Personaggi,
descrizioni e caratteristiche fisiche
Sul serio siete arrivati fin qui? Alla
quarta NON lezione? Bene, allora siete pronti ad affrontare, dopo il discorso
ambientazioni contemporanee, tutto ciò che riguarda i personaggi della vostra
storia.
Non ne esiste un numero esatto ma, fossi in voi, eviterei di dover
mettere in appendice al manoscritto l’elenco con nomi, cognomi, professioni e
gradi di parentela. Quella è una cosa che si tollera da Tolstoj o da Pasternak
e pochi altri. Certo, esistono i cosiddetti romanzi corali, ma dovete sentirvi
in grado di gestirli perché se ambientate la storia in una squadra di calcio,
per fare un esempio, e mi elencate tutti i titolari più la panchina, i
massaggiatori, l’allenatore e i raccattapalle, io lettore mi sento in diritto
di vedermi raccontare la storia o gli intrecci di tutti. Proprio perché li
avete nominati. Se invece i vostri protagonisti sono gli Holly e Benji di
turno, evitate di fare l’appello con nomi e cognomi di tutti gli altri.
Abbiamo parlato di nomi? Ecco un altro
tasto dolente. I nomi devono essere congrui alla trama. E alla
collocazione. E all’epoca, ma sul discorso romanzo storico torneremo in
seguito. Se la mia storia si svolge a Roma ai giorni nostri posso vantare una
certa qual libertà di sbizzarrirmi. La pariolina Clelia può convivere senza
alcuno sforzo da parte del lettore con la borgatara Suellen. Però se la storia
si svolge a Scampia, posso tollerare un Kevin, purché affiancato a un
Gennarino, un Marco, un Francesco. Diciamo che, in linea di massima, a meno di
non voler stigmatizzare una moda – tipo la figlia di Totti che si chiama Chanel
– se la storia si svolge in Italia useremo nomi italiani, se in Francia, nomi
francesi, se in Marocco, nomi dall’evidente matrice araba. Sembra una cosa
scontata, ma non lo è. Così come non è scontato affermare che il nome di un
personaggio è importante per la sua caratterizzazione quanto i tratti fisici. Da
un Edoardo mi aspetto un retroterra che non pretendo da un Gigi. È vero che
esistono le eccezioni, ma una famiglia di alta borghesia tenderà a rispondere a
nomi dal suono aulico, altisonante – Guglielmo, Leonardo, Ugo Maria – mentre in
un ambiente più popolare un bambino chiamato Pier Luigi avrà vita grama. Che
può essere una scelta voluta, ma in quel caso dovrete inserire nella storia
anche questo aspetto. Altro consiglio: evitare i nomi somiglianti tra i vari
personaggi, soprattutto se avete scelto di raccontarne molti. Tendo a
considerare i lettori persone intelligenti e in grado di reggere la sfida di
una scrittura che non sia piana e banale. Ma non pretendo che tengano a mente
che Matteo è quello simpatico e fidanzato con Livia mentre Mattia è il bastardo
che ha lasciato Lucia senza un motivo. Di nomi ce ne sono a migliaia, usiamone
di diversi. È anche più stimolante.
Quindi abbiamo un numero X di
protagonisti e comprimari, abbiamo scelto i loro nomi. Adesso dobbiamo
consentire al lettore di visualizzarli. E ci troviamo di fronte all’errore più
gettonato dallo scrittore alle prime armi: la descrizione da carta
d’identità. Altezza, colore degli occhi, colore dei capelli, modo di
vestire, conformazione fisica. Ebbene, tutte queste cose è giusto che le sappia
tu, autore, ma vanno svelate un po’ alla volta, a piccole dosi, cercando di
essere realistici. Anche la fanciulla più palpitante nell’attesa di avere uno
scontro frontale con il maschio alfa di turno non sarà in grado di notare
tutto, ma proprio tutto tutto, del predestinato oggetto del suo tormentato
amore. Al primo impatto noterà un paio di caratteristiche al massimo. Andiamo
di banalità, volete? Lei studentessa, lui professore di quelli che esistono
solo nei romance. Lei cretina (ricordatemi di prevedere una NON lezione contro
gli stereotipi sessisti, grazie), impacciata e in ritardo, svolta l’angolo e
impatta contro il prof. Le cadono tutti i libri, le penne, la borsa, gli
assorbenti, le gomme da masticare, il rossetto. Le mutandine ancora no, ma
datele tempo. Ci siete? Lui si china per aiutarla e… Zac! Le mani. Grandi?
Dorso peloso? Dita tozze oppure affusolate? Pelle chiara o abbronzata? Vene in
rilievo? Orologio di pregio o magari anelli? Porta la fede? Da una mano accorsa
sollecita potete far capire mille cose. Poi arriverà il momento degli occhi,
della bocca, dei capelli, dei tatuaggi, del fisico, del modo di vestire, di
parlare, di gesticolare, di guardare. Mi ripeto: al lettore non interessa
l’identikit. Ma pretenderà che siate congrui a voi stessi. Poche cose mi
imbufaliscono quanto un personaggio, maschio o femmina che sia, che parte con
occhi dalle profondità smeraldine, a metà romanzo mi inchioda con uno sguardo
scuro come la notte e alla fine lascia che il cielo si rifletta nelle sue iridi
azzurre. Sì, lo so, ci sono le lenti a contatto colorate, ma so anche che non era a quelle che stavate
pensando. In realtà non vi ricordavate che faccia avesse il vostro personaggio.
Ed è grave. È una cosa che personalmente non tollero. Fatevi una scheda per
ciascuno dei vostri protagonisti. Del tipo: Mario, occhi blu, capelli neri,
altezza uno e settantacinque, fisico da sportivo, veste casual. Potrebbe essere
la vostra salvezza.
Ora, mettiamo che stiate scrivendo una
storia d’azione. E che il vostro protagonista venga ferito, oppure abbia un
incidente.
Sul discorso ferita vi proporrei di
documentarvi bene sulle ferite da taglio, su quelle da corpo contundente, su
quelle da arma da fuoco. Idem per quanto riguarda l’incidente. Stradale?
Sportivo? Ferroviario? Domestico? Non date retta ai film d’azione. Una
coltellata in un fianco causa un’emorragia grave e mette k.o. per parecchi
giorni. Con un proiettile piantato in una spalla non si scala un cancello. Se
si ha un incidente stradale, cintura e airbag salvano la vita, lo sappiamo. Ma
lasciano segni evidenti tra ecchimosi ed escoriazioni. Quindi il vostro eroe o
la vostra eroina non potranno scendere dall’auto, scuotersi i vetri del
parabrezza dai capelli e andarsene come se niente fosse. Ma, soprattutto, non
vi dimenticate quello che avete fatto accadere al vostro personaggio. Se ha un
braccio ingessato, non potrà vivere un appassionato amplesso sotto la doccia. Stessa
cosa se gli hanno appena ricucito una ferita da lama nel fianco. Eppure di
simili exploit sono densi romanzi non solo firmati da esordienti. Probabilmente
siamo tutti vittime della sindrome di Rambo per cui amiamo gli eroi (ovviamente
maschi, anzi, machi) che si ricuciono
ferite devastanti con fil di ferro ossidato per poi correre la maratona nella
giungla. Se non riuscite a trovare parametri medici, pensate a quanto faccia
male un dito capitato per sbaglio sotto il coltello per il pane e moltiplicate
per dieci prima di immaginare che un personaggio crivellato possa fornire
performance in stile Bruce Willis senza scuotere in modo irrimediabile la sospensione di incredulità del lettore.
Perché noi lettori siamo sempre ben disposti a sospendere le nostre capacità
critiche di fronte alle eventuali incongruenze secondarie dell’opera narrativa. Ma devono essere secondarie. E su questo punto torneremo quando
affronteremo le ambientazioni futuribili o di fantasia.
Fin qui ci siamo? Coraggio, la
conclusione si avvicina. Ma vorrei affrontare, prima di chiudere questa NON
lezione, il discorso deus ex machina. L’autore
di una storia è una specie di dio. Può fare e disfare. Può decidere che un
automobilista in panne venga soccorso dagli alieni, se serve alla storia. Ma
ancora una volta non può prendere in giro il lettore. Gli alieni hanno senso se
la vicenda lo lascia intuire fin dall’inizio. Il personaggio può scoprire, a
metà libro, di avere dei superpoteri, ma a patto che gli sia accaduto qualcosa
di particolare che giustifichi quelle capacità. E, soprattutto, l’assassino non
può essere il maggiordomo. Se state scrivendo un giallo, del colpevole dovete
aver parlato diffusamente per buona parte del romanzo prima di scoprire le
carte. Non esiste che, dopo esservi incartati nella vicenda, seminando indizi
contrastanti tra loro e aver costretto il lettore a sospettare di tutto e di
tutti, ve ne usciate con un ladro occasionale, mai nominato prima, che ha
ucciso la vittima per sbaglio. O magari sì, ma dovete essere stati proprio
bravi per evitare che, complici i social, il lettore deluso si procuri il vostro
indirizzo e venga ad aspettarvi sotto casa.
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