giovedì 28 agosto 2014

C'erano una volta. E ci sono ancora.

Un paio di sere fa un post di Isabella Moroni mi ha riportato indietro di molti, moltissimi anni. La foto di un vecchio nastro bicolore per macchina da scrivere è stato il trampolino di lancio per un viaggio nel passato, il passato di due studentesse del liceo classico che si riunivano dopo la scuola per studiare, ma non solo. Alla luce di questi ricordi, sono portata a pensare che se ho buttato tanto tempo sui libri, se sono riuscita a prendere un diploma il merito va anche alla mia/nostra passione per la scrittura. Era solo per trovare il tempo necessario di metterci davanti alla macchina da scrivere che mi affannavo sui libri con la socia. Prima tiravamo via libri e quaderni e prima potevamo tuffarci nelle  nostre storie. Storie mirabolanti, incredibili. Fatte di folli passioni, di avventure spettacolari in mondi mai visitati. In quelle storie c’era il nostro presente ma soprattutto il nostro futuro. Volta per volta mi immaginavo eroina di una rivoluzione, passione segreta di uomini affascinanti e irraggiungibili, donna libera e realizzata in ambienti lontani da me anni luce. Come correvano via quelle ore, com’era difficile lasciare la vecchia Olivetti per tornare a casa prima del coprifuocoLa voglia di raccontare, di raccontarci, era talmente forte da spingerci a dare corpo a più idee contemporaneamente. Lavoravamo su più fronti, passavamo dagli spazi siderali alla polvere dell’arena di un improbabile BowlingbrokeCircus ( non ho la più pallida idea da dove sia saltato fuori quel nome) con la stessa facilità con cui oggi i bambini cambiano canale sul televisore. La fantasia era l’unica droga della quella eravamo dipendenti, ci teneva in pugno, tormentandoci giorno e notte. Si, perché anche quando la macchina da scrivere taceva, il nostro cervello continuava a mulinare idee, era come essere davanti al cappello di un prestigiatore. Fra ieri e oggi c’è dimezzo… la vita. Con i suoi ritmi, con le sue esigenze, con tutti i problemi che si tira dietro. La vecchia Olivetti è in cantina, chiusa nella polverosa custodia di finta pelle color avion. Sotto le nostre dita i tasti del computer suonano la loro musica soft, leggera come le dita che li percorrono. Al posto della versione di latino o greco si sono i panni da stirare o il pezzo da mandare in onda. Non indossiamo più jeans a sigaretta e maglioni over size e se ci facciamo la tinta non è per essere trendy ma per coprire i segni che il tempo ci lascia sulla pelle. Ma l’anima, quella non riesce a scalfirla. Quando siamo davanti al computer, se ci guardiamo negli occhi, l’immagine che abbiamo una dell’altra non è quella della signora di mezza età (termine bruttissimo ma non me ne viene uno migliore) ma quella di due adolescenti con lo sguardo acceso dalla fantasia e la bocca sempre pronta al sorriso.Perché, mi spiace per chi pensa che debba essere il contrario, io e la socia quando scriviamo ci divertiamo da morire. Voi, a leggerci, un po’ meno, forse. Ma non è un nostro è problema.  

lunedì 25 agosto 2014

Il fascino dei cattivi (dialogo di La e Lo)


La - Succede una cosa strana.
Lo - Quando non succede?
La - I lettori si stanno affezionando a Cameron Cayden.
Lo - Mister Liberty?
La - Lui. Ci crederesti? Lo trovano simpatico.
Lo - E' simpatico, in effetti.
La - Ma se è uno psicopatico!
Lo - Ma non il peggiore, nella trama.
La - Non spoilerare.
Lo - Non spoilero. Però Mister Liberty è uno coerente con sé stesso.
La - Una dote che non va per la maggiore.
Lo - Infatti, ma trovarla in un libro piace, soprattutto se applicata a uno che spezza colli e sventaglia mitragliate come niente.
La - L'analisi non mi è chiara.
Lo - Spiego: quante volte avresti voluto impugnare un AK47 e fare un po' di pulizia?
La - Molte, ma...
Lo - Ma sei una persona razionale e sai che non si può fare. Nella realtà. Nella fantasia, invece...
La - Guarda che la maggior parte della gente si identifica con gli eroi buoni.
Lo - Una volta. Adesso il vento è cambiato. E i buoni, per aver successo, devono avere una vena di follia, di cattiveria.
La - Ma Mister Liberty di buono non ha niente.
Lo - Non lo conosci bene.
La - Ma se l'abbiamo scritto noi!
Lo - Certo, ma da quando in qua i personaggi restano confinati in quello che abbiamo scritto noi?
La - Fammi un esempio di buona azione di Mister Liberty.
Lo - Hai detto di non spoilerare, no?
La - ... giusto.
Lo - Appunto. E, comunque, fidati. I lettori hanno sempre ragione e se amano il nostro maggiore Cayden, un motivo c'è, anche se noi non sappiamo quale.
La - Mi stai diventando mistica?
Lo - Pratica. A me basta che comprino il libro, poi possono affezionarsi anche a...
La - Non spoilerare.
Lo - Vaaaabbene. Ma nel prossimo tutti stronzi i personaggi, okay?
La - Non credo di riuscirci.
Lo - Non sottovalutarti...

martedì 19 agosto 2014

Una clamorosa mancanza: i ringraziamenti per Il puzzle di Dio

Lo - Mi meraviglio di te!
La - Che ho fatto?
Lo - Ti sei scordata.
La - Di cosa?
Lo - I ringraziamenti.
La - ...
Lo - Sveglia, i ringraziamenti in calce al Puzzle di Dio. Oppure con gli e-book non si usa?
La - Occavolo, è vero...
Lo - Non pensi sia il caso di rimediare?
La - E come rimedi? Ormai è fatta.
Lo - Beh, scusa, c'abbiamo FB, Twitter, il blog...
La - C'abbiamo... C'ho! Tu non appari mai.
Lo - Ci sono in spirito. Allora, 'sti ringraziamenti?
La - Eh, dammi un attimo. Bisogna pensarci bene...
Lo - Comincia con Melchisedec.
La - ...
Lo - Che pazienza che cce vò! Melchisedec, il blogger, il professore che ha limato e migliorato il latino del frammento di Ippolito, hai presente?
La - Giusto.
Lo - E Remo Bassini, che ha fatto un primo editing.
La - Giusto.
Lo - Stai a prende appunti? Brava. Poi direi Enzo Carcello, che è stato il primo a crederci veramente.
La - Enzo Carcello, vero.
Lo - E, senza nominarlo, io metterei anche l'editore che prima ci ha fatto il contratto e poi ci ha ripensato.
La - E perché?
Lo - Se lo avesse pubblicato lui, non saremmo arrivate a goWare, ti pare?
La - In effetti...
Lo - Poi le vogliamo mette quelle cose che fanno tanto scrittore famoso?
La - Cioè?
Lo - Ma come cioè? Quelle cose tipo: un grazie particolare va al generale XYZ, di cui non potremo mai diffondere il nome pena la morte in circostanze dolorose e sospette che ci ha rivelato l'esistenza del Servizio.
La - Ma non esiste!
Lo - Ma che te frega. Fa scena. Poi quelle cose tipo: a Olindo, lui sa perché.
La - Chi è Olindo?
Lo - Nessuno, ma i lettori non lo sanno.
La - Ah, ecco.
Lo - Il tocco di classe potrebbe essere un: a Valerio, senza il cui cocktail "Tramonto sul deserto" tante idee non sarebbero venute.
La - Noi NON beviamo cocktail.
Lo - Lascia fa, gli scrittori devono essere un po' viziosi. E poi non li ringrazi i tuoi amici nepalesi?
La - Sì, questi sì, giusto.
Lo - Ecco, mo' scrivi tutto e posta. Io vorrei sape' come faresti senza di me. Proprio.

sabato 16 agosto 2014

E poi arriva Sherlock...

Questa è, a tutti gli effetti, una confessione che dedico interamente alla nipote d'elezione Jessica. La colpa è tutta sua se io mi ritrovo alle prese con una regressione adolescenziale francamente inopportuna alla mia veneranda età. Tutto iniziò (come quasi tutto inizia nella mia vita al di fuori della professione) nella cucina di Lory. Jessica ha imparato l'inglese alla perfezione dedicando la totalità del suo tempo libero a leggere interviste, guardare film, cercare spezzoni, realizzare sottotitoli. Attività che consiglio caldamente a chi volesse veramente entrare nello spirito della lingua. Ma sto divagando. Ve l'ho già detto che amo i personaggi forti e che vorrei essere loro, no? Però questa cosa qui non me la aspettavo. Jessica è una fan di "Sherlock", la serie della BBC con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman (lo Hobbit per chi non ce lo avesse presente). E ha cominciato un lavoro costante di convincimento della sottoscritta affinché mollassi la serie "Elementary", sempre dedicata alla figura di Sherlock, per convertirmi alla BBC. In lingua originale. Ora, dovete sapere che io odio, anzi, odiavo i sottotitoli. Ritengo il lavoro di doppiaggio imprescindibile, di più, mi sarebbe piaciuto fare la doppiatrice (ho una bella voce, dicono, e anche una qualche capacità interpretativa se sono sola davanti a un microfono). Jessica, obviously, è per la lingua originale. Soprattutto per la voce originale. E se avete mai sentito parlare Cumberbatch/Sherlock sapete anche perché. Quando Cumberbatch ha interpretato il cattivo Khan in Into darkness (l'ultimo della serie Star Trek), la sua interpretazione e la sua fisicità mi hanno colpita. Ma non ero ancora convinta. Jessica mi fece sentire una sua battuta in lingua originale, imprecando contro il doppiatore che ne aveva stravolto il senso (il doppiatore urlava, Cumberbatch faceva esattamente l'opposto). Per farla breve, a giugno hanno dato in tv alcune delle puntate di "Sherlock". Una in realtà l'avevo già vista tempo fa. Mi sono appassionata, soprattutto quando la seconda stagione è finita con il suicidio di Sherlock in una straziante scena d'addio a John Watson. A quel punto la perfida nipotastra ha capito che ero pronta. E mi ha spacciato tre serie tre in lingua originale con i sottotitoli. Risultato:
- ieri sera ho fatto mezzanotte nonostante una dura giornata di lavoro;
- sono perdutamente innamorata di Sherlock;
- sono perdutamente intrigata dal rapporto di Sherlock con Watson (i rapporti di amicizia profonda tra protagonisti mi intrigano da sempre);
- adoro ascoltare la voce di Cumberbatch, vero strumento di seduzione di massa;
- non vedo l'ora che arrivi la nuova serie;
- rivedo compulsivamente le puntate già viste;
- sto imparando involontariamente l'inglese;
- appena arriva l'inverno acquisto un cappotto dello stesso modello di Sherlock, doppiopetto, redingote con ampia svasatura posteriore e martingala, ne ho avuto uno anni fa ed era il mio preferito in tempi non sospetti;
- mi stanno venendo in mente un sacco di storie con protagonisti due uomini il cui rapporto sia un'amicizia ruvida ma in realtà tenerissima.
 
Tutto questo non mi accadeva dai tempi eroici del Sandokan di Kabir Bedi, ma all'epoca ero una bambina...
Aiutooooooo!
 
p.s. i libri di Sir Arthur Conan Doyle li ho letti anni fa e mi sono molto piaciuti.

giovedì 14 agosto 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: Saro Calopresti


A Saro non capitava spesso di essere felice come in quel momento. Nudo e con una sigaretta tra le labbra, lasciava che lo sguardo vagasse attraverso i vetri appannati della finestra verso gli aloni indistinti dei lampioni. La nebbia notturna rendeva favoloso il vialetto dell’anonima villetta a schiera che aveva preso in affitto un anno prima quando, neolaureato in scienze ambientali, era stato assunto dalla Technatom, l’impianto creato a metà degli anni Sessanta per il riprocessamento dei combustibili usati per i reattori nucleari. Non aveva certo fatto salti di gioia quando era stato costretto a trasferirsi da Roma a Brusasco. Lui, finché non gli avevano comunicato la destinazione, non sapeva neanche dove fosse Brusasco.

I primi tempi erano stati duri: si era sentito solo, tradito nelle sue aspettative, incazzato con suo padre che non era riuscito a trovargli una sistemazione migliore. O forse quella era la sistemazione migliore. Suo padre, gran puttaniere, un ipocrita attaccato alle tradizioni e al buon nome della famiglia, si era dimostrato elastico con Saro: era arrivato ad accettare quasi tutto. Che fumasse spinelli, che fosse promosso agli esami solo grazie alle sue raccomandazioni, che facesse la vita del vitellone… ma non che gli piacessero gli uomini. Questo no, minchia. Questo, don Gaetano Calopresti, scopatore calabrese esentato dall'uso del Viagra non lo poteva accettare.

Saro sorrise sarcastico alla nebbia che si muoveva fluttuando portata dal vento al ricordo delle urla, dei malori di sua madre, delle minacce.

Per tutta la durata del corso di laurea, i suoi genitori avevano creduto che dividesse l’appartamentino con una ragazza, la stessa che aveva portato qualche volta a Roma, spacciandola per la sua fidanzata. Invece con lui viveva Angelo. Il sorriso di Saro si appannò a quel pensiero mentre soffiava fumo contro le dozzinali tende della camera da letto. Era stato Angelo a fargli sbattere il naso sulla sua omosessualità. Avevano cominciato con un’amicizia cameratesca, tra studenti fuorisede con poca voglia di sudare sui libri. Meglio la palestra, tutte le sere, a pompare come matti con i pesi. Angelo era bello, non aveva niente di efebico, anzi. Il suo corpo era peloso, forte, maschile. Si era ritrovato ad ammirarlo, con uno strano batticuore in fondo allo stomaco, sotto la doccia. Non ci era voluto molto perché i loro sguardi si incrociassero e si leggessero dentro, fin dove nessuno dei due era mai arrivato. Il primo, avido bacio era stato lì, sotto il getto potente della doccia, con la consapevolezza della reciproca nudità, con l’urgenza della scoperta. Il sesso non era arrivato subito. Dopo quel primo contatto Saro era fuggito a Roma, portando con sé la sua sedicente ragazza. Già che c’era, se l’era anche scopata, in casa dei suoi, convinto che suo padre sorridesse soddisfatto ascoltando i loro gemiti attraverso la barriera mai sufficiente dei muri. Ma don Gaetano non poteva sapere che, mentre costringeva Claudia a mettersi a quattro zampe sul letto e la prendeva da dietro, era con Angelo che stava scopando.

Claudia non aveva gradito. Saro si era tenuto il vaffanculo e, salutati mamma e papà, era tornato da lui, da Angelo. Meglio i giochi a quattro zampe con lui. Chissà dove sei, ora… pensò con rammarico, ma gli bastò voltare le spalle alla finestra e guardare chi dormiva, prono e senza alcun pudore, nel suo letto, per ricacciare Angelo tra i ricordi.

Brusasco era una cittadina linda e pulita, come sanno esserlo solo le cittadine piemontesi, sulla riva destra del Po, a pochi chilometri di distanza dal deposito della Technatom a Saluggia, il suo posto di lavoro. Era stato frustrante scoprire che il suo incarico era girarsi i pollici per otto ore al giorno, vigilando su tre vasconi sotterranei di cemento e acciaio pieni di 130 tonnellate di scorie di uranio ad alta attività disciolte in acido nitrico. Una bomba ambientale senza precedenti al mondo e che più volte, negli anni, aveva rischiato di deflagrare. Quando la Dora Baltea aveva superato gli argini, c’era stato il fondato rischio che il veleno più potente, indistruttibile e mortale del mondo defluisse nelle falde acquifere. Il disastro sarebbe stato planetario. Ma quando Saro era arrivato, i vasconi erano già stati protetti con un muro di cemento alto sei metri in superficie e profondo altri quattordici sottoterra. Rischio azzerato, noia mortale. Anche perché la vita notturna, soprattutto per chi aveva gusti come i suoi, non brillava certo nella provincia vercellese… Poi aveva incontrato Daniel. Accarezzando il bracciale con le sei lettere d’oro che componevano il suo nome, si perse nel ricordo del loro primo incontro. Era successo a Casale Monferrato, in un pub. Daniel aveva la faccia di un teppista e il corpo di un modello e con lui Saro non aveva avuto esitazioni: lo avevano fatto in macchina, quella sera stessa, senza sapere neanche il nome uno dell’altro.

Adesso, mentre tornava a letto e lo abbracciava da dietro, aderendogli completamente alla schiena, sapevano molto di più. Daniel era nato in Francia, da genitori palestinesi e musulmani osservanti. Quando avevano scoperto che gli piacevano gli uomini lo avevano cacciato di casa.

Adesso faceva l’operaio in un cantiere a Casale Monferrato e rendeva felice Saro. Talmente felice che decise di svegliarlo baciandogli la pelle scura e vellutata del collo mentre gli lasciava scivolare la mano sul torace glabro, sugli addominali perfetti, fino in mezzo alle cosce muscolose.

martedì 12 agosto 2014

In fondo al tuo cuore, l'ultimo romanzo di Maurizio De Giovanni

In fondo al mio cuore. E' li che tengo stretto Luigi Alfredo Ricciardi. Personaggio creato dalla fervida fantasia di Maurizio De Giovanni. Figura misteriosa ed evanescente che ha acquistato nel tempo una sua astratta fisicità.
In fondo al mio cuore albergano i teneri sentimenti che ispira il cavaliere Colombo, la sua tenerezza di padre, la sensibilità che lo porta a sfiorare i contorni dell'animo femminile, ad accarezzarli e a penetrarli infine quando la figlia, Enrica, gli cala addosso il fardello della propria pena.
In fondo al mio cuore la paura del brigadiere Maione di perdere l'amore della sua vita si mescola alla mia in una girandola di sentimenti che vanno dalla gelosia, alla frustrazione, alla rabbia.
In fondo al mio cuore sedimenta la materna preoccupazione di Rosa di abbandonare al suo destino il figlio che ha tanto amato, l'unica cosa per cui gli è cara la vita.
In fondo al mio cuore vivono le speranze di Livia di trovare finalmente un senso ad una vita che dietro la bellezza, il lusso, l'ammirazione nasconde un profondo desiderio di amare e di essere amata.
In fondo al mio cuore giace il ricordo di una Napoli di inizio novecento, il suo abbraccio di lacrime a tanti figli in partenza per l'America.
In fondo al mio cuore restano le pagine di questo romanzo, a far compagnia alle altre, non meno belle, che questo scrittore ci ha regalato.
In fondo al mio cuore, ma non così in fondo, tutto l'affetto che mi lega ad un caro amico prima che a un grande scrittore.

lunedì 4 agosto 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: Sumitra Naral


Sumitra dava le spalle alla porta e non diede segno di essersi accorta della sua presenza. I capelli, nerissimi e dai riflessi verdastri in quella luce, le scendevano sciolti sulle spalle e sfioravano il pavimento. Non le avevano concesso nastri o fermagli né ornamenti di qualsiasi genere. Non le avevano permesso neanche di indossare il sari, imponendole una specie di pigiama candido. Lorenzo le girò intorno e andò a sederlesi davanti, nella sua stessa posizione. Le folte ciglia nere sottolineavano la lunga linea degli occhi e sopperivano all’assenza di trucco. Al centro della fronte, lì dove le aveva sempre visto il tikka rosso, c’era una piccola cicatrice circolare e lui sapeva di cosa si trattava: l’apertura del terzo occhio, il segno che aveva compiuto lunghi anni di addestramento.

Attese qualche minuto, in silenzio, a occhi chiusi, cercando di condividere la serenità che emanava da Sumitra come la luce da una lampada.

Il tuo cuore batte veloce.”

Quelle parole lo fecero sussultare. Sumitra lo stava guardando e lui si sentì scandagliato in profondità da quelle pupille nere e lucenti.

Mi hanno detto che non parli con nessuno, che rifiuti cibo e acqua, che non collabori.”

A cosa dovrei collaborare?”

Noi vogliamo solo capire.”

È questo il vostro problema: cercate sempre un perché. La tua mente è piena di domande.”

Mi leggi nel pensiero?”

Il pensiero non esiste, per come lo intendete voi. I tuoi pensieri sono fatti della stessa materia che compone la tua pelle, la tua carne, il tuo cervello. Io ti guardo e non ho bisogno di altro per sentire.”

E cosa senti?”

Sento che hai bisogno di me. E che ti riesce difficile accettarlo.”

Lorenzo si impedì di pensare a tutte le implicazioni di quelle parole. Si protese e le afferrò le mani.

Io invece sento che tu sei in collera con me per tutto questo”, disse.

La collera è un sentimento inutile.”

Lui sorrise.

Vuoi uscire di qui?”

Anche lei sorrise.

Io non sono mai stata qui.”

Le dita lunghe e sottili si intrecciarono alle sue in un gesto che Lorenzo percepì molto intimo.

Chiudi gli occhi”, gli sussurrò Sumitra, “e guarda.”

Fu una sensazione sconvolgente.

Lorenzo chiuse gli occhi e fu come se li aprisse per la prima volta nella sua vita. Non era più nella cella nel sottosuolo di Roma. Erano tornati al tempio di Vajra Yogini e avevano raggiunto la cima della collina sulla quale sorgeva. I pini erano alti e radi, il terriccio era spoglio e soffice e scintillava di scaglie di mica. Libellule azzurre volavano tra i cespugli e l’aria, limpida e frizzante, accarezzava la pelle accaldata dal sole alto nel cielo. La vallata di Katmandu si stendeva ai loro piedi, a fare da sfondo ai tetti dorati delle due pagode dedicate alla dea tantrica. Una intera famiglia di macachi scorrazzava tra i rami, lanciandosi sberleffi.

Sumitra era in piedi accanto a lui e lo teneva per mano. Indossava un sari dai colori che sfumavano dal rosa acceso al turchese e una scintillante catenella d’oro le attraversava la guancia congiungendo il brillante alla narice con l’orecchino al lobo.

È un’illusione, vero?”, chiese Lorenzo.

Sentiva il calore del sole sui capelli e il sudore, come dopo una lunga salita, inumidirgli la camicia al centro della schiena. Una libellula curiosa gli danzò a pochi millimetri dalla faccia e lui ne percepì la vibrazione.

No”, rispose Sumitra. “Questo luogo esiste, noi esistiamo. Come potrebbe essere un’illusione?”

Ma noi non siamo qui, adesso.”

Davvero?”

Gli lasciò la mano con un tintinnio di braccialetti e Lorenzo ebbe il timore irrazionale di perdersi, di cadere in un vortice sconosciuto, di tornare indietro. Non accadde. Sumitra si era allontanata, scendendo veloce sul terreno scosceso che le franava sotto i piedi nudi. La seguì verso un gazebo rugginoso, pavesato di giallo, verde, rosso e bianco dalle bandierine di preghiera buddiste. La brezza leggera e fresca le faceva ondeggiare con un movimento che richiamava quello di alghe che danzano nella corrente. Scivolando sui ciottoli di mica, Lorenzo si afferrò a una delle sottili colonne del gazebo e avvertì sotto le dita il contatto ruvido del metallo ossidato.

Sumitra si era seduta e lo guardava sorridendo.

È qui che vieni quando la nostra équipe medica ti sottopone ai test?”, chiese raggiungendola.

Qui e in molti altri luoghi.”

Come fai?”

La donna lo tirò a sedere accanto a sé.

Lo faccio e basta. Come lo stai facendo tu.”

Lorenzo scosse la testa.

Non so come, ma sei tu a creare tutto questo. Noi non siamo qui.”

sabato 2 agosto 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: il Nepal




Ci volle quasi un’ora perché il taxi li lasciasse a nord di Sankhu, davanti alle stele di Vishnu e di Hanuman che segnavano l’inizio del sentiero verso la loro meta: il tempio di Vajra Yogini. Il tracciato, candido e scintillante di schegge di mica sotto i raggi del sole, si arrampicava nel verde di una collina piuttosto ripida, a volte affiancando piccole capanne in muratura dove la popolazione si era ingegnata ad attrezzare centri di ristoro forniti di biscotti, patatine, barrette di cioccolato e l’immancabile Coca Cola a uso e consumo dei trekker di passaggio. Dopo il caos di Bhaktapur in festa, il silenzio di quei luoghi riconciliò Mattias con l’idea che si era fatto del Nepal: aria pulita, cieli limpidi, natura incontaminata e invito alla contemplazione. Un volo di grandi farfalle dalle seriche ali marroni a pois azzurro cobalto attraversò il loro cammino quando il sentiero li portò ai piedi di un’antica scalinata. I gradini, consumati da secoli di pellegrini, erano scavati nella mica e scintillavano d’oro e d’argento, cospargendo di polvere luminosa i loro scarponi infangati. Ai belati delle capre si erano sostituiti i versi delle scimmie, piccoli macachi dagli occhietti maligni che si rincorrevano tra i rami dei pini e dei pipal, e il gorgogliare di acqua corrente. Ne scoprirono l’origine quando Raji concesse loro una sosta davanti a una fontana scolpita dalle cui cannelle zampillavano impetuosi e limpidi getti.

Mattias tolse gli occhiali da sole e mise la testa sotto il getto.

Che meraviglia”, esclamò buttando indietro i capelli e lasciando che rivoli d’acqua gli scorressero giù per il collo, nella camicia. “Ci voleva.”

Lorenzo lo imitò mentre Raji si dissetava direttamente da una cannella di pietra scolpita in forma di serpente.

Erano saliti parecchio, ma la vegetazione, quasi una giungla, era troppo fitta per permettere loro di scorgere il tortuoso tracciato della scalinata che si erano lasciati alle spalle. Il sudore aveva tracciato larghi aloni sulle camicie, costringendoli a sbarazzarsi dei gilet. Il meno provato dalla salita appariva Raji che si era seduto sul bordo di pietra della fontana e aveva estratto una sigaretta dal taschino.

Quanto manca ancora?”, chiese Lorenzo ravviando con le dita i capelli bagnati e inforcando gli occhiali.

Venti minuti di marcia, siamo a metà strada.”

Un rumore di passi affrettati attirò la loro attenzione. Un nepalese, nella divisa scura della Polizia, scendeva a rompicollo i larghi e dissestati gradini di mica. Si fermò di botto quando li vide, in preda al panico. Lo scambio di battute con Raji fu rapidissimo, poi il poliziotto riprese la sua corsa giù per la scalinata.

Che succede?”, chiese Lorenzo.

Tre uomini, armati”, rispose Raji spaventato, “gli hanno ordinato di andarsene. Lui era a guardia del tempio, c’è sempre un poliziotto a guardia del tempio.”

Il colonnello Demedici tolse lo zaino dalle spalle e ne estrasse il kalashnikov.

Non ti ha detto altro?”, chiese Mattias. “Chi sono quegli uomini?”

Americani, ha detto che sono americani!”

Cazzo!”, sibilò Lorenzo togliendo la sicura.

Lo sguardo della loro guida non riusciva a staccarsi dall’arma.

Raji, tu torni indietro.”

Il ragazzo diede una tirata disperata alla sigaretta, prima di gettarla in terra e schiacciarla sotto il tacco dell’Adidas d’imitazione.

Tutti dobbiamo tornare indietro”, disse.

Mattias gli mise una mano sulla spalla.

Dicci come facciamo ad arrivare lassù senza passare dalla scalinata.”

C’è un sentiero che porta direttamente al monastero, sopra i due templi. Ma non posso indicarvelo, vi devo guidare.”

Non sei obbligato”, lo incalzò Lorenzo. “Dacci qualche indicazione, ma sbrigati.”

Il ragazzo si diresse verso il crinale fangoso alle spalle della fontana scolpita.

Andiamo”, li incitò, cominciando a inerpicarsi tra le contorte radici di un enorme pipal cresciuto in forma di arco.
 
 
p.s. La foto è stata scattata esattamente nel luogo dove si svolge la scena, sulla salita per il tempio di Vajra Yoghini. E l'ho scattata io.