giovedì 28 settembre 2017

Doccia fredda #8 Il calcio in cielo

Siamo all'ottavo appuntamento.
Una piccola riflessione: io mi sto divertendo e, mi pare di capire, anche voi.
Sarebbe bello se lo spirito, al netto delle discussioni che, a mio parere, sono molto interessanti, restasse quello del gioco dove, per forza di cose, non si vince tutti.
La maggior parte di noi partecipanti (ebbene sì, partecipo anche io, Laura, e potrete vendicarvi se capirete quale sarà il mio racconto) scrive e lo fa professionalmente. Quando arriveranno gli esoridenti verrete avvisati. E se scriviamo e pubblichiamo, dobbiamo accettare il giudizio sovrano dei lettori. Anche se ci distrugge. Ok?

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IL CALCIO IN CIELO

C’era una volta Scizia.
Scizia era bella, così bella che nessuno poteva guardarla senza indossare gli occhiali da soli (nel pianeta Nori i soli erano tre).
La ragazzina era altissima e la sua pelle era in grado di generare anche trenta sfumature di colore contemporaneamente. Le ali la avvolgevano, ma quando l’emozione e la gioia la inondavano le apriva a mostrare le eleganti branchie azzurre.
L’ombra creata dall’apertura alare profumava di ginepro e la brezza fresca faceva cantare molti grilli e tutte le cicale. I raggi dei soli filtravano tra le piume delle ali e tutti i cuccioli del bosco smettevano di piangere.
Quando nuotava nel lago potevi vedere il riflesso della sua luce in cielo e seguirne ogni evoluzione. Era la nuotatrice più brava del villaggio.
Scizia aveva molti amici. Alcuni però non avevano le branchie, così lei passava molti pomeriggi dopo la scuola a riempire di ossigeno vasetti. Con quello stratagemma la domenica potevano giocare tutti insieme sul fondale del lago. La sua mamma aveva cucito per tutti coloro che ne avevano avuto bisogno uno zainetto ultratecnico, studiato sulle misure esatte dei contenitori di ossigeno. Era stato il dono più apprezzato dell’ultimo secolo. Lo si poteva indossare senza sentirlo e il sistema di molle da agganciare alla schiena evitava che rimbalzasse in maniera fastidiosa.
Anche i ragazzini con le branchie, che pure non necessitavano dell’ossigeno, cononoscevano bene il fastidioso ondeggiare delle borse sulla schiena. Troppe volte i portieri avevano preso gol perchè distratti  dagli zaini pieni di cibo che le mamme apprensive avevano loro imposto. I girini giganti dovevano cibarsi spesso, ma si imponeva la necessità di trovare una soluzione.
Con il tempo la madre di Scizia pensò a zainetti molleggiati per tutte le esigenze.
La partite di calcetto sul fondale divennero allora un appuntamento imperdibile e la voce si sparse anche ai villaggi vicini.
I ragazzi non amavano avere visitatori, ma ormai tutti volevano assistere e le genti arrivavano guidate dai riflessi luminosi emessi da Scizia fino al cielo.
“A Lago ci sono dei ragazzini che giocano a calcio sott’acqua”
“Voglio vederli” dicevano gli adulti.
“Voglio giocare anch’io” urlavano i bambini.
Nel giro di poco meno di un secolo – il tempo sul pianeta Nori era davvero molto dilatato – vi fu la necessità di organizzare un torneo, con tanto di squadre, allenatori, impresari e tifoserie.
I ragazzini senza branchie iniziarono ad essere scherniti perchè più lenti e perchè, dovendo succhiare ossigeno dalle cannucce, non potevano esultare con bolle fantasiose come gli altri.
A Scizia venne chiesto di non giocare più. Lo stesso venne imposto alle altre femmine, sebbene scintillassero meno di lei, erano comunque fastidiose per gli occhi.
Lo scintillio era malvisto dagli impresari e dagli sponsor. I giocatori più bravi non potevano venir sempre fotografati con mascherine da soli!
Presto gli adulti superarono in numero i ragazzini. Poi rimasero solo gli adulti.
Scizia e gli altri amavono lo stesso assistere agli incontri e lei continuava a raccogliere ossigeno nei vasetti per i suoi amici. Però non era la stessa cosa e ogni gol, ogni vittoria della squadra del cuore era una gioia, ma anche un triste ricordo dei vecchi tempi.
Una sera Scizia andò dalla sua mamma in lacrime. Ormai la madre di Scizia possedeva una gigantesca fabbrica di zainetti ultratecnici molleggiati. Accolse la figlia nello splendido ufficio ovale, con le pareti gialle e il pavimento soffice.
Si coccolarono molto. Si avvinghiavano e si rotolavano a terra, ondeggiando e a volte spiccando piccoli balzi, per poi ricadere e venire avvolte dal tenero parquet. Scizia si fece sbaciucchiare la pancia e solleticare le piume. Tutte cose che in pubblico le facevano arrossire lo scintillio, ma che in privato la rendevano davvero felice.
Quando le tutte le lacrime di Scizia si furono tramutate in fiori, la madre le piantò nel piccolo orticello privato. Poi le disse di non preoccuparsi, ci avrebbe pensato lei.
Così è nato il celeberrimo calcio in cielo.
La donna con i proventi degli zainetti ultraleggeri molleggiati fece costruire il primo campetto volante dove allora, come oggi, è proibito l’accesso agli adulti e dove possono giocare tutti i ragazzini, quelli con le branchie, quelli senza, quelli coi polmoni, quelli senza – con un vasetto di acqua nello zaino - quelli con le zampe, quelli che necessitano delle ruotine, quelli bravi e quelli un po’ imbranati.
L’importante è divertirsi e mi raccomando indossare gli occhiali da soli perchè le femmine sono davvero tante!

1 commento:

  1. molto interessante, un racconto di fantascienza al di fuori del solito schema "triste", Siamo in un mondo multirazziale pieno di amore. Mi è piaciuto. Divertente la gag linguistica occhiali da soli.
    Commento solo qui, non gradisco le provocazioni da parte di certi commenti sulla pagina Facebook Laura&Lory, poi ci casco e finisce a male parole. Leggo il racconto, lo commento qui ed evito di incazzarmi.
    Raffaele Abbate

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