martedì 12 giugno 2018

Il culo di Marina


N.B. Questo è un esperimento di scrittura a quattro mani.
N.B. 2 Le quattro mani appartengono a metà duo scrittorio più la mente roboante di Enrico Gregori.

Osservava i peli che si infilzavano nella schiuma.
Farsi la barba l’aveva trovata sempre una perdita di tempo. Ma necessaria, perché alla lunga la pelle gli si arrossava.
“Taddeo – disse a sorpresa – per quale cazzo di motivo i miei mi chiamarono Taddeo! Tu dimmi se ti viene mente un Taddeo che abbia mai combinato qualcosa”.
E diede una rabbiosa sgrullata al rasoio. Schiuma e peli finirono contro lo specchio.
“Ti ricordi che devo fare la doccia anch’io?
La voce di Sveva gli giunse insieme ai colpi serrati contro la porta. Sua moglie trovava sempre il modo di rovinare i suoi pochi momenti di intimità. In vent’anni di matrimonio non era riuscito ad usare il bagno senza essere interrotto da uno dei bisogni impellenti di Sveva. La doccia, la ceretta, l’assorbente da cambiare.
Rifiutarsi di eliminare la chiave del gabinetto era l’ultima resistenza offerta da quel poco di ego che gli era rimasto.
“Taddeo, insomma! Taddeooo!”
Ecco, in momenti come questo quel nome gli risultava ancora più inutile e fastidioso. Se si fosse chiamato Rocco, per esempio, avrebbe potuto aprire la porta e mollarle una capocciata da mandarla ko. Poi avrebbe superato il corpo inerme steso sul pavimento, avrebbe preso la tazza del caffè, il pacchetto delle
sigarette e si sarebbe goduto il silenzio appestando di fumo la camera da letto.

“E poi la barba – riprese Taddeo – e cerimonie varie per andare a un matrimonio di due rompipalle che non vediamo da 10 anni. E vai a capire perché non si sono dimenticati di noi!”.
“Io lo so il motivo”, provò Sveva.
“Sentiamolo”.
“Perché ti chiami Taddeo”.
“Certo, invece Sveva è il più comune dei nomi. “
“Togliti quella schiuma dalla faccia e smettila di dire fesserie. Paolo e Marina sono stati carini a invitarci nonostante il modo in cui li hai trattati l’ultima volta.”
Lui obbedì, del resto era quello che faceva sempre. Ma l’idea di assumersi la colpa di quanto era successo tanti anni prima proprio non gli andava giù.
“Se la memoria non mi inganna fu per difendere te che gliene dissi quattro, mio caro.”
Taddeo si passò sulle guance alcune gocce di acqua di rose. I dopobarba alcolici non li tollerava.
“Sveva – esclamò schiaffeggiandosi ritmicamente – che palle. Non è che mi salvasti la vita. Quel coglione di Paolo si era messo in testa che io volessi scapricciarmi con Marina. Ma ti pare? E chi la sopporta! Io al massimo sopporto te, perché...già, perché? Boh!”.
E riprese a schiaffeggiarsi.
“Se non vuoi che il prossimo schiaffone te lo spalmi io sulla faccia – lo minacciò Sveva spalancando la porta - ti consiglio di uscire da questo bagno prima di adesso. Dopodiché vedremo chi sopporta chi, stronzo!”
“A Marina diedi solo una cameratesca pacca sul culo dopo che tu e quel cretino di Paolo ci prendeste in giro per la nostra passione per i cartoni animati.”
Sveva lo spinse oltre l’uscio.
“Ecco, tu questo sei, un pupazzo. Sparisci!”
La porta si chiuse con un tonfo. Taddeo vi appoggiò contro la faccia rasata di fresco.
“Tanto per la cronaca, il culo di Marina era più sodo del tuo!”
Lo disse tanto per dire. Di Marina non ricordava né il culo né altro. Tranne l’essere petulante e una insoddisfazione cronica. Ammesso pure che Taddeo possa essersi complimentato con lei per la struttura delle chiappe, a lei la cosa sarebbe risultata del tutto indifferente.
“Però amore – provò Taddeo con Sveva – di te apprezzo la mente. Un cervello è per sempre, come il diamante. Il sedere lascia il tempo che trova”.
“Ma vaffanculo!”, arrivò dal bagno come un siluro.

Sveva iniziò a prepararsi, mentre Taddeo si bloccò quasi inebetito sedendosi del divano del salotto. Accese una sigaretta.
Lei avvertì subito l’odore di fumo, perché lo detestava tanto da chiedere spesso al marito di fumare sul balcone.
“Be’? – esclamò – Hai ancora tracce di schiuma da barba sulla faccia e sei in mutande. Pensi di venire al matrimonio in queste condizioni?”
“Matrimonio”, ripeté Taddeo meccanicamente.
“Allora?”
“Allora…”
“Ma ti sei incantato, rimbambito, ti senti male?”
“Male…ho contato male, ecco!”. Taddeo si alzò e iniziò a percorrere il salotto come per misurarne la superficie. “E uno…e due… e gira, e vai…Nascita, crescita, Cresima, Matrimonio… misurare finché tornino i conti…ma non tornano, non tornano!”.
“Taddeo, datti pace!”
“Pace…pece. Pece nera, tutto nero…paint it black, matrimonio, Paolo, Marina, Marina dal bel culo…”.
“Basta, basta col culo di Marina…io scherzavo, io scherzavo, amore!”
“Come mi hai chiamato?”, fece Taddeo come scosso da una scarica di corrente elettrica.
Sveva venne colta dal panico. Il momento che aveva sempre temuto era arrivato. Gli occhi del marito sembravano dotati di vita propria. Vagavano da un punto all’altro della stanza mentre il corpo di Taddeo era scosso dal tremito. Sveva si mosse, sapeva quello che ormai doveva fare, inesorabilmente.
Lui tentò di bloccarla, lei non gli diede il tempo dì avvicinarsi. Lo psichiatra era stato chiaro: prima o poi la crisi delle crisi, come l’aveva chiamata il medico, sarebbe arrivata. E allora non ci sarebbe stato niente da fare.
Sveva scivolò all’indietro, passo dopo passo, fino alla loro camera. Si chiuse a chiave e compose il numero che conosceva a memoria da sempre. Poche parole da un capo all’altro del filo. Poi sedette sul letto e si coprì la faccia con le mani.
Tornò a guardare la luce quando la sirena dell’ambulanza coprì le grida forsennate di suo marito.

L.F. & E.G.




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