venerdì 19 novembre 2010

Io volevo essere Sandokan

Sono sempre stata una bambina anomala. Mentre le mie coetanee (parliamo di scuola elementare) leggevano a malapena il sussidiario o, al massimo, "Topolino", io mi appassionavo all'intera saga di Tarzan delle Scimmie di Edgar Rice Burroghs. E proseguendo nelle letture da maschio (cosi' venivano considerate all'epoca) scoprivo Jules Verne. Sono stata tarda nell'arrivare a Emilio Salgari, ma basto' il mitico sceneggiato televisivo firmato da Sergio Sollima, perche' mi buttassi a pesce sull'opera omnia di quello che rimane uno dei miei autori preferiti. E qui arriviamo alla vera stranezza. Inebetita dalla bellezza di Kabir Bedi (per me Sandokan e il Corsaro Nero hanno e avranno per sempre la sua faccia), non ho mai sognato di essere la bella di turno (Marianna alias Perla di Labuan oppure Honorata van Gould). Io volevo essere LUI. Volevo il ruolo dell'eroe, di quello che lotta, soffre, sfida, viene ferito, rischia la pelle, arringa la ciurma, si mette al timone durante la tempesta, piange calde lacrime quando perde l'amore della sua vita, ma risorge dalle sue ceneri in nome di ideali piu' grandi. All'epoca non mi rendevo conto della stranezza di queste sensazioni. Poi ho cominciato a elaborare, attraverso romanzi e film, che in realta' il maschio e' quello che si diverte di piu'. Quello che parte per la guerra o verso nuovi orizzonti e lascia lei a casa, a salutarlo col fazzolettone e a tessere, ricamare, sferruzzare sospirando in attesa che l'eroe ritorni. E se poi l'eroe non ritorna, lei piange, si dispera, a volte si suicida, si veste comunque a lutto e vive nel ricordo imperituro. Ora, senza nulla togliere al valore dei sentimenti (sono una romanticona), potrete convenire con me che essere Sandokan, la Tigre della Malesia, destinato a contrastare validamente il bieco invasore inglese sia decisamente piu' appagante che non vestire i panni della languida Marianna, la Perla di Labuan, modernissima nel mollare tutto per seguire il proprio uomo (lei bianca e nobile, lui un delinquente, seppur di nobili origini) ma comunque destinata a cuocergli il riso, lavargli le casacche e, all'uopo, morire di tragica morte per lasciarlo libero di puntare verso nuove ed entusiasmanti avventure a fianco del fido Yanez.
Con questo non voglio dire che Salgari sia stato un maschilista, anzi. Per l'epoca fu moderno e spregiudicato al punto di immaginare eroine avventurose come Jolanda (la figlia del Corsaro Nero) o la Favorita del Mahdi. Ma le figure femminili in letteratura hanno risentito da sempre della classica divisione dei ruoli: la donna a casa, l'uomo fuori a caccia, alla guerra, a farsi gli affari suoi. Facendo un volo pindarico, segnalo una fiction Rai appena terminata: "Ho sposato uno sbirro 2". Flavio Insinna e' un vice questore aggiunto a Roma, Christiane Filangieri e' sua moglie, un'ispettrice di polizia. La serie ha affrontato, in toni da commedia ma efficacemente, il problema di una donna poliziotto, madre di due gemelle e moglie del proprio capo, che pretende di svolgere il proprio lavoro esattamente come fa lui, cioe' correndo i propri rischi. Cosa che ovviamente mette in crisi nera la coppia. Nella fiction, com'e' giusto, tutto si risolve. Ma nella realta' non e' cosi' e io continuo a sentirmi una strana perche', a distanza di anni, continuo a preferire essere Sandokan.

2 commenti:

  1. Non solo è più divertente, unsegna tutta la differenza fra l'essere "liberi" e l'esserlo "ma solo nei limiti concessi". Per essere onesta, c'è a monte, quando faccio considerazioni sulla reale libertà delle donne nel fare le loro scelte in piena autonomia, una questione che fatico a risolvere: la maternità. Quel fatto biologico, non interscambiabile, gestibile ma non delegabile, è un nodo cruciale. E, nella migliore delle mie conclusioni, arrivo a chiedermi se non sia un pò perverso il fatto che, chi "mette al mondo il mondo", sia relegata a un eterno ruolo subalterno. Voglio dire: non dovrebbero i maschi prendersi cura dei figli e della cura della casa, dell'educazione, visto che è la natura stessa a decidere di assegnare ala donne la procreazione fattiva e ai maschi un mero ruolo di collaboratore incidentale? La metto al ridere, però...

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  2. Continuando a metterla a ridere, direi che la maternità è il "peccato originale" che ci ha condotti fuori dalla società matriarcale delle origini per consegnarci all'eterna sudditanza di oggi.E forse non è un caso che la ragazzina che voleva essere Sandokan, oggi sia una donna che non ha mai neanche accarezzato per sbaglio il desiderio di diventare madre.

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