Qualcuno di voi l'ha fatta con noi la passeggiata d'autore dedicata al nostro "Fiume pagano". Altri ne hanno sentito parlare. Oggi, ricordando la presentazione del romanzo sull'argine del nostro fiume, in una serata di luglio afosa e magica, vogliamo farvi un regalo. Una passeggiata bordo fiume con un cicerone d'eccezione.
(La foto è di Marco Flores Tavanti)

Tu lo conosci il Tevere? Scusa, t’ho
fatto paura, non volevo. No, non voglio soldi. Sono sporco, non ho un buon
odore, ma t’ho visto da come lo guardavi che… Il fiume, intendo. Non lo
guardano tutti allo stesso modo. Anzi, guarda, non lo vedono proprio. Passano,
corrono, scappano, telefonano. Tu no. Per questo t’ho chiesto se lo conosci.
Perché io lo conosco e te lo voglio raccontare. Vieni? Aspetta, sì, hai
ragione. Forse è meglio se prima mi presento. Venanzio, e non m’offendo se non
mi stringi la mano. È sporca e callosa. Non è sempre stata così. Non mi
chiamavo Venanzio, una volta. Non vivevo neanche qui, a Roma. Ma è stata la
vita, capisci? La corrente. Come succede col Tevere. Vieni. Cominciamo da qui,
da Ponte Sisto. Anche lui, come me, non si chiamava così. Ha avuto una vita
precedente. Una lunga vita. Esisteva già nel 12 avanti Cristo quando
l’imperatore Augusto lo volle per collegare le sue proprietà sulle due sponde
del Tevere. Però sai come si dice? Gli uomini propongono e un dio, o una dea,
dispone. No, non mi sono sbagliato, l’ho detto apposta. Una dea. Perché noi lo
chiamiamo Tevere, lo pensiamo maschio. Ma questo fiume, come tutti i fiumi, è
femmina. È una madre. Una madre diversa da come le pensiamo oggi. Una madre
com’erano quelle dei tempi antichi. Generosa, ma dura, pronta a lottare, a
morire per i figli, ma anche a punire con severità. E il Tevere Roma l’ha
punita più volte. Quello che tu oggi chiami Ponte Sisto venne distrutto da una
piena, nel 791. E’ stato un papa, Sisto IV, a farlo ricostruire verso la fine
del 1400. Lo sai come se chiama quello? Quel buco lì al centro. Per i romani è
l’occhialone e guai se il fiume ci
passa dentro. Significa che s’è incazzato. No, non pensare a quelle che i
giornali hanno chiamato piene, quelle degli ultimi anni. Noi, tutti noi, il
fiume veramente incazzato non l’abbiamo mai visto. Ci siamo convinti che fosse
sufficiente chiuderlo tra due muraglioni e dimenticare che esiste. Ma io che ci
vivo accanto ho capito che un giorno il Tevere si farà sentire. Sai, come
quelle madri che sopportano, sopportano e poi esplodono e allora, parola di
Venanzio, avremo paura. Tutti. Perché devi capire che il Tevere è la madre di
Roma, non nostra. Noi l’abbiamo usurpata, offesa, sporcata, ridotta a un
groviglio di auto. Ed è Roma che vorrà proteggere. Vieni, attraversiamo. E se
ti vergogni a farti vedere con me, io resto due passi indietro e intanto
racconto. Va bene?
Lo vedi quanto è stretto Ponte Sisto?
Per questo è pedonale. Andava bene nei tempi antichi. Ma oggi chi cammina più a
piedi? Chi passeggia? Solo i turisti. L’avevano allargato alla fine dell’800,
con due specie di mensoloni di ghisa. Te li ricordi? Quasi nessuno se li
ricorda. Perché non guardano. Passano e basta. I mensoloni l’hanno tolti con i
restauri per il Giubileo del 2000 e il ponte è tornato bello. Come merita il
fiume.
Sì, ti capisco. Se il fiume merita
ponti belli, come lo spieghiamo Ponte Garibaldi? Brutto e trafficato, è proprio
uno di quei ponti che tradiscono la missione. Costruzione recente e, se
permetti, indecente. L’hanno fatto alla fine del XIX secolo e solo per favorire
lo sviluppo della città verso Trastevere. Il fatto è che una volta i ponti li
facevano i pontefici. Lo sai chi erano? Ingegneri, certo, ma anche sacerdoti.
Passare da una parte all’altra del Tevere era come ferire il corpo della
propria madre. Andava fatto con il rispetto che si porta alle cose sacre. Per
questo oggi il Papa lo chiamiamo pontefice. Ecco, vieni, ti mostro l’unica cosa
bella di Ponte Garibaldi: i balconcini. Io li chiamo così, balconcini. Credo
che il nome esatto sia loggioni semicircolari, ma lo scopo non cambia. Sono
punti dove sostare per ammirare, per guardare, per rendere omaggio. Abbiamo
Ponte Sisto a monte e l’isola Tiberina a valle. La vedi la forma dell’isola?
Una nave, lunga e affusolata, protesa verso il mare. E guarda i ponti. La
grazia che hanno. Il rispetto. Sono come gioielli sul corpo di una madre. Sono
nati per la città, per la gente, non per le macchine. Sono gemelli, ma devi ricordare
che Roma è nata sull’altra sponda del Tevere. Sulla riva sinistra. Quella è la Roma delle origini, quella
pagana. Qui, dove siamo noi adesso, c’è quella papalina. Quindi sono gemelli, i
ponti dell’isola, ma il più antico dei due è quello di sinistra, ponte Fabricio.
Tutto di tufo e peperino. Quando lo attraversi, se presti ascolto, senti la
storia che ti scorre intorno. Ma ne parliamo dopo, adesso vieni. Ci aspetta
Ponte Cestio, quello dove il Tevere canta.
Il fiume ha un suono, sai. Ma è un
suono lieve, un fruscio, come la carezza
di una madre sulla testa del figlio. Difficile sentirlo col frastuono che
abbiamo intorno. Dicono che la rapida, la senti? l’abbiano creata rialzando il
fondale, ma mi piace pensare che abbiano voluto, in realtà, permetterci di
ricordare che oltre i muraglioni il fiume vive, scorre, accarezza. Affacciati.
Posa le mani sul parapetto, la pietra è calda, accogliente, il fiume canta. Se
chiudi gli occhi puoi quasi immaginare che Roma sia ancora quella del pontefice
Lucio Cestio che lo costruì su ordine di Giulio Cesare in persona. Cestio, sì,
come la piramide. Non dista molto da qui e l’ha costruita il fratello di Lucio,
Caio. Aspetta, non attraversare. Torniamo sull’argine. Quello è Ponte Palatino.
Lo chiamano il ponte inglese, perché il traffico gira al contrario, lì sopra. È
un ponte moderno, quindi brutto. L’hanno costruito per prendere il posto di
Ponte Emilio. Ne resta uno spezzone. E io vivo lì sotto, nel posto più bello di
tutta Roma. Puoi non crederci, ti capisco. Ma il fiume ha sparso sabbia fina
sull’argine, asciutta. Il sole scalda il travertino e ponte rotto, così lo chiamano i romani, stormisce di fronde e di
storia. Affacciati, guarda. Vedi come il fiume se l’abbraccia l’isola Tiberina?
È l’amore di una madre.
La leggenda vuole che a formare
l’isola sia stato il cumulo dei covoni del grano mietuto a Campo Marzio e
gettato nel fiume al momento della rivolta contro Tarquinio il Superbo. Sì, lo
so, non è possibile. Ma è bello pensare che il cuore di Roma sia nato
dall’amore della sua gente per la libertà e la repubblica. L’isola Tiberina è
sacra, lo si percepisce anche oggi che di sacro non abbiamo più niente. Per
questo c’è un ospedale, per questo un ospedale c’è sempre stato, anche quando
la medicina era affidata al dio Esculapio e ai suoi serpenti, giunti per nave
dalla Grecia. Per questo l’isola ha la forma di una nave e, se guardi bene,
vedi i marmi che ne ornavano la prua. Te l’immagini come doveva essere questa
città ai tempi di Giulio Cesare? E te l’immagini quale forza ci sia voluta per
abbattere Ponte Emilio? Vieni, scendiamo.
Da sotto lo capisci che è e resta un
monito, come l’occhialone di Ponte
Sisto. Che potenza doveva avere l’acqua per fare un danno simile? Eppure oggi
avete dimenticato che i ponti non sono lì per la vostra comodità, per le vostre
auto, per i vostri motorini, per i vostri pullman. I ponti sono altari, sono
omaggi alla madre Tevere. Alza lo sguardo. Anche Ponte Fabricio ha il suo occhialone. Una struttura successiva,
anche se questo è il più originale dei ponti, quasi totalmente fedele a quello
che Lucio Fabricio costruì nel 62 avanti Cristo per collegare il Campo Marzio
all’isola. Prima ce n’era uno di legno, come spesso erano i ponti di Roma. Di
legno e smontabili per contrastare invasioni e per consentire al fiume di
proteggere la città e i suoi figli. Una madre, ricordi? Riempiti gli occhi e
risaliamo. Ormai avrai a noia la mia compagnia e le mie parole.
Non so se ti sono stato utile, se da
oggi guarderai al fiume con occhi diversi. Il primo ponte di Roma stava là, a
valle di Ponte Palatino. Si chiamava Ponte Sublicio. Era quello sul quale
Orazio Coclite fermò i nemici. Era quello da dove, quando Roma era giovane, si
celebrava il sacrificio degli Argei. Fa’ un ultimo sforzo, immagina: le
Vestali, una processione di donne velate, arrivano al ponte. Lo benedicono con
la mola salsa, una mistura di sale e
farro, poi gettano nel fiume ventisette fantocci. Sono di paglia, avvolti in
tuniche bianche. Ma in tempi ancora più antichi e selvaggi, erano uomini quelli
che venivano offerti in sacrificio al fiume. Pensaci la prossima volta che
scendi qui sotto a passeggiare. Tu vedi acqua melmosa, ma questo è il Tevere.
La madre di Roma.
E adesso ti lascio. No, non mi offendo
se mi offri qualcosa. È uno scambio. Pochi spiccioli per me, uno sguardo
diverso sul cuore di questa città per te. E sì, se ti va torna a trovarmi,
lettore. Mi trovi qui, sulle sponde del Tevere. Il Fiume pagano.
Laura
Costantini – Loredana Falcone