venerdì 29 marzo 2019

Accidia (2) - Vizi e virtù - Scrittrice allo sbaraglio: Lucia Guglielminetti (con la partecipazione straordinaria di Raistan Van Hoeck)




Disegno by Kittrose (Claudia Caranfa)


Chissà perché la mia umana legge la parola ‘accidia’ e pensa a me. Ah, sono Raistan Van Hoeck, il vampiro protagonista della sua saga RVH. Perché il corsivo? Perché la storia l’ho scritta io, ma per motivi di sicurezza preferisco attribuire a lei il dubbio merito di tale impresa. Io non sono accidioso.

Semplicemente, sono attento a dosare i miei sforzi per questioni che li meritano davvero. Siccome trovo pochissimi motivi davvero validi per sbattermi a destra e a sinistra, come si dice oggigiorno, posso essere scambiato per pigro, accidioso.
Sono anche andato a consultare il vocabolario per essere perfettamente certo del significato della parola: “L'accidia è l'avversione all'operare, mista a noia e indifferenza.”
Sotto la voce ‘pigrizia’ si legge invece: “mancanza di determinazione nel compiere un'azione di cui si riconosce l'importanza.” Ma, cari lettori, come ho detto prima, trovo pochissime azioni davvero degne di importanza, quindi non mi si può definire pigro. Soltanto selettivo. Lo sareste anche voi, se foste immortali e il tempo per voi non avesse alcun significato. Perché fare oggi quello che posso benissimo rimandare a domani, o anche a tra un decennio o due? L’unica questione su cui non posso temporeggiare come vorrei è il nutrimento, ma il progresso e la mia natura hanno voluto favorirmi: il mio bisogno di sangue decresce con l’aumentare dei miei anni, e l’uomo ha inventato la comoda soluzione delle sacche in dotazione agli ospedali e i forni a microonde. Il gusto del mio cibo di elezione non è proprio uguale, lo ammetto – niente può competere con qualche litro di sangue giovane spillato al momento – ma il segreto per essere felici è accontentarsi, spero che sarete d’accordo con me. Quindi, come dico sempre, datemi un comodo divano, un impianto home theatre degno di questo nome, qualche libro e un po’ di AB negativo riscaldato al punto giusto e avrete un vampiro felice di stare al mondo. Perché correre? Perché affrettarsi? Gli umani con cui ho condiviso alcuni momenti della mia plurisecolare esistenza se ne sono andati da tempo. Per loro valeva la pena di darsi da fare. Ora siedo sulle rovine del mondo, per lo più da solo, a volte in compagnia di esseri come me, e niente merita davvero la mia sollecitudine. Correte voi, se ne avete voglia. Io sono troppo vecchio, e cinico, e stanco. E solo.

E dopo la digressione dell'ospite inatteso

Nella vita hai provato l'accidia: raccontaci.

Raistan ha detto la sua e io dico la mia. In periodi faticosi come questo cedere all’accidia sarebbe un lusso. Un lusso che non mi posso permettere. Sono pigra di natura e ho sempre la tendenza ad attendere l’ultimo momento per fare le cose; dover lottare ogni giorno contro questa mia inclinazione a volte è sfiancante. Lo invidio molto. Lui ha tempo. Un tempo potenzialmente infinito. Io passo gran parte del mio a far cose che non ho voglia di fare e vedo sfilare via le mie giornate senza sentirmi davvero libera o realizzata, tranne quando scrivo. Odio la noia ma vorrei essere più indifferente. Più impermeabile a ciò che mi accade intorno. Meno scalfibile. A volte vorrei essere sola, dovermi preoccupare solo di me stessa. Ma alla fine è davvero un bel modo di vivere, o quest’ansia che in certi giorni domina ogni cosa esiste perché sono una persona con sentimenti, dunque viva e relativamente decente? Meglio essere morti, o non-morti, come nel caso del mio amato vampiro olandese che ha dovuto fare dell’insensibilità la propria corazza? Chi lo sa. Che noia avere certi pensieri. Dite che è proprio grave se non preparo il pranzo proprio adesso, ma aspetto ancora una decina di minuti? Si sta così bene qui sul divano…

Consiglia un romanzo che parla di accidia e spiegaci la scelta.

Non me ne viene in mente nessuno, tra le mie letture, tranne quello citato dal mio avversario (Raffaele Abbate ha citato "La noia" di Moravia, n.d.r.) Mi ha annoiato a morte.

Facci leggere un tuo brano attinente 

‘Per diverse notti di fila non ho fatto assolutamente nulla. Quando mi svegliavo, se non avevo fatto qualche sogno orribile, navigavo un po’ sul Web o guardavo qualche film, senza riuscire a seguirne davvero la trama. Mi lasciavo scivolare spesso nell’animazione sospesa ed ero capace di restarci tutta la notte. È successo soprattutto nei giorni in cui le sensazioni provenienti da Shibeen erano troppo intense da sopportare, o quando gli incubi mi avevano fatto svegliare di soprassalto, urlando.
Una sera il mio cellulare ha squillato, strappandomi al mio stato d’immobilità assoluta. Controllando il display, mi sono accorto che si trattava di Greylord, il lycan. È lui che mi ha risvegliato, a quanto pare, sfinendomi a suon di barzellette assurde.
Il primo impulso è stato quello di non rispondere, ma il mio dito ha premuto il pulsante che mi metteva in comunicazione con lui prima che riuscissi a bloccarlo.
“Ehi…” gli ho detto.
“Come te la passi, vecchia sanguisuga? Guarito? Non sei stato molto gentile, l’ultima volta che ci siamo visti… cacciarmi così dopo che ti ho riportato indietro dal mondo dei morti…”
“E chi ti dice che volessi essere riportato indietro? Ti saluto, lycan.”
Ho chiuso la comunicazione e spento il cellulare. L’ultima cosa di cui avevo bisogno era una discussione metafisica con un lupo mannaro.’ 
RVH – Morte e vita.

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera

Meglio AVERE virtù e sperimentare vizi. Se no sai che noia? (Appunto!)

Suggerisci un titolo accidioso

“Quello che vi siete sempre chiesti sull’accidia e nessuno ha mai avuto voglia di dirvi. (Ma in fondo che vi frega?)”

Pubblicizza una tua creatura

Per coerenza non posso che pubblicizzare la mia saga RVH, cinque libri più uno di racconti. Ascesa alle tenebre è il primo. Su, non siate pigri e cliccate sul link. Non rimarrete indifferenti. Finora, nessuno ci è mai riuscito.




Lascio anche il link alla canzone più accidiosa di tutti i tempi: Keine Lust (nessuna voglia) dei Rammstein. Ascoltatela, se vi va. Il video è molto divertente.




giovedì 28 marzo 2019

Prudenza - Vizi e Virtù - Scrittore allo sbaraglio: Vito Parisi











Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è la prudenza. Cosa dici?
La prudenza si può riassumere in: stai lontano dal pericolo e questo vi deve bastare per il momento che se volessi davvero spiegarvi cosa è la prudenza, presupponendo che abbiate anche emozioni, dovrei dirvi che la prudenza è la ghigliottina di queste, la carnefice del coraggio e il veleno a cui noi umani ci siamo assuefatti per volontà di sopravvivenza immotivata.

Nella vita hai esercitato la prudenza: raccontaci.
Purtroppo è una pratica quasi indipendente dalla mia volontà, si esprime in quasi tutti i miei gesti quotidiani; il lavoro mi costringe alla prudenza, il “tengo famiglia” permea le scelte e, ancor di più, le non scelte. Da quando abbiamo lasciato arco e frecce primordiali ci siamo armati di prudenza come unica arma.

Consiglia un romanzo che parla della virtù in questione e spiegaci la scelta.
Difficile trovare la prudenza come tema di un romanzo, qualsiasi narrazione sembra prendere a pretesto proprio la negazione di questa per dare l’avvio a eventi inaspettati; forse dovremmo rivolgerci ai classici e fra tutti a “I promessi sposi” dove il Manzoni ne fa un brodo di coltura della genesi dei personaggi “eroici” quelli che alla fine vincono perché si sono affidati all’esercizio della virtù prudenziale lasciando all’entità superiore la riparazione dei torti.
    
Facci leggere un tuo brano attinente.
Ultimi metri di corsa, col fiatone, un salto ed è in carrozza, al sicuro.
Un lungo respiro e può rilassarsi; il suo posto, sempre quello, i soliti vicini, sistemare la borsa sul portapacchi e guardarsi intorno.
Se li contasse i giorni si accorgerebbe che sono tanti, ma proprio tanti: quasi tre anni per cinque giorni la settimana a salire su quel treno sempre alla stessa ora, con le stesse facce e sempre allo stesso posto.
Raramente si vedeva qualche viso nuovo, chi volete che abbia voglia di alzarsi a quell’ora del mattino se non per lavoro?
Strada facendo qualche viso era mancato, qualcun altro ne aveva preso il posto, ma, nell’economia complessiva, niente era cambiato.
C’è lei?
Si, c’è anche stamattina. Meno male. Passa meglio mezz’ora di viaggio se hai qualcosa da guardare, anche solo di sfuggita, senza farti accorgere.
Sono quasi due anni che la guarda Enrico, da quando l’aveva vista salire in treno una mattina e gli era sembrata una cosa fresca in mezzo al paesaggio affumicato dei soliti visi gonfi di sonno.
Era bella. È bella, anche se due anni di levatacce gli hanno disegnato sul viso un impercettibile reticolo di stanchezza che un po’ illividisce la pelle ancora giovane.
Aveva pensato che fosse un caso, un viaggio contingente, che non si sarebbe ripetuto; poi l’aveva vista il giorno dopo e l’altro ancora. Dopo un mese ci aveva fatto l’abitudine e il collo conosceva la torsione millimetrica che serviva per poterla vedere facendo finta di guardare fuori dal finestrino, solo muovendo un po’ gli occhi.
Si muovevano gli occhi, tanto; Enrico non riusciva a guardare altrove per più di qualche secondo, poi lo sguardo gli tornava da solo al bel viso stanco. Ogni tanto incrociava lo sguardo e fuggiva rifugiandosi nella specularità trasparente di se stesso riflesso nel vetro del finestrino.
Con un lieve scatto il treno si avvia, la nuca batte leggermente sul poggiatesta: da adesso Enrico può contare i minuti, quelli che gli rimangono con lei da guardare. Dura poco il viaggio. Troppo poco per tentare un approccio. Lui neanche ne avrebbe il coraggio. Tutte le volte che aveva provato ad immaginare di rivolgerle la parola aveva sentito un tremito nelle braccia e le gambe farglisi molli come gelatina, come se realmente stesse tentando di parlarle e lei lo stesse guardando scorbutica.
Avrebbe voluto avere un po’ più di faccia tosta, quel poco che serviva almeno per sorriderle, per farle capire che gli piaceva. Poi chissà…
Ma gli anni incoscienti erano passati da un pezzo. Anzi, per lui non c’erano mai stati, ma se riandava un po’ indietro coi ricordi qualche sorriso se lo era regalato. Gli veniva più facile qualche anno addietro. Adesso, quasi prossimo ai quaranta e con una vita passata a farsi curare da sua madre aveva i sentimenti ingolfati e assuefatti a muoversi in ambiti ristretti, giusto lo spazio dei suoi pensieri, senza voli.
Solo la mattina, per mezz’ora, cinque giorni la settimana, si permetteva qualche piccolo tremito, un azzardo timido della mente che gli regalava un sorriso di dentro, che gli faceva credere che domani, si domani, le avrebbe sorriso.
Maria non parla con nessuno. Imprigionata in una timidezza senza rimedio sale sul treno e fissa lo sguardo fuori dal finestrino, Conosce gli odori di tutti Maria, li avverte in misura invasiva e soverchiante; potrebbe, forse, indicare quale mestiere facciano solo se conoscesse altri mestieri al di fuori del suo.
Maria conosce poco del mondo, appena quello sprazzo di terra che guarda ogni giorno dal finestrino e i terrori che sua madre le inietta quando esce di casa.
Sono belli gli occhi di Maria: grandi, verdi e, anche se lei non vorrebbe, irrequieti. Lo ha visto quell’uomo che la guarda, quattro sedili più in là. Si è accorta di come distoglie subito lo sguardo quando lei inavvertitamente guarda verso di lui. Non gli sembra uno di quelli che dice sua madre, non ha cattiveria nello sguardo e a lei piacerebbe che le sorridesse. Le farebbe compagnia un sorriso nelle ore lunghe del lavoro, quando deve aspettare inerte che la macchina abbia digerito il carico di carta che lei gli fornisce e lo risputi sotto forma di sigarette. Bianche con il filtro giallo, tutte uguali.
Maria non parla con nessuno e non può dirlo ad Enrico che gli piacerebbe vederlo sorridere.
Potrebbe tentare di sorridergli lei, ma solo a pensarci gli occhi le cadono sul grembo, ostinatamente fissi.
Poi, una mattina, il posto di fianco a Maria è vuoto, un’altra delle solite assenze ignare, qualcuno che manca senza che lei sappia perché. Enrico arriva con il solito fiatone e trova il suo posto occupato da un viaggiatore occasionale che non sa di occupare un pezzo di vita, un’abitudine rassicurante.
Si guarda intorno Enrico, vede l’unico posto vuoto di fianco a lei, trema per un attimo, tenta un respiro profondo che gli si interrompe nel petto.
Maria spera, ma gli occhi sono disperatamente fissi fuori dal finestrino. Aspetta di sentire accanto quell’odore che di solito abita quattro sedili più in là. Trema anche lei e gli piace. Intanto inghiotte un mezzo respiro e quasi sorride.
Enrico è fermo al centro del corridoio, un ragazzino smilzo con un fagotto di libri gli chiede permesso e si avventa sul posto libero.
Abbarbicato al corrimano, in piedi, Enrico si lascia sballottare dal treno che parte; la sua borsa gli pende dal braccio inerte rimasto libero.
Si immagina una lacrima e pensa a quello di cui è fatta la sua vita: di cose che non succedono.
Vito Parisi

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincero.
La risposta è necessariamente interlocutoria: dipende dai vizi e dalle condizioni a contorno. Esercitare la prudenza nei pressi di un precipizio è doveroso, esercitare la prudenza verso le persone è quasi sempre deleterio.

Inventa un titolo accattivante che contenga la virtù che ti è toccata.
La prudenza del cobra 
(il cobra si allontana subito dopo aver deposto le uova per evitare le conseguenze dell’istinto che lo porterebbe a divorarle; una specie di prudenza inscritta dalla natura nel DNA di questo rettile)

Pubblicizza una tua creatura

Rocco è un piccolo imprenditore che decide di cambiare vita. In fuga da un mondo che lo ha nauseato incontra il Café du Reviens, un luogo magico e pieno di vita dove, uno dopo l'altro, entrano in scena tutti i personaggi, come attori su un palcoscenico. Rocco accoglierà le speranze e le delusioni, i dolori e le fatiche degli abitanti del Café: sconfitti che in realtà saranno i veri vincitori.




martedì 19 marzo 2019

Avarizia - Vizi e Virtù - Scrittore allo sbaraglio: Lorenzo Sartori


Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è l'avarizia.

Li invito tutti sulla Terra a provare i prodotti tipici del mio pianeta. Scrocco un passaggio interplanetario  e dopo aver gozzovigliato gli spiego come funziona quando si paga alla romana. Ovviamente mi defilo prima.

Nella vita hai esercitato il vizio di cui stiamo parlando: raccontaci.
Tra tutti i vizi che posso avere l’avarizia proprio non mi appartiene. È un vizio onestamente che faccio fatica anche a capire dal momento che condividere è ciò che rende qualsiasi cosa più interessante. Credo che tra tutti i vizi l’avarizia sia il più triste, oltre che il più classista, perché solo i ricchi possono permetterselo condannandosi a un’eterna insoddisfazione. È così triste che fa quasi venire voglia di buttarsi su una virtù ;-)

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta.
Non è facile consigliare un romanzo contemporaneo perché sembra che il tema dell’avarizia sia passato di moda. E non perché siamo meno avari che in passato, forse lo siamo in un modo diverso da come poteva esserlo il contadino Mazzarò ne La Roba di Verga o Scrooge nella celebre novella di Dickens A Christmas Carol. L’avarizia di cui forse tratta la narrativa contemporanea è quella dei sentimenti. Però, pensandoci bene, un romanzo c’è ed è tristemente attuale: “Carnaio” di Giulio Cavalli, che in un modo molto originale racconta della nostra capacità di trarre profitto anche dai cadaveri dei più disperati.

Facci leggere un brano attinente.
Non credo di avere mai affrontato questo tema per cui mi butto su un classico. Un  brano che dimostra quanto possa essere triste questo vizio. L’unico vizio che conduce alla privazione.
"Della roba ne possedeva fin dove arrivava la vista, ed egli aveva la vista lunga - dappertutto, a destra e a sinistra, davanti e di dietro, nel monte e nella pianura. Più di cinquemila bocche, senza contare gli uccelli del cielo e gli animali della terra, che mangiavano sulla sua terra, e senza contare la sua bocca la quale mangiava meno di tutte, e si contentava di due soldi di pane e un pezzo di formaggio, ingozzato in fretta e in furia, all'impiedi, in un cantuccio del magazzino grande come una chiesa, in mezzo alla polvere del grano, che non ci si vedeva, mentre i contadini scaricavano i sacchi, o a ridosso di un pagliaio, quando il vento spazzava la campagna gelata, al tempo del seminare, o colla testa dentro un corbello, nelle calde giornate della mèsse. Egli non beveva vino, non fumava, non usava tabacco, e sì che del tabacco ne producevano i suoi orti lungo il fiume, colle foglie larghe ed alte come un fanciullo, di quelle che si vendevano a 95 lire. Non aveva il vizio del giuoco, né quello delle donne. Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto."
(Giovanni Verga, La roba)

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincero.
Difficile esercitare davvero una virtù se non si è provato prima il vizio.

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio che ti è toccato.
La prossima volta pago io.

Pubblicizza una tua creatura
Beh, il mio ultimo romanzo, Alieni a Crema (Plesio Editore), un romanzo un po’ di fantascienza ma anche molto “pop” dove si parla di provincia e di accoglienza e non solo di alieni.


Alieni a Crema
È una calda giornata d’estate e il sindaco di una cittadina di provincia si sta godendo il weekend nella sua casa di villeggiatura quando qualcuno suona il campanello: sono i servizi segreti e sono venuti a prelevarlo. Il Presidente del Consiglio lo attende d’urgenza a Roma.

Nella capitale il premier comunica al disorientato sindaco che la sua città, Crema, dovrà ospitare per dieci giorni cento abitanti di un pianeta lontano. È in gioco il prestigio del paese.
Cosa sono venuti a fare cento alieni a Crema?
Quale segreto nascondono?

http://www.plesioeditore.it/scheda_prodotto.php?prodotti_id=180


sabato 16 marzo 2019

Temperanza - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Ivana Vaccaroni



…la faccia del sol nascere ombrata…
sì  che per temperanza di vapori l'occhio la sostenea lunga fiata.

Capacità  di controllare e mantenere nei giusti limiti il soddisfacimento degli appetiti naturali
Virtù  di chi sa dominare e regolare gli impulsi e gli istinti
Dal latino temperantia = virtù della pratica della moderazione
Aurea mediocritas = aurea moderazione per i latini “situazione ottimale". Concezione che si ispira alla filosofia epicurea, che invitava l'uomo a godere dei piaceri della vita senza abusarne, come il piacere sessuale, senza soggiacere alla libidine. Orazio, nelle Satire usa l’espressione est modus in rebus…per indicare una misura in tutte le cose, senza eccedere.

Ecco, mio caro alieno, questo è  tutto ciò  che si può  dire della TEMPERANZA, una delle quattro virtù  cardinali.
O meglio, questo è  ciò  che troveresti in un vocabolario, in un libro di letteratura latina o, se tu fossi un nativo digitale, anche in internet su Wikipedia.
Ma tu non sai nemmeno di che cosa io stia parlando. Cercherò allora di comunicare con te in altro modo.
Già  il termine mi sembra difficile, perché  di uso non quotidiano né comunissimo.
E, bada bene, non pensare derivi dal verbo TEMPERARE: le matite non c'entrano nulla. 
Anche se, pensandoci bene, quando fai la punta alla matita la assottigli piano piano, un po' alla volta, con moderazione.
Ecco, forse ho trovato: è  un'espressione a volte anche strana che si attribuisce a chi non ha particolari talenti né  grandi doti intellettuali, eppure sta al vertice di una piramide di persone, con responsabilità. Ha quindi anche un senso sarcastico.
Difficile anche questa, come spiegazione? Immagino di sì
Ci riprovo. 
Sei mai stato a Padova? Non conosci la Cappella degli Scrovegni? Beh, lì  c'è  proprio un affresco con questo titolo.  Molto bello, fidati.
Sai che ti dico? Tu esercitala, provaci, magari al mattino davanti allo specchio mentre ti fai la barba, poi mi dici com'è andata.
(Caspita… tu non hai lo specchio, forse nemmeno la barba… allora il caso è  disperato)
Dovrò  esercitarmi io (sempre che abbia ben compreso di cosa si tratta).
Poi ti farò  sapere se ne valeva la pena

Aspetta mie notizie ma… con temperanza!

Mi si chiede se ho mai esercitato la TEMPERANZA? Certo. Tutti i giorni.

Cerco di stare nel giusto mezzo per quanto riguarda i vizi, eccedo soltanto nelle virtù. Ho smesso di fumare, gli alcolici non mi hanno mai avuta tra i loro appassionati estimatori.
Non so se considerarli vizi o virtù  ma confesso di esagerare nella lettura e nella scrittura. Mi appassionano entrambe, un po'  per professione (insegno lettere da un tempo incommensurabile), un po' per puro piacere.
In questo non mi limito, quindi  temperanza sì, metriotes, ma anche intemperanza e sregolatezza. Quando ci vuole, ci vuole.

Un esempio di TEMPERANZA?

Promessi Sposi
Nel finale della storia, nell’insegnamento ultimo del libro, che si esprime nel “ sugo di tutta la storia", faticosamente ritrovato dai due sposi “dopo un lungo dibattere e cercare insieme", sarà dunque quella “fiducia in Dio" che, se non elimina dal mondo il dolore, aiuta ad accettarlo con moderazione (temperanza), sperando nell’avvento del bene, lontano sia dall’illusione proterva di chi si ribella fidando soltanto in se stesso, sia dal conformismo vile di chi asseconda il trionfo del male per amore del quieto vivere.
Questa, secondo me, è  la miglior prova di TEMPERANZA di tutta la storia della nostra letteratura.

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù?
La mia risposta non può essere diversa da questa: se mi avete assegnato la TEMPERANZA, è ovvio che la risposta è già nella domanda stessa: est modus in rebus. O semel in anno licet insanire ?
Penso che nessuno possa dirsi contrario a eccedere ogni tanto, seppur ciò dipenda da situazione a situazione. La vita, però, richiede equilibrio e maturità, anche se dobbiamo tenere sempre sveglio e vigile il fanciullino di pascoliana memoria.

Riguardo al titolo da dare al mio libro (credo di aver capito così), titolo che abbia a che fare con la TEMPERANZA, direi che potrebbe essere: Quante donne...alcune moderate, altre intemperanti. Leggerlo servirà  a capire meglio da che parte collocarle.


giovedì 14 marzo 2019

Lussuria - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Cetta De Luca




Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è il vizio o la virtù che ti è capitato in sorte. Cosa dici?
Dopo averli studiati per bene per cercare eventuali caratteristiche in comune (con la fortuna che mi ritrovo probabilmente saranno delle piccole palle pelose), cercherei di danzare con movimenti sinuosi intorno a loro, guardandoli negli occhi – avranno gli occhi giusto? - per trovare il contatto visivo. Poi tirerei fuori un mazzo di carte del Kamasutra.

Nella vita hai esercitato la lussuria: raccontaci.
Dipende molto dal significato che si vuol dare alla “lussuria”, se vogliamo considerarlo nella sua accezione religiosa o se vogliamo riferirci alla ricerca del piacere in abbondanza. In questo secondo caso allora dico “chi è senza peccato scagli la prima pietra.” In fondo si definisce lussuriosa anche la Natura quando è generosa nel donarci i suoi frutti, e mai ci sogneremmo di considerarla oscena per questo. Sono lussuriosa ogni volta che affronto un banchetto prelibato, ogni volta che mangio con le mani, ogni volta che tuffo la faccia in un tiramisù fatto a regola d’arte.
Sicuramente cerco il piacere quando sono sessualmente attratta da qualcuno, non vedo perché dovrei fare sesso provando disgusto o raccapriccio, e sono anche convinta che dalla reciprocità di questa ricerca del piacere possano scaturire solo effetti benefici.
La Treccani però ci parla di “desiderio ossessivo e smodato”, di dominio dei sensi su… su cosa? Autocontrollo? Ma non a letto, suvvia, siamo sinceri.

Non tenevo mai conto del fuso orario. Quando atterravo dall’altra parte del mondo tutto mi appariva offuscato e denso, appannato da quella nebbiolina che saliva dalla vegetazione opulenta. I Caraibi erano questo, caldo, odori, suoni, stordimento.
Mi spogliavo dei vestiti quotidiani e indossavo quelli impalpabili delle vacanze, che bastava un alito di vento a smuoverli. La serata cominciava prima ancora di mettere piede in albergo, perché i piedi, i fianchi, le braccia, la testa, cominciavano a muoversi al ritmo della musica, che era ovunque, e in un attimo dimenticavo le ore di volo, dimenticavo la stanchezza, chi ero, dimenticavo tutto: c’era solo quella donna che si specchiava nel vetro della porta d’ingresso e che si compiaceva.

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta.
Più che un romanzo suggerirei un’intera serie, quella su Angelica la Marchesa degli Angeli dei coniugi Golon, una lettura che mi ha appassionata e turbata nelle mie notti insonni da adolescente. Tra le righe di un romanzo storico si possono celare, neanche poi tanto, molte sfumature di rosso, raccontate col garbo consono alla corte del Re Sole.

Facci leggere un brano attinente alla lussuria
Ho scelto un brano da Il Piacere, il momento in cui Andrea Sperelli racconta l’abbandono suo e di Elena Monti alla felicità e libertà del sesso.
Egli aveva alfine la conscienza intera della sua felicità.
Una felicità piena, obliosa, libera, sempre novella, tenne ambedue, dopo d'allora. La passione li avvolse, e li fece incuranti di tutto ciò che per ambedue non fosse un godimento immediato. Ambedue, mirabilmente formati nello spirito e nel corpo all'esercizio di tutti i più alti e più rari diletti, ricercavano senza tregua il Sommo, l'Insuperabile, l'Inarrivabile; e giungevano così oltre, che talvolta una oscura inquietudine li prendeva pur nel colmo dell'oblio, quasi una voce d'ammonimento salisse dal fondo dell'essere loro ad avvertirli d'un ignoto castigo, d'un termine prossimo. Dalla stanchezza medesima il desiderio risorgeva più sottile, più temerario, più imprudente; come più s'inebriavano, la chimera del loro cuore ingigantiva, s'agitava, generava nuovi sogni; parevano non trovar riposo che nello sforzo, come la fiamma non trova la vita che nella combustione. Talvolta, una fonte di piacere inopinata aprivasi dentro di loro, come balza d'un tratto una polla viva sotto le calcagna d'un uomo che vada alla ventura per l'intrico d'un bosco; ed essi vi bevevano senza misura, finché non l'avevano esausta. Talvolta, l'anima, sotto l'influsso dei desiderii, per un singolar fenomeno d'allucinazione, produceva l'imagine ingannevole d'una esistenza più larga, più libera, più forte, « oltrapiacente »; ed essi vi s'immergevano, vi godevano, vi respiravano come in una loro atmosfera natale. Le finezze e le delicatezze del sentimento e dell'imaginazione succedevano agli eccessi della sensualità.” 
Ambedue non avevano alcun ritegno alle mutue prodigalità della carne e dello spirito. Provavano una gioia indicibile a lacerare tutti i veli, a palesare tutti i segreti, a violare tutti i misteri, a possedersi fin nel profondo, a penetrarsi, a mescolarsi, a comporre un essere solo.”

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera.
Credo proprio che sperimentare vizi sia di per sé una virtù, perché non è facile essere sempre coerenti. Spesso si cade nella tentazione di essere virtuosi… In ogni caso mi domando, come potremmo apprezzare le virtù senza aver prima sperimentato il vizio?

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio che ti è toccato.
Non è peccato

Pubblicizza una tua creatura.
Qualche anno fa decidemmo, io e il mio amico e collega Marco Reale, di provare a scrivere un romanzo erotico a quattro mani. Non ci confrontammo prima sulla storia da scrivere, sapevamo solo che doveva avere a che fare con il tango. Dopo aver letto i rispettivi incipit ci rendemmo conto che stavamo scrivendo la stessa storia ma da due punti di vista differenti, lei e lui. Alla fine è nato TanguEros.


domenica 10 marzo 2019

Giustizia - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Ester Manzini


Se dovessi spiegare la giustizia a un manipolo di alieni?
Giustizia. Non è facile definire la giustizia. In un mondo perfetto sarebbe la forza in grado di dare a tutti le stesse possibilità, senza per questo arrivare a calpestare il prossimo. Ma non viviamo in un mondo perfetto, quindi ci siamo solo noi, con la nostra capacità di seguire un ideale. Non è semplice, e di solito la cosa “giusta” non è quella più facile. Ma ne vale la pena: giustizia è lotta, è testardaggine, è ingoiare il rospo dell’egoismo e della comodità perché al mondo – questo mondo, una collezione di difetti e storture – non esistiamo solo noi. Giustizia è equità, è rispetto dei diritti. Giustizia è una guerriera che impugna una spada che si chiama Legge, ma qualche volta deve combattere a mani nude.

Ti senti portatrice di giustizia?
Sì, e di solito mi succede quando mi trovo di fronte al suo contrario. Non posso tollerare l’ingiustizia, mi si pianta di traverso come una lisca in gola; a quel punto posso solo agire (o reagire) per potermi sentire, egoisticamente forse, a posto con me stessa. L’ultima volta, la più plateale, è capitata qualche mese fa. Era un pigro sabato sera d’autunno, passeggiavo con alcuni amici lungo la via più frequentata della città. Nel brusio delle dozzine di passanti che chiacchieravano ci accorgiamo di una voce troppo alta, troppo arrabbiata. Un tizio stava urlando addosso alla sua fidanzata, nell’indifferenza della folla. Mi sono fermata – non fosse altro per capire se la ragazza stesse bene. Ma quando quel cialtrone del suo (ubriaco) fidanzato l’ha presa per il collo e sbattuta contro il muro non sono riuscita a rimanere ferma o zitta. Sono piccoletta e dall’aspetto innocuo, non mi ritengo particolarmente coraggiosa e di solito i guai non vado proprio a cercarmeli, ma in quel momento non sono neanche riuscita a pensare. Mi sono messa in mezzo, l’ho spinto via, gli ho urlato dietro fino a che un gruppetto di persone non si è radunato attorno alla scena. I miei amici, ben più diplomatici di me, sono riusciti a evitare che pure io mi prendessi quattro ceffoni, ma a me non bastava. Ho chiamato i carabinieri – e forse non è servito a niente, forse una volta tornato a casa avrà ricominciato a maltrattare la sua ragazza, ma almeno l’ho fatto vergognare per dieci minuti. E poi, mentre ci allontanavamo, tutta la tensione è scesa e mi è venuto da piangere. Perché è vero, sono piccoletta e dall’aspetto innocuo, ma non sono capace di rimanere inerme di fronte all’ingiustizia.

Consiglia un libro a tema.
La Bas Lag Trilogy di China Miéville. Perché niente sa più di giustizia di un gruppo di rivoluzionari che cerca di sovvertire una classe dirigente corrotta, sporca e disinteressata al benessere dei cittadini.

Un brano sulla giustizia?
“Il velo si stava lacerando, e dalla confusione emersero gli artigli della creatura.

Giustizia, l’aveva chiamata.
Ma la giustizia era qualcosa di pulito e sacro, era riservata alle persone buone, rette.
Qualcosa che lui non era più.
Oh, lo era stato eccome: un ragazzo che inseguiva la libertà, un giovane uomo che trovava la propria gioia nell’alleviare la sofferenza degli altri. Un guaritore con le mani che sapevano di canfora e con la tunica macchiata di verde, con la lingua troppo lunga e una risposta sarcastica sempre pronta. Aveva amato ed era stato amato, forse più di quanto meritasse.
Ora, nel buio della sua cella, con la casa che aveva smesso da molto tempo di fremere per i postumi della festa, di quel giovane idealista non rimaneva molto, solo un guscio vuoto con le sue sembianze che vibrava per il trauma e per un odio che neanche alla morte di Karl era stato in grado di provare.
La giustizia era per le persone buone.
A lui rimaneva solo la vendetta.”
(Tratto da una fanfiction che, un giorno, potrebbe facilmente evolversi in qualcosa di più)

Preferisci esercitare vizi oppure virtù? Sii sincera:
Esercitare virtù. E non lo dico per chissà quale nobiltà d’animo, ma semplicemente perché sono una persona che ama il quieto vivere. Almeno dormo tranquilla la notte, e al mattino non mi vergogno guardandomi allo specchio.

Un titolo accattivante che contenga la parola giustizia.
“Giustizia – il peso della spada” (un eroico giustiziere ormai in là con gli anni si trova ad affrontare un caso troppo moralmente ambiguo per i suoi gusti) (… potrebbe non essere un cattivo spunto, facciamo che me lo segno)

Spamma un tuo titolo, ne hai licenza.
“La rondine di Guadeloupe”, ed. Triskell
Mac ha attraversato gli oceani cercando l’uomo colpevole di aver distrutto la sua famiglia. Ora, dopo un approdo rocambolesco sulle spiagge dei Caraibi, l’attende quella giustizia che per tanti anni ha inseguito. Peccato che non tutto vada come previsto.
Un romanzo d’avventura che sogna di essere un feuilletton moderno.


P.s. io, Laura, l'ho letto e ve lo straconsiglio!

sabato 9 marzo 2019

Ira - Vizi e Virtù - scrittrice allo sbaraglio: Annemarie De Carlo






Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni cos’è l'ira. Cosa dici?

Il vizio che mi è capitato in sorte è l’Ira e agli autoctoni - posto che comprendano la mia lingua - direi così:

“L’ira è un’esplosione irrazionale, una deflagrazione che ti offusca la mente e che ti sposta in avanti, che ti fa scagliare con violenza contro qualcosa o qualcuno e che devasta come un fungo atomico; paralizza il raziocinio, libera gli istinti più beceri che albergano in tutti gli esseri viventi. Qualcosa di estremamente deleterio che va esorcizzato ed evitato senza se e senza ma.”

Io odio l’Ira con tutta me stessa. Curioso che mi sia capitato proprio questo vizio.


Nella vita hai provato il vizio di cui stiamo parlando: raccontaci.

Intesa come reazione rabbiosa e violenta a un contrasto: sì l’ho subita e pure spesso. E per quanto io possa arrabbiarmi, difficilmente mi lascio prendere da quella reazione irrazionale. Per esercitare l’ira bisogna avere “inscatolato” o “imbottigliato” tanta, tantissima energia negativa e poi, successivamente agitata come una bottiglia di bevanda gassata, esploda senza poterla trattenere o far prima scemare. In genere, non arrivo mai a quel punto. E se imbottiglio, poi, la rabbia implode dentro di me, deflagrando all’interno, nell’animo e facendo danni soprattutto a me stessa.

Intesa come indignazione, frustrazione: sì, come tutti spesso provo rabbia per le ingiustizie, per l’inciviltà che pare dilagare in questo mondo così strano e che a volte difficilmente riconosco. Come tanti, vorrei poterla esprimere, ma sempre in modo pacato e civile.

Intesa come rabbia generata dall’invidia e dall’odio: questi ultimi sono sentimenti che detesto, che evito anche solo di considerare, che faccio di tutto per non permettere di catturarmi. Disprezzo la violenza verbale forse ancor più di quella fisica e pertanto non mi incanta un certo “black humor” che sembra andare di moda oggigiorno e giustificare tanto odio e violenza verbale sui social e anche nella vita quotidiana.

Consiglia un romanzo che parla del vizio in questione e spiegaci la scelta.

Come Annemarie De Carlo scrivo Lgbt/MM, e soprattutto leggo principalmente Lgbt/MM. Per scelta, per interesse specifico e sostegno/supporto - essendo io etero - verso il mondo omosessuale e di identità di genere. Moltissimi romanzi Lgbt, ma soprattutto i “gay-romance” altrimenti detti MM/Male-to-Male o FF/Female-to-Female e che trattano storie d’amore di persone che amano altre persone dello stesso sesso (o transgender, asessuali e bigsex) contengono al loro interno storie di bullismo, violenza fisica e verbale, odio e insofferenza verso le persone che amano persone dello stesso sesso. Questi romanzi hanno regole precise, trattandosi di “Romance” devono per forza avere un lieto fine, ma alcuni di essi sono dei veri e propri gioielli di narrativa e stile. E tra le centinaia di romanzi che ho letto di questo genere, vorrei sceglierne uno, singolare e devastante per l’ambientazione in esso descritta:

Nascosti dal mondo, di John Kihley, edizioni Triskell: un romanzo che parla di un amore struggente tra un pianista e un violinista, nato alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e che perdura anche durante la loro deportazione da parte dei nazisti in un campo di concentramento; i due protagonisti saranno così marchiati dai cosiddetti “triangoli rosa” il simbolo di stoffa cucito sulle divise dei deportati nei campi di concentramento e che corrispondeva, appunto, al crimine di omosessualità. L’odio dei nazisti, l’ira rabbiosa di uomini che si sentivano al di sopra di altri loro simili, mossi da una ferocia inumana nei confronti della diversità, pur martoriando il corpo degli amanti non scalfisce il legame, considerato abominio dalla società di allora, che li unirà fino alla fine.


Facci leggere un tuo brano attinente.

Qualcosa dal romanzo “corale” che sto scrivendo, fresco fresco e non revisionato.
(Perciò siate clementi, vi prego) Esempio di “uno scagliarsi contro rabbioso”:

“Agata! Dove sono le mie calze?” urlò dal bagno Ascanio. Era troppo concentrata nel truccarsi  per sentirlo. La cosa spazientì l’uomo che continuò a urlare “AGATA!”
Senza spostarsi dallo specchio, impegnatissima a passarsi una riga di Kajal nell’occhio destro, Agata rispose ad alta voce:
“Che c’è?”
“Dove cazzo hai messo le mie cazzo di calze?”
“Nella valigia!” sempre dallo specchio, sempre continuando a truccarsi.
“E, per Dio, dove cazzo è la fottuta valigia?”
“Agata, sta dando di matto.” Le si avvicinò Ignazio, guardandola con espressione mogia attraverso lo specchio. “Già stiamo facendo un casino tremendo. Se quello continua ci sbattono fuori.” La supplicò di occuparsi di quelle benedette calze. Agata posò sospirando la matita di Kajal sulla mensolina sotto lo specchio, si alzò dalla sedia per andare a rispondere ad Ascanio. Non fece a tempo a muoversi. Si sentì strattonare dalla cintura della tuta che aveva legato in vita, trascinare fuori dalla stanza mentre un Ascanio furibondo la riempiva di insulti. E poi si sentì spingere con forza verso la parte opposta del corridoio. Non riuscì a mantenersi in equilibrio. Caracollò all’indietro e sentì il muro colpirla forte alla schiena. Sbatté la testa e per un istante non vide e non sentì nulla; quando si riebbe dallo stordimento e dalla botta, vide il volto rosso fuoco di Ascanio a pochi millimetri dal suo naso.
“Se non trovi subito quelle fottutissime calze, ti massacro, per Dio!” gli urlò lui con una cattiveria così spaventosa nella voce da farla subito alzare come un soldatino di fronte al suo comandante. Ancora confusa, Agata chiuse le orecchie a quell’urlare costante e si diresse verso la camera. Attraversò quel corridoio come su una passerella, camminando quasi in punta di piedi, notando come gli altri del gruppo si fossero affacciati dalle camere e la osservassero senza però dire nulla, muti e attoniti ma senza un gesto per fermare quell’uomo che seguendola continuava a inveire. Entrando in camera Agata si chinò sotto il letto di Ascanio ed estrasse la valigia incriminata. La aprì, ne estrasse le calze tanto agognate, le appallottolò e gliele tirò in faccia, gridando a sua volta:
“Ecco le tue stronzissime calze, pezzo di merda!”
Non lo sentì arrivare. Non vide neppure la mano sollevarsi e abbassarsi. Capì che era stata colpita solo un attimo dopo, quando la pelle sulla guancia iniziò a bruciare. Riuscì solo ad aprire la bocca in segno di stupore e a spalancare gli occhi, uno truccato e uno ancora no, e ringraziò il cielo che ancora non lo fosse perché le lacrime bruciano se a contatto col mascara e il kajal. Che colasse il trucco sporcandole le guance non gliene fregava nulla. Ma il non riuscire a vedere nient’altro che rosso per un secondo la fece tremare. Sentì dentro gonfiarsi una rabbia sorda, acuta, brutale. Una voglia di far male. Parte di quella rabbia era rivolta alle persone in quella stanza. Avevano visto tutto ma non avevano mosso un dito, detto una sola parola. Cristina e Ignazio avevano continuato a parlarsi e a vestirsi come se nulla fosse successo.
“Non permetterti mai più di mancarmi di rispetto, troia!” sibilò rauco Ascanio. E Agata si trovò nella posizione di dover scegliere: avventarsi contro il marito, provare a restituirgli un po’ di quegli insulti, parte di quelle percosse rischiando ancor più violente reazioni da parte sua. Oppure... Capì di essere sola. Tremendamente sola in mezzo a quelle persone. Inerme, indifesa. Quindi fece l’unica cosa che in quel momento le riuscì chiaro di poter fare: scappò di lì in mezzo alla folla colorata e festante di una Venezia ubriaca di Carnevale.

Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincera.

Lo ammetto, anche se non sembra, sono “una brava ragazza-inside”, perciò direi “esercitare la virtù” anche se ripeto costantemente che, se dovessi tornare a nascere, non mi farei scappare più neppure il più piccolo vizio. Però il vizio dell’Ira, no grazie. Passo. Si può?

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio che ti è toccato.

Ho intitolato il mio romanzo “corale” “Cuore d’ortica”... non rende l’idea della ferocia e della furia ma lascia comprendere il dolore e l’amarezza per una violenza subita. Credo.


Pubblicizza una tua creatura

Lois e Luke - giro di vite - Edizioni goWare

Quando è in vena di farsi un po’ male, cosa che fortunatamente non accade spesso, Lois fa un gioco: chiude gli occhi e spinge i ricordi all'indietro nella mente fino a cercare quei frammenti di memoria che affiorano incerti tra la nebbia dei pensieri sparsi e che tiene rigorosamente in disordine dentro di sé; i ricordi più cari e più importanti, invece, li conserva ben piegati proprio davanti agli occhi, per rispolverarli più spesso e sono due: il sorriso di sua madre mentre lo abbraccia dopo aver ballato e aver ottenuto dal pubblico un giro di applausi particolarmente caloroso, e la risata, sua e di Luke, in pizzeria dopo lo spettacolo, una sera di fine Marzo.
Erano allegri, un po’ sbronzi e arrapati. Si erano già scambiati un bacio lascivo che nulla lasciava all'interpretazione su come sarebbe terminata la serata, e Luke aveva buttato lì un commento particolarmente divertente, a cui Lois aveva risposto ridendo di gusto. Si erano di nuovo incontrati, labbra su labbra, e proprio in quell'istante Lois aveva estratto il cellulare e aveva scattato un selfie.
La foto di quel bacio, di quelle due bocche unite, è adesso lo sfondo del suo cellulare. 
È l’unica cosa che gli è rimasta di Luke.



martedì 5 marzo 2019

Speranza - Vizi e virtù - scrittore allo sbaraglio: Delos Veronesi



















Ti sbarcano su un pianeta sconosciuto e devi spiegare agli autoctoni la speranza. Cosa dici?


Avanzo sollevando la mano sperando che comprendano il gesto di saluto, non sorrido perché temo che mostrare i denti possa sembrare un gesto aggressivo. Mi schiarisco la voce e provo a parlare.
«Vengo in pace e senza presunzione, sperando di trovare in voi ciò che io vorrei trovaste in me. Da dove vengo io la chiamiamo speranza, è una virtù intangibile che si basa sul niente ma che ha sostenuto la nostra razza per tutta la sua esistenza. È il desiderio di ottenere qualcosa che non si può avere, come trovare l’acqua nel deserto o un amico tra le fila nemiche, è la necessità di poterci appellare a un potere che va oltre la comprensione per riuscire risolvere i nostri problemi. È il sogno di trovare in voi la voglia di essere miei fratelli nonostante la paura e le nostre diversità, è l’illusione che possiate comprendere quello che vi sto dicendo.

Nella vita hai esercitato la virtù di cui stiamo parlando: raccontaci.

Anche volendo non potrei mentire, non credo che esista qualcuno che almeno una volta nella vita non si sia appellato alla speranza. Ho pensato a lungo a cosa scrivere, non mi andava di inventare una storia e nemmeno di raccontare qualcosa di troppo triste, purtroppo la speranza è una virtù che emerge nei momenti di difficoltà e raramente si può accostare a momenti felici. Partendo da questo punto fermo un solo pensiero mi è venuto in mente, un momento in cui la mia vita ha perso il suo valore per essere votata a qualcosa di più grande, l’attimo in cui ho preso in braccio mio figlio.
Più di trenta ore di sofferenza prima di venire al mondo, urla e fatica che ho vissuto assieme a mia moglie come se fossero mie. Quando è nato la tensione mi ha fatto piegare le gambe mentre mi piegavo in un pianto liberatorio.
«Se deve svenire vada fuori» mi aveva detto l’ostetrica indicando la porta della sala parto. «Non abbiamo il tempo di scavalcarla mentre ci occupiamo di sua moglie.»
Respirando a fatica ho alzato la testa e ho visto il mio piccolo arrivare verso di me, lo avevano lavato e me lo stavano portando ma io vedevo solo il fagottino fluttuare tra le mie braccia. Piccolo, con gli occhi chiusi e il visino stanco di chi ha già combattuto la sua prima battaglia, ha allungato una manina e mi ha afferrato il mignolo mentre lo tenevo in braccio incapace di muovermi.
«Ciao amore» gli ho sussurrato piano. «Benvenuto Alessandro Leonida» ho aggiunto riversando in quelle parole tutta la speranza che avevo infuso nel suo nome.
So che può sembrare assurdo ma credo profondamente nel nomen omen, ho scelto volutamente quei nomi per donargli ciò che ai miei occhi li rappresentava. Non mi interessavano le imprese dei due re e nemmeno la loro storia sfociata nel mito.
Alessandro Magno, aldilà della leggenda della sua vita, ha attraversato i confini del mondo assieme ai suoi amici d’infanzia. Sono rimasti uniti per tutta la vita e hanno condiviso ogni attimo legati da un sentimento che spesso diamo per scontato.
Leonida è stato un uomo capace di sfidare l’impossibile per dare al suo popolo una speranza di salvezza, ha scelto di fare la cosa giusta anche se gli sarebbe costata cara.
Erano questi i sentimenti che volevo infondere in mio figlio mentre gli sussurravo il suo nome, la speranza e l’augurio di poter trovare degli amici veri e di avere il coraggio di fare le scelte più difficili per difendere i suoi ideali.

Consiglia un romanzo che parla di speranza e spiegaci la scelta.

Leggendo la domanda me ne sono venuti in mente diversi ma, per puro gusto personale, vorrei consigliare Il grande sole di Hiroshima. Un romanzo triste, toccante e al contempo profondo nella semplicità con cui due fratelli, Shigeo e Sadako Sasaki, affrontano le conseguenze della follia umana. Morte, dolore e sofferenza sono alla base di tutto il racconto ma in ogni pagina c’è un velo di triste speranza, quasi una preghiera a qualunque dio in ascolto. I bambini pagheranno per quello a cui sono sopravvissuti, non ci sono dubbi sugli effetti che la bomba atomica ha avuto su di loro, c’è solo la speranza che possano farlo restando bambini, sorridendo a una vita che li ha condannati troppo giovani. Non perdendo l’innocenza che li rende puri anche davanti alla morte.     

Facci leggere un tuo brano attinente.

July si mosse d’istinto, prendendo dolcemente la mano dell’uomo tra le sue per cercare di trasmettergli la sua vicinanza, per dimostrargli che non era più solo. Avrebbe voluto fare di più per fargli capire quanto gli volesse bene, e quanto soffrisse per lui, ma non osava superare il confine emotivo che li divideva. Riusciva a vedere oltre la maschera di freddo distacco con cui si nascondeva al mondo, sapeva quanto dolore c’era nascosto nel cuore dell’uomo che amava.
«Non perdere la speranza» gli sussurrò, baciandolo dolcemente sulla guancia, senza ottenere la minima reazione da parte sua. Sapeva di non poter fare molto, lo aveva osservato per settimane arrivando a conoscere quei suoi cambi d’espressione che lui cercava inutilmente di nascondere, e il mutismo con cui sottolineava i suoi disagi. Tutto quello che poteva fare era limitarsi a stargli vicino nella speranza che prima poi qualcosa lo spingesse ad aprirsi.
«Forse quando arriveremo sulla Terra troveremo il modo di vivere in pace. Senza più battaglie, senza dolore e senza sentirci come animali braccati» li incoraggiò July ad alta voce, stringendo con più forza la mano di Nicolas.
«Piacerebbe anche a me, ma non mi illudo» le fece eco Peter, che era rimasto in silenzio a osservarli.      
Meglio sperimentare vizi o esercitare virtù? Sii sincero.

Citando Mark Twain “Dying man couldn't make up his mind which place to go to. Both have their advantages, heaven for climate, hell for company!” Non è difficile comprendere il significato di questa famosa frase che molti attribuiscono erroneamente a Wild. Sperimentare i vizi è divertente, appagante ed estremamente semplice. Io per primo cado quotidianamente in tentazione e so bene quanto sia facile lasciarsi trasportare dai vizi, avventurandosi in una strada in discesa ca cui è difficile tornare indietro. Ammiro chi riesce serenamente a esercitare le virtù, a chi le vive quotidianamente senza obblighi morali o religiosi, se ogni essere umano si votasse a una virtù forse vivremmo in un posto migliore, ma ciò non toglie che piace a tutti tuffarsi nell’estasi del proprio vizio preferito.

Inventa un titolo accattivante che contenga il vizio/virtù che ti è toccato.

Il gatto che giocava con i petali della speranza

Pubblicizza una tua creatura (link acquisto, cover, due righe per invogliarci)


Il libro è disponibile in tutti gli store digitali e ordinabile in qualunque libreria.

Skin è il secondo romanzo dedicato ai Figli del Newman, segue le vicende di Winter e non posso raccontare molto della storia per non creare spoiler non voluti. Posso raccontarvi il contesto.
In un futuro non troppo lontano l’umanità si sta riprendendo dalla Guerra di indipendentismo coloniale. La Terra è distrutta, Marte e la Luna stanno cercando di riprendersi e le colonie orbitali sono sovrappopolate. Il conflitto è finito ma le conseguenze dell’ambizione umana non si sono esaurite, il Progetto Newman non si è fermato. Per decenni ha continuato i suoi esperimenti sulle cavie per creare soldati potenziati, killer perfetti da inviare in missioni impossibili, macchine di morte senza anima che ignorano l’esistenza del mondo. Almeno fino al giorno in cui uno di loro non riesce a scappare.