mercoledì 23 maggio 2012

Un racconto di Lory: Mèla


Questo è il 201esimo post di un blog che continuiamo a considerare "nuovo". Il vecchio Lauraetlory si è inabissato insieme al naufragio di Splinder. Non abbiamo voluto salvarlo, perché i blog sono così, materia viva che si alimenta di momenti. Nell'epoca di Facebook e Twitter un blog è una creatura fragile, introversa, schiva. Va curato, un blog. E noi lo curiamo così, con parole che scaturiscono dal cuore e immagini che si nutrono di suggestioni. Buona lettura.

Prima di uscire a giocare deve rassettare la cucina Mèla.
La mamma glielo ha ripetuto all’infinito prima di mettere il fazzoletto intorno al viso ancora bello per scendere nei campi a strappare le erbacce. La sua schiena si sta curvando ogni giorno di più e Mèla la sente di notte che si lamenta mentre si rigira nel letto e fa scricchiolare il materasso pieno di foglie secche.

Pompa l’acqua alla fontana Mèla.
Il sudore le imperla la fronte, le scende sul naso e un guizzo di lingua lo raccoglie. Sa di sale. Come il pizzo delle lenzuola lasciate ad asciugare al vento. Da quando la mamma le ha messo il peperoncino sul pollice non lo succhia più. Ma la notte, quando fuori il buio è fitto fitto, quando dalle montagne arriva il sibilo del vento tra le cime degli alberi a vorticare coi suoni che giungono dalla spiaggia. In quelle notti, quando la voce di suo padre che la rasserena le manca come l’aria quando si tuffa con Tano in cerca di conchiglie. In quelle notti Mèla non resiste all’impulso. Attorciglia il pizzo del lenzuolo e lo infila in bocca. E succhia, succhia come se da quel tessuto intriso del suo odore e del suo calore potesse trarre la forza di resistere alla paura.

Il secchio è pieno,
Mèla se lo issa sul capo, come le ha insegnato la nonna. Trotterella verso casa attenta a non versarne neanche una goccia. L’acqua è vita, le dice sempre il nonno. L’acqua è speranza, gli fa eco la nonna facendosi il segno della croce. Ma il pozzo è quasi asciutto ormai. Come gli occhi della mamma a forza di bagnare il cuscino di lacrime. Mèla la sente, notte dopo notte, soffocare i singhiozzi nel lino, chiedere alla Madonna di farlo tornare, di far tornare il suo Tonio. Ché la campagna non è più la stessa da quando  se n’è partito.
E pure il sole è cambiato. Non è lo stesso che le accecava gli occhi mentre gli correva incontro quando tornava dai campi. Ricorda le braccia forti di suo padre Mèla. Qualche volta, nei sogni, lui torna a sollevarla e a vorticarla nel vento come un aeroplano. E lei comincia a ridere, incapace di fermarsi. Ride fino a svegliarsi. Ride fino a quando la luce del giorno che entra dalla finestra non dissolve il viso che le è tanto caro.

Mesce l’acqua nel catino Mèla.
Poi comincia a grattare dai piatti sbeccati quel che resta del pasto. In bocca ha ancora il sapore del pomodoro maturo e degli acini di uva nera in cui ha inzuppato il pane. Le piace l’uva, l’uva è ricchezza, è vino, è il sangue di Gesù. L’ha detto Don Carlo carezzandole i riccioli neri con le sue dita lunghe dalle unghie pulite. Don Carlo con la testa sempre china sulle pagine del messale a ripetere le sue parole di chiesa.

Getta l’acqua nel solco Mèla.
Ne segue lo scorrere verso l’orto, lì dove i pomodori offrono il viso al sole. Presto sarà tempo di raccoglierli per preparare le bottiglie da far bollire nel pentolone. A suo padre piace il ragù, lo vuole in tavola tutti i giorni di festa. E Annuccia, sua madre, lo mette sul fuoco ogni domenica.

Si asciuga le mani sul grembiule Mèla.
Poi conta i giorni sulla punta delle dita. Domenica è domani.
Lascia il secchio accanto al pozzo e corre in casa a preparare il vestito buono. Lo appoggia sulla spalliera della sedia, ne liscia le pieghe della gonna.
Sarà lunga la notte nell’attesa. E il lenzuolo sarà zuppo della sua saliva quando finalmente le campane annunceranno il giorno. Allora Mèla sciacquerà via il sonno nell’acqua del catino, indosserà il suo abito della festa e correrà a sedere gradino di casa.

Perché la domenica è il giorno delle cose buone. E sarà domenica quando suo padre tornerà.

Tonio raccontava di prugne succose imbiancate di zucchero che rilucevano sotto i raggi come pomi d’oro. Raccontava di grappoli d’uva dal succo rosso sangue e di fiori di mandorlo a vista d’occhio.
Se qualcuno le avesse chiesto com’era la sua terra Mèla avrebbe risposto gialla e rossa e ocra e blu come il mare. Quel mare in cui si è bagnata in un tempo troppo lontano perché possa ricordare.


Loredana Falcone

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