venerdì 27 dicembre 2019

Il cammino del Sapiente (di Federica Soprani - Triskell) #mèpiaciuto


Ritengo che ogni libro sia un viaggio e se non ho dato 5 stelle a questo romanzo è perché il viaggio è solo all'inizio.
Ritengo che al centro stesso dell'immaginario collettivo ci sia la forza di chi riesce a creare mondi e a raccontarli.
L'autrice ci riesce, ci prende per mano e con una scrittura ricca e fluente ci fa da guida, portandoci a scoprire Briden. Un ragazzo solo, indifeso, studioso, dimesso, oppresso dal costante confronto con un gemello ingombrante. L'autrice porta questo giovane uomo a confrontarsi con due personaggi potenti, prepotenti, forti, volitivi. Lo immaginiamo, quindi, schiacciato, manipolato, sottomesso il nostro Briden. E invece... invece il cammino conduce il Sapiente a scoprire ben più di una città rutilante e una corte sfarzosa, più della realtà dei propri desideri e sentimenti. Briden non indossa altri gioielli che se stesso, e sfavilla e abbaglia un re che molti temono, a ragione, e un mistero vivente come Maddox il Bastardo, fratellastro e amante del re. Non fate l'errore di considerarlo solo un fantasy, tanto meno un semplice m/m. Ci sono uomini che si amano, sì. Ci sono momenti di coinvolgimento totale dei sensi. Ma la storia si nutre di questo senza essere solo questo. Poiché è il primo volume di una trilogia, non possiamo immaginare dove il viaggio ci condurrà. E quanto ci sarà da soffrire. Le ombre incombono su Briden, su re Uther, su Maddox. Aspettiamo con ansia il secondo volume e intanto godiamo del piacere più antico del mondo: quello di una storia ben narrata.



Prima domanda: bisogna dirlo chiaro, spesso nei fantasy le descrizioni sono un fardello feroce sulle spalle del povero lettore. Poi arrivi tu e ci mostri quadri, squarci, vere e proprie fotografie. Di più, ci fai sentire i profumi, i sussurri, gli aromi. Svela il tuo segreto: tu a Llyle ci vivi, non è così?

Potrei rispondere "Magari". Di certo mi piace aggirarmi tra le sue strade e le sue piazze, riempirmi gli occhi della sua bellezza, le orecchie del suo frastuono, il naso dei suoi profumi. Ho sempre avuto questa sindrome del dover entrare a tutti i costi in luoghi che esistevano solo nella mia mente, e, da quando ho iniziato a scriverne, mi ha preso l'urgenza di renderli visibili (e visitabili) anche per chi mi legge. Forse ha a che fare con il fatto che da quando avevo quindici anni ho iniziato a essere un Master nei giochi di ruolo, Dungeons and Dragons in primis. Per me è sempre stato un imperativo categorico portare i miei giocatori dentro i mondi che creavo per loro, immergerli il più possibile nell'atmosfera dell'ambientazione all'interno della quale si muovevano. Non a caso, la maggior parte dei miei racconti fantasy sono ambientati nello stesso continente, Kessarine.
Daederian invece l'ho creato appositamente per Il cammino del Sapiente, ma la situazione mi sta già sfuggendo di mano, perché sono già nati un paio di racconti, completamente slegati dal romanzo, ambientati nei suoi territori.
Giochi di ruolo a parte, posso dire a mia discolpa che sono cresciuta leggendo alcune autrici fantasy che hanno saputo fare dell'ambientazione e della descrizione degli scenari un loro marchio di fabbrica inarrivabile, Tanith Lee per prima. E a Tanith devo anche molti altri aspetti della mia scrittura. Ma niente spoiler...

Seconda domanda: quali sono i tuoi numi tutelari, narrativamente parlando?

La già citata Tanith Lee. Lessi il suo Rossa come il sangue, declinazione vampirica personalissima della favola di Biancaneve, quando avevo quindici canni (cavolo, quando avevo quindici anni sono successe un casino di cose!!), e dopo quel racconto ho iniziato a cercare forsennatamente libri suoi. Il Ciclo delle Terre Piatte lo considero forse la sua opera migliore, anche se ha scritto talmente tanto, spaziando tra fantasy, horror e fantascienza, che sarebbe difficile esprimere un parere obiettivo. Cyron, il suo cavaliere dai capelli color dell'alba, protagonista dell'omonima raccolta di racconti, è stato il padre (e anche la madre) di moltissimi miei personaggi, in particolare di Chrysale, sui cui ho scritto una serie di racconti che spero prima o poi di pubblicare.
Poi sicuramente Angela Carter, altra autrice prolificissima, creatrice di ambientazioni e atmosfere inarrivabili e di personaggi indimenticabili. La conobbi per caso, dopo aver visto il film di Neil Jordan In compagnia dei lupi. O forse fu la mia amica Sonia a regalarmi un suo libro quando compiei... quindici anni? possibile... Il libro era La camera di sangue, ancora una raccolta di favole rivedute e corrette, tra cui quel In compagnia dei lupi da cui Jordan ha tratto il suo splendido film, ma soprattutto perle come La signora della casa dell'amore, o Il re degli gnomi. Una scrittura ricca, sontuosa, sensuale. Ancora oggi rileggendo qualsiasi cosa scritta da lei mi sento gradevolmente intossicata.
Terza musa è un'altra donna, Paola Capriolo. Sempre Sonia, alla quale devo molto della mia educazione adolescenziale, mi regalò La grande Eulalia, raccolta di racconti pubblicata dalla Capriolo quando aveva appena 24 anni, che vinse nel 1988 il Premio Berto per l'Opera Prima. Racconti fiabeschi, magici, permeati di quella materia sottile e ineffabile che separa il mondo reale da quello dei sogni, e che a volte diviene così rarefatta da consentire il passaggio di suggestione e presenze da un mondo all'altro. Oltre alla Grande Eulalia, ho amato della Capriolo in particolare il Nocchiero, Una di loro, Con i miei mille occhi, Qualcosa nella notte. Storia di Gilgamesh, signore di Uruk, e dell'uomo selvatico cresciuto tra le gazzelle, ma soprattutto Vissi d'amore, personalissima rivisitazione della storia di Tosca, vista dagli occhi del Barone Scarpia.

Terza domanda: si può avere l'indirizzo di Maddox?

Volentieri! Al momento non posso rivelarlo, perché rischierei di spoilerare cosa sta succedendo nel secondo libro. Ma ci possiamo mettere d'accordo in separata sede...

Quarta domanda (tornando serie): se dovessi scegliere un tuo romanzo nel quale trasferirti con armi e bagagli, quale sceglieresti?

Come tornando serie? Niente Maddox? Ok, lo hai detto tu...
Un romanzo in cui trasferirmi? Domanda insidiosa. Con tutti i casini che faccio capitare ai miei personaggi non farei certo un favore a me stessa a volermi impantanare nella loro stessa situazione. Comunque direi Luthais, in fase di scrittura, perché permette a persone apparentemente normali di entrare in contatto con un mondo meraviglioso e terribile. Forse non sopravvivrei a lungo, ma ne varrebbe la pena.

Quinta domanda: dicci del secondo volume o di qualsiasi progetto tu abbia in piedi onde sanare l'astinenza dalla tua scrittura.

Luthais me lo sto portando avanti da anni. Tengo moltissimo a questa ambientazione, nata nell'ambito di un gioco di ruolo, come spesso accade con i mondi che creo. Ho impiegato tantissimo ha trovare la strada per raccontare di questa ambientazione, ma alla fine credo di averla trovata. Il problema è che, vista la natura del luogo di cui parlo, ogni volta che sono costretta ad allontanarmene è difficilissimo tornarci dentro. Spero che i suoi cancelli rimangano sempre aperti per me.
Per quanto riguarda la trilogia di Daederian, il secondo volume si chiama L'Ordalia del Bastardo, e ha come protagonista proprio Maddox. Quando ho deciso di scrivere questa storia ho pensato subito di incentrare ognuno dei tre volumi in particolare su uno dei tre protagonisti, ma non aveva capito all’inizio quanto questa scelta avrebbe portato ciascuno di loro a intraprendere un cammino interiore (e non) fatto di esperienze belle e brutte, dolorose e appassionanti, per accedere a un nuovo livello di sé. Con Briden era più intuibile, perché la sua stessa natura di Sapiente lo portava a percorrere un cammino di evoluzione e presa di coscienza. Ma alle fine mi sono resa conto che Maddox e Uther, ciascuno a suo modo, sebbene diano l'impressione di essere uomini giù maturi e arrivati, devono ancora scoprire molte cose di loro stessi. Il loro cammino sarà molto più difficile.

Grazie infinite per avermi dato la possibilità di rispondere a queste domande e per aver apprezzato Il cammino del Sapiente. Quando vuoi tornare a Llyle sarai sempre la benvenuta!

domenica 15 dicembre 2019

La chioma di Berenice ( di Amalia Frontali - self publishing) #mèpiaciuto


C'è un parallelo tra l'archeologia eroica e quasi mitica dell'epoca regency e il vagolare del lettore nel mare magno della produzione self. E questo parallelo mi conduce esattamente dove mi trovo: ho scoperto una gemma. Per puro caso. Una cover su un gruppo, io che non compro mai un libro per la copertina. Un'occhiata alla trama. La curiosità. Ho preso l'ebook e l'ho lasciato lì, in mezzo a mille altri. Non amo il romance, chi mi conosce lo sa. Lo uso, alle volte, come lettura leggera e disimpegnata tra un romanzo e l'altro. Ma questo non è un romance. È una biografia romanzata. È un romanzo storico. È un romanzo d'avventura. È un viaggio emozionante. È qualcosa di totalmente inatteso, scritto in modo superbo. L'autrice ha saputo fondere in modo meraviglioso e indistinguibile fantasia e storia, romanticismo e avventura. Di più, ha fatto un lavoro di scavo nella psicologia di una giovane donna di un'epoca lontana, costretta a rinnegare la propria personalità in nome di un appiattimento alla conformità, spacciato per etichetta, per educazione, per contegno. E ci ha mostrato il risveglio di Sarah, pagina dopo pagina, mentre Giovanni Battista, il suo grosso, esuberante, dolcissimo marito riusciva a estrarla da se stessa non diversamente da come avrebbe fatto con un prezioso e delicato reperto dell'antico Egitto. Un libro bellissimo, una lettura preziosa. Straconsingliato.




Come sei venuta in contatto con la storia dei coniugi Belzoni?
A gennaio 2018 ho pubblicato (rigorosamente in self) un romance regency coloniale, ambientato a Ceylon e l’esperienza, per me nuovissima, di scrivere un romance, mi era molto piaciuta. Anche i riscontri erano stati alquanto positivi. Così, in primavera, avevo in mente di scrivere un altro romance regency in ambientazione “esotica”.
Poiché amo moltissimo l’Egitto e l’ho visitato più volte, era uno dei miei candidati. Sono partita dal provare a documentarmi su cosa fosse successo in Egitto di interessante nei primi vent’anni dell’ottocento e lì la figura di Belzoni è emersa con prepotenza, per la mole e l’importanza delle sue scoperte. Quando poi ho scoperto che era l’emissario del console inglese e inglese era la sua giovanissima moglie, ho pensato che per un’avventura romantica esotica fosse perfetto.
Confesso che ho esitato a lungo, perché temevo molto di “tradire” i personaggi storici piegando la sua biografia alle esigenze di trama. Poi ha preso il sopravvento il fascino esuberante di Belzoni e il desiderio di farlo conoscere, di divulgarne le meravigliose esperienze di vita, seppure in forma romanzata, facendo magari sorgere nel lettore i desiderio di approfondire.

Un lavoro di documentazione certosino, quanto tempo e impegno ti è costato?
Il mondo della reggenza inglese è una mia grande passione e lo conosco abbastanza bene, quindi lì la documentazione non è stata onerosa. Giovanni Belzoni, invece, l’ho conosciuto da un paio di biografie e dalla lettura diretta dei suoi diari di viaggio, che sono stati il principale testo di riferimento per il romanzo.
La parte di pura documentazione è durata un paio di mesi, più altri tre in parallelo con la stesura del romanzo.

Un romanzo così bello avrebbe dovuto trovare spazio in una grande CE, ci hai provato?
Domanda che contiene un grande complimento: grazie <3
No, non ci ho provato. Sinceramente mi considero, e sono, una dilettante. Ho avuto in passato un’esperienza con una casa editrice di medie dimensioni, che non ho saputo gestire correttamente e che mi ha un po’ sfiduciato. Scrivo perché mi diverte farlo, mi emoziona e mi appassiona.
Non mi sento all’altezza di una grande CE e penso che per la letteratura “di genere” (rosa, giallo e in minor misura fantasy) il self-publishing possa dare belle soddisfazioni, a patto di prendere tutto con leggerezza, come un gioco.

L'epoca regency non mi è affatto simpatica, soprattutto per l'esasperante stereotipia che affligge le protagoniste. Tu hai saputo creare una donna vera che si dibatte nelle pastoie di un'educazione francamente assurda, e le spezza. Non avendo letto altri tuoi titoli, chiedo: sono tutte così le donne che descrivi?
Una delle mie fissazioni come lettrice (e di riflesso come autrice) di storici è la credibilità dei personaggi rispetto all’epoca. Del loro modo di agire, di parlare e, soprattutto, di pensare. Credo sia la parte migliore, e certo non la più semplice, di un buon romanzo storico.
Le donne che descrivo sono tutte donne del loro tempo; quindi, in generale, nei romanzi ottocenteschi sia regency che vittoriani, alle prese con educazioni oppressive, gravide di ipocrisia e discriminazione, spesso anche terribilmente ignoranti. In base ai loro caratteri e alle loro esperienze di vita reagiscono poi diversamente a queste pastoie e se ne liberano, o imparano a conviverci.
Ad esempio la protagonista de La Gemma di Ceylon, che menzionavo prima, rispetto a Sarah Belzoni è più adulta (ventiquattro anni contro diciotto scarsi), meno attraente, con minori ambizioni sociali e un carattere completamente differente. Il suo modo di affrontare le regole del mondo e stare a galla è differente. Ma, io spero, ugualmente credibile.
Discorso diverso per i personaggi vittoriani de La Saga della Sposa, che sono numerosissimi e in una saga epistolare, per cui hanno la possibilità di esprimersi in prima persona, svelandosi intimamente molto più di quanto non sia possibile con la forma narrativa canonica e, inoltre, cavalcando l’onda dei grandi cambiamenti della seconda metà del diciannovesimo secolo.
Mi sono dilungata, ma sì, la credibilità prima di tutto, rispetto al carattere del personaggio, ai suoi trascorsi e all’epoca storica.


Scrivi romance, da quel che vedo, e sono certa che la tua scrittura sia sempre a livelli alti, perché la classe non è acqua. Ma il genere non ti sta stretto?
In realtà mi piace cambiare.
Sono approdata ai romance all’inizio del 2018 e mi sono divertita moltissimo, quindi penso che proseguirò l’esperienza.
Prima dei romance avevo pubblicato un breve romanzo epistolare dedicato a una versione cronologicamente plausibile con la documentazione storiografica (ma ovviamente inventata) del rapporto fra Jane Austen e Tom Lefroy, che, se non altro per il finale, non saprei quanto si possa definire romance.
Prima ancora un romanzo di guerra ambientato negli anni ‘90, con uno pseudonimo che mai rivelerò, neanche sotto tortura :P
Poi c’è la saga vittoriana, grandiosa esperienza di scrittura a quattro mani, che ha molto di romantico, ma non so se possa essere facilmente definita romance. Forse sì, ma un romance decisamente atipico.
Attualmente ho anche un inedito in cerca di editore, ambientato fra il 1944 e il 1945 durante la guerra partigiana. Romanticismo quasi zero. In questo caso, per un romanzo così poco inquadrabile nella letteratura di genere, sono convinta che il self-publishing non sia lo strumento buono per arrivare al target di pubblico giusto. Quindi, incrocio le dita e spero che qualcuna delle CE che ho contattato voglia rispondermi.
Prossimamente ho una mezza idea di cimentarmi, non so bene con quali esiti, nel giallo storico, genere che non ho mai sperimentato ma che mi attrae molto. Vediamo che ne viene fuori.


venerdì 13 dicembre 2019

Rosa di mezzanotte (di Amneris Di Cesare - goWare) #mèpiaciuto









Questa è una lettura che ho centellinato. Perché è coinvolgente e trascinante e, se le avessi dato retta e ne avessi avuto il tempo, l'avrei terminata in un giorno. Ci sono libri che sono costruiti a tavolino, e si vede. Spesso sono godibili, ma non hanno anima. E poi ci sono i libri come questo. Che scaturisce da sentimenti reali. E si sente in ogni singola riga. I personaggi sono tridimensionali, anche nei loro difetti. Lo stratagemma dei capitoli affidati a turno ai protagonisti consente all'autrice di cambiare registro di scrittura e di espressione, passando dal tono misurato e nostalgico di Annabella e quello smargiasso e giovanilistico di Federico. La storia poggia su un impianto di incomprensioni e di rimpianti insanabili, come sempre accade quando non si ha il coraggio di guardarsi negli occhi e chiarirsi. Così troviamo un gioco di amori non corrisposti e altri non vissuti mentre un ragazzo cresce con una madre single che rifiuta ogni possibilità di trovare un compagno perché il suo cuore è rimasto tra le mani inconsapevoli di un uomo ferito. Ecco, se devo trovare un difetto - che narrativamente parlando è un pregio - è nella figura di Gaetano. Cupo e granitico in apparenza, in realtà fin troppo fragile nel consegnarsi alle trame di una donna senza scrupoli e di una beffa del destino. Gli sarebbe bastato verificare, agire, chiedere. E la bravura dell'autrice sta anche nel rendere l'incapacità di quest'uomo di guardarsi attorno, almeno fino a quando la verità non gli crolla addosso. Delicatissimo e cesellato il rapporto che germoglia tra Federico ed Ettore. Una lettura coinvolgente.

L'idea del vivaio è intrigante, da dove nasce?
Non ricordo come conobbi Simona, solo che fu durante una vacanza quando avevo 16 anni;  ricordo però che fu un'amicizia immediata, di quelle in cui ti riconosci e praticamente non riesci più a staccarti. I genitori di entrambe videro questa intesa come cosa buona e mia madre, di solito molto severa e possessiva, mi permise di andare a trascorrere da lei una settimana a Roma. Una settimana che diventarono poi quasi due mesi. E lì conobbi Franco. Fu anche quello un fulmine a ciel sereno, perché ci “mettemmo insieme” subito, e vivemmo una storia d'amore estiva molto intensa e bella. Certo, finì nel momento in cui io ripresi il treno per Bologna e lui subito si fidanzò in casa con un'altra. Qualche lacrimuccia, qualche sfogo al telefono con Simona, ma tutto  finì lì. Tempo un mese e io ero già “innamorata” di un altro. Lui era parecchio più grande di me e lavorava in un vivaio. Da questi spunti, volendo semplicemente raccontare una storia veloce per il mio blog, ho iniziato a costruire la storia di Annabella e Gaetano, ovviamente romanzando e inventandomi tutto il resto della storia. Poi è comparso Federico e... non sono più riuscita a tenerlo a freno. Da bravo irrequieto e iperattivo, Federico si è preso tutta la scena, lasciando, forse, in secondo piano la storia d'amore dei genitori.
Tornando al vivaio, mi è piaciuto molto documentarmi, e ho avuto un'insegnante d'eccezione: Maria Silvia Avanzato. Con lei abbiamo passato pomeriggi a fare scorribande in vivai di sua conoscenza e mi fa fatto lezioni interessantissime sulle rose, un mondo fantastico di cui ignoravo l'esistenza prima.


Racconti che lo spunto viene da una vacanza romana insieme a un'amica, il cui nome usi però per uno dei personaggi più odiosi, come mai?
Sai che quando ho letto questa tua domanda mi è preso un colpo? Non mi ero resa conto di questa cosa, che avevo chiamato Simona “la cattiva” del romanzo, e che è lo stesso nome della mia dolcissima amica Simona di Roma. Credimi, è del tutto involontario, e se mai “la vera Simona” dovesse leggere il mio romanzo, spero mi perdonerà. Non ci avevo proprio fatto caso. Ora che il libro è stato stampato, è impossibile correggere.
Con “la vera Simona” rimanemmo amiche per molti anni, ma poi, non so neppure io bene come o cosa accadde, ci perdemmo di vista. Non sono mai più riuscita a rintracciarla, neppure su Internet. E di questo mi dispiace molto. Ho un ricordo bellissimo di lei.

L'eterna commedia degli equivoci va in scena da sempre nei romanzi, soprattutto d'amore. Ma non sarebbe più semplice, nella vita e nelle storie, guardarsi in faccia e chiedere semplicemente la verità dei fatti?
Siccome hai letto molti dei miei romanzi precedenti sai che in molte storie che racconto ci sono dei twist-plot che fanno leva sugli equivoci, sul non detto o sul mal compreso. E' vero, sarebbe tutto molto più semplice – nella vita, perché, ahimè, se nelle storie fosse tutto semplice, non ci sarebbe forse più ragione di raccontare – spiegarsi e affrontare subito le devastanti conseguenze di un errore o di un fraintendimento. Ma anche nella vita – a me è capitato spessissimo – non si ha a volte né il coraggio né l'orgoglio di confessare uno sbaglio, un inciampo, rendendo così quell'errore gigantesco.  L'orgoglio, spesso scambiato per “dignità” impone ad alcuni di tenersi tutto dentro, di saltare alle conclusioni senza verificare i fatti; a volte invece è proprio la mancanza di coraggio di guardare negli occhi qualcuno e chiedergli chiarimenti. Una delle cose più difficili da fare è, per esempio, ammettere di aver sbagliato e chiedere scusa, accettare le conseguenze e spesso anche l'umiliazione per un categorico rifiuto da parte della persona offesa; questo porta a far sì che certi eventi negativi si avvitino su se stessi cambiando per sempre il corso della vita delle persone coinvolte. A me è capitato spesso di osservare queste dinamiche e poiché da sempre sono interessata a parlare di sentimenti umani, queste sono le situazioni conflittuali che amo sviscerare (o perlomeno tentare di farlo)
In genere, poi, non forzo mai i comportamenti dei miei personaggi, sono loro che agiscono e reagiscono in un certo modo. Spesso, infatti, mi è capitato di pensare mentre scrivevo “Ecco, qui, se lui/lei tenesse nascosto questo fatto, nascerebbe un bel conflitto che porterebbe poi a una svolta drammatica della storia” e invece i personaggi mi suggeriscono tutt'altro e io lascio che decidano altrimenti. E' quello che è successo anche in Rosa di mezzanotte. Hanno fatto tutto loro, Annabella, Gaetano, Federico, Ettore, Simona e tutti gli altri personaggi.



lunedì 9 dicembre 2019

La fata nel vento e altri racconti (di Francesca Montomoli - edizioni Della Goccia) #mèpiaciuto


Conosco la capacità dell'autrice di trasfondere poesia anche in ciò che a noi può apparire molto distante dal concetto stesso di poesia. Qui siamo di fronte a una raccolta di racconti molto diversi, ma tutti legati dal filo rosso (mai rosso come in questo caso) della passione per la scuderia di Maranello. L'autrice è una ferrarista e la sua passione, unita alla preparazione tecnica, appare evidente nel modo in cui storie di uomini, donne e gatti si intrecciano intorno al profilo filante della più iconica delle auto da corsa. Non amo in modo particolare la Formula 1, ma ho apprezzato ogni singola pagina, così come l'attenzione che l'autrice dimostra a ciò che, inevitabilmente, porterà alla fine di un'epopea di uomini e motori. L'impatto ambientale della F1 è devastante, lo sappiamo. Ma la Ferrari, la fata nel vento del titolo, è molto più di scarichi e materiali tossici. È un sogno declinato in metallo, plastica, velocità, rischio, potenza, lusso e tutto rigorosamente italiano. Questa raccolta è un omaggio soffuso di malinconia e anche un modo per non dimenticare che veder girare la Ferrari è sempre stato molto più che sport.
I racconti sono una forma narrativa che può dare grandi soddisfazioni, ma in Italia una raccolta di racconti spesso scoraggia editori e lettori. Il tuo è stato un atto di coraggio?
Non credo possa definirsi un atto di coraggio, semmai una sfida, ma direi più una forma di caparbietà.  
Amo i racconti, anche brevi o brevissimi, amo leggerli da sempre e percepisco questa forma narrativa come il mio habitat naturale, un “luogo” in cui mi sento a mio agio e al quale non voglio rinunciare. Perciò sono particolarmente felice di aver trovato due editori, seri e onesti, intenzionati a raccogliere il guanto proponendoli al pubblico.
Con questo non voglio certo dire che disdegno i romanzi, anzi, adoro lasciarmi catturare dalle infinite vite e immensi mondi che ti regalano (ne sto scrivendo uno proprio in questo periodo anche se certamente non sarà lunghissimo) ma la breve distanza, l’incursione fulminea, l’immersione totale seppur temporanea in un’altra vita, esercita su di me un grande fascino.
Non credo sia mai accaduto che un'auto sia stata scelta quale musa letteraria. Com'è successo?
Ovviamente esistono molti libri che ruotano attorno al mondo dell’automobilismo sportivo, principalmente tecnici o biografici, ma anche bellissimi romanzi (L’arte di correre sotto la pioggia di Garth Stein, per esempio, che trovo meraviglioso e che da poco è approdato sul grande schermo) in cui il fulcro della narrazione è comunque un “essere vivente” nel senso più tradizionale del termine: il pilota, il pioniere, il costruttore (o il cane di famiglia, come nel libro citato). L’auto, pur essendo sempre al centro dell’attenzione, resta subordinata.
L’auto in questione, però, è diversa. È leggenda. È più di una semplice passione sportiva, è amore. È questo che ho cercato di raccontare attraverso le vite dei personaggi a due e quattro zampe che popolano i miei racconti. Storie quasi vere, perché ispirate a fatti e/o vite reali anche se opportunamente e molto, molto liberamente romanzate.
Un sentimento che conosco e vivo in prima persona. Un amore che, pur essendo potente, non necessariamente contamina o inquina la vita e i buoni sentimenti di chi lo prova. Non è la passione sportiva a produrre danno, il danno è già nell’animo di chi lo produce e in tal caso la tifoseria diventa un pretesto per dar sfogo ai propri istinti negativi.
Ti racconto un episodio. Una volta, una persona di cultura, un professionista che stimo, non sapendo della mia passione per le corse automobilistiche, durante un incontro/dibattito al quale stavo partecipando, se ne uscì con un’affermazione piuttosto infelice: ribadendo l’importanza di momenti come quello per mantenere alta  l’attenzione sulla cultura e alimentare la vitalità di un fermento artistico che non fosse totalmente alla deriva, disse più o meno così “ce ne sono fin troppi che si fanno inebetire da un motore rombante che gira e gira, e non sanno nemmeno cosa sia un libro, o una poesia, o un’opera sinfonica o quali siano le cose importanti nella vita”.
Molti occhi mi hanno fissato, io non ho ribattuto, non era il contesto né il momento adatto a montare una polemica. Ho preferito scrivere e cercare un editore che desse voce a una passione che non, o almeno non sempre, inebetisce. Perché l’amore per la Rossa è un tema, una colonna sonora che accompagna e colora la vita.
Colpisce l'immagine che presenti del futuro del circuito di Monza. La Formula Uno è destinata a sparire, ma la voglia di moderni cavalieri che si sfidano sul filo del rischio non può finire. Che ne pensi?
Al futuro distopico dell’ultimo racconto si arriva per gradi attraverso i due che lo precedono. Gli appassionati storici vorrebbero che non finisse mai, e mi riferisco a chi, come me, segue la F1 da quasi cinquant’anni o più. Eppure proprio noi, forse noi più degli altri, abbiamo chiara la percezione che si trasformerà in qualcosa di profondamente diverso, in parte è già accaduto e continua ad accadere stagione dopo stagione. Non mi rende felice ma sono convinta che sia un processo inarrestabile. È nella natura delle cose.
I cavalieri del rischio, come li abbiamo conosciuti noi, non esisteranno più, ma certamente nasceranno nuove sfide. Fa parte della natura umana, è il motore che spinge ogni genere di ricerca, che sia personale, sportiva o scientifica.

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mercoledì 27 novembre 2019

Il mondo mi odia - ovvero quella volta che ho sfondato lo sfigometro (Elena Sole Vismara - self-publishing) #mèpiaciuto


Questo romanzo è una sorpresa. Non avevo mai letto nulla di questa autrice e ho scoperto una capacità di narrazione sorprendente. E una profondità, anche, che non mi sarei aspettata dal titolo, dalla copertina, dalla sinossi. Ethan, il protagonista, è un ragazzino di diciassette anni. Ed è un supereroe come solo alcuni adolescenti riescono a esserlo comprendendo in sé la maturità che viene dalla sofferenza di una situazione familiare terribile e le fragilità e le incapacità legate al suo essere, appunto, un ragazzino. Responsabile nel cercare di prendere in mano la propria vita, nonostante genitori inadatti al ruolo, a dir poco. Forte nel gestire le umiliazioni dei bulli. Eppure fragilissimo per i troppi colpi ricevuti e per la consapevolezza di non essere mai stato amato. Il messaggio di questa storia, così tenera e intensa, è che ad amare si impara. Ma devi avere dei maestri. E quelli di Ethan hanno i volti di una donna anziana, Aida, e di una ragazzina crossdresser, Melissa. Va detto, anche, che Ethan sarà un allievo difficile cui viene spesso voglia di appioppare uno scapaccione. Ma proprio per questo, alla fine, Ethan è un ragazzo vivo e vero. Consigliato. Di cuore.


Vi innamorerete di Ethan, promesso.

E ora le domande all'autrice.

Mi incuriosisce la personalità di Melissa La Farina, vuoi parlarcene?
La caratteristica più importante della personalità di Melissa, quella su cui si fonda tutto ciò che la riguarda, è la refrattarietà verso tutto ciò che è pre-ordinato. Tutto deve avere un motivo, e se il motivo è “perché si fa così”, lei non la ritiene una risposta valida, anzi: spesso la considera una autorizzazione a fare l'esatto contrario.
Secondo pilastro della sua personalità è il crossdressing, che altro non è che espressione di un'identità gender fluid: il primo concetto pre-ordinato al quale si ribella fin dalla più tenera età è proprio quello che stabilisce che chiunque debba appartenere a un genere sociale ben definito, scelto per lui o lei alla nascita in base alla biologia tra sole due categorie, senza possibilità di svicolarne e dovendo attenersi scrupolosamente a tutte le regole comportamentali a esso legate. Melissa invece sceglie di seguire il proprio sentire, indipendentemente da ciò che la società si aspetta da lei.
Non le interessa di avere l'approvazione di coloro che la circondano, salvo rare eccezioni, né sente il bisogno di stare in compagnia di qualcuno e questo fa di lei una persona coerente e decisa ma a volte scostante, che infatti si muove parallelamente ai propri coetanei, più che in mezzo a loro. Le piace provocare, portare i concetti e gli atteggiamenti all'estremo, per fare una sorta di scrematura tra chi ritiene meritevole del suo tempo e dei suoi affetti e chi no.

La madre di Ethan, troppo facile odiarla eppure lui si sforza di capirne le motivazioni; come hai elaborato quel personaggio?

Sia la trama che avevo in mente, sia la personalità di Ethan come intendevo svilupparla, richiedevano almeno un antagonista che rendesse la storia personale del protagonista travagliata fin dall'inizio. Scegliere la madre per quel ruolo è stato piuttosto semplice, anche se meno semplice è stato poi costruirne le caratteristiche senza farla diventare una macchietta.
Il presupposto fondamentale è che la cattiveria pura e innata è qualcosa che raramente esiste, e che chiunque la perpetra sicuramente ha una storia alle spalle che spiega da che cosa essa si origini. Costruire un antagonista significa trovare l'interruttore che fa scattare la sua voglia di fare del male.
Come Melissa, anche Mara è stata intrappolata da un presupposto sociale, lo stereotipo secondo cui  tutte le donne devono per forza voler essere madri, e desiderano affrontare col sorriso sulle labbra tutte le difficoltà e i sacrifici che la maternità comporta. Lo stereotipo che vuole che chiunque abbia due cromosomi X possiede istinto materno a vagonate. Ma quando mai?!
Mara però doveva restare nella vita di Ethan, almeno fino a un certo punto: da qui l'egocentrismo, l'infantilismo e un'insicurezza di fondo, nascosta dietro un muro di aggressività, che la rendono incapace di staccarsi dal nido paterno e vivere la sua esistenza come l'avrebbe voluta lei.
Una persona che ha letto il romanzo tempo fa mi ha detto che le sarebbe piaciuto seguire ulteriormente lo sviluppo e la crescita di questo personaggio. Chissà, magari un giorno scriverò ancora di lei.

Matteo, il figlio di Aida, è una vittima, eppure quando lo conosciamo incontriamo un vero stronzo, anche qui mi piacerebbe capire: come hai costruito il personaggio?

Matteo rappresenta a sua volta l'opposizione a uno stereotipo (anche se in questo caso non è lui che lo combatte), quello che vuole identificare in toto chi subisce un torto al suo ruolo di vittima. Spesso si ha l'idea che se una persona è vittima, allora è per forza buona o, viceversa, se non è buon allora non può essere una vittima.
Non è vero, la realtà è più complessa di così e un essere umano non può essere ricondotto unicamente a qualcosa che ha fatto o subito. Lo stesso vale per i personaggi di un romanzo: a dare loro complessità e verosimiglianza non è il loro ruolo, ma le sfumature che si riesce a pennellare loro addosso, sfumature che possono anche essere in contrasto tra di loro… o apparentemente in contrasto, dato che subire una qualsiasi forma di violenza non esenta dal perpetrarne a propria volta.
Questo è il ragionamento che sta alla base della scelta di rendere Matteo figlio di suo padre: in fondo, quando si ha un pessimo esempio in casa, lo si può combattere o si può finire per somigliargli.
Devo ammettere che all'inizio non è stata una scelta conscia: me lo sono ritrovato sulla pagina così, altezzoso e superbo. Quando me ne sono resa conto, ho pensato se non fosse meglio ricondurlo all'archetipo della vittima, ma ho preferito proseguire lungo questa strada, ritenendola forse più azzardata, ma anche più genuina.
Se invece con la tua domanda intendevi chiedermi come ho fatto a costruirlo così stronzo, beh, a volte basta semplicemente guardarsi intorno per trovare ottimi esempi da cui prendere spunto!




martedì 19 novembre 2019

Time Vampires - Codice Agatha (di Therry Romano - Astroed.) #mèpiaciuto

Time vampires - Codice Agatha
Una cover che rimanda all'urban fantasy. 
Una catalogazione: romance. 
Un titolo che cita i vampiri. Ma all'interno di questo volume corposo, più di 500 pagine c'è tanto, moltissimo. Molto più di quello che promette, ma anche parecchio di meno. È un fantasy, sì, anche se molto poco urban, mentre c'è azione, combattimenti, avventura e fantascienza virata alla mitologia. Non è un romance, assolutamente, perché c'è una storia d'amore ma rimane sullo sfondo per lasciare spazio a una protagonista, Hana/Kira/Xendhra, che è agente segreto, prescelta, madre suo malgrado, guerriera pressoché imbattibile, supereroina con poteri incredibili, dea. E tutto questo rinchiuso nel corpo e nella personalità di una bella ragazza con una dichiarata passione per pizza, schifezze unte e bibite gassate. Ah, e poi i vampiri non c'entrano niente, nessun canino sguainato, nessun dissanguamento. Quelli che Kira definisce, all'inizio della vicenda, vampiri sono esseri soprannaturali, ma di origine umana, che si nutrono del tempo delle proprie vittime. Vi siete persi? E questo è ancora niente. Attraverso una narrazione scoppiettante, vi troverete lanciati attraverso canali dimensionali, capaci di spostarvi in modo istantaneo da Pittsburg alla California, da isole sperdute nel Mar Artico alle spiagge assolate della Grecia. Di cosa stiamo parlando, quindi? 
Non lo so di preciso. So che ho mancato la fermata della metropolitana mentre, insieme a Kira, scendevo negli inferi e incontravo Persefone e scoprivo che è un'interior design con un mood goth. Ho conosciuto Ade, che è molto più simpatico e spiritoso di come lo raccontano i miti, ho incontrato Demetra, Stige, Hermes. E Kira, umana con componenti molecolari di azzurrite e poteri divini, li ha messi in riga, tutti. Compreso Zeus. Se siete pronti a lasciarvi trascinare nell'equivalente narrativo di film come Thor, X-men, Doctor Strange e Avengers con un pizzico di Guardiani della Galassia e il sottofondo spirituale di Star Wars, questo è il romanzo che fa per voi. E può farsi scoprire un'autrice con una preparazione sulla mitologia classica, sulla cristalloterapia e sulla composizione molecolare in grado di stupirvi. 
E adesso andiamo alle domande all'autrice: 
Quanto si deve essere pazzi per scrivere una roba così?
Direi che la follia è una componente fondamentale, soprattutto se sei una lettrice fantasy che ha letto di tutto, anche le cose più improbabili di autori sconosciuti e altri notissimi, ma che cerca un qualcosa che ancora non è stato scritto. Si fa così, no? Dopo un po’ scrivere di cose trite e ritrite, porta inevitabilmente alla noia. E allora la follia prende piede e ti porta a realizzare cose del genere.
L'Olimpo a Doha e dei della mitologia che scommettono al Toto-Lega... non hai paura che si arrabbino? 
Non credo, Hermes mi ha assicurato che sotto sotto (forse molto in profondità) gli dei sono dei simpaticoni. Anche Zeus.
Diciamo che studio gli dei greci sin da quando ero alle elementari e nel momento in cui dovevo metterli su carta, li ho descritti proprio come li vedo io: avidi, disincantati, disinibiti e soprattutto, manipolatori.
E se mi mandano contro qualche strale, spero di uscirne indenne!

Parliamo di cristalli, pietre e poteri connessi: hai studiato cristalloterapia? 
Ho sempre avuto una curiosità per tutto quello che mi circonda, soprattutto la natura. Amo le rocce, le formazioni naturali e i cristalli. Ho approfondito la conoscenza di queste pietre anni fa, quando in gita con mio figlio al Museo di storia naturale, mi sono incantata a guadare una pietra di ossidiana. Da allora ho iniziato a collezionare pietre e cristalli, a studiarne le forme (amo le sfaccettature) e i colori. E poi ho iniziato a contemplare le loro potenzialità, i benefici e le influenze.
Per inserirle a pieno titolo nel libro, ho consultato parecchi manuali, anche antichi, per comprenderne fino in fondo i poteri e come potevo legarle ai miei personaggi.
La cristalloterapia è una disciplina davvero interessante.

C'è un momento in cui ti lanci in una disamina sulla composizione molecolare dei senzienti rispetto a quella degli umani e spieghi le capacità di riaggregazione grazie ai gluoni... tu sai qualcosa che noi poveri umani non sappiamo, confessa!
Direi che Kira e Damien mi hanno dato una spiegazione sufficiente a farmi venire il mal di testa!
Scherzi a parte, ho dovuto inventarmi un qualcosa di diverso, proprio per giustificare la trasformazione di questi esseri da umani a senzienti. Avevo già letto di tutto in altri libri, riguardo alla trasmutazione. Ma poiché volevo qualcosa di speciale, sono tornata ai miei studi sulla fisica e chimica, e ho trovato la soluzione adatta.
Il carbonio ormai è cosa superata e chissà che non diventeremo tutti dei superuomini!

domenica 17 novembre 2019

Mi dichiaro colpevole



Esiste un reato che si chiama "esercizio abusivo della professione". E pare che siamo in molti a compierlo. Moltissimi. 
E non sto parlando di giornalismo, visto che sono iscritta all'albo da 19 anni.
C'è una questione di lana caprina che risorge regolarmente in rete e forse avete già capito a cosa mi riferisco, ma andiamo per ordine.
Per anni, molti, tutta la mia esistenza ha girato intorno alle esigenze di mia madre. Mi occupavo della sua salute, fisica e mentale, la assistevo in tutto e dedicavo a lei ogni singolo momento del poco tempo libero di cui disponevo. Ero una badante - o una caregiver, se vi piace di più - a tutti gli effetti. E se mi fossi definita tale, nessuno sarebbe venuto a sindacare per quante ore lo fossi, con quali reali risultati e, soprattutto, se mi ci guadagnassi di che vivere. Insomma, nessuno mi avrebbe tacciato di "esercizio abusivo della professione".
Mia mamma non c'è più. E la mia vita, nel mio tempo personale, ha un epicentro che non è difficile da indovinare: scrivo. Scrivere significa molto più dell'atto materiale di digitare su una tastiera o far scorrere una penna su un foglio. Scrivere significa dedicare energie fisiche e mentali a un'attività artistica (o artigianale, se arte vi pare troppo) che prevede preparazione, documentazione, ricerca, costante applicazione, aggiornamento. E, solo alla fine, pubblicazione. 
Io questo faccio, dal 2008. E lo faccio da abusiva, da autrice di serie B. No, anzi, da serie D, se vogliamo restare nella metafora calcistica.
Esercito nei campetti di periferia, con un pubblico piccino su gradinate scomode. 
Abusiva. Perché con i proventi delle vendite dei miei libri non ci pago le bollette, perché dedico otto ore al giorno di ciascuno dei miei giorni a un lavoro (che amo) e per il quale percepisco un salario.
Quindi, sebbene io scriva, pubblichi e abbia persone che, bontà loro, attendono con gioia ogni nuova fatica narrativa, a cadenze quasi regolari trovo qualcuno che viene a specificarmi che non devo neanche osare definirmi scrittrice.

La premessa fondamentale è che a me non interessa il patentino di un inesistente albo degli scrittori. Invece pare interessi a più di qualcuno specificare che no, cazzo, io, lui, lei, loro non possono proprio. A meno di non poter produrre il CUD con i diritti d'autore incassati. A breve scopriremo che al di sotto dei 25.000 lordi l'anno no, non puoi. Al di sopra, sì, puoi. Quello che non è chiaro è a quanto ammonti e chi sia demandato ad elevare la sanzione per "esercizio abusivo della professione di scrittore".

venerdì 15 novembre 2019

Dove batte il cuore (di Annemarie De Carlo - Triskell) #mèpiaciuto


Un romanzo che ho apprezzato fin dalle prime righe. E che mi ha trascinato nelle vicende dei tre personaggi che si alternano sulla scena: il diciottenne Gus, serio e dolente; il 24enne Sonny, scanzonato e libertino; il 32enne Mark, misterioso e affascinante. I loro destini si incontrano in un piccolo apparente paradiso della provincia americana. E i nodi di vicende legate alla morte di un ragazzo e al grave ferimento di un altro, vengono inesorabilmente al pettine. L'autrice ha mestiere, riesce a dosare le rivelazioni e le digressioni. Gestisce benissimo anche le scene di sesso, piuttosto bollente eppure gradevolissimo, senza mai cedimenti volgari. E, attraverso un intreccio di amori da romance m/m, tratta i temi del bullismo, dell'omofobia, della sopraffazione e della corruzione. Sì, i protagonisti sono tutti molto attraenti. Sì, vediamo muscoli guizzare e jeans attillati. Ma Gus, angelico e sottile, nasconde un animo d'acciaio e una maturità fuori del comune. Ma Sonny, spudorato e guascone, svelerà il coraggio di lottare per ciò in cui crede. Ma Mark, roso da un senso di colpa incurabile, forse troverà sollievo e serenità. Pare che sia solo il primo capitolo di una serie e io non vedo l'ora di ritrovare i tre ragazzi sullo sfondo della Pennsylvania descritta in un modo che denuncia ben più della semplice documentazione.
Consigliato a chi voglia lasciarsi catturare, emozionarsi, anche soffrire e mangiarsi le unghie, su un romanzo scritto bene. 


È il 44simo letto nel 2019

Una rubrica? Perché no #mèpiaciuto



Leggo tanti libri, nonostante io ne scriva.
Dicono che gli scrittori non leggano.
Dicono che in Italia tutti scrivano e nessuno legga.
Dicono che gli autori (ma soprattutto le autrici) schiumino bava verde e si facciano un dovere di affossare il lavoro degli altri/altre.
Dicono un sacco di sesquipedali corbellerie.
Per questo ho deciso che quando leggo un libro,
quando quel libro mi piace,
quando chi lo ha scritto non scala classifiche 
e non viene osannato/a in giro,
quello è il momento in cui scatta il

M'è piaciuto!

Una piccola rubrica, su un blog misconosciuto,
ma su Facebook ho un sacco di contatti,
qualcuno mi dà retta.
Segnatevi l'hashtag:

#mèpiaciuto

venerdì 25 ottobre 2019

Ferita all'ala un'allodola di Maria Lucia Riccioli (39simo libro letto quest'anno)

Questo romanzo sul social dei lettori, Goodreads, non c'è e non è neanche possibile inserirlo, perché non è più disponibile alla vendita. I libri, secondo le logiche di mercato, hanno un'aspettativa di vita breve. E questo è stato pubblicato, la prima volta, nel 2011, poi rieditato nel 2013. Comunque troppo in là nel tempo per "esserci" ancora. Eppure c'è. C'è come pochi altri romanzi che ho letto. C'è perché merita di esserci.
Maria Lucia Riccioli ha svolto un certosino lavoro di ricostruzione dell'esistenza terrena di Mariannina Coffa, poetessa e intellettuale risorgimentale, purtroppo misconosciuta fin dagli anni in cui, viva e vibrante, venne di fatto seppellita in un'esistenza che non le apparteneva.
Voleva scrivere e vivere di poesia e di cultura, voleva amare liberamente chi le aveva fatto battere il cuore. Voleva essere riconosciuta come persona.
Ma "fimmina era" e in quanto tale non aveva diritto ad altro che a un matrimonio basato sul denaro e i beni al sole, una casa da accudire, figli da dare a un marito poco più che estraneo.
Non era "normale", Mariannina Coffa. Non voleva esserlo. Forse non poteva. Infatti la sua vita si consumò in un breve lampo. Si spense a 37 anni, divorata da un cancro all'utero e dalla consapevolezza di essere sola, abbandonata, avversata dalla stessa famiglia alla quale aveva sacrificato ogni aspirazione pur di conservare onore e rispettabilità.
L'autrice scrive con una lingua arcaica, pastosa, lirica, con rimandi al melodramma, alla poetica del Risorgimento, al dialetto, anche. È come se a parlare dalle pagine fosse Marianna in prima persona. lei che racconta, soffre, rivela e si ribella, anche, a una condizione della donna che è violenza istituzionalizzata e custodita perfino dalle stesse altre "fimmine" convinte del proprio essere proprietà di padri, fratelli, mariti e figli. Lei no. Mariannina Coffa no. E paga con la vita.
Questo libro è doloroso, lo si chiude con un sentimento di gratitudine e di rabbia. La rabbia di quel busto che le hanno dedicato a Noto, dopo averla avversata, irrisa e calunniata in tutto l'arco della sua breve vita. Una testimonianza necessaria, per non dimenticare cosa significa nascere donna. E cosa molti vorrebbero significasse anche oggi.

martedì 30 aprile 2019

Invidia - vizi e virtù - scrittrice allo sbaraglio: Daniela Nardi


Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è l’invidia. Cosa dici?
 L’invidia è un sentimento molto comune tra gli esseri umani, eppure è difficile dare una spiegazione chiara e logica di questo vizio, perché è una parte oscura dell’animo che si nutre della nostra frustrazione e mostra il peggio di noi. Credo che si possa farla comprendere in un solo modo: praticandola. Quindi, agli autoctoni del pianeta sconosciuto direi che sono rimasta talmente impressionata dalla loro tecnologia avanzata e rispettosa dell'ambiente, dall'assenza di qualunque forma di baratto a favore della condivisione universale di beni e sapere, dalla lungimirante cultura che ha annullato guerre e conflitti di ogni genere, che provo l’incommensurabile desiderio di somigliargli e allo stesso tempo cercherò in tutti i modi di distruggerli, perché so già di non avere le capacità di raggiungere le loro altezze, e questo non posso tollerarlo.

Nella vita hai esercitato/provato/vissuto il vizio di cui stiamo parlando: raccontaci
Infinite volte. Fa parte della natura umana. Vorrei sottolineare ancora che l'invidia è, tra i vizi capitali, il più duro da confessare, il più ripugnante, il più difficile da tramutare in un motivo d'orgoglio. Personalmente cerco di viverla come esperienza, la sperimento con consapevolezza, chiedendomi quali limiti sarei disposta a superare e tento di trasformarla in invidia positiva. Invece di consumarmi in un frustrante “perché lui/lei sì e io no?” riconosco le mie fragilità e cerco di migliorarmi, di trarre il meglio di me dalle qualità altrui. Insomma “se lui/lei può, posso anch'io”.

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta
Il romanzo postumo di Hermann Melville, “Billy Budd il marinaio”, nel quale l'invidia del maestro d'armi Claggart origina da un disprezzo immotivato nei confronti del bello e innocente Billy, benvoluto da tutti, e si trasforma in un sentimento feroce, passionale nella volontà di distruggere l'altro. L'invidia permea tutto il racconto, è l’elemento responsabile dell'infelice destino di Billy, condannato all'impiccagione per aver ucciso Claggart dietro sua provocazione, e dei sensi di colpa che consumano il capitano della nave, sapendo Billy innocente. Non è un'invidia banale quella descritta da Melville, perché è nutrita dal malanimo e la sua fonte è una malattia dolorosa che ha sede nel cuore di Claggart. Costui è una persona istruita, corretta, dai modi misurati, che in condizioni normali non trae nessun piacere a far soffrire gli altri. Eppure trama perché Billy venga accusato ingiustamente di ammutinamento. Quello che accade in seguito spinge necessariamente il lettore a riflettere sul potere distruttivo dell'invidia e la sua capacità di erodere anche l’animo più equilibrato.
   
Facci leggere un tuo brano attinente
La notte in cui Lucia Rena ha perso l’innocenza, si è accorta di non avere più la catenina della Vergine Consolatrice, che Michele Rena le aveva appeso al collo il giorno dei funerali di sua madre.
Aveva circa nove anni, e da quel giorno non l’aveva più tolta, neanche quando andava a dormire o quando faceva il bagno, convinta che fosse un amuleto contro gli sguardi vogliosi che i maschi del paese le rivolgevano tutte le volte che attraversava la piazza con le sue gambe da cicogna, e contro le maldicenze che si abbattevano su di lei, in quanto il suo corpo di matrona incipiente oscurava gli altri esemplari femminili, scatenando invidie e gelosie.
Si è accorta di averla persa mentre si stava strofinando via con forza l’odore di Gunther Schroeder; china sul lavabo, con una smania rabbiosa e disperata, ha usato prima il sapone grezzo per bucato, poi la cenere del focolare, raschiandosi infine a sangue con una spugna ruvida imbevuta di lisciva.
(Mille giorni d'inverno, cap.VI)

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera
Ho mostrato che i vizi hanno un potere attrattivo enorme e devastante se non si è consapevoli di esserne preda. Però a me piace sperimentare, tutte le esperienze trasformano dal punto di vista emotivo. E poi, si può sempre trasformarli in forza positiva, trarne il meglio, magari facendosi aiutare da qualche virtù.

Inventa un titolo accattivante che contenga l’invidia
Ti ho bramato per invidia.


Pubblicizza una tua creatura

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Tutti gli store online per il cartaceo.

Dalla quarta di copertina
Raccontato in uno stile evocativo e con i toni della favola, questo romanzo breve narra le vicende di Mari Serrano e della sua famiglia durante le ultime fasi della seconda guerra mondiale. Costretti, in conseguenza di un devastante bombardamento, a lasciare La Città, giungono come sfollati in un piccolo paesino dell’Appennino campano, Valliani, dove vivono alcuni parenti. Dopo i primi momenti di smarrimento in cui quel luogo appare come un contenitore vuoto, Mari e i suoi fratelli Luigi e Bruno, hanno l’opportunità di ritrovarsi con Ester, l’amica per metà semita, fuggita non solo dai bombardamenti ma dal dolore per la partenza della madre. Dopo il suo arrivo, il paese sembra ritrovare vitalità e i ragazzi hanno l’opportunità d’incontrare personaggi diversi, come Salvo e Bruno, loro coetanei e il nonno don Peppino che ha la mania d’intagliare croci di legno con cui tappezza le pareti della sua casetta. Durante i decisivi mesi del 1943, i ragazzi Serrano combatteranno con la fame e le ansie della loro età, saranno protagonisti e testimoni di passioni travolgenti e atroci delitti consumati tra i campi e i pendini di Valliani, finendo con l’assistere inermi agli ultimi, terribili giorni d’occupazione nazista.

N.B. Tutti i personaggi e gli episodi raccontati sono reali. L’autrice li ha elaborati al fine di renderli fruibili e armonizzati con la storia.

venerdì 26 aprile 2019

Ira (2) - vizi e virtù - scrittrice allo sbaraglio: Mavie Carolina Parisi




Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è l'ira. Cosa dici?

Chissà se nel pianeta in cui mi hanno sbarcato è esistito un extraterrestre di nome Seneca che ha scritto qualcosa di simile al De ira?
Nel caso non avrei molte difficoltà a descriverla, sarebbero già abbastanza informati, saprebbero che l’ira trasforma l’essere umano in un animale selvaggio  con  gli occhi fiammeggianti e rossi, i peli dritti e i muscoli tesi nel desiderio di sbranare e fare a pezzi.
Se invece tra gli abitanti del pianeta non fosse mai esistito nessun Seneca, cercherei nel paesaggio locale qualcosa che possa aiutarmi a rendere l’idea, e se in quel pianeta non nascessero fulmini, onde di maremoto o bombe vulcaniche, troverei certamente in natura una manifestazione d’ira magari in alberi che lanciano con violenza i loro frutti verso chi cerca di tagliarne i rami.

Nella vita hai provato l'ira: raccontaci.


Personalmente ritengo che l’ira sia una delle manifestazioni esteriori della rabbia che è un sentimento più complesso.
La rabbia è indignazione, è risentimento; può esplodere all’improvviso o covare per anni.
La rabbia può mostrarsi all’esterno o rimanere chiusa.
E la rabbia certo, l’ho provata, parecchie volte, soprattutto quando ho subito ingiustizie o le hanno subite altri intorno a me, ma non sempre, anzi quasi mai è sfociata in ira.


Consiglia un romanzo che parla del vizio/virtù in questione e spiegaci la scelta.

Consiglierei Furore (titolo originale the grape of wrath, letteralmente grappoli d’ira) di John Steinbeck .

Ambientato negli Stati Uniti, durante la grande depressione, racconta la storia di una famiglia che come tante altre, schiacciata dai debiti contratti con le banche,  decide di lasciare il Middle West per andare in California dove spera di trovare il lavoro e dunque una vita migliore.
E’ un romanzo pervaso dalla rabbia, in primo luogo quella degli agricoltori verso lo strapotere delle banche e le avverse condizioni atmosferiche che rovinano i raccolti.
Lo consiglio perché è uno dei miei libri preferiti, una saga familiare on the road scritta con grande sensibilità e maestria.
Un romanzo che ti prende fin dalle prime pagine e non ti lascia più andare via.


Facci leggere un brano attinente.

E’ un brano tratto proprio da Furore di Steinbeck

…Niente lavoro fino a primavera. Niente lavoro.
Niente lavoro…niente denaro, niente cibo.
Ma, dico io, chi ha una pariglia di cavalli e se ne serve per arara, per coltivare, non si sognerebbe mai di metterli fuori dalle stalle e lasciarli morire di fame, quando manca il lavoro nei campi.
Ah, ma quelli sono cavalli…noi siamo uomini.
Le donne osservavano i mariti, per vedere se questa volta era proprio la fine. Le donne stavano zitte e osservavano. E se scoprivano l’ira sostituire la paura, nei volti dei loro mariti, allora sospiravano di sollievo. Non poteva ancora essere la fine. Non sarebbe mai venuta la fine finché la paura si fosse tramutata in furore.
L’erba spuntò tenerissima e distese sui colli la delicata coltre verzolina dell’annata nuova.


 Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera

Cosa c’è di più umano del vizio? Credo si abbia poca scelta, è quasi impossibile evitarli tutti, per tutta la vita. E non sarebbe nemmeno utile alla crescita delle consapevolezze necessarie ad evitarli.
Detto questo, potendo, preferirei esercitare virtù, e sono sincera.

 Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio/virtù che ti è toccato


Narrami o Diva, l’ira funesta, l’ha già scritto qualcuno?




Pubblicizza una tua creatura

Questa è la copertina del mio ultimo romanzo.
Parla di una donna di nome Rebecca che attraverso il rapporto con lo psicanalista, Ruggero Macis, ricostruisce la sua vita davanti al lettore.
E’ una donna normale, un medico, ma al contempo anche una donna disturbata.
Soffre di ossessioni, mette in atto comportamenti compulsivi, è ipocondriaca, come molti, forse più di molti.
Al di là della vicenda narrata, ciò che ho cercato di indagare è stato il significato di certi comportamenti e la possibilità che il tutto sfoci in una “guarigione”.
Liberarci da certe paure è quello che vogliamo? Sono probabilmente il frutto di sofferenze più profonde e nascoste, è giusto, è utile riportarle in superficie?





martedì 23 aprile 2019

Gola - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Cristiana Iannotta




Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è il vizio della gola.

Per prima cosa, sulla Terra o su un altro mondo, che sia dietro un invito o per un’improvvisata è raro che mi presenti a mani vuote, dunque, ritenendola una buona regola, porterei un presente.
Non conoscendo i tipi alieni, porterei sicuramente un vassoio di paste tipo bignè di San Giuseppe ricchi di crema profumata e zucchero alla vaniglia, così, se proprio non dovessero fidarsi me li farebbero assaggiare e sarei felice.
Uno dei miei tanti limiti è quello di non riuscire a imparare le lingue, dunque spero di avere a disposizione un traduttore stellare. A questo punto inizierei a spiegare, bignè alla mano, che sulla Terra la gola è definito, purtroppo, vizio mentre si tratta di un piacere sublime. Per questo motivo sono sbarcata sul nuovo pianeta: la mia missione è far conoscere quanto, invece, sia importante sapersi rilassare al profumo e al gusto di una cioccolata calda, o sciogliersi al sapore dello zucchero mentre si ride con gli amici. Certo, nell’istante in cui diventa eccesso rientra in quello che si definisce vizio… ma noi, nel pianeta nuovo, sposteremo l’asticella più in là e il vizio sarà solo un lontano pensiero.

 Nella vita hai esercitato il vizio di cui stiamo parlando. Raccontaci.

Dalla risposta precedente mi sembra già ovvio. Certo che l’ho praticato, esercitato… e senza troppi ripensamenti. Sono una golosa cronica ed è curioso che mi sia capitato proprio questo vizio. Non che non ne abbia altri, però questo è quello per cui mi pento meno o, se vogliamo, il tempo giusto per ricominciare. Preciso che, per me, il vizio della gola è riferito solo al mangiare, e al mangiare dolci in primis, e non all’ingordigia di accumulare soldi, affetti e quant’altro.

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta.

Anni fa mi regalarono “Ricette immorali” di Manuel Vázquez Montalbán. Il libro, di appena 150 pagine, contiene molte ricette e ad ognuna è allegata una situazione erotica. Il mangiare e il fare l’amore sono definiti piaceri che scardinano una “cultura repressiva e preparano alla comparsa di una comunicabilità che non va sprecata”. Per l’autore cucinare, e poi assaporare e mangiare con gusto, deve essere un’abitudine per raccogliere in seguito i frutti dell’amore.
Ecco, per me, il cibo è quella cosa che più si avvicina al piacere, in senso ampio del termine. È ciò che gratifica. Riempie. Soddisfa. È quello che, a volte però, crea anche disturbi e seri problemi, come nel libro Fame di Roxane Gay. Insomma il vizio della gola è come la vita: va vissuto e goduto. Fino alla fine.

Facci leggere un tuo brano attinente.

“Le vacanze. Le vacanze vere. Le vacanze tutte di sole, piscina, mare. Di giochi. Di incontri. Di amori. Le vacanze, che di martedì erano un qualcosa di stupendo. Perché di martedi?, direte voi. Era un giorno speciale per me e mio fratello, forse l’unico giorno della settimana in cui rispettavamo al millesimo di secondo il rientro a casa, perché nonna per pranzo ci preparava le alici spinate, con le patate tagliate a rondelle, il tutto fritto dorato. Quell’unico giorno della settimana sarebbe bastato per stare bene tutto l’anno. Seduti a tavola, con l’acquolina in bocca, e con le nostre prime aspettative. Sempre soddisfatte.
Dopo anni anche io ho riprovato a fare quel piatto, ma niente, non ha niente a che vedere con le alici di nonna. Forse manca la mano, forse le dosi esatte, ma di sicuro manca solo l’amore di nonna e il sapore del suo ricordo. Unico”. Dal mio libro: “Blu e rosso. Viola.”, il primo incerto esperimento di scrittura che, però, mi è rimasto nel cuore.

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera.

Direi una via di mezzo. Sono più portata per i vizi e, per alcuni, mi riesce anche abbastanza semplice la sperimentazione, ma anelo alle virtù, anche se credo non facciano per me.

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio che ti è toccato.

“Una ola per la gola!”

Pubblicizza una tua creatura

Ho pensato che la gola, lasciando fuori il piacere di prima, a volte faccia tornare bambini.
La scoperta, la curiosità di un sapore nuovo o la gioia di uno già conosciuto. L’allegria.
Allora ho deciso di pubblicizzare il mio ultimo libro, una favola per bambini dai 6 ai 9 anni.
Non dedicato all’eccesso, ma al controllo. Di cosa? Del bullismo e dell’ecologia. Temi che interessano sia i bambini che gli adulti. Vivere in un mondo pulito e libero da plastiche, trovo che sia un bel messaggio, o un invitante biglietto da visita, anche per presentarsi ad un incontro alieno!
E poi, ora che ci penso, alla fine della storia, i protagonisti della favola organizzano una festa mangereccia… dunque, tutto torna.
La spiaggia dell’amicizia – edito da Il Ciliegio Edizioni – si trova on line: amazon, ibs, sito della casa editrice e in libreria.