martedì 7 agosto 2012

Se il protagonista è bello, ovvero dei pregiudizi maschili sulla scrittura femminile


Cominciamo dall’inizio. Correva l’anno 2009, se non vado errata, e chiesi a un mio amico scrittore e giornalista se aveva voglia di presentare un nostro romanzo. Accettò. Lo lesse. Mi disse a chiare lettere che non gli era piaciuto. In sede di presentazione lo paragonò a Dallas e Dinasty perché si trattava di una saga familiare. Ma l’appunto principale fu: “Questi so’ tutti belli come protagonisti dei fotoromanzi!”. Se considerate che delle due donne protagoniste una era storpia e sulla sedia a rotelle. Se considerate che spesso i lettori ci hanno chiesto una maggior descrizione dei personaggi. Se considerate che il tema fondamentale di quel romanzo era la violenza familiare, l’incesto, la vendetta e il perdono, magari vi fate un’idea del pregiudizio alla base di quel parere. Anche perché l’amico scrittore ha a sua volta scritto romanzi dove ci sono donne molto belle e maschi molto fichi.
Oggi si parla moltissimo di “50 sfumature di grigio”. Non l’ho ancora letto. Me lo hanno prestato, ce l’ho a casa. Ma ancora non mi decido. Però ho letto un sacco di recensioni. Tutte di donne, tutte negative, a dimostrazione che ci sono anche femmine che non vanno in calore al pensiero di farsi frustare. Uno degli appunti mossi nei commenti (maschili) a queste recensioni è che il protagonista, Mister Grey, è un fico della madonna. E pare che questo immaginare maschi apollinei, ancorché armati di frustino e pronti a imporre un dilatatore anale, a) sia caratteristica tutta femminile, b) dia molto fastidio al maschio medio che magari userebbe pure i due attrezzi di cui sopra, ma di sicuro di apollineo ha ben poco. Succede anche che io abbia appena finito di leggere un gran bel romanzo: “Canale Mussolini”. Che c’azzecca? Ci arrivo subito. Siamo, credo, tutti d’accordo che Antonio Pennacchi sia quanto di più distante da Liala si possa immaginare. Sarei anche dell’idea che sia rigorosamente eterosessuale. Eppure nel suo libro le descrizioni di omaccioni fascistissimi e fascinosi si sprecano. I Peruzzi, la famiglia di cui ci racconta le gesta, ha la prerogativa di generare una miriade di figli. Le femmine sono quasi ininfluenti (l’unica di cui ci parla è Bìssola, la più stronza di tutte, mai veramente descritta), mentre i maschi... Ne nascono in alternanza uno biondo biondo e uno moro moro. Tutti dotati di occhi azzurri, spalle possenti, lombi scolpiti, schiene muscolose e sudate come in un calendario dei Village People. Non solo, a una delle donne (Armida, anche lei biondissima, con tettoni sodi che ama farsi “morsegare”) basta passare una spugna su una di quelle maschie schiene per bagnarsi tutta. E non aggiungo altro. Ora, se Pennacchi di nome facesse Antonia, ve lo immaginate che putiferio si sarebbe scatenato sulla scrittrice che elargisce materiale onanistico a lettrici sessualmente insoddisfatte? Mentre, a quel che ne so, visto che Pennacchi è decisamente un Antonio, nessuno ha trovato da ridire su questo proliferare di uomini da paginone centrale di Playboy. Faccio un altro esempio. Maurizio De Giovanni è uno degli scrittori che amo di più, oltre che un caro amico. Di lui ho letto l’opera omnia, come suol dirsi. Ebbene, il suo commissario Ricciardi (protagonista di una fortunatissima serie oggi pubblicata da Einaudi Stile Libero, ve la consiglio caldamente) è uomo che farebbe innamorare qualsiasi donna: alto, magro, sofferto, volto affilato, ciuffo folto sulla fronte, occhi verdi e trasparenti come schegge di smeraldo. Fosse figlio di un’autrice, staremmo tutti lì a parlare di personaggio da romanzetto Harmony. Per non parlare dell’ispettore LoJacono, protagonista de “Il metodo del coccodrillo” (Mondadori) sempre a firma De Giovanni: anche lui sofferto, moro moro, con occhi penetranti e dal taglio orientale. Non vuole essere una critica. Ho già detto che ritengo De Giovanni un grande scrittore, destinato a lasciare il segno. Voglio puntualizzare l’evidente tendenza a perdonare (posto che sia un peccato) allo scrittore l’enfasi posta sul protagonista. Mentre una scrittrice che ponga la stessa enfasi è, per forza di cose, una donnetta insoddisfatta della vita (sessuale, of course) e pronta a sognare uomini perfetti e inesistenti.
Di libri ne ho letti molti e mi viene da dire che nella rappresentazione letteraria della realtà, tutti gli scrittori (da Omero in poi, i suoi eroi omerici erano tutti omaccioni fascinosi) hanno sentito la necessità di fornire alle proprie creature una marcia in più. Perché protagonista viene dal greco e significa primo attore. E senza che ci siano in giro poi tante registe assatanate, sfido i pregiudizi maschili a trovare un protagonista, ovvero un primo attore, brutto da far schifo.

5 commenti:

  1. un mio amico scrittore e giornalista se aveva voglia di presentare un nostro romanzo. Accettò. Lo lesse. Mi disse a chiare lettere che non gli era piaciuto.

    E poi l'ha presentato lo stesso. All'anima, tanto per dire quanto ci sia da fidarsi di queste presentazioni.

    “Questi so’ tutti

    Ma chi era, quel burino di Gregori?

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  2. Non mi si tocchino "Le colpe dei padri"... ;-) Anche secondo me era Gregori il giornalista!
    Sull'argomento del post, è vero, sia autori uomini che donne tendono a utilizzare personaggi di bell'aspetto, però se lo fa una donna la si addita di più. E' un pregiudizio che vale anche per altri aspetti, come per es. il sentimentalismo. Io sono la prima (lo ammetto) ad avere pregiudizi verso romanzi scritti da donne perché ho paura di trovarmi troppo sentimentalismo oppure quell'atmosfera intimista che io chiamo "tè e pasticcini". So che è un mio pregiudizio però (tra l'altro voi stesse come autrici lo smentite perché nei vostri romanzi, almeno quelli che ho letto io, c'è tutto tranne "tè e pasticcini") ;-)

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    1. Ilaria, che piacere riaverti qui. Grazie dell'apprezzamento. Le colpe dei padri divennero un romanzo in cartaceo grazie soprattutto a voi lettori che vi appassionaste tante.

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  3. http://www.ilgiornale.it/news/non-far-pubblicit-ai-propri-libri.html

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    1. Caro Gyro Limoni (che nick inquietante), apprezzo Massimiliano Parente quanto una bicchierata di olio di fegato di merluzzo. Mi potrai dire che fa bene (l'olio, non Parente), ma resta il fatto che sia estremamente sgradevole. Aggiunto che Parente, dall'alto della sua visibilità esibita fuori e dentro del Giornale, ha ben agio di regalarci simili perle di saggezza: "È una legge scientifica: tanto più un’opera è importante, tanto meno uno scrittore ha voglia di presentarla. Non solo per il principio leopardiano che se uno scrittore conoscesse uno a uno i propri lettori non scriverebbe mai, ma anche per il contrario: sono talmente vivo nella mia scrittura che a vedermi dal vivo non possono non restarci male. Oltretutto se avessi potuto parlare della mia opera ne avrei parlato senza scriverla, quindi il parlarne può solo togliere."
      Comunque, grazie della segnalazione :)

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