella serata evento di giovedì 17 febbraio ogni artista, oltre al proprio brano inedito - spiega il direttore artistico Gianmarco Mazzi - ne proporrà uno edito tra quelli che legati a momenti storici italiani importanti”. E Morandi rilancia l’idea di poter sentire i quattordici artisti in gara cantare “Bella ciao”. Apriti cielo. Non era lo sdoganamento dell’impegno sul palco dell’Ariston. Era un coro di vip della canzone che canta l’inno della Resistenza. Mazzi e Morandi fanno un rapidissimo errata-corrige: non facciamo politica, sono canzoni storiche, ci mettiamo anche “Addio Lugano bella” degli anarchici e “Giovinezza”, sono già state eseguite in tv. Ma alla Rai non vogliono sentir ragioni e lo strano caso delle canzoni politiche a Sanremo si chiude. Con un no che fa rumore. Ma che fa anche rima con cuore e amore.
Laura Costantini

giovedì 11 novembre 2010

In previsione del trasloco...

Buongiorno a tutti. Questo e' solo un post di prova, anche per cercare di capire come funziona questa piattaforma. E' l'11 novembre 2010 e potrebbe diventare un giorno importante nella storia del blog di lauraetlory. Vedremo...