venerdì 10 agosto 2012

I miei articoli su "La Sesia": Il dipendente che si ammala è perduto


È capitato a ciascuno di noi il collega furbo. Quello che i diritti conquistati in anni di battaglie sindacali li usa per far rimpiangere al datore di lavoro i tempi di Kunta Kinte. Il problema è che di colleghi furbi alla fine ce ne sono stati, e ce ne sono, talmente tanti da rendere necessaria una frenata brusca. Ed è a questo punto che noi, lavoratori normalmente produttivi, ci rendiamo conto che quelle furbate ci hanno danneggiato. Tutti. Capita, anche a fronte di un’estate con temperature record, di sentirsi male. Una banale infezione, un bel febbrone aggravato dalla gara tra temperatura interna e bollore esterno. Ed è qui che comincia la nostra odissea. Mettiamo di lavorare per una grande azienda da migliaia di dipendenti. Mettiamo che sia arrivata da poco una circolare di una cinquantina di pagine sulle nuove procedure per comunicare la malattia. Mettiamo che in soldoni si tratti di mettersi al computer e, nonostante il febbrone, mandare un’e-mail in burocratese all’ufficio del personale annunciando che si è malati e che ci si appresta a consultare il medico per poi comunicare il numero di protocollo del certificato telematico. Fatto. Mettiamo che poi chiamiamo il medico che, febbrone o non febbrone, ci vuole nel suo studio. Bene, ci mettiamo in macchina, cerchiamo parcheggio, lo troviamo distante, ci facciamo una bella scarpinata sotto il sole cocente. Il medico si guarda bene dal visitarci. Si chiama diagnosi a colpo d’occhio: tre giorni di antibiotici, solo due di prognosi. Fatto. Si torna a casa, ci si rimette al computer. Il febbrone è sempre lì, ma il numero di protocollo parte alla volta dell’ufficio del personale e adesso siamo liberi di buttarci nel nostro letto di dolore con una borsa del ghiaccio in fronte. Mettiamo che però la febbre non se ne vada e che allo scadere del secondo giorno di prognosi l’idea di tornare a lavoro sia da escludere a priori. Chiamiamo il medico. Ancora la febbre? Bene, venga a studio e poi vediamo. Mettiamo che siate lì, con un’invettiva pronta a partire e che il telefono squilli. Chiamano dal lavoro. L’ufficio del personale è imbufalito perché non ha ricevuto comunicazioni. L’invettiva si ingigantisce mentre spiegate e scoprite una situazione fantozziana: l’indirizzo e-mail del personale fa parte di una rete aziendale che accetta solo comunicazioni da un altro indirizzo aziendale. Detto in parole povere: che vi ammalerete lo dovete sapere prima di lasciare il posto di lavoro, in alternativa, tornate a lavoro, mandate l’e-mail aziendale e poi riguadagnate il letto di dolore. Tutto chiaro? Intanto siete tornati dal medico il cui sguardo dice: ma guarda, questa qui sta male sul serio, non voleva farsi le ferie a spese dell’Inps. E vi concede altri due giorni. Morale: la prossima volta che incontriamo un collega furbo, guardiamolo in cagnesco. Perché è colpa sua se oggi anche una semplice febbre estiva diventa un’odissea.

Laura Costantini

3 commenti:

  1. No Laura, nemmeno per sogno.
    Se il problema sono i furbi, l'Inps (il medico, l'azienda, la Giustizia, etc) perseguitino i furbi.
    Ne hanno sempre avuto i mezzi e il dovere; se non l'hanno fatto, sono complici dei furbi e tanto basta.
    Ma indicare quattro ladri di galline quale causa di un sistema kafkiano imposto a chiunque per accedere al diritto di usufruire della malattia, mi pare un'impostazione sbagliata.
    E lo dico da una condizione di precaria che negli ultimi 5 anni ha fatto forse 4 giorni di malattia e senza avere alcun diritto a essere retribuita in caso di malattia se non a partire dal 4° giorno e in misura ridotta del 50% dopo il 7°.
    Quella di puntare il dito contro i furbi (gli evasori o chi si mette in malattia per poter andare a pesca), è un gabbia mentale utile a un sistema il quale, anziché puntare alla piena efficienza della legge, punisce indistintamente furbi e non furbi tranne prenderci per i fondelli con notiziole su quattro idioti che hanno "rubato" la pensionicina che ammonta in totale a 500.000€ sommati in svariati anni.
    Il tutto mentre dalle casse dello stato i moralizzatori sulle tasche altrui si rubano stipendi e benefit per dirci che è per via dei ladri di galline che i conti non tornano.
    Capisco la frustrazione per l'essere costretti a subire simili idioti percorsi con la febbrona che ti stende.
    Ma più che con i furbi (che sono comunque una responsabilità di chi non li persegue), punterei l'indice contro quei geni, sicuramente pagati lautamente, che inventano simili demenziali procedure.
    E' una questione di equilibrio: assumano ispettori e controllino sistematicamente se chi si mette in malattia sta a letto con il febbrone o se n'è andato a pescare.
    Ne guadagneremmo tutti in fiducia e credibilità nel sistema.
    Accanirsi sui ladri di galline, senza chiamare in causa chi ha il dovere di tutelare l'interesse di ogni cittadino scovandoli, non fa passare la febbre e ci distrae dalla vera truffa sottostante.

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    1. Ross, sono d'accordo fino ad un certo punto. Il tuo ragionamento è giusto. Ma io vivo ancora nell'illusione che le persone possano sentire il dovere, il diritto e l'orgoglio di comportarsi con onestà. E sì, controlliamo meglio e sì, controlliamo anche in alto loco, ma io a tutti coloro che negli anni hanno reso il termine dipendente pubblico sinonimo di ladro di stipendio, scaldascrivania e truffatore dell'inps vorrei sputare in faccia. Perché il lassismo lo hanno propagandato come furbizia.

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    2. Capisco il desiderio di condanna sociale espressa da uno sputo come si deve: è la nostra mancata riprovazione sociale ad aver favorito il proliferare esponenziale dei furbetti che oggi ci vengono additati quali responsabili del conto che paghiamo.
      Come a dire: visto che come cittadino non gli hai mai sputato in faccia, ora paghi anche tu per i suoi comportamenti truffaldini.
      Ne parlavamo qualche giorno fa visitando l'Austria. Lì nessuno oserebbe mai fare il furbetto, e non tanto per la legge, che è davvero uguale per tutti.
      Ma perché prima della legge arriverebbe l'esclusione, la riprovazione pubblica, a emarginare socialmente il furbo.
      Ma perché addebitare al furbetto la macchinosità demenziale della burocrazia?
      Questa - alla fine - è funzionale alla logica dei furbetti, più che alla giustizia sociale.
      Forse il problema è che abbiamo un'idea dello stato come fosse diverso e altro da noi.
      Come se, nei nostri mancati sputi al furbetto, in qualche modo riconoscessimo in lui qualcuno che si sottrae al giogo di un comune nemico, senza vedere che siamo noi il "nemico" a cui il furbetto sottrae privilegi.
      Discorso che purtroppo arriva tardi, visto che i furbetti hanno ormai occupato tutti i posti di comando e non c'è modo di mandarli a casa, se non iniziando davvero a prenderli a sputi.

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