mercoledì 1 novembre 2017

Doccia fredda #23 Il piano

Il piano

«Troppo rischioso» disse Stan, la faccia torva.
Joey annuì. «Non ho alternative.»
«Come no?» Stan allargò le braccia. «Aspetti il processo, ti danno due o tre anni, ti armi di pazienza e quando esci stai meglio di prima.»
«Seee!» Joey allargò le mani. «Sai in due o tre anni quanti altri se ne trova Sarah?»
«Chi se ne frega di Sarah, mica devi sposarla.»
«Veramente sì.»
«Ma chi, quella?» Stan si spalmò la mano sulla fronte. «Joey, a suo tempo l’ho conosciuta pure io, Sarah. In senso biblico, mi capisci? Io e tutta la banda.»
Joey strinse i denti. «Non mi provocare, Stan. Guarda che Sarah con me fa sul serio. Quindi non mi provocare o ti ammazzo.»
«Eh. Bravo. Allora sì che la galera te la fai a vita.»
«La galera non me la faccio, io.» Si chinò e abbassò il volume. «Perché stanotte scappo.»
Stan si guardò intorno: nessuno che facesse caso a loro. «Questo me l’hai detto. Mi hai pure detto che prima vuoi scendere dalla finestra che hai scardinato, e poi scavalcare l’angolo del cortile vicino alla grondaia. Ma lo sai che ci mettono un attimo, i secondini, a tirarti giù a colpi di fucile?»
Joey sogghignò. «Non questa notte.»
«Ah no.»
«No, perché stanotte alle torrette del cortile ci sono Gordeyev e Lewis.» Proseguì con un filo di voce. «Gli ho fatto avere dei soldi.»
Stan curvò le sopracciglia. «A Lewis?»
«No, a Gordeyev.»
«Oh cazzo. Quanto?»
«Trecento subito. Altri millesette fra due settimane. Gli fanno comodo: divorzio, alimenti, debiti.» Intrecciò le dita e le fece scrocchiare. «Ha accettato quasi subito, quando gliel’ho fatto capire. Non è uno stupido.»
«Su questo ci sarebbe da discutere.»
«Okay, non sarà un genio, ma a due più due ci arriva.»
«Joey.» Stan gli mise una mano sulla spalla. «Alex Gordeyev è quello che al bingo di Natale non si era accorto di aver fatto cinquina. Quello che si è fatto beccare dalla moglie pluricornuta perché non cancellava i messaggi dal telefonino.»
«E allora? Se è un cretino che si mette nei guai, vantaggio mio. Non si accontenterà di un uovo oggi; starà ai patti per avere anche la gallina domani.»
«Ma tu ce l’hai, la gallina?»
«Se esco, sì che ce l’ho. Quasi ottomila galline, ben nascoste.» Notò lo sguardo stupito di Stan. «Ho risparmiato.»
«E per l’uovo come fai?»
«Già consegnato.» Sorrise. «Ci ha pensato Sarah.»
Stan spalancò gli occhi. «Quindi lei sa dove stanno i…  le galline?»
«Per forza, se no dove li prendeva i trecento?»
«E se adesso sparisce con tutto il pollaio?»
Joey sbattè il pugno contro la panca. «T’ho detto di smetterla, Stan! E poi anche se volesse farlo, e comunque non vuole, sa che troverei il modo di mandarle dietro qualcuno.»
«Quindi rispiegami» sospirò Stan. «Com’è che funziona…?»
«Alle tre, tutte le notti che è di turno, Lewis si assenta un paio di minuti, il tempo di prendere non so quale medicina.» Guardò bene in faccia Stan per assicurarsi che lo seguisse. «Io un po’ prima mi calo dalla finestra, che c’ho impiegato tre settimane a venire a capo delle sbarre e ho dovuto farmi aiutare da Rico. Dicevo, scendo e mi piazzo dietro il cassonetto della parete dove stanno le cucine. Appena Lewis va di sotto, Gordeyev fa finta di stiracchiarsi, e quello è il segnale. Corro fino all’angolo, salgo, arrivo in cima e scendo dall’altra parte.»
«Sali? Come niente fosse?»
«Eddai, Stan. Sono quattro anni che faccio furti in appartamento e mi alleno alle scalate. Dammi una parete con due crepe e mezzo mattone, e io vado su come uno scoiattolo.»
L’altro lo guardò per traverso. «E il filo spinato?»
«Cesoie belle affilate» sussurrò Joey, con il sorriso tronfio di chi rivela un segreto importante. «Procurate ieri, proprio da Gordeyev.»
«Oh.» Stan si accarezzò il mento. «Allora c’è dentro per davvero.»
«Dentro fino al collo.»
Le dita di Stan tamburellavano. Faceva sempre così, Stan, quando pensava. Dopo un po’, emise un verso che non si capiva se fosse perplesso o convinto. «Resta un piano rischioso. Tante cose che devono filare lisce, una dietro l’altra.»
«Ci credo, è un’evasione.»
«Se ti beccano?»
Joey alzò le spalle. «Se mi beccano, mi aumentano la pena. Ma è uguale, tre anni o cinque o dieci, se devo perdere Sarah. Lei ha detto che mi aspetta, ma… lo sai come va. Adesso ci crede, magari fra sei mesi no.»
Stan gli piantò gli occhi addosso. «Vorrei dirti che sei un coglione. E infatti lo sei. Però ti dico anche che hai le palle.» Gli diede una pacca su una spalla. «Può funzionare, ma prudenza e occhi aperti, eh?»
Joey gli strinse forte la mano. «Prima o poi ci si rivede, Stan.»

*          *          *          *          *

«E dunque?»
«Dunque, encomio e premio.» L’uomo ridacchiò e stese le gambe. «Per l’ottimo svolgimento del mio lavoro.»
«Dici che Joey ha sofferto?»
«Nah.» Un ultimo sorso dalla bottiglietta. «Due proiettili dritti in mezzo alla schiena, non avrà fatto in tempo a dire bao.»
Lei si fregò le mani. «Sapevo che su di te potevo contare, Alex. Sei stato fantastico.»
«E certo.» La tirò verso di sé. «Joey era un coglione. Secondo me credeva di averlo pensato lui, il piano.»
La ragazza rise. «A certi uomini basta buttare la parola giusta al momento giusto, e il cervello gli va dritto dove conviene che vada.»
«Sei stupenda, Sarah.» Il secondino la baciò vorace, lei lo lasciò fare. «Mi allunghi un’altra birra?»
«Certo, tesoro.» Sarah si alzò e raggiunse il tavolo su cui erano appoggiati il sacchetto della spesa, uno zaino semiaperto da cui sbucavano delle banconote, e il suo giacchetto. Infilò una mano nella tasca, estrasse una calibro 22 col silenziatore. «Arriva subito.»




1 commento:

  1. forse è una mia fissa, ma se siamo italiani perché usare personaggi stranieri? Il racconto non è male anche se il finale è prevedibile.
    Raffaele Abbate

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