martedì 22 gennaio 2019

Sul popolo del tutto e subito



Ho letto un post sull'abitudine dei lettori di aspettare l'uscita di un'intera serie prima di acquistarla (per leggerla tutta insieme e senza attese) e mi sono fermata a riflettere. 
La mia prima serie libresca - da lettrice - fu "La torre nera" di Stephen King. E chi ne ha seguito le vicende sa che tra il primo volume, "L'ultimo cavaliere", e l'ultimo di sette, "La torre nera", sono trascorsi 22 anni. Sì, avete letto bene: ventidue anni, dal 1982 al 2004. E noi, poveri lettori, eravamo lì a sacramentare contro il nostro adorato Stephen che non si decideva a condurci per mano all'epilogo.
Poi venne Harry Potter: il primo libro uscì in Italia nel 1997, l'ultimo nel 2007. Dieci anni col fiato sospeso, nell'attesa spasmodica della sconfitta di Voldemort e del trionfo del Bene.
Io stessa, oggi, sono autrice di una serie, "Diario vittoriano", la cui pubblicazione è iniziata nel 2017 e si concluderà, con il quarto e ultimo volume, quest'anno. Due anni per quattro volumi più un contenuto speciale (forse due) non mi sembrano eccessivi.
Eppure, anche tra i miei lettori, ci sono quelli che hanno dichiarato di preferire attendere l'uscita dell'ultimo per leggerli tutti di seguito.
Un equivalente del binge watching che va per la maggiore tra i fruitori delle serie televisive.
E allora parliamo, anche, di serie tv. Appartenendo alla generazione dei baby-boomer, io sono figlia degli sceneggiati televisivi, quelli che oggi si chiamano fiction. La mia prima passione, in tal senso, fu il "Sandokan" di Sergio Sollima (e Kabir Bedi e Philippe Leroy). La prima puntata andò in onda il 6 gennaio del 1976, le altre cinque vennero trasmesse nelle successive cinque domeniche. Di settimana in settimana mi struggevo nell'attesa e, al tempo stesso, volevo che l'attesa si prolungasse. Perché era, essa stessa, parte della gioia di seguire una storia appassionante.
Gli addicted dello "Sherlock" della BBC ne sanno qualcosa: tre episodi per stagione, una stagione ogni due anni per quattro complessive. E, diciamocelo, due anni di attesa per scoprire come avesse fatto Sherlock a sopravvivere al salto nel vuoto sono stati lunghissimi. Ma appassionanti.
Oggi che sono in possesso di un adorabile abbonamento a Netflix, ho potuto gustare la serie "Versailles" (tre stagioni, dieci episodi per ogni stagione) senza altra attesa se non quella che io stessa mi imponevo. E no, non sono masochista.
Semplicemente non appartengo al popolo del tutto e subito (da cui il titolo di questo post). Credo dipenda dall'età (ma ho miei coetanei capaci di dedicare due giorni filati alla fruizione della storia che li appassiona), o forse dalla volontà di degustare con calma, di cullarmi le sensazioni, di regalarmi quel piacere che solo l'aspettativa sa creare.
Nonostante non sia un'amante delle bi - tri - quadrilogie create ad arte per tenere agganciati i lettori. Nonostante non abbia mai accettato, da un punto di vista editoriale, la creazione di personaggi seriali da sfruttare a esaurimento.
Ma il bello di una serie è la capacità dell'autore di narrare una storia lasciando il lettore in bilico su cliffhanger e facendogli marameo dal versante opposto del burrone con la promessa di condurvelo, certo, ma a tempo debito.
Senza dimenticare che se nessuno compra il secondo volume, il terzo difficilmente vedrà la luce. Le serie proditoriamente interrotte di cui spesso sento parlare con contorno di improperi, sono di solito volumi usciti in altri paesi che nessuno ha più ritenuto di tradurre e pubblicare in Italia. Pratica spiacevolissima, certo. Ma anche, se vogliamo, pungolo a volgere lo sguardo alla produzione italiana.
Che ne dite?

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