domenica 3 aprile 2011

Io colleziono targhe

Metti una domenica pomeriggio di un periodo particolarmente stressante. Metti una frase (io colleziono targhe) e un'immagine (una donna con un punteruolo insanguinato in mano) che ti frullano nella cervice da un po' di tempo. Metti che ti va di mettere tutto nero su bianco ed ecco servito un raccontino. Tanto per gradire insieme al tè delle cinque (anzi, delle sei)

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Io colleziono targhe. Lo faccio da quando ho perso il lavoro. Vado in tangenziale, lì dove confluisce la Salaria. Hai presente, no? Mi metto tutta sulla sinistra e procedo a passo d’uomo nel traffico congestionato dell’ora di punta. Lo faccio perché mi dà l’illusione di avere ancora un luogo da raggiungere, uno scopo. Quando ti tolgono il lavoro, ti tolgono tutto. Ti annullano come persona. Per questo colleziono targhe. Perché tutti quelli che mi trattano come una nullità si accorgano che invece io esisto. Vado in tangenziale, prima e seconda, sempre tutta a sinistra, raso lo spartitraffico, perché così non do fastidio a nessuno. Sono una tra tanti, ma vi guardo. Guardo le facce, i gesti. Faccio caso agli atteggiamenti. Ormai capisco prima ancora che accada perché la riconosco. La protervia. Mi piace questa parola. La usano in pochi eppure è così piena di significati. Viene dal latino protero, calpesto. Che deriva a sua volta da pro, davanti, e tero, trito o anche batto. Io li riconosco quelli che vogliono calpestarmi. Non è un caso che siate maschi. Guidate le vostre grosse auto come impugnate il vostro piccolo pisello. Con arroganza. Siete protervi. La senti la ricchezza di questa parola? C’è tutto dentro. Le parole contano. Te le ricordi le parole che mi hai detto? No, certo che no. Mi hai detto stronza. Mi hai detto troia. Mi hai detto bocchinara. Non sei stato il primo. Non sarai l’ultimo. Per questo colleziono targhe. Succede sempre. Io sono lì, sulla mia corsia. Non do fastidio a nessuno. Prima, seconda. La radio accesa senza sentirla. Vado per la mia strada, in silenzio. Una fra i tanti. Poi arrivate voi. Tu e tutti quelli come te. Fendete il traffico come foste i padroni. Senza mettere la freccia, senza fare segnalazioni. Un colpo al volante e vi infilate. Pretendete di infilarvi. Protervi. Perché nessuno ha diritto di opporsi a ciò che voi volete, alla vostra traiettoria mentale. E chi tenta di impedirvelo, lo calpestate. Succede sempre. Voi sapete che una donna non può opporsi. Un colpo di clacson, forse. Voi ve ne fottete. Tu te ne fottevi. Te lo ricordi? Dovresti. Sporto dal finestrino della tua bella auto nera e lucida. Lucida come i tuoi occhiali da sole. Lucida come i fili di bava tra le tue labbra mentre gridavi: stronza, troia, bocchinara. Io colleziono le targhe di quelli come te. Ho perso il lavoro, ma non ho perso i contatti. So a chi rivolgermi. DM837GX. Sette caratteri son bastati a trovarti, signor Angelo Didio. Non mi sono stupita del tuo nome. È arrogante, ti si addice. Memorizzo le targhe, scovo gli indirizzi e, di colpo, ritrovo uno scopo. È un lavoro anche questo, se ci pensi. Il tempo non mi manca. Mi apposto sotto casa, studio i movimenti, aspetto che quel surrogato di cazzo di cui vi servite per testimoniare che siete vivi e importanti sia incustodito. E colpisco. Lo vedi questo? L’ho comprato al supermercato, reparto cucina. C’era scritto coltello sbucciatore. Ho pensato potesse andar bene. Lama corta, affilata e sottile. Impugnatura robusta. Non mi sbagliavo. Entra negli pneumatici come fossero burro. Ha perso un po’ il filo contro le carrozzerie, ma ne valeva la pena. Perché io voglio che capiate. Lo vedi cosa ho scritto sullo sportello della tua bella macchina nera? Tangenziale + Salaria. Non avresti ricordato la mia faccia, non avresti ricordato gli insulti. Ma il tuo atteggiamento sì. Perché tu lo sai come ti comporti. Pensi sia nel tuo diritto, ma te lo leggo negli occhi che sotto la tua protervia, tu lo sapevi di essere stronzo. E sapevi pure che prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Non che fosse nei miei piani, intendiamoci. Io colleziono targhe. Ne ho raccolte un centinaio. Vedi, ero pronta a portar via anche la tua. Mi serve ogni tanto scendere in cantina e guardarle, tutte ben ordinate nello scaffale metallico. Per ogni targa un atto di giustizia. Non mi è rimasto altro da quando ho perso il lavoro. Adesso però io e te abbiamo un problema. Se te lo chiedessi, tu saresti pronto a giurare su quanto hai di più caro che non dirai niente a nessuno, che non andrai a denunciarmi, che dimenticherai che faccia ho. Lo faresti perché adesso non hai un volante da impugnare e un cazzo di ferro e optional a proteggerti dal mondo. È inutile che annuisci. Ti conosco, ti ho visto all’opera. Non ci si può fidare di quelli come te. Sono lacrime quelle? Un Angelo Didio che si pente. È giusto. Ma non è sufficiente. Perché non è da me che puoi avere il perdono. Io colleziono targhe. La tua la conserverò così, ricoperta dal sangue. Tanto la protervia non fa mai la ruggine.

6 commenti:

  1. rapido e deciso...da domenica pomeriggio, per essere più buoni domani nel traffico.

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  2. Però, davvero bello, di quelli che toccano i nervi scoperti.
    lory

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  3. Bello, bello. Vendicativo. Cattivo al punto giusto. Con tanta amarezza dentro. C'è una mia amica di vecchia data, Cecilia, che purtroppo a seguito di un incidente è costretta alla vita di carrozzella. Ai tempi dell'università, a Parma, via D'Azeglio (che era strada obbligatoria per noi) era tutto un ostacolo. Le macchine parcheggiavano a ridosso dei marciapiedi e degli scivoli. Cecilia non riusciva a passare e doveva - rischiando - girare attorno all'auto. Praticamente nel traffico. Ricordo che immaginavamo di andare in giro con un martelletto (pensavamo a uno spaccavetri, ce l'avete presente?) e rompere i fari o le frecce delle auto-ostacolo. Non l'abbiamo fatto. Oddio! Conoscendo Cecilia non escludo che nel tempo abbia dato sfogo a questa fantasia. E non mi riuscirebbe di darle torto. :)

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  4. Gustato anche senza tè :)

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  5. meno male che non guido più!

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  6. Come donna (anziana, per giunta) che può opporre solo un gesto, un colpo di clacson, una parolaccia masticata fra i denti alla protervia dell’homo suvvatus (trad. uomo fornito di suv), ho letto con goduria e partecipazione il racconto.

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