giovedì 19 ottobre 2017

Doccia fredda #17 Mai nelle processioni

Lo vedevi tutti gli anni addossato a un muro, mentre osservava attentamente la processione della Madonna, il 14 di agosto. Spesso fumava, che pareva anche un tantino irrispettoso. Era un bel ragazzo e sembrava non invecchiare mai, "Come suo padre e suo nonno, del resto", aggiungevano i vecchi del paese. Nessuno sapeva di preciso che mestiere facesse, sicuramente lavorava a Roma.
Nel paese non c'era niente di bello se non la tabella degli orari dei pullman per andare da qualche altra parte, che comunque passavano di rado durante la giornata. Era così piccolo che quando tutta la processione si dipanava giù dalle scale della chiesa per la strada principale era già finito, e toccava tornare indietro. I grandi stendardi venivano capovolti, i confratelli con le mantelline scolorite si dividevano in due file e tornavano indietro ai lati di chi continuava ad avanzare. Per fermare tutti il sagrestano gridava "Ave Maria!" con un tono brusco che non lasciava dubbi che si trattasse di un ordine e non di una preghiera.
Il giovane aveva sempre un sorriso per i bambini piccoli, quelli che a giudicare dall'aspetto vedevano la festa per la prima volta, spesso infiocchettati all'inverosimile e con braccialini d'oro ai polsi cicciosi. Ma a volte su quella bella faccia che girava tra la folla cadeva una specie di ombra nera. Se seguivi il suo sguardo vedevi spesso un vecchio, ma non sempre. Annuiva e diceva qualcosa tra sé.
Donato, invece, era lo scemo del paese. Un bravo ragazzo, solo nato diverso dagli altri. I genitori non avevano mai chiesto l'invalidità perché avevano vergogna, e così Donato non aveva mai avuto assistenza a scuola, e ora non lavorava né aveva una pensione. Girava molto e osservava. Quel tipo lì lo teneva sottocchio da anni. Alla fine aveva imparato a leggere sulle labbra quello che diceva quando osservava la gente durante la processione.
Faceva molto caldo quell'anno e già gli giravano le scatole, così lo affrontò una volta per tutte.
«Ciao»
«Ciao, Donato. Come stai?»
Donato non era disponibile alle chiacchiere.
«Bene. Perché quando passa la processione guardi la gente e dici "Tu sì" e "Tu no"?»
Il giovane fece un vago sorriso. «Ma cosa dici? Ti sbagli»
«Ti ho visto, lo fai tutti gli anni. Quando passa la processione. L'altr'anno hai detto "Tu no" a zio Agapito e poi è morto»
«Te l'ha detto lui?»
«Che era morto? No, l'ho letto sul manifesto. Non era zio mio, però era uguale. Mi voleva bene»
«Mi dispiace, ma io che c'entro?»
Donato strinse le labbra, deciso ad andare fino in fondo.
«Tu sei tipo l'angelo della morte. Conti tutta la gente che c'è alla processione della Madonna e decidi chi resta vivo fino alla prossima e chi non la vedrà mai più. Ci deve essere uno come te in tutti i paesi, anche a Tivoli e a Palestrina. Magari a Roma ce ne sono tanti, perché è grande».
Il giovane rise e la sua risata sembrava una cascatella d'acqua fredda. Era bella ma faceva un po' paura.
«Dai, ti prego! Chi ti ha messo in testa questa cosa? L'angelo della morte! La gente muore in continuazione, è il destino, la vita, come diavolo vuoi chiamarla. Vedi troppa televisione, Donato». Poi la sua espressione cambiò leggermente: si vedeva come il duro delle ossa sotto il suo sorriso. «Lasciami guardare la processione, dai. Mi stai distraendo»
«Perché devi fare il tuo sporco lavoro?» Donato si stava caricando di rabbia.
Il giovane sbuffò fumo e impazienza dalla sua bella bocca.
«Perché la festa c'è una sola volta all'anno, e dura poco. Quante processioni della Madonna vedrai, in tutta la tua vita? Prova a contarle, Donato».
Il sole era già tramontato, ma il caldo non accennava a scemare. Si sudava, in quella strada stretta che era l'unica del paese: per creare l'unica piazza c'era voluta una bombola del gas che era esplosa negli anni '50 e che aveva abbattuto una casa. Qualcuno nella folla si stava accorgendo dell'alterco tra i due e cercava di zittirli.
«Stiamo buoni, li senti?», disse il giovane piano. «Stiamo disturbando la festa».
Donato era pallido dalla rabbia: quel tipo negava l'evidenza, o forse non c'entrava davvero nulla con la morte. Era un peccato, perché sarebbe stato troppo bello potergli parlare e convincerlo a lasciar stare la gente che gli voleva bene. Sarebbe rimasto solo, lo sapeva. Non era così scemo. Mamma e papà erano vecchi, papà stava pure male con la pressione. I suoi fratelli vivevano in città e avevano una famiglia di cui occuparsi, dei figli. La morte era una cosa orribile.
«Donato, la morte è necessaria», disse il giovane con tono dolce, come rispondendo ai suoi pensieri. «Ogni vita si consuma, e dà spazio ad altre vite. I bambini che vedi oggi, tutti felici perché c'è tanta gente e la banda e le luci accese, non potrebbero nascere se altri non si facessero da parte. Lo vedi quant'è stretta questa strada? Il mondo è come questo paese: quando finisce, finisce. Nemmeno la processione lo può rendere più grande di quello che è».
Donato guardò bene il viso del giovane. Era più bello che mai e sembrava quasi splendere nella sera. Allora prese dalla tasca il pugnale che aveva intinto di nascosto nell'acquasantiera, durante la messa, e lo colpì al petto, di taglio, per infilarsi tra una costola all'altra e arrivare al cuore. Sempre che quella creatura ne avesse uno. Lo colpì più volte e spillò il suo sangue da cento ferite. Il giovane si accasciò a terra senza un gemito, mentre la Madonna passava e la banda suonava. Donato lo vide parlare a fior di labbra e si avvicinò per ascoltare, nel terrore che stesse dicendo "Tu no" e lo condannasse a morte. Invece delirava nell'agonia.
«Mi ricordo di Maria... aveva un carattere! Li faceva rigare dritti tutti... e quando l'andai a prendere mi si spezzò il cuore... perché io...» Poi chiuse gli occhi per sempre.


Donato fu riconosciuto incapace di intendere e di volere. Fu affidato a un istituto: gli dispiacque molto lasciare il paese, ma i genitori prendevano la corriera quasi tutti i giorni per andare a trovarlo, e così non si sentì troppo solo. Continuarono per anni, e Donato fu l'unico ad accorgersi che non invecchiavano più, e non morivano. 

2 commenti:

  1. un racconto noir comme il faut, la provincia romana intrigante e luogo di misteri come il Maine di Stephen King. Donato è lui il vero angelo della morte, una sorta di Mr. Pennywise in salsa burina. Che invidia, vorrei averlo scritto io

    Raffaele Abbate

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    1. ho letto le altre 5 righe, nulla aggiungono, anzi sfumano l'impatto misterioso
      Raffaele Abbate

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