Questo è uno di quei libri dai quali sarebbe bene stare alla larga. Perché sembra innocuo, anche se vagamente inquietante con quei due bambini in copertina, e invece è una trappola senza scampo. Ho letto, ho contratto il virus, adesso mi tocca seguire tutta la saga. Perché i personaggi sono giusti e hanno spessore, perché il tema dei gemelli è intrigante, perché c'è magia e tanta tanta cultura sulle mitologie del passato, perché l'intreccio è ben costruito. Insomma, avete capito.
Quindi se non volete andare in fissa tipo serie tv da finire a tutti i costi non, ripeto NON leggete questo libro. Io vi ho avvertiti.
E adesso l'intervista all'autrice, Rebecca Panei
Nel romanzo è evidente la derivazione dalla mitologia
e dalle leggende legate all'Europa dell'est, da dove viene questa scelta?
Premetto
di aver sempre provato, sin da bambina, un fortissimo interesse per la
mitologia, le leggende e il folklore provenienti da ogni parte del mondo.
Le
Baba Jaga, con le loro case mobili issate su enormi zampe di gallina, credo
siano sufficientemente suggestive e tanto deliziosamente spaventose da
intrigare qualsiasi mente infantile. Averle adoperate è dunque una sorta di
omaggio alla me stessa delle elementari che, durante le escursioni nei boschi
abruzzesi, si guardava in giro nella speranza di veder apparire qualcosa al di
fuori dell’ordinario.
A me
e a una mia compagna di giochi dell’epoca, una bambina russa di nome Irina.
Ricordo quanto mi divertiva tantissimo sentirla urlare "Baba! Baba!"
(perlappunto "strega” nella sua lingua) alla tata che disperava di farla
scendere dall’altalena.
Molto interessante la
popolazione delle efiji, a cosa ti sei ispirata?
Il
popolo degli Efiji è in parte ispirato alle Amazzoni: una società radicalmente
matriarcale, appena più fantastica e meno truculenta con la differenza che, se
le Amazzoni abbandonavano i figli maschi e istruivano le figlie ad ammazzare i
padri in un rito d’iniziazione, gli Efiji maschi nascono con un aspetto
animale. Dunque è deciso dalla Natura stessa che siano le donne a gestire il
potere, le quali invece hanno la capacità di passare dalla pelle animale a
quella umana; in base a ciò sono le uniche fisicamente e intellettualmente in grado
di gestire i rapporti con i regni confinanti.
E che
gli Efiji siano tutti felini – dai leoni della famiglia Reale, alle pantere e
le tigri della nobiltà, fino ad arrivare ai ghepardi e i leopardi del popolo...
beh, quello è solo un mio capriccio da inguaribile amante dei gatti. Animale
ovviamente sacro in questo regno.
Spaziare da temi contemporanei al fantasy
viene considerato rischioso dalle CE che preferiscono autori "fedeli"
a un unico cliché. Che ne pensi?
Indubbiamente
vero.
Sino
ad ora ho pubblicato con soli due Editori: con il più recente, il cui libro in
verità non uscirà prima di fine mese, ho esplorato il genere Thriller; essendo
la nostra prima pubblicazione, il problema ancora non si è posto. Scoprirò in
futuro, nel caso in cui sarà loro interesse proseguire la collaborazione, se e
con quale grado d’insistente mi suggeriranno di non cambiare tema.
Il
primo Editore invece, quello della saga di Pandemonium, si è rivelato molto tollerante
al riguardo. Con lui, oltre a questa serie Fantasy, ho pubblicato anche un libo
sul bullismo e l’omofobia adolescenziale. Dunque due generi che, come si suol
dire, cozzano tra loro quanto i cavoli a merenda.
Questa
è la mia esperienza oggettiva da autrice.
Parlando
invece in modo soggettivo da lettrice? Da parte di uno scrittore apprezzo una
certa coerenza narrativa, poiché se ho amato determinati temi mi soddisfa
ritrovarli anche nel lavoro successivo, ma egualmente approvo quello spaziare
tra i generi che amplia gli orizzonti della lettura.
Non
me la sento dunque di criticare un Editore se è orientato verso la coerenza,
tuttavia reputo sbagliato porrei dei paletti troppo bruschi e categorici che
rischiano di soffocare l’ispirazione dell’autore.
Una delle illustrazioni che DanyandDany hanno dedicato alla saga di Pandemonium |
Puoi raccontarmi la genesi di
Pandemonium? Nasce come progetto strutturato oppure è cresciuto man mano che ti
addentravi in quel mondo?
Propenderei
per un’equilibrata via di mezzo.
Come
tutte le Saghe ha man mano costruita se stessa, con progressive aggiunte e
perfino cambi di rotta decisi in seguito al dipanarsi della storia. Tuttavia i
tasselli principali sono stati decisi dal principio. Ho avuto in mente la conclusione
sin dai tempi in cui dovevo ancora scrivere il primo rigo.
Pandemonium
per me è nato come un complesso e azzardato esperimento – una persona che non
aveva mai letto di Fantasy sino a un mese prima che d’improvviso decide di
gettarsi a capofitto nel genere? In teoria una follia annunciata. Eppure ho
iniziato con entusiasmo, proseguito con dedizione e, al momento attuale, sto
lavorando sul quarto e ultimo volume con la felice consapevolezza di essere
riuscita in buona parte a soddisfare le aspettative date a me stessa.
Secondo te qual è la marcia in
più del fantasy? O, al contrario, qual è il limite per cui viene considerato in
genere di serie b, buono solo per i nerd?
Per
rispondere a questa domanda debbo svelare un altarino: fino ai miei ventisei
anni non avevo mai letto nulla di Fantasy. Il genere non mi piaceva. Certo, da
bambina avevo amato alcuni classici impossibili da non leggere come “La storia
infinta” o “Harry Potter”, ma ai miei occhi erano delle eccezioni. Piuttosto
leggevo horror, legal thriller, storie socialmente buie legate all’infanzia – come
i libri di Torey Hayden, per fare l’esempio emblematico - romanzi storici e gialli
classici.
Il
Fantasy non faceva per me. Avevo un’antipatia quasi atavica per gli elfi
bellissimi e biondissimi che ancora oggi non mi è passata del tutto.
Ero,
in poche parole, una di quelle detrattrici pretenziose che lo reputano un
genere di serie b.
Scoprii
il suo enorme potenziale, elfi bellissimi e biondissimi a parte, durante un
inverno particolare della mia vita. Fu un anno in cui stetti molto male,
fisicamente ed emotivamente. Per caso, sfogliando la pagina principale di Ebay,
incappai in un’offerta che metteva all’asta le prime due trilogie e la duologia
prequel di “Dragonlance”; vecchie edizioni della prima Armenia Editrice. Le
comprai pressoché d’impulso. Ancora oggi non saprei spiegare davvero perché lo
feci.
Da lì
fu sulla falsariga del Veni, Vidi e Vici: Il pacco arrivò, lessi i libri e mi
ritrovai innamorata.
Non
stavo meno male, tutti i problemi della vita reale erano ben presenti e
ancorati come cozze allo scoglio, eppure... immergermi gradualmente in
quell’universo fantasy descritto alla perfezione riuscì a rendere la loro presa
meno tenace.
È
questa la marcia inimitabile del genere: se ben gestito, e attenzione, ciò è
fondamentale, la creazione di un vero e proprio altro mondo può divenire una
boccata d’ossigeno per chi è estenuato da quello reale. Per giungere a questo
un autore deve compiere un lavoro che spesso è trascurato; ideare una diversa
realtà significa decidere tutto: la
società, la religione, la politica, l’economia, la conformazione geografica, la
suddivisione del territorio e così via. Chi parla di “serie b” dovrebbe pensare
anche solo a quante mappe topografiche vengano studiate per abbozzare il corso
di un fiume in un mondo inventato.
Quali sono i tuoi autori di
riferimento?
Se
parliamo di autori prettamente Fantasy, direi che i miei autori di riferimento
rimangono Tracy Hickman e Margaret Weis (autrici di “DragonLance”)
Partendo
da loro ho scoperto e amato Philip Pullman (“Queste oscure materie”) sino ad
approdare all’ormai tasto dolente rappresentato da “Le cronache del ghiaccio e
del fuoco” di Martin. Per alcuni anni sono stata un’appassionata fervente dell’opera.
Ancora vi sono affezionata, sebbene molto raffreddata dalla conclusione
incommentabile della serie televisiva e l’attesa oramai ingiustificabile del sesto
libro.
Poi,
ovviamente, non posso non citare il mio amore infantile per “Harry Potter”
della Rowling.
Se
invece era una domanda più generica, sono pochi gli autori che per me
rappresentano dei pilastri in quanto capacità di scrittura, profondità
d’argomenti e abilità narrativa.
Dino
Buzzati, Gabriel García Márquez (“Cent’anni di solitudine” è forse IL
capolavoro) Oriana Fallaci, Oscar Wilde, Friedrich Nietzsche (“Così parlò Zarathustra”
è altresì una mia ossessione che non mi stanco mai di recitare a memoria)
Curzio Malaparte e Victor Hugo.
Infine,
autori meno pregnanti e tuttavia
Mostri Sacri della scrittura, sono per me Umberto Eco, Anne Rice, Stephen King
e Colleen McCullough.
Consiglia un libro di un contemporaneo,
meglio se non famoso.
Uno
solo? Dovendo scegliere, direi “Incanto di cenere” di Laura MacLem.
Purtroppo
la casa editrice ha chiuso i battenti alcuni anni fa, ma il libro è ancora
tranquillamente reperibile. Scritta benissimo, è una rivisitazione della favola
di Cenerentola in chiave molto originale e atmosfere gotiche più legate alla
cupa favola originale che alla versione edulcorata della Disney.
P.s. Fatalità Laura MacLem sarà protagonista di uno dei prossimi #mèpiaciuto
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