Possono sembrare troppe cinque stelle per un romanzo
d'esordio di una scrittrice poco nota e abituata ai racconti. Però ci stanno
tutte. Nella nota finale del romanzo l'autrice confessa di aver rincorso il
sogno di disegnare. Mi capita spesso di trovare questo trascorso nel passato di
chi scrive. È capitato anche a me. Vorresti colorare il mondo, capisci che il
talento è quello che è, decidi di provare con le parole. E il mondo si colora.
Le pagine che Troncanetti dedica a Roma, alla luce, alle ombre, il modo in cui
entra nelle anime e nei cuori, il chiaroscuro che dedica a una donna spezzata
dalla mancanza di figli, a una ragazza distrutta da un amore non corrisposto, a
un poliziotto che non cesserà mai di sentirsi colpevole, a un uomo che non si
perdona di aver lasciato andare i propri sogni... pittura. Pittura fatta di
parole mai banali, mai ridondanti. Due passeggeri che fanno l'amore con gli
occhi. L'orrore di un'esecuzione lenta e sistematica. Non è poesia. È cinema
attraverso le parole. È un talento che si dischiude. Leggete questo romanzo.
Non ve ne pentirete.
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1 - Nasci autrice umoristica e poi sfoderi una vena dark di
tutto rispetto. Com'è successo?
Potrei risponderti con un brano meraviglioso: Todo cambia, nell’interpretazione
di Mercedes Sosa. Poco prima di aprire il file per rispondere alle tue domande,
mi sono affacciata su Facebook; un’amica l’aveva appena condiviso. Non lo
ascoltavo da una vita.
Fatte salve le dovute proporzioni (è stato scritto da un cileno durante la
dittatura di Pinochet e parla dell’esilio dei dissidenti all’estero), mi sono
adattata anch’io a un cambiamento importante. Non penso sia incidentale il
fatto di aver iniziato a scrivere noir a pochi mesi dalla morte di mio padre.
Il romanzo è dedicato a lui.
In ogni caso, resta un mistero anche per me: mai stata appassionata del
genere. Ho iniziato a leggere romanzi a sfondo giallo/nero più o meno nel 2013,
prevalentemente a firma di italiani. Per il resto, ho mantenuto il mio registro
di lettrice onnivora e la voglia di sperimentare narrazioni il più possibile
diversificate.
2 - Noir e gialli pullulano in
libreria e in rete. Cosa spinge i lettori e le lettrici ad appassionarsi alla
parte più cupa delle umane pulsioni?
Sono tante le ragioni. La
principale si può riassumere con un’affermazione di Massimo Carlotto “Cerchiamo
la verità e la gente si appassiona”. Il romanzo di finzione si trasforma in
mezzo per raccontare la realtà, in strumento di ricerca e diffusione di una
verità che media e giornalisti non attuano più, scoraggiati dalla limitazione
delle querele. Sono un atto di denuncia sociale, coinvolgono quanti vivano
nello stesso mondo di cui il romanzo denuncia orrori e torti.
Parlavi di pulsioni, ti racconto
la mia: come lettrice, e anche come narratrice, sono affascinata dalle storie
di giustizia sommaria. È un sentimento sanguigno, ignorante, animalesco, però
appartiene a molti. Prendi il poliziotto di carta che non può incastrare un
delinquente, non ha prove ufficiali. Però magari lo picchia a sangue o trova
modi alternativi per punirlo, scorretti e contrari alla sua funzione
istituzionale. Il padre che vede scagionato il branco di animali che ha
stuprato la figlia, la vittima di abusi che denuncia ma rimane inascoltata, il
lavoratore clandestino trattato come una bestia. Si vendicano da soli, ed è
sostanzialmente orribile. Non ti nascondo, però, che certi personaggi mi regalano
il gusto di quella giustizia a cui di rado assistiamo. Spesso nei romanzi di
genere si trovano anche questi elementi, credo che contribuiscano a creare
empatia con il lettore.
L’ultimo motivo è lo stesso,
credo, generato dal meccanismo della paura. Dipende tutto dal contesto:
camminare da soli, di notte, in una strada buia e con l’impressione di essere
seguiti, fa coincidere razionalità e meccanismo di difesa: allunghi il passo,
ti senti in reale pericolo.
Vivere la stessa situazione nello
scenario protettivo della finzione coinvolge quasi con la stessa intensità.
Poi, però, realizzi che il rischio esiste soltanto su carta. Ti rilassi, scatta
lo stesso meccanismo di eccitazione che esalta gli estimatori delle pellicole
horror. L’implicazione è simile, il pericolo no.
3 - Hai creato un collegamento
tra la passione per le arti figurative (che ha anche una parte importante nella
trama) e la scrittura. Ti ritieni un'illustratrice di parole?
La definizione illustratrice di parole è meravigliosa,
se mi assomigli non spetta a me dirlo. Posso però raccontarti che mi capita
spesso di essere definita come una persona che dipinge con la penna. Qualche
volta che “leggermi equivale ad assistere a un film”. Non potrei ricevere
apprezzamento più gradito. Scrivo da una decina d’anni, in modo più o meno
sistematico da neppure cinque. Il mio sogno sarebbe stato disegnare, questa
passione antica forse non si è mai spenta. La esprimo in modo alternativo, sono
felice che si percepisca.
4 - Ci sono nella tua storia pagine dedicate a Roma che
testimoniano un amore sconfinato per questa città. Sapresti amare altrettanto
una diversa collocazione per una storia?
Amo con la stessa intensità una
piccola porzione del maceratese dove trascorrevo tre mesi estivi da bambina e
parte delle vacanze da adulta. È una delle zone del Cratere,
praticamente l’epicentro nelle Marche. Le ho dedicato un romanzo breve ancora
inedito, appena 105 pagine scritte di pancia a terremoto appena avvenuto.
Contiene rabbia, dolore, impotenza, una storia a sfondo noir e tutto l’amore
per ciò che rappresenta la mia seconda terra; i miei nonni paterni sono nati
lì. Potrei dipingere anche Napoli ma soltanto in un racconto breve. La adoro,
però non l’ho vissuta abbastanza per permettermi di farlo.
5 - Sei un'autrice e, come sai,
quella delle donne che scrivono è una lotta sotterranea, misconosciuta, eppure
cruentissima per emergere. Dall'alto della tua non svettante statura, che
consigli daresti?
Dalla vetta dei miei 158
centimetri di altezza, grandi consigli da dispensare non ne ho. Più che
concentrarmi sul voler emergere, cerco di scrivere nella migliore maniera
possibile dimenticando che dovrò faticare di più. Focalizzarsi su questo non
significa accettare passivamente dei ruoli, vuol dire farsi scivolare addosso
la sensazione castrante del “non ce la farò mai perché tanto sarà sempre un
uomo a passarmi avanti.” Archiviare questa realtà può aiutare a modificarla.
Cerco di non lottare ma di fare
squadra con pochi colleghi, uomini o donne che siano. Funziona, direi. Al di là
della notorietà che se ne guadagna, di quella mi importa relativamente.
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