giovedì 28 marzo 2019

Prudenza - Vizi e Virtù - Scrittore allo sbaraglio: Vito Parisi











Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è la prudenza. Cosa dici?
La prudenza si può riassumere in: stai lontano dal pericolo e questo vi deve bastare per il momento che se volessi davvero spiegarvi cosa è la prudenza, presupponendo che abbiate anche emozioni, dovrei dirvi che la prudenza è la ghigliottina di queste, la carnefice del coraggio e il veleno a cui noi umani ci siamo assuefatti per volontà di sopravvivenza immotivata.

Nella vita hai esercitato la prudenza: raccontaci.
Purtroppo è una pratica quasi indipendente dalla mia volontà, si esprime in quasi tutti i miei gesti quotidiani; il lavoro mi costringe alla prudenza, il “tengo famiglia” permea le scelte e, ancor di più, le non scelte. Da quando abbiamo lasciato arco e frecce primordiali ci siamo armati di prudenza come unica arma.

Consiglia un romanzo che parla della virtù in questione e spiegaci la scelta.
Difficile trovare la prudenza come tema di un romanzo, qualsiasi narrazione sembra prendere a pretesto proprio la negazione di questa per dare l’avvio a eventi inaspettati; forse dovremmo rivolgerci ai classici e fra tutti a “I promessi sposi” dove il Manzoni ne fa un brodo di coltura della genesi dei personaggi “eroici” quelli che alla fine vincono perché si sono affidati all’esercizio della virtù prudenziale lasciando all’entità superiore la riparazione dei torti.
    
Facci leggere un tuo brano attinente.
Ultimi metri di corsa, col fiatone, un salto ed è in carrozza, al sicuro.
Un lungo respiro e può rilassarsi; il suo posto, sempre quello, i soliti vicini, sistemare la borsa sul portapacchi e guardarsi intorno.
Se li contasse i giorni si accorgerebbe che sono tanti, ma proprio tanti: quasi tre anni per cinque giorni la settimana a salire su quel treno sempre alla stessa ora, con le stesse facce e sempre allo stesso posto.
Raramente si vedeva qualche viso nuovo, chi volete che abbia voglia di alzarsi a quell’ora del mattino se non per lavoro?
Strada facendo qualche viso era mancato, qualcun altro ne aveva preso il posto, ma, nell’economia complessiva, niente era cambiato.
C’è lei?
Si, c’è anche stamattina. Meno male. Passa meglio mezz’ora di viaggio se hai qualcosa da guardare, anche solo di sfuggita, senza farti accorgere.
Sono quasi due anni che la guarda Enrico, da quando l’aveva vista salire in treno una mattina e gli era sembrata una cosa fresca in mezzo al paesaggio affumicato dei soliti visi gonfi di sonno.
Era bella. È bella, anche se due anni di levatacce gli hanno disegnato sul viso un impercettibile reticolo di stanchezza che un po’ illividisce la pelle ancora giovane.
Aveva pensato che fosse un caso, un viaggio contingente, che non si sarebbe ripetuto; poi l’aveva vista il giorno dopo e l’altro ancora. Dopo un mese ci aveva fatto l’abitudine e il collo conosceva la torsione millimetrica che serviva per poterla vedere facendo finta di guardare fuori dal finestrino, solo muovendo un po’ gli occhi.
Si muovevano gli occhi, tanto; Enrico non riusciva a guardare altrove per più di qualche secondo, poi lo sguardo gli tornava da solo al bel viso stanco. Ogni tanto incrociava lo sguardo e fuggiva rifugiandosi nella specularità trasparente di se stesso riflesso nel vetro del finestrino.
Con un lieve scatto il treno si avvia, la nuca batte leggermente sul poggiatesta: da adesso Enrico può contare i minuti, quelli che gli rimangono con lei da guardare. Dura poco il viaggio. Troppo poco per tentare un approccio. Lui neanche ne avrebbe il coraggio. Tutte le volte che aveva provato ad immaginare di rivolgerle la parola aveva sentito un tremito nelle braccia e le gambe farglisi molli come gelatina, come se realmente stesse tentando di parlarle e lei lo stesse guardando scorbutica.
Avrebbe voluto avere un po’ più di faccia tosta, quel poco che serviva almeno per sorriderle, per farle capire che gli piaceva. Poi chissà…
Ma gli anni incoscienti erano passati da un pezzo. Anzi, per lui non c’erano mai stati, ma se riandava un po’ indietro coi ricordi qualche sorriso se lo era regalato. Gli veniva più facile qualche anno addietro. Adesso, quasi prossimo ai quaranta e con una vita passata a farsi curare da sua madre aveva i sentimenti ingolfati e assuefatti a muoversi in ambiti ristretti, giusto lo spazio dei suoi pensieri, senza voli.
Solo la mattina, per mezz’ora, cinque giorni la settimana, si permetteva qualche piccolo tremito, un azzardo timido della mente che gli regalava un sorriso di dentro, che gli faceva credere che domani, si domani, le avrebbe sorriso.
Maria non parla con nessuno. Imprigionata in una timidezza senza rimedio sale sul treno e fissa lo sguardo fuori dal finestrino, Conosce gli odori di tutti Maria, li avverte in misura invasiva e soverchiante; potrebbe, forse, indicare quale mestiere facciano solo se conoscesse altri mestieri al di fuori del suo.
Maria conosce poco del mondo, appena quello sprazzo di terra che guarda ogni giorno dal finestrino e i terrori che sua madre le inietta quando esce di casa.
Sono belli gli occhi di Maria: grandi, verdi e, anche se lei non vorrebbe, irrequieti. Lo ha visto quell’uomo che la guarda, quattro sedili più in là. Si è accorta di come distoglie subito lo sguardo quando lei inavvertitamente guarda verso di lui. Non gli sembra uno di quelli che dice sua madre, non ha cattiveria nello sguardo e a lei piacerebbe che le sorridesse. Le farebbe compagnia un sorriso nelle ore lunghe del lavoro, quando deve aspettare inerte che la macchina abbia digerito il carico di carta che lei gli fornisce e lo risputi sotto forma di sigarette. Bianche con il filtro giallo, tutte uguali.
Maria non parla con nessuno e non può dirlo ad Enrico che gli piacerebbe vederlo sorridere.
Potrebbe tentare di sorridergli lei, ma solo a pensarci gli occhi le cadono sul grembo, ostinatamente fissi.
Poi, una mattina, il posto di fianco a Maria è vuoto, un’altra delle solite assenze ignare, qualcuno che manca senza che lei sappia perché. Enrico arriva con il solito fiatone e trova il suo posto occupato da un viaggiatore occasionale che non sa di occupare un pezzo di vita, un’abitudine rassicurante.
Si guarda intorno Enrico, vede l’unico posto vuoto di fianco a lei, trema per un attimo, tenta un respiro profondo che gli si interrompe nel petto.
Maria spera, ma gli occhi sono disperatamente fissi fuori dal finestrino. Aspetta di sentire accanto quell’odore che di solito abita quattro sedili più in là. Trema anche lei e gli piace. Intanto inghiotte un mezzo respiro e quasi sorride.
Enrico è fermo al centro del corridoio, un ragazzino smilzo con un fagotto di libri gli chiede permesso e si avventa sul posto libero.
Abbarbicato al corrimano, in piedi, Enrico si lascia sballottare dal treno che parte; la sua borsa gli pende dal braccio inerte rimasto libero.
Si immagina una lacrima e pensa a quello di cui è fatta la sua vita: di cose che non succedono.
Vito Parisi

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincero.
La risposta è necessariamente interlocutoria: dipende dai vizi e dalle condizioni a contorno. Esercitare la prudenza nei pressi di un precipizio è doveroso, esercitare la prudenza verso le persone è quasi sempre deleterio.

Inventa un titolo accattivante che contenga la virtù che ti è toccata.
La prudenza del cobra 
(il cobra si allontana subito dopo aver deposto le uova per evitare le conseguenze dell’istinto che lo porterebbe a divorarle; una specie di prudenza inscritta dalla natura nel DNA di questo rettile)

Pubblicizza una tua creatura

Rocco è un piccolo imprenditore che decide di cambiare vita. In fuga da un mondo che lo ha nauseato incontra il Café du Reviens, un luogo magico e pieno di vita dove, uno dopo l'altro, entrano in scena tutti i personaggi, come attori su un palcoscenico. Rocco accoglierà le speranze e le delusioni, i dolori e le fatiche degli abitanti del Café: sconfitti che in realtà saranno i veri vincitori.




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