A Saro non capitava spesso di essere felice come in
quel momento. Nudo e con una sigaretta tra le labbra, lasciava che lo sguardo
vagasse attraverso i vetri appannati della finestra verso gli aloni indistinti
dei lampioni. La nebbia notturna rendeva favoloso il vialetto dell’anonima
villetta a schiera che aveva preso in affitto un anno prima quando, neolaureato
in scienze ambientali, era stato assunto dalla Technatom, l’impianto creato a
metà degli anni Sessanta per il riprocessamento dei combustibili usati per i
reattori nucleari. Non aveva certo fatto salti di gioia quando era stato
costretto a trasferirsi da Roma a Brusasco. Lui, finché non gli avevano
comunicato la destinazione, non sapeva neanche dove fosse Brusasco.
I primi
tempi erano stati duri: si era sentito solo, tradito nelle sue aspettative,
incazzato con suo padre che non era riuscito a trovargli una sistemazione
migliore. O forse quella era la sistemazione migliore. Suo padre, gran
puttaniere, un ipocrita attaccato alle tradizioni e al buon nome della
famiglia, si era dimostrato elastico con Saro: era arrivato ad accettare quasi
tutto. Che fumasse spinelli, che fosse promosso agli esami solo grazie alle sue
raccomandazioni, che facesse la vita del vitellone… ma non che gli piacessero
gli uomini. Questo no, minchia. Questo, don Gaetano Calopresti, scopatore
calabrese esentato dall'uso del Viagra non lo poteva accettare.
Saro
sorrise sarcastico alla nebbia che si muoveva fluttuando portata dal vento al
ricordo delle urla, dei malori di sua madre, delle minacce.
Per
tutta la durata del corso di laurea, i suoi genitori avevano creduto che
dividesse l’appartamentino con una ragazza, la stessa che aveva portato qualche
volta a Roma, spacciandola per la sua fidanzata. Invece con lui viveva Angelo.
Il sorriso di Saro si appannò a quel pensiero mentre soffiava fumo contro le
dozzinali tende della camera da letto. Era stato Angelo a fargli sbattere il
naso sulla sua omosessualità. Avevano cominciato con un’amicizia cameratesca,
tra studenti fuorisede con poca voglia di sudare sui libri. Meglio la palestra,
tutte le sere, a pompare come matti con i pesi. Angelo era bello, non aveva
niente di efebico, anzi. Il suo corpo era peloso, forte, maschile. Si era
ritrovato ad ammirarlo, con uno strano batticuore in fondo allo stomaco, sotto
la doccia. Non ci era voluto molto perché i loro sguardi si incrociassero e si
leggessero dentro, fin dove nessuno dei due era mai arrivato. Il primo, avido
bacio era stato lì, sotto il getto potente della doccia, con la consapevolezza
della reciproca nudità, con l’urgenza della scoperta. Il sesso non era arrivato
subito. Dopo quel primo contatto Saro era fuggito a Roma, portando con sé la
sua sedicente ragazza. Già che c’era, se l’era anche scopata, in casa dei suoi,
convinto che suo padre sorridesse soddisfatto ascoltando i loro gemiti
attraverso la barriera mai sufficiente dei muri. Ma don Gaetano non poteva
sapere che, mentre costringeva Claudia a mettersi a quattro zampe sul letto e
la prendeva da dietro, era con Angelo che stava scopando.
Claudia
non aveva gradito. Saro si era tenuto il vaffanculo e, salutati mamma e papà, era tornato da lui, da Angelo. Meglio i giochi a
quattro zampe con lui. Chissà dove sei, ora… pensò con rammarico, ma gli
bastò voltare le spalle alla finestra e guardare chi dormiva, prono e senza
alcun pudore, nel suo letto, per ricacciare Angelo tra i ricordi.
Brusasco
era una cittadina linda e pulita, come sanno esserlo solo le cittadine
piemontesi, sulla riva destra del Po, a pochi chilometri di distanza dal
deposito della Technatom a Saluggia, il suo posto di lavoro. Era stato
frustrante scoprire che il suo incarico era girarsi i pollici per otto ore al
giorno, vigilando su tre vasconi sotterranei di cemento e acciaio pieni di 130
tonnellate di scorie di uranio ad alta attività disciolte in acido nitrico. Una
bomba ambientale senza precedenti al mondo e che più volte, negli anni, aveva
rischiato di deflagrare. Quando la Dora Baltea aveva superato gli argini, c’era
stato il fondato rischio che il veleno più potente, indistruttibile e mortale
del mondo defluisse nelle falde acquifere. Il disastro sarebbe stato
planetario. Ma quando Saro era arrivato, i vasconi erano già stati protetti con
un muro di cemento alto sei metri in superficie e profondo altri quattordici
sottoterra. Rischio azzerato, noia mortale. Anche perché la vita notturna,
soprattutto per chi aveva gusti come i suoi, non brillava certo nella provincia
vercellese… Poi aveva incontrato Daniel. Accarezzando il bracciale con le sei
lettere d’oro che componevano il suo nome, si perse nel ricordo del loro primo
incontro. Era successo a Casale Monferrato, in un pub. Daniel aveva la faccia
di un teppista e il corpo di un modello e con lui Saro non aveva avuto
esitazioni: lo avevano fatto in macchina, quella sera stessa, senza sapere
neanche il nome uno dell’altro.
Adesso,
mentre tornava a letto e lo abbracciava da dietro, aderendogli completamente
alla schiena, sapevano molto di più. Daniel era nato in Francia, da genitori
palestinesi e musulmani osservanti. Quando avevano
scoperto che gli piacevano gli uomini lo avevano cacciato di casa.
Adesso
faceva l’operaio in un cantiere a Casale Monferrato e rendeva felice Saro.
Talmente felice che decise di svegliarlo baciandogli la pelle scura e vellutata
del collo mentre gli lasciava scivolare la mano sul torace glabro, sugli
addominali perfetti, fino in mezzo alle cosce muscolose.
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