Lo vedevi tutti gli anni
addossato a un muro, mentre osservava attentamente la processione della
Madonna, il 14 di agosto. Spesso fumava, che pareva anche un tantino
irrispettoso. Era un bel ragazzo e sembrava non invecchiare mai, "Come suo
padre e suo nonno, del resto", aggiungevano i vecchi del paese. Nessuno
sapeva di preciso che mestiere facesse, sicuramente lavorava a Roma.
Nel paese non c'era niente di
bello se non la tabella degli orari dei pullman per andare da qualche altra parte,
che comunque passavano di rado durante la giornata. Era così piccolo che quando
tutta la processione si dipanava giù dalle scale della chiesa per la strada
principale era già finito, e toccava tornare indietro. I grandi stendardi venivano
capovolti, i confratelli con le mantelline scolorite si dividevano in due file
e tornavano indietro ai lati di chi continuava ad avanzare. Per fermare tutti
il sagrestano gridava "Ave Maria!" con un tono brusco che non
lasciava dubbi che si trattasse di un ordine e non di una preghiera.
Il giovane aveva sempre un
sorriso per i bambini piccoli, quelli che a giudicare dall'aspetto vedevano la
festa per la prima volta, spesso infiocchettati all'inverosimile e con
braccialini d'oro ai polsi cicciosi. Ma a volte su quella bella faccia che
girava tra la folla cadeva una specie di ombra nera. Se seguivi il suo sguardo
vedevi spesso un vecchio, ma non sempre. Annuiva e diceva qualcosa tra sé.
Donato, invece, era lo scemo del
paese. Un bravo ragazzo, solo nato diverso dagli altri. I genitori non avevano
mai chiesto l'invalidità perché avevano vergogna, e così Donato non aveva mai
avuto assistenza a scuola, e ora non lavorava né aveva una pensione. Girava
molto e osservava. Quel tipo lì lo teneva sottocchio da anni. Alla fine aveva
imparato a leggere sulle labbra quello che diceva quando osservava la gente
durante la processione.
Faceva molto caldo quell'anno e
già gli giravano le scatole, così lo affrontò una volta per tutte.
«Ciao»
«Ciao, Donato. Come stai?»
Donato non era disponibile alle
chiacchiere.
«Bene. Perché quando passa la
processione guardi la gente e dici "Tu sì" e "Tu no"?»
Il giovane fece un vago sorriso.
«Ma cosa dici? Ti sbagli»
«Ti ho visto, lo fai tutti gli
anni. Quando passa la processione. L'altr'anno hai detto "Tu no" a
zio Agapito e poi è morto»
«Te l'ha detto lui?»
«Che era morto? No, l'ho letto
sul manifesto. Non era zio mio, però era uguale. Mi voleva bene»
«Mi dispiace, ma io che c'entro?»
Donato strinse le labbra, deciso
ad andare fino in fondo.
«Tu sei tipo l'angelo della
morte. Conti tutta la gente che c'è alla processione della Madonna e decidi chi
resta vivo fino alla prossima e chi non la vedrà mai più. Ci deve essere uno
come te in tutti i paesi, anche a Tivoli e a Palestrina. Magari a Roma ce ne sono
tanti, perché è grande».
Il giovane rise e la sua risata
sembrava una cascatella d'acqua fredda. Era bella ma faceva un po' paura.
«Dai, ti prego! Chi ti ha messo
in testa questa cosa? L'angelo della morte! La gente muore in continuazione, è
il destino, la vita, come diavolo vuoi chiamarla. Vedi troppa televisione,
Donato». Poi la sua espressione cambiò leggermente: si vedeva come il duro
delle ossa sotto il suo sorriso. «Lasciami guardare la processione, dai. Mi
stai distraendo»
«Perché devi fare il tuo sporco
lavoro?» Donato si stava caricando di rabbia.
Il giovane sbuffò fumo e
impazienza dalla sua bella bocca.
«Perché la festa c'è una sola
volta all'anno, e dura poco. Quante processioni della Madonna vedrai, in tutta
la tua vita? Prova a contarle, Donato».
Il sole era già tramontato, ma il
caldo non accennava a scemare. Si sudava, in quella strada stretta che era
l'unica del paese: per creare l'unica piazza c'era voluta una bombola del gas
che era esplosa negli anni '50 e che aveva abbattuto una casa. Qualcuno nella
folla si stava accorgendo dell'alterco tra i due e cercava di zittirli.
«Stiamo buoni, li senti?», disse
il giovane piano. «Stiamo disturbando la festa».
Donato era pallido dalla rabbia: quel
tipo negava l'evidenza, o forse non c'entrava davvero nulla con la morte. Era
un peccato, perché sarebbe stato troppo bello potergli parlare e convincerlo a
lasciar stare la gente che gli voleva bene. Sarebbe rimasto solo, lo sapeva.
Non era così scemo. Mamma e papà erano vecchi, papà stava pure male con la
pressione. I suoi fratelli vivevano in città e avevano una famiglia di cui
occuparsi, dei figli. La morte era una cosa orribile.
«Donato, la morte è necessaria»,
disse il giovane con tono dolce, come rispondendo ai suoi pensieri. «Ogni vita
si consuma, e dà spazio ad altre vite. I bambini che vedi oggi, tutti felici
perché c'è tanta gente e la banda e le luci accese, non potrebbero nascere se
altri non si facessero da parte. Lo vedi quant'è stretta questa strada? Il
mondo è come questo paese: quando finisce, finisce. Nemmeno la processione lo
può rendere più grande di quello che è».
Donato guardò bene il viso del
giovane. Era più bello che mai e sembrava quasi splendere nella sera. Allora
prese dalla tasca il pugnale che aveva intinto di nascosto nell'acquasantiera, durante
la messa, e lo colpì al petto, di taglio, per infilarsi tra una costola
all'altra e arrivare al cuore. Sempre che quella creatura ne avesse uno. Lo
colpì più volte e spillò il suo sangue da cento ferite. Il giovane si accasciò
a terra senza un gemito, mentre la Madonna passava e la banda suonava. Donato
lo vide parlare a fior di labbra e si avvicinò per ascoltare, nel terrore che
stesse dicendo "Tu no" e lo condannasse a morte. Invece delirava
nell'agonia.
«Mi ricordo di Maria... aveva un
carattere! Li faceva rigare dritti tutti... e quando l'andai a prendere mi si spezzò
il cuore... perché io...» Poi chiuse gli occhi per sempre.
Donato fu riconosciuto incapace
di intendere e di volere. Fu affidato a un istituto: gli dispiacque molto
lasciare il paese, ma i genitori prendevano la corriera quasi tutti i giorni
per andare a trovarlo, e così non si sentì troppo solo. Continuarono per anni,
e Donato fu l'unico ad accorgersi che non invecchiavano più, e non morivano.
un racconto noir comme il faut, la provincia romana intrigante e luogo di misteri come il Maine di Stephen King. Donato è lui il vero angelo della morte, una sorta di Mr. Pennywise in salsa burina. Che invidia, vorrei averlo scritto io
RispondiEliminaRaffaele Abbate
ho letto le altre 5 righe, nulla aggiungono, anzi sfumano l'impatto misterioso
EliminaRaffaele Abbate