martedì 29 settembre 2015

Trauma da editing? No, grazie


Si diceva a proposito di editor e di editing. Ho letto commenti di autori che definiscono l’editing come un vero e proprio trauma subito. Altri, invece, ritengono che senza l’editing il loro testo avrebbe avuto lo stesso valore di un blocco di marmo prima dello scalpello dello scultore. Non sono d’accordo con nessuna delle due definizioni. Noi scriviamo a quattro mani e questo, consentitecelo, garantisce un doppio filtro. Non solo per i refusi, ma anche per il ritmo, le ripetizioni inutili, l’aggettivazione ridondante, la scelta dei vocaboli, la costruzione delle scene. Ogni volta che ci vediamo, noi rileggiamo le pagine prodotte la volta precedente, a voce alta. Un ottimo sistema, datemi retta. Ma vale solo se la voce è un’altra, magari quella di un beta-reader, come si usa definirlo oggi. Dovete ascoltare ciò che avete scritto, perché se funziona nella lettura a voce alta, funziona anche in quella silenziosa che ha il compito di portare il lettore dove volete voi. A fronte di tutto ciò, gli editor che si sono trovati a lavorare sui nostri testi hanno avuto ben poco da fare. Lo diciamo fuori dai denti: gli autori che si vantano di buttar giù pagine alla rinfusa, senza badare alle virgole, alle ripetizioni e ai particolari, presi dal sacro furore della creazione, perché tanto poi ci pensa l’editor… No, grazie. La professionalità sta nel consegnare alla rifinitura un lavoro già fruibile. Perché l’editing è, appunto, un rifinire, limare, aggiustare quel punto lì dove stringe un po’. Un lavoro di sartoria, di alta sartoria. Non tutti gli editor ne sono capaci. E non tutti gli scrittori sanno porsi nei confronti di un editor. Esempio vissuto da noi con il romanzo uscirà il 5 ottobre. Marco Rosati, fantastico editor di goWare, ci manda il file corredato di commenti a margine. Su 201 fogli A4 i commenti erano meno di quaranta. A proposito di lavoro preliminare svolto dalle sottoscritte. Uno di questi commenti (tutti centrati, motivati e spesso esilaranti) diceva: “ributtante!” con tanto di punto esclamativo. Quando abbiamo rivisto insieme i punti, su quello abbiamo riso più che su altri e Marco ha tirato un sospiro di sollievo, perché temeva che ce la saremmo presa a morte. La frase che definiva ributtante a noi non sembrava così male. Non lo era, a dirla tutta. Ma “sdolcinava” troppo un momento in cui la “sdolcinatura” non era necessaria. Cassata senza pietà e senza eterne diatribe. Marco, che ci conosce già dal Puzzle di Dio, sa anche quando i nostri “no” sono insindacabili. C’era un paragrafo, a suo dire troppo melò. Lo abbiamo tenuto, lui ha capito il nostro ragionamento. Dialogo, disponibilità e, soprattutto, rispetto reciproci. Noi riconosciamo a lui professionalità e attenzione e sensibilità nell’interpretazione del testo. Lui riconosce a noi la capacità di difendere le nostre scelte senza mai pregiudizi e partiti presi. Nessun trauma, anzi, il piacere della collaborazione e, per noi, anche un’occasione di crescita. Fermo restando che se il testo è un blocco di marmo, lo scalpello per tirarne fuori una storia ce lo mettiamo tutto noi. All’editor, com’è giusto che sia, resta la lima, quella morbida, che rende le superfici morbide e avvolgenti per lo sguardo del lettore.

ZG

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