mercoledì 18 marzo 2020

I silenzi di Roma (di Luana Troncanetti - Fratelli Frilli editore) #mèpiaciuto



Possono sembrare troppe cinque stelle per un romanzo d'esordio di una scrittrice poco nota e abituata ai racconti. Però ci stanno tutte. Nella nota finale del romanzo l'autrice confessa di aver rincorso il sogno di disegnare. Mi capita spesso di trovare questo trascorso nel passato di chi scrive. È capitato anche a me. Vorresti colorare il mondo, capisci che il talento è quello che è, decidi di provare con le parole. E il mondo si colora. Le pagine che Troncanetti dedica a Roma, alla luce, alle ombre, il modo in cui entra nelle anime e nei cuori, il chiaroscuro che dedica a una donna spezzata dalla mancanza di figli, a una ragazza distrutta da un amore non corrisposto, a un poliziotto che non cesserà mai di sentirsi colpevole, a un uomo che non si perdona di aver lasciato andare i propri sogni... pittura. Pittura fatta di parole mai banali, mai ridondanti. Due passeggeri che fanno l'amore con gli occhi. L'orrore di un'esecuzione lenta e sistematica. Non è poesia. È cinema attraverso le parole. È un talento che si dischiude. Leggete questo romanzo. Non ve ne pentirete.



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1 - Nasci autrice umoristica e poi sfoderi una vena dark di tutto rispetto. Com'è successo?

Potrei risponderti con un brano meraviglioso: Todo cambia, nell’interpretazione di Mercedes Sosa. Poco prima di aprire il file per rispondere alle tue domande, mi sono affacciata su Facebook; un’amica l’aveva appena condiviso. Non lo ascoltavo da una vita.
Fatte salve le dovute proporzioni (è stato scritto da un cileno durante la dittatura di Pinochet e parla dell’esilio dei dissidenti all’estero), mi sono adattata anch’io a un cambiamento importante. Non penso sia incidentale il fatto di aver iniziato a scrivere noir a pochi mesi dalla morte di mio padre. Il romanzo è dedicato a lui.
In ogni caso, resta un mistero anche per me: mai stata appassionata del genere. Ho iniziato a leggere romanzi a sfondo giallo/nero più o meno nel 2013, prevalentemente a firma di italiani. Per il resto, ho mantenuto il mio registro di lettrice onnivora e la voglia di sperimentare narrazioni il più possibile diversificate.

2 - Noir e gialli pullulano in libreria e in rete. Cosa spinge i lettori e le lettrici ad appassionarsi alla parte più cupa delle umane pulsioni?

Sono tante le ragioni. La principale si può riassumere con un’affermazione di Massimo Carlotto “Cerchiamo la verità e la gente si appassiona”. Il romanzo di finzione si trasforma in mezzo per raccontare la realtà, in strumento di ricerca e diffusione di una verità che media e giornalisti non attuano più, scoraggiati dalla limitazione delle querele. Sono un atto di denuncia sociale, coinvolgono quanti vivano nello stesso mondo di cui il romanzo denuncia orrori e torti.
Parlavi di pulsioni, ti racconto la mia: come lettrice, e anche come narratrice, sono affascinata dalle storie di giustizia sommaria. È un sentimento sanguigno, ignorante, animalesco, però appartiene a molti. Prendi il poliziotto di carta che non può incastrare un delinquente, non ha prove ufficiali. Però magari lo picchia a sangue o trova modi alternativi per punirlo, scorretti e contrari alla sua funzione istituzionale. Il padre che vede scagionato il branco di animali che ha stuprato la figlia, la vittima di abusi che denuncia ma rimane inascoltata, il lavoratore clandestino trattato come una bestia. Si vendicano da soli, ed è sostanzialmente orribile. Non ti nascondo, però, che certi personaggi mi regalano il gusto di quella giustizia a cui di rado assistiamo. Spesso nei romanzi di genere si trovano anche questi elementi, credo che contribuiscano a creare empatia con il lettore.
L’ultimo motivo è lo stesso, credo, generato dal meccanismo della paura. Dipende tutto dal contesto: camminare da soli, di notte, in una strada buia e con l’impressione di essere seguiti, fa coincidere razionalità e meccanismo di difesa: allunghi il passo, ti senti in reale pericolo.
Vivere la stessa situazione nello scenario protettivo della finzione coinvolge quasi con la stessa intensità. Poi, però, realizzi che il rischio esiste soltanto su carta. Ti rilassi, scatta lo stesso meccanismo di eccitazione che esalta gli estimatori delle pellicole horror. L’implicazione è simile, il pericolo no.

3 - Hai creato un collegamento tra la passione per le arti figurative (che ha anche una parte importante nella trama) e la scrittura. Ti ritieni un'illustratrice di parole?

La definizione illustratrice di parole è meravigliosa, se mi assomigli non spetta a me dirlo. Posso però raccontarti che mi capita spesso di essere definita come una persona che dipinge con la penna. Qualche volta che “leggermi equivale ad assistere a un film”. Non potrei ricevere apprezzamento più gradito. Scrivo da una decina d’anni, in modo più o meno sistematico da neppure cinque. Il mio sogno sarebbe stato disegnare, questa passione antica forse non si è mai spenta. La esprimo in modo alternativo, sono felice che si percepisca.

4 - Ci sono nella tua storia pagine dedicate a Roma che testimoniano un amore sconfinato per questa città. Sapresti amare altrettanto una diversa collocazione per una storia?

Amo con la stessa intensità una piccola porzione del maceratese dove trascorrevo tre mesi estivi da bambina e parte delle vacanze da adulta. È una delle zone del Cratere, praticamente l’epicentro nelle Marche. Le ho dedicato un romanzo breve ancora inedito, appena 105 pagine scritte di pancia a terremoto appena avvenuto. Contiene rabbia, dolore, impotenza, una storia a sfondo noir e tutto l’amore per ciò che rappresenta la mia seconda terra; i miei nonni paterni sono nati lì. Potrei dipingere anche Napoli ma soltanto in un racconto breve. La adoro, però non l’ho vissuta abbastanza per permettermi di farlo.  

5 - Sei un'autrice e, come sai, quella delle donne che scrivono è una lotta sotterranea, misconosciuta, eppure cruentissima per emergere. Dall'alto della tua non svettante statura, che consigli daresti?

Dalla vetta dei miei 158 centimetri di altezza, grandi consigli da dispensare non ne ho. Più che concentrarmi sul voler emergere, cerco di scrivere nella migliore maniera possibile dimenticando che dovrò faticare di più. Focalizzarsi su questo non significa accettare passivamente dei ruoli, vuol dire farsi scivolare addosso la sensazione castrante del “non ce la farò mai perché tanto sarà sempre un uomo a passarmi avanti.” Archiviare questa realtà può aiutare a modificarla.
Cerco di non lottare ma di fare squadra con pochi colleghi, uomini o donne che siano. Funziona, direi. Al di là della notorietà che se ne guadagna, di quella mi importa relativamente.

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