lunedì 4 novembre 2013

Stereotipi, un tanto al chilo

Se la mia metà oscura fosse meno sfuggente, questa recensione potrebbe essere la prima di una serie dedicata ai romanzi infarciti di stereotipi un tanto al chilo. Ma la mia metà oscura non accetta scadenze e appuntamenti fissi, ergo...

Sulla copertina dei gioielli, un biglietto da visita e una sega che, non tutti presumo, sono in grado di riconoscere come uno strumento chirurgico. Poi il titolo, “L'allieva”. Niente di strano che la prima cosa che venga in mente sia di essere alle prese con un romanzo in stile E. I. James. 
Non si potrebbe essere più lontani. Se proprio volessimo fare riferimento all'inflazionato cardinale, al massimo potremmo pensare a 50 sfumature di banalità. Ma lasciamo stare, anzi, restiamo sulla copertina, sul virgolettato per la precisione. Perché se è vero che Luciana Littizzetto ha rischiato di morire dal ridere nel leggerlo... beh, io ho un conto milionario alle Cayman. 
Ci tengo a precisare, e più avanti capirete il perché, che non ho acquistato il libro, me lo hanno regalato in considerazione della mia passione per i gialli. Che poi se “L'allieva” è un giallo il mio conto alle Cayman non è milionario, ma miliardario. 
Ma veniamo alla trama: la protagonista, Alice Allevi, è una specializzanda in medicina legale. Bella (vaga somiglianza con Sophie Marceau), intelligente (si fa per dire), ingenua (al limite della deficienza), un po' provinciale (come le sia venuto in mente Sacrofano a una che è nata a Messina è un mistero che non me la sono sentita di approfondire), con la propensione alla gaffe, distratta, facilona, maldestra e sufficientemente “sciocchina” (il termine è dell'autrice) da aver bisogno del macho, in senso letterale, quando finisce nei guai (praticamente una pagina dopo l'altra).
Per un vezzo del caso Alice è in una boutique di via del Corso a scegliersi il vestito per l'ennesimo party in stile Grey's Anatomy quando incontra una giovane donna della Roma bene che la indirizza verso un abito nero, molto frou frou (il termine è dell'autrice). Poche ore dopo la stessa giovane donna è sul tavolo dell'istituto di medicina legale. Gli inquirenti sono indecisi fra suicidio e omicidio, la morte è dovuta a choc anafilattico, ma la Allevi propende per la seconda ipotesi.
Perché? Perché mentre era nel camerino, Alice ha involontariamente spiato una telefonata della morta, in cui l'ha sentita pronunciare queste parole:
“Non so di cosa stai parlando, sei impazzita? No? Be, allora, hai un po' troppa fantasia. Non intendo più parlarne e se vuoi delle risposte non sono certo io a potertele dare.”
Voi non ci crederete, ma tutto comincia da qui. E il peggio non è questo, ma il fatto che si protragga per 374 pagine, ringraziamenti e note dell'autrice compresi. Trattandosi di un giallo (?) non svelerò come la nostra specializzanda riuscirà a dimostrare di aver colto nel segno, ma sono sicura di non togliere nulla alla suspence parlandovi del dottor Claudio Conforti, praticamente il clone di George Clooney in E.R., la cui bellezza è direttamente proporzionale alla stronzaggine (Alice lo ammira da un punto di vista professionale, lo teme come superiore e ovviamente è succube del suo fascino), e di Arthur Paul Malcomess, doppia nazionalità, laurea in scienze politiche, fotografo free lance per scelta, al cui fascino vengono dedicate ben sedici righe. Ciliegina sulla torta, Arthur è il figlio del capo della Allevi, il “supremo”, come lo chiama nell'intimità dei propri pensieri (piuttosto confusi in realtà). Quelli più intimi, di pensieri, si dividono tra questi due campioni di mascolinità. A chi donerà il cuore la bella e perspicace dottoressa? Se ve lo dicessi svelerei l'unico vero enigma di tutto il romanzo. Gli altri protagonisti maschili non sono degni di nota, nemmeno il commissario Calligaris, un ibrido tra il tenente colombo e monsieur Travet con la tipica faccia dell'uomo cui puzza l'alito, cito testualmente. 
Ora, come sia la faccia di uno a cui puzza l'alito io lo ignoro, ma non sono riuscita a ignorare l'acronimo che la Gazzola mette in bocca alla sua protagonista per descrivere una giornalista tv: 
S.C.V.S.E.C.R.M. che sta per 
sgallettata con voce stridula e capelli rosso menopausa. 
Così come non ho potuto ignorare che il bel dottor Claudio, parlando delle possibilità di carriera delle sue sottoposte, ammette candidamente che la più dotata tra loro non ha chance per via dell'aspetto che, ricito testualmente: le nuoce come non immagini.
Se è vero che ogni scrittore mette un po' di sé nei protagonisti dei propri romanzi, mi riesce difficile separare la Gazzola dalla ragazza emotiva, immatura, consumista e con una visione della vita tra il disincantato e il perfido (n.d.a.) che risponde al nome di Alice Allevi, specializzanda in medicina legale. Ma la Gazzola è giovane, ha poco più di trent'anni. Concediamole il tempo necessario a crescere e a maturare il convincimento che, fin quando saremo noi donne ad appoggiare l'idea che ci svalutiamo come un auto, che non abbiamo possibilità se a un bel cervello non si accompagna un bel culo o che la menopausa segna la fine della nostra sessualità e l'entrata nel mondo del ridicolo, gli uomini faranno fatica a dissociare il binomio che li ha resi il sesso forte per secoli: figa=sesso, e niente altro. Perdonate la volgarità.
Quanto detto ovviamente mi consente di dissentire dalle note entusiastiche della Littizzetto e della Schisa (Il Venerdì di Repubblica) che saluta la nascita della Kay Scarpetta tricolore. L'anatomopatologa della Cornell è una 
donna non più giovane, professionale, decisa, con una grande considerazione del proprio sesso e della vita umana. Paragonarla ad Alice Allevi è come paragonare il Conte Dracula di Bram Stoker a Carletto, il principe dei mostri dei cartoni animati giapponesi degli anni '80. E' azzardato e fuori contesto.

Loredana Falcone

p.s. Ho scoperto che c'è pure il booktrailer, questo

3 commenti:

  1. una persona, uomo o donna, può avere tranquillamente un bel cervello e un bel culo però scriverebbe romanzi migliori

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