lunedì 30 maggio 2016

Non sei tu a decidere cosa io sia in grado di raccontare

Quando io e la socia abbiamo cominciato a scrivere (era il 1978) di fatto mettevamo nero su bianco i nostri sogni di adolescenti. Cominciammo con un’astronave in viaggio verso un buco nero (e ci documentammo su dove gli astronomi collocassero il più vicino, comunque un’ipotesi, la loro, e comunque non c’era Internet all’epoca, ma ci documentammo). Proseguimmo con un circo in viaggio in tutta Europa (e ci documentammo su città, usanze, strade da percorrere, distanze, ponti, fiumi, modelli di auto, senza dimenticare tutto l’armamentario strettamente attinente all’attività circense, e non c’era Internet all’epoca, ma ci documentammo). Le location italiane non ci attiravano e continuarono a farlo per molti anni ancora. Decenni, direi. Perché nel frattempo diventammo grandi. E arrivò Internet a facilitare il compito, anche se la Biblioteca Nazionale di Castro Pretorio a Roma non si batte. La nostra prima pubblicazione, di cui quest’anno ricorre il decennale (non ve ne importa un fico secco farcito di mandorle, lo so, ma quest’è), fu un romanzo ambientato in Irlanda, sulla baia di Kenmare. All’epoca non c’eravamo mai state, ma ci documentammo a tappeto su qualsiasi aspetto potesse tornare utile alla storia: credenze celtiche, rituali di stregoneria, pub, rapporto tra pecore da lana e numero di abitanti, distanze da percorrere, condizioni delle strade, interventi necessari a restituire la vista a una persona. E via così.

Non bastò. Non facemmo errori. Italiani che vivevano in Irlanda ci fecero i complimenti per aver saputo restituire l’atmosfera, i colori, l’Irlanda stessa. Ma non bastò. Perché, e noi non lo sapevamo ancora, gli esordienti erano considerati, e lo sono ancora, colpevoli di esterofilia. Per cui, se non avete mai pubblicato un romanzo, accertatevi di ambientarlo nel vostro quartiere. Perché dovete scrivere di ciò che conoscete. E va da sé che voi/noi, poveri neofiti (allora lo eravamo) della scrittura narrativa, conoscessimo a malapena il citofono del nostro palazzo. E di quello dovevamo parlare, per essere credibili. Il titolo di questo piccolo sfogo la dice lunga sulla nostra reazione. Nel 2008 tenemmo a battesimo la casa editrice del giovanissimo Francesco Giubilei, Historica, con un romanzo ambientato nel Wyoming (e ci documentammo su tutto, dall’allevamento all’estrazione in situ dell’uranio alle stazioni radiofoniche di zona). E così abbiamo continuato. Non è che non amiamo il nostro paese e la nostra città. A Roma abbiamo dedicato due gialli molto apprezzati e abbiamo in cantiere un romanzo storico. Ma documentarci, fare ricerca è la nostra passione. Ricreare mondi, situazioni, periodi storici… Si chiama fantasia. Puoi applicarla in una stanza chiusa oppure su un pianeta alieno. A te, lettore, riconosciamo il diritto di decidere se la storia ti piace o non ti piace, se è scritta bene o con i piedi. Ma, sia chiaro, non sei tu a decidere cosa noi siamo in grado di raccontare.

sabato 21 maggio 2016

Questo blog è vivo e lotta insieme a noi

Una commentatrice - ne esistono ancora per i blog, da non crederci - ci chiede se questo blog è morto. No, non lo è. Magari tace, rimane in attesa. Una sorta di animazione sospesa. Ma è vivo. Se ascoltate bene il cuore batte. E non potrebbe essere altrimenti, visto che moltissimo gli dobbiamo. È nato dieci anno fa, in occasione della nostra prima pubblicazione. All'epoca Facebook era una roba da pioneri, in Italia. Twitter doveva ancora nascere. I blog invece c'erano e potevano fare la differenza. Per noi l'hanno fatta al punto che un nostro romanzo trovò un editore proprio grazie alla pubblicazione a puntate sul blog. All'epoca Lauraetlory era su Splinder e aveva uno spin-off interamente dedicato alla nostra produzione narrativa, ovvero Le storie di Lauraetlory. Altri tempi.
Comunque, questo blog è vivo e ci rispecchia. Poco appariscente, come noi. Poco sgomitante. Ma il succo c'è. E il succo è che noi scriviamo. Pubblichiamo, anche, ma soprattutto scriviamo. E leggiamo. E ci appassioniamo. E alle volte veniamo qui, sul blog, a dirlo. Ci siamo appassionate a Florence, di Stefania Auci. Adesso ci stiamo appassionando alla serie di Victorian Solstice di Soprani e Corella. Penne italiane, penne femminili, penne che vale la pena leggere.
Oh, poi fate come volete, sia chiaro. E prima che qualche commentatore sardonico si appalesi, sì, Soprani e Corella sono nostre amiche. E se questo impedirà di prendere in considerazione la loro scrittura, a perderci sarete voi.
A presto.
Laura e Lory