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Nessuno degli autori ha ricevuto un editing e/o correzione bozze da Loredana.
Io, Laura, ignoro chi siano gli autori dei racconti che man mano vado a postare. Ergo, commento.
Tutto chiaro?
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GRAZIE DELL’AMICIZIA
Le giornate avevano preso ad accorciarsi, ma l’afa
era ancora insopportabile. L’estate più calda degli ultimi anni. Questo Silvana
si diceva voltata verso la finestra della stanza d’albergo. Il sole morente
insanguinava di luce rossastra le lamelle delle veneziane socchiuse. Immaginò la
nana gialla sprofondare nel Tirreno incendiandone per qualche minuto la groppa
cianotica. Sentiva l’uomo rivestirsi dietro di lei. Il fruscio dei calzoni
infilati in fretta. L’imprecazione soffocata per aver mancato una scarpa con il
piede.
“Maiale! Come gli altri! Tutta questa fretta per
rientrare in una cucina che puzza di soffritto e affrontare il grugno contadino
della moglie” pensò. Ne aveva avuti, di amanti sposati, in quegli anni di
assalto al primariato! Di sposati e di smidollati appesi. Per non parlare degli
intellettuali e della loro spocchia, quei pezzenti! Le donne in carriera hanno
poco tempo da dedicare all’educazione sentimentale e tirano su con poca
accortezza i primi che capitano, sperando siano quelli buoni. A lei erano
capitati sempre gli avariati. Poco male, era ricca e poteva permettersi delle
consolazioni. Viaggi, beauty farm, shopping in centro. Certo, un po’ le
dispiaceva, quando s’accorgeva che nonostante il fisico palestrato, la lingerie
raffinata e la conversazione forbita continuava a essere quella da vedere di
nascosto o una faraona da spennare. Sospirò. S’era incattivita, dopo tanto
squallore. Lo capiva, anche se non era un’introspettiva. Lo sguardo del bambino
nella hall ancora bucava i suoi pensieri, per come aveva trafitto la sua
attenzione, sere prima in Transilvania. Un piccolo zingaro, nei suoi cenci
pittorici. Sorrise. Proprio un personaggio di El Greco le era parso, nei
calzoncini senza orlo, con quella casacca beige e la mano tesa!
«Quando andrai alla reception, non fingerti
meravigliato che è già tutto pagato» abbaiò all’amante, riaffiorando nel
presente e in un altro albergo.
Un silenzio offeso le segnalò che il maschio
aveva sentito.
«Ma non dormivi, scusa?» ritorse lui, senza
tornare indietro a salutarla.
«E già che ci sei, ti pregherei di ascoltare
senza scalpitare. Avrai tutta la vita per ritornare dalla ciabattona bucolica.
Questa è l’ultima volta tra noi. Non sei un granché a letto e puzzi di
soffritto.»
Seguirono altro silenzio e il tonfo della porta
sbattuta. Perfetto, il non sei granché a letto sortiva sempre rapide uscite di
scena.
Sistemò meglio il cuscino sotto la guancia e
seguitò a pensare al bambino incontrato in un hotel di Bucarest. Non riusciva a
scacciare dalla testa l’impressione che le aveva fatto quel filo di occhi
gialli, quando s’erano sollevati su di lei. Ma che ci faceva un piccolo
mendicante nella hall di un albergo di lusso? Come aveva fatto a entrare?
Bella razza, la romena, ammise, peccato che in
Italia arrivassero i peggiori! Quando era stata a Bucarest, al convegno di
ematologia, aveva scoperto una città sontuosa. Niente a che fare con la
Transilvania dei vampiri descritta nei romanzi horror.
Una penombra deprimente s’era espansa nella
stanza. Era ora di alzarsi e rivestirsi. Ma prima… afferrò, con un gesto
indolente, l’iPhone dal comodino e diede una scorsa a Facebook. Tra le
richieste di amicizia brillava un nome straniero. Adrian Papahagi.
“Rumeni come se piovesse!” pensò, ma cliccò su
conferma. La foto del profilo non era solo quella di un uomo attraente, ma del
più virile in cui le fosse capitato di imbattersi da quando era ragazza.
Fu un istante. Come uno scroscio di vertigini.
Come se la camera si capovolgesse in uno specchio.
“Sto sognando…” pensò. Ma era un pensiero debole.
«Grazie dell’amicizia. T’ho ritrovata,
finalmente!» disse una voce maschile dall’accento straniero.
Lei si girò verso l’angolo della stanza ribaltata
da cui proveniva. Il nuovo amico di Facebook era là, vestito di beige. Un filo
d’ammiccanti occhi gialli, magnetici. Bello come un lupo.
«Invitami!» le ordinò.
Silvana intravide l’erezione sotto gli strani
pantaloni, implacabile ed enorme.
«Vieni!» pregò.
E fu dietro di lei. In un abbraccio gelido che le
strinava la pelle. Si voltò allora per cercare la sua bocca, ma furono le zanne
in un volto aperto in due come una melagrana che vide. L’orrore la stordì, e fu
un bene, perché il morso che le squarciò la gola non la uccise subito.
dalla introspezione erotica auto assolutoria vira con una sterzata di 180° all'horror metropolitano. Qualche piccola concessione, non del tutto necessaria, al bello scrivere, al lessico ricercato-raffinato. Ma tutto sommato mi è piaciuto, perché si fa leggere. In una storia conta questo: la capacità di tenere avvinto il lettore.
RispondiEliminaQuesto mi è piaciuto! Poche e piccole imperfezioni ma...c'è tutto 👍
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