martedì 28 maggio 2013

Abbiamo un problema


Abbiamo un problema. Ne abbiamo moltissimi, si obietterà. Vero. Ma ne abbiamo uno più grande degli altri. Un problema la cui urgenza dovrebbe devastarci ogni volta che guardiamo un bambino, un ragazzino, un figlio. Sabato scorso un diciassettenne ha scritto a un grande quotidiano per dichiararsi omosessuale e chiedere, semplicemente, il diritto di esistere. Domenica gli ha risposto, sullo stesso quotidiano, la presidente della Camera, Laura Boldrini, prendendo un impegno ufficiale ad ascoltare la sua voce e a non dimenticare quelle di si è tolto la vita. L'ha nominato la Boldrini, ne abbiamo parlato anche noi qualche tempo fa. Si chiamava Andrea, si è impiccato a dicembre dello scorso anno, schiacciato da chi gli dava del frocio per un paio di pantaloni rosa. Aveva 15 anni e secondo alcuni commenti in Rete consumava aria a sbafo perché voleva essere fashion e non ha retto botta agli sfottò dei compagni. Abbiamo un problema. Lo stesso problema che ha spinto Carolina giù dal terzo piano. Adolescente, anche lei. Messa alla berlina dalla Rete, anche lei. Spinta alla disperazione a soli 14 anni per un video e per il bullismo di otto ragazzini, come lei. E sembra di sentirli i genitori di quegli otto: ragazzate, niente di grave, lo fanno tutti. I social network sono così e sbaglia chi dà troppa importanza a quel che si dice, sbaglia chi è troppo fragile. Sbaglia chi pretende che anche dei ragazzini siano consapevoli di quel che fanno e di come lo fanno. Un recente rapporto Istat afferma che ci sono migliaia di posti di lavoro vacanti a fronte di milioni di giovani disoccupati. Sono i lavori che nessuno vuole: panettiere, falegname, installatore di infissi, barista. Troppa fatica, orari scomodi, fine settimana impegnato. Guardiamoci intorno e cerchiamo un esempio banale: il parrucchiere. Titolare italiano, lavoranti straniere. Una scelta? No, spiega il titolare. Ma le italiane non ci vengono. Il negozio apre alle otto e trenta. La lavorante deve arrivare almeno mezz'ora prima. Una levataccia. E racconta, il parrucchiere: "Avevo preso una ragazza italiana, vent'anni, diplomata a un corso della regione. Ma erano più le volte che non veniva, con una scusa qualsiasi, che quelle in cui si presentava. Ho chiamato a casa e la madre, come se fosse una giustificazione valida, mi dice che sua figlia fa fatica ad alzarsi al mattino. È stanca, perché la sera fa le due su Facebook." Abbiamo un problema e dobbiamo rendercene conto. Il nemico non è il social network. Il nemico siamo noi adulti che non siamo riusciti a trasmettere alla nuova generazione la necessità di rispettare se stessi e gli altri, di assumersi la responsabilità dei propri atti e dei propri errori. Il nemico sono le dichiarazioni che arrivano puntuali ogni volta che a commettere un reato, un reato grave, è un giovane. Il nemico è il termine "ragazzate". Il nemico è ogni genitore che corre a scuola a insultare un insegnante per difendere il proprio figlio da un brutto voto. Se lo individuiamo, il nemico, possiamo risolverlo, il problema.
Laura Costantini

2 commenti:

  1. Il giorno che mio figlio tornerà a casa con un brutto voto, vedrà i sorci verdi. E saranno elefanti verdi se s'azzarda a dire che l'insegnante glielo fa apposta.
    Credo che sì, ci sia troppo "chioccismo" (che termine astruso) da parte dei genitori. Si tende a difendere l'indifendibile, quando ci sono i figli di mezzo. Si passa da "ma che genitori ha quello per essere così?" a "mio figlio è così perché è creativo". Come diceva quel tale vissuto circa 2013 anni fa a proposito di travi e pagliuzze? Ah, sì: che i genitori di oggi sembra abbiano preso una travata (non tranvata) in testa per non rendersi conto di come vivono i figli.
    Complimenti per l'articolo L&L

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  2. condivido quello che dici, per questo è molto importante che la scuola non venga attaccata e che gli insegnanti abbiano l'opportunità di formarsi, Anch'io come insegnante, mi sono trovata moltissime volte di fronte a genitori come quelli che hai descritto ed è stata sempre,per me, una tragedia perchè mi sentivo impotente, poi, ho cercato di realizzare la mia formazione umana, per capire ed saper interagire ,(nonostante la violenza, spesso invisibile ma non per questo irreale,) con il bambino ed il ragazzo, di non togliere loro la mia "presenza" e così, col tempo, sono riuscita ad essere un punto di riferimento anche per i genitori...avendo, però anch'io ,cercato e trovato soprattutto... il mio punto di riferimento. Ognuno si deve prendere le proprie responsabilità.Un saluto

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