mercoledì 31 dicembre 2014

Ciao 2014

Lo - Non mi piacciono i bilanci.
La - La solita guastafeste.
Lo - Non mi piace adeguarmi alla massa.
La - Sei una snob senza speranze.
Lo - E poi se mi metto a fare i bilanci finisce che ci ripenso.
La - A cosa?
Lo - Non fare la gnorri. Te ne sei andata laggiù...
La - Si chiama Molise.
Lo - Lo so io come si chiama. Ed è meglio se non lo dico.
La - Sì, però ci sono state anche cose buone.
Lo - Dici?
La - A luglio è uscito "Il puzzle di Dio".
Lo - Vero, alla faccia di tutti quelli che l'avevano snobbato.
La - A novembre abbiamo partecipato al Bookfight Show...
Lo - E, diciamocelo, dovevano vincere noi.
La - Per il pubblico è come se avessimo vinto.
Lo - A dicembre è uscito "Storiacce romane".
La - Abbiamo finito il nostro romanzo di fantascienza.
Lo - E ne abbiamo iniziato un altro...
La - ...che ci piace un sacco.
Lo - Non aggiungere altro.
La - Uffaaaaaa!
Lo - È stato un anno, tutto sommato, positivo.
La - Infatti. Lo vedi che non è difficile fare un bilancio?
Lo - Resta il fatto che te ne sei andata laggiù...
La - Si chiama Molise.
Lo - Lo so io come si chiama. E non farmi aggiungere altro.
La - Neanche BUON ANNO a tutti?
Lo - Buon 2015 sì, a tutti no. Il buon proposito è finirla con le ipocrisie. Mica tutti se lo meritano. Anzi, ora che ci penso...
La - Auguri a tutti, ciao, ciao, la chiudiamo qui.

venerdì 26 dicembre 2014

Opportunismo felino

Sii gatto. Lo sai che la vecchia in cambio del salmone ti costringerà a startene impalato davanti a una tavoletta ouja tutta la sera. E’ una questione di dignità. Quella è convinta che due vibrisse e una macchia bianca in fronte bastino a rendere speciale un felis catus qualsiasi. Pretende che tu la metta in comunicazione con i morti. Io l’unico morto che ho visto è stato l’uomo che mi ha preso con sé quando avevo ancora gli occhi chiusi. Non gliela perdono di avermi lasciato solo a farmi sbattere in strada da quelli della sua razza. A scegliere tra morire di fame o consegnarmi alla vecchia… Mai sentito un profumo così. Sai che ti dico? Mi consegno alla vecchia. Sto sbavando come un cane qualsiasi, perfino lo stomaco mi fa le fusa.

No, prima il pesce, poi la tavoletta ouja. I patti sono patti. E nella ciotola, per cortesia, che l’ultima volta ho rischiato di lasciare la lingua sul tegame bollente. Ecco, brava, hai capito. Va beh, la carezza l’accetto, ma poi lasciami mangiare in pace, che sono due giorni che non metto niente sotto i denti. E io, sia chiaro, topi non ne mangio.

Arrivo. Si può sapere perché tanta fretta? I morti non scappano. Lasciami lappare il fondo della ciotola. Il meglio resta sempre lì. E no, non c’è bisogno che mi prendi in braccio. Ci salgo da solo sul tavolo. Ormai conosco la procedura. Ecco, mi metto qui, immobile e magari m’addormento pure. C’è un bel calduccio e sono proprio sazio. Sì, ho capito. Vuoi che stia lì a guardarti, ma stanotte gela e non riuscirai a cacciarmi via. Venduto per venduto, è meglio un tappeto di polvere che le foglie fradice sotto la panchina. Sei pronta? Allora vado con il miagolio evocativo.

 

E poi dicono che i gatti sono traditori. Ho fatto tutto per benino, ho assunto la posa da gatto egizio, ho ondeggiato la coda e miagolato al momento giusto. Un’interpretazione da oscar e il risultato? C’è mancato poco che prendesse la scopa per sbattermi fuori. Ingrata. La prossima volta non mi muovo per meno di un trancio di pesce spada. Sempre se ci sarà una prossima volta. Il tempo si sta mettendo al brutto e io sono cagionevole di salute. Lo diceva pure il veterinario. Pasti regolari, temperatura costante e il giusto riposo. L’età non ammette strapazzi. Altro che strapazzi. Senti come tuona. Se non rimedio un rifugio per la notte, alla prossima seduta spiritica, sul tavolo della vecchia ci finisco imbalsamato.

E questa che vuole? No, ti prego, in braccio no. Guarda che ti graffio. Sì, va beh, ti graffio. Con tutti quei piercing, mi sa che ti faccio un favore. Si può sapere dove stiamo andando? Non mi piacciono gli ascensori. Una volta ci sono rimasto dentro e ho miagolato da strappare il cuore. Nel palazzo ancora se lo ricordano.

Sicura di sapere dove stiamo andando? No, perché io al buio ci vedo, ma tu stai annaspando e non vorrei che mi cadessi addosso. Ho le ossa fragili, io. Che umidità, c’è puzzo d’acqua stagnante. Ah, siamo nei lavatoi. Ragazza, non facciamo scherzi. Io sono pulitissimo e comunque i gatti non si lavano. E adesso perché usciamo? Sta piovendo, ti bagni pure tu. Senti che vento. E coi fulmini come ti metti? Non so chi sia la stronza di cui stai parlando, ma per i miei gusti questo parapetto è troppo basso. Guarda che quella che i gatti cadono sempre a quattro zampe è una balla. Dipende dal gatto. Dipende dall’età. Dipende dall’altezza. Saranno almeno sei metriiiiiiiii…

 

Più bastarda di un cane bastardo. Ecco cosa sei. Iniziamo dalla coda. Si muove. Zampa anteriore destra, sinistra. Anche dietro… beh, pensavo peggio. Alla mia età, un volo così e sono ancora tutto intero. E tutto bagnato. Viene giù a secchiate. Stavolta il cimurro non me lo leva nessuno. Se solo riuscissi… Fermi tutti, la finestra è aperta. Mi intrufolo, ventre a terra e orecchie dritte. Non sai mai come reagiscono gli umani. Appunto. Che c’è da strillare? Sono un gatto, mica una tigre inferocita. Ehi, aspetta. No, il lancio di piatti no. Rischi di farmi male sul serio. Ma non ragioni proprio.

L’hai voluto tu. Mi infilo sotto il divano e voglio vedere come te la cavi. Fa pure un bel calduccio e il tappeto è folto come piace a me.

Ah, ci voleva proprio un bel pisolino. Mi sono pure asciugato. Quasi quasi faccio un po’ di fusa e magari quella si calma e capisce pure che non c’è motivo di aver paura. E questo chi è? La tipa ha chiamato i rinforzi. Ma allora è un vizio quello di prendermi in braccio. Ma lo volete capire che un gatto ha una dignità? Non sono mica un pupazzo io. Guarda amico, non ti graffio solo perché hai una faccia simpatica. Non deve essere facile neanche per te vivere con quella lì. Bravo, diglielo, sono solo un gatto. Un bel gatto a dirla tutta. E non porto sfiga, non starla a sentire. E nemmeno malattie. Sei proprio un ragazzo intelligente. Dì, non starai mica considerando l’idea di adottarmi? Il posto è accogliente, non avrei nulla da obiettare. Io. Lei invece… No, non sono il gatto della tipa col piercing. Sì, è stata lei a lanciarmi dal terrazzo. E non lo so se è una vendetta perché l’hai mollata, sono cose da umani. So solo che ho rischiato di sfracellarmi sul vostro terrazzo e che non sarebbe male se teneste conto che… Ho capito. Niente da fare. Almeno mi sono asciugato.

 

Che cuore, lasciarmi così, sul pianerottolo in questa notte di tregenda. Potrei miagolare tutto il mio disappunto. Così imparate… Erano anni che non facevo tante scale. Sono tutto un dolore e non mi dispiacerebbe mettere qualcosa nello stomaco. Una soluzione ci sarebbe. La bambina del terzo piano. Mi spupazza come fossi un bambolotto, però mi riempie di croccantini e a pancia piena il freddo si sopporta meglio. Che faccio, gratto?

Eccomi qua. Col fiocco al collo come Winnie the pooh, infilato nella culla e con un principio di mal di mare. Almeno cambiasse ninna nanna. No, quella schifezza che chiami pappa non la mangio. Da’ retta alla mamma, va’ a prendere i croccantini. Quelli sì che li mangio tutti, mammina. E attenta col pannolino, che mi strappi il pelo. Ehi, quella è una coda, non la puoi arrotolare. Lasciami la coda, lascia.

Eh no. Senza croccantini non me ne vado. Mica l’ho fatto apposta a graffiarla. Mi sono fatto seviziare per più di un’ora e adesso mi merito la ricompensa.

 

Bella ricompensa. Preso a calci nel didietro come l’ultimo dei randagi. Finisce sempre così. Tutti micio micio all’inizio, poi quando hanno avuto quello che volevano… Beh, adesso non esageriamo. Stiamo chiedendo un po’ troppo. Non sono castrato, ci mancherebbe signora mia. E fino a qualche anno fa mi sono fatto onore con tutte le gatte del circondario. Non insista signora, la sua micetta è davvero un amore ma, mi duole ammetterlo, la macchia in cui tutti vi ostinate a vedere qualcosa di sovrannaturale è un raro segno di vecchiaia. Lo so, è strano che un gatto ingrigisca ma tant’è. Nessuna magia, nessun mistero e… nessuna cucciolata con la frezza bianca. Sono vecchio.

 

Ecco che ci si ricava a essere sinceri. E’ già tanto che non mi abbia cacciato fino in cortile. Il sottoscala non è il massimo, ma almeno è asciutto. Devo solo essere abbastanza svelto da evitare la signora delle pulizie domani mattina. Quella ha una mira con la scopa che pare un cecchino. Mi sistemo qui, nell’angolino più caldo, dove passano i tubi della caldaia. E anche i topi… No, non sarò mai a questo punto. Non finché loro saranno umani e io gatto. E adesso buonanotte, che domani si ricomincia col solito giro.

 

Laura Costantini e Loredana Falcone

martedì 23 dicembre 2014

"Sistromance" natalizia

Lo - Guarda che ci facciamo la figura delle leccaculo.
La - Non credo.
Lo - Non se ne può più di tutti 'sti sedicenti scrittori che spammano.
La - Noi non abbiamo mai spammato nessuno.
Lo - Vorrei vedere, è una questione di educazione.
La - E poi questa è una cosa diversa.
Lo - Potrebbero non cogliere la differenza.
La - Paura di essere invadente?
Lo - Gli altri, spesso, lo sono.
La - Non vuoi fare la figura di quella che cerca di farsi notare?
Lo - Infatti. Io non sono come le altre.
La - Guarda che funziona, però...
Lo - Funziona sì: foto conturbanti, status ammiccanti. Non fa per noi.
La - Ragazza, quando il gioco si fa duro...
Lo - No.
La - Neanche una fotina ina ina?
Lo - Neanche.
La - Una maglietta un po' scollata?
Lo - La pianti?
La - E allora il post degli auguri ti tocca.
Lo - Dobbiamo proprio?
La - Non vuoi fare gli auguri?!
Lo - Così, coram populi? Mica tanto...
La - Non è una cosa brutta.
Lo - Va bene, ma facciamola semplice.
La - Beh, un poi' stravagante, almeno...
Lo - Una cosa sobria.
La - Sei insopportabile, lo sai?
Lo - Lo so. Mi ami per questo, no?
La - Ti amo?
Lo - Lo vedi che non capisci? Io ti lancio il la per la notizia bomba, quella che tutti si aspettano, sai quella roba "bromance" di cui parlate tu e mia figlia come due adolescenti un po' stupide?
La - "Bromance" è tra due uomini che si vogliono bene.
Lo - E allora "sistromance", Okay?
La - Andiamo di auguri, che è meglio!



La & Lo - Cari tutti, vi scriviamo per augurarVI un bellissimo Natale e un 2015 di successi personali e professionali, che non guasta.

La - Hai dimenticato i libri, un Natale pieno di libri da leggere..
Lo - Così poi pensano che ci stiamo facendo pubblicità.
La - Se la fanno tutti.
Lo - Noi non siamo tutti.
La - Però potremmo ricordare loro che Il Puzzle di Dio...
Lo - Lo sanno.
La - Okay...
Lo - Hai cancellato tutta 'sta roba a seguire?
La - Ovvio.
Lo - Buon Natale e punto?
La - Certo.
Lo - Mi fai leggere il post prima di...
La - Ops, mi spiace, già pubblicato (e sfoggia un sorrisetto satanico).

mercoledì 3 dicembre 2014

Chi scrive migliora anche te. Digli di continuare

Sono in Rete da quanto? Era il 2006.
Il Giurassico, se si parla di web.
Aprimmo un blog subito dopo aver pubblicato il nostro primo romanzo.
Senza pagare una lira. Senza promozione. Senza essere in libreria. Senza un lavoro di editing da parte dell'editore. Senza.
Nel suo piccolo fu un successo: 700 copie vendute col passaparola. Gente che capisce di editoria mi dice che ci sono case editrici importanti che stapperebbero lo champagne.
Ma parlavamo del blog. Misconosciute, cominciammo a muoverci nella giungla del web. E incontrammo subito subito le belve feroci. Non i troll, quelli tutto sommato sono innocui. Proprio le belve, Le iene, meglio.
Chi sei tu? Che vuoi? Come ti permetti di scrivere? Perché scrivi? Chi ti ha detto di scrivere? E, soprattutto, lo sai che quello che scrivi è merda?
Se ti azzardavi a chiedere se avessero per caso letto prima di...
Ma che cazzo vuoi? Ma perché ti devo leggere? Mi fai schifo, sei un'esordiente, tu inquini il mondo delle lettere con la tua stessa esistenza.
All'inizio ci soffri. Tanto. Ti deprimi. Ci piangi pure, sì, lo dico senza vergogna. Poi capisci. Ci metti tempo, ma capisci che è un gioco delle parti. Dove le iene in questione sono quelli che bordeggiano sul confine dell'editoria senza riuscire a imboccare. E schiumano di rabbia e vedono quelli che, come loro, hanno intenzione di provarci, come avversari. Nemici. Da abbattere prima che sia troppo tardi.
Passa il tempo. Pubblichi qualche altro libro. A tuo modo, nel tuo microbico, ti affermi. Qualcuno comincia a pensare che forse anche tu hai qualcosa da dire. Ma anche che, per essere ammessa nel consesso, devi ascoltare i consigli di caio, di tizio, di sempronio.
Chi ti invita al corso di scrittura, chi ti iscrive alle 2500 lezioni su come si scrive un romanzo, chi ti spulcia le virgole alla ricerca dell'errore.
E se dici: no, grazie, eccoti lì.
Non hai umiltà, sei come tutti gli esordienti. Devi scrivere di quello che conosci (e tu che ne sai di quello che conosci io?), devi ambientare le tue storie nella tua città, devi usare nomi comuni, non devi avventurarti in territori sconosciuti!
Ma la scrittura non è crescita? Non è esplorazione?
E tutti a ridere.
Eccone un'altra (nel nostro caso due) che pretende di aver scritto il best seller, che dice di non aver nulla da imparare.
Mai detta una cosa del genere. Mai.
Anche perché per me, per noi, la scrittura è studio e documentazione oltre che istinto.
Ma che scrivi a fare? Lo sai che nessuno legge?
Lo so, ma io, noi, di libri ne leggiamo tantissimi.
Non conta. E poi si sa che gli scrittori non leggono, sono i primi a non leggere.
Ma veramente noi leggiamo proprio molto, sul serio.
Sì, magari è vero, ma chi lo dice che voi siete scrittrici?
Uno scrittore è uno che con la scrittura ci campa. Uno che può produrre rendiconti di vendite da migliaia di copie e di euro. UNo scrittore è uno che lascia il segno. Uno scrittore è uno che scala le classifiche et cetera et cetera.
'Sta cosa è talmente diffusa che conosco, conosciamo, scrittori che non si definiscono tali: scrittenti, autori, narratori, scribacchini, c'ho-la-tastiera-ma-è-solo-un-caso.
Serve? No, non serve.
Perché il passo successivo è: perché vuoi pubblicare?
Non è che voglio, c'ho provato, ci siamo riuscite. E' una colpa?
Sì, è una colpa. Perché escono settordicimila nuovi titoli al minuto e voi, brutte stronze, dovete lasciare spazio agli scrittori. Quelli veri.
E quali sono quelli veri?
Uno scrittore è uno che con la scrittura ci campa...
Vi risparmio il resto, ma il cerchio si chiude. E si chiude su tutti coloro che producono post per invitare tutti gli altri a NON scrivere e NON pubblicare perché, pensano, così resta spazio per i loro libri.
Dal 2006 a oggi sono la bellezza di otto lunghissimi anni che mi sento, ci sentiamo, ripetere le stesse cose in salse assortite.
Su blog, su status, su giornali, su qualsiasi supporto possibile.
E ci siamo abbondantemente scocciate, stufate, annoiate, appesantite, sguallariate.
Non chiedo, non chiediamo, agli altri perché scrivono e neanche perché pubblicano.
Ogni libro che esce può essere, e spesso lo è, un'occasione di arricchimento spirituale o di intrattenimento.
Ritengo, riteniamo, che nel momento in cui qualcuno si arroga di decidere chi ha il diritto di scrivere e chi ha il diritto di pubblicare, qualcosa è andato drammaticamente storto.
Quindi facciamocene una ragione. Siamo un popolo di aspiranti scrittori? Vivaddio. Aggiungerei che magari lo fossimo sul serio.
Chi ama scrivere riflette prima di parlare.
E chi si riflette prima di parlare evita di inquinare le menti e gli spazi altrui con sentenze non richieste.
Chi scrive arricchisce anche te. Digli di continuare.



martedì 25 novembre 2014

Quello sguardo

Quello sguardo.
Sei piccola per riconoscerlo.
Hai un vestitino blu a pallini bianchi,
la gonna a ruota ti danza sulle gambe di bimba.
Non te me accorgi tu, non potresti.
Tua madre ne sente il peso,
di quello sguardo.
"Stai composta, chiudi le gambe."

Quello sguardo.
Sei ancora piccola, ma che è cattivo lo capisci.
Hai una salopette pantaloni, rossa a pallini neri.
Lo sguardo arriva prima nella mano,
in mezzo alle gambe.
Di chiuderle tua madre ti aveva avvertita.

Quello sguardo.
Cattivo è definizione da bimba.
Ma sei cresciuta adesso: famelico.
Hai imparato a sentirtelo addosso.
Ce l'hai alle spalle,
arriva prima della violenza di un contatto
che non chiedi, che non vuoi.

Quello sguardo.
Predatore. Come l'uomo di potere
che ti offre un lavoro
insieme alla lingua infilata a forza tra le labbra.
Le tieni serrate, come le gambe.
Ma quando fuggi
lo fai convinta di essere tu, colpevole.

Quello sguardo.
In strada.
Sul posto di lavoro.
Nel garage solitario.
Nell'ascensore condiviso.

Quello sguardo.
Cattivo.
Famelico.
Predatore.

Sprezzante.

Perché arriva il momento in cui
Sparisce la preda appetitosa.
Sei vecchia.
Hai perso il tuo ruolo nel mondo.

E quello sguardo é lì per te,
femmina,
corpo,
vagina.
Quello sguardo ti dice che solo questo sei.

Mente.
Ricordalo.
Mente.

Laura Costantini


sabato 22 novembre 2014

La forza. Del tempo, della vita,

Abbiamo tutti l'impressione che il tempo voli via, ci sfugga tra le dita senza che ce ne accorgiamo. Ma basterebbe fermarsi a pensare. Oggi è un semplice 22 novembre, niente di speciale, un giorno come mille altri. Ma ripenso al 22 novembre dello scorso anno. Dov'ero? In un posto di lavoro dove niente di me, dalla mia professionalità alla mia presenza fisica, veniva apprezzato. Cosa pensavo? Avevo paura. Sì, paura. Perché avevo passato una selezione interna e sapevo che era una vittoria/sconfitta che mi avrebbe costretta a rivoluzionare la vita, mia e dei miei cari. Aspettavo il 25 novembre perché, insieme a Loredana, sarei stata insignita del titolo di ambasciatrice del Telefono rosa grazie alla nostra scrittura, allo splendido progetto "Nessuna più" e a Marilù Oliva. L'avrei pagato, questo riconoscimento, con insulti e puerili persecuzioni online da parte di alcuni "maschi" (non uomini) offesi dal mio impegno per le donne e contro la discriminazione di genere. L'avrei pagata, la vittoria nella selezione, con lunghi tragitti in macchina (e non sapevo quanto lunghi sarebbero diventati) e con lacrime e singhiozzi sfogati nel chiuso dell'abitacolo per poi sfoggiare un sorriso finto che infondesse coraggio a chi mi vuole bene. Non è vero che il tempo vola. Quel 22 novembre di 12 mesi fa è lontano quanto la più lontana delle galassie e nessun warmhole (cit. Interstellar) e nessuna velocità di curvatura (cit. Star Trek) potrebbe renderlo più vicino. Ero un'altra persona. E come spesso mi è accaduto nella vita, se mi volto indietro mi stupisco di come sono riuscita ad affrontare cambiamenti, sfide, assenze. Tendo, tendiamo credo, a sottovalutare la forza che possiedo, che possediamo. Un anno da allora. Otto mesi e 4 giorni da quando non vivo più nella mia città e con la mia famiglia. Tempi infiniti, vite intere. Da assaporare, comunque. Perché sono giorni di vita che nessuno mi, ci, restituirà. Dobbiamo viverceli, nel bene e nel male.

venerdì 21 novembre 2014

Ispirazione "Puzzle di Dio". Bruna De Battisti

Ecco cosa ha suggerito a Bruna de Battisti il nostro titolo:




Sara stava pensando che combinare tessere gettate alla rinfusa su di un tavolo, non le era mai piaciuto. Le dava uninsostenibile sensazione di incompletezza, tanto che a volte, quando la vita glielo permetteva, rimaneva ore continue davanti a quel rompicapo, facendo scivolare tessere simili tra loro nel prossimo incastro, spostandole, girandole sottosopra, qualche volta insisteva pure spingendo con un pochino di forza perché le pareva che fosse proprio quella giusta, ma barare non serviva, esisteva solo una tessera per ogni incastro. Ora davanti a quel casino che era la sua vita, con una lacrima parcheggiata nell'angolo di un nuovo sorriso, cerca di sistemare i pezzi della sua storia, tessere vibranti di un puzzel speciale. Immagina la dicitura sulla scatola: “il puzzle di Dio”, poche semplici regole che spesso risultano inapplicabili, sino a quando, lasciando andare, affidandoci al nostro intuito, riusciamo a vedere il percorso giusto: dalla tessera all'incastro. Semplice e perfetto.

giovedì 13 novembre 2014

Ma, secondo te, ce la fanno? (un dialogo da Puzzle di Dio)

- Secondo te, ce la fanno?
- Sì, sono in gamba.
- Lo so. Ma non sono abituate a questo tipo di...
- Imparano rapidamente, lo sai.
- Non è una cosa che si può imparare. Combattere, intendo.
- Davvero credi che loro non abbiano mai combattuto?
- Non nel senso letterale del termine.
- Sei troppo militare per capire che la lotta è difficile sempre.
- Fammi un esempio.
- Credi sia stato facile per loro credere nella nostra storia?
- No, ma...
- Credi non abbiano sofferto di tutte le porte chiuse in faccia?
- So che hanno sofferto, però...
- Ci hanno creati, seguiti, fatti crescere.
- Se è per questo ci hanno pure trattati maluccio.
- Non sono state loro. E' stata la storia che ha voluto così.
- Va bene, ma affrontare un ring non è la stessa cosa.
- Perché no? Loro combattono con le parole. L'arma migliore che abbiano a disposizione.
- E' che mi piacerebbe vincessero.
- Piacerebbe a tutti.
- E magari se avessero scelto un dialogo tra me e te...
- Colonnello Demedici, sei invidioso?
- Io? Mai. Però scegliere Saro e Daniel...
- Scegliere Saro e Daniel ha un senso, invece.
- I protagonisti del Puzzle saremmo noi, però.
- Si chiama sindrome da primo della classe.
- E tu sei il solito bastian contrario.
- Piuttosto, dovremo stare attenti a non farci riconoscere domenica, a Milano.
- La nostra faccia non la conosce nessuno, maggiore Landi.
- Loro, le nostre creatrici, sì.
- Saranno troppo prese a esibirsi per far caso a noi. Ma, secondo te, ce la possono fare?
- Io non ho dubbi.
- Il dubbio arricchisce.
- Non in questo caso, colonnello. Tifo sfegatato.
- E se perdono?
- Le portiamo a cena fuori.



mercoledì 12 novembre 2014

Un titolo (il Puzzle di Dio), una suggestione...

Un contest su un gruppo Facebook, IO LEGGO, per vincere una copia del nostro libro.
Una regola: inserire nel testo (10 righe) il titolo.
La vincitrice: Irene Scarcelli con questo mini-racconto


Da quando la moto è scivolata sull'asfalto bagnato e Luca cadendo è stato travolto dall'auto nella corsia opposta, Anna si è chiesta più volte dove fosse Dio in quel momento. Stava voltando la faccia, dimenticandosi di Luca, che pure lo portava nel cuore da sempre? Non avrebbe dovuto proteggerlo?, si chiedeva piangendo: "io. Luca. Tutti. Siamo solo burattini nella mani di Dio. Siamo il suo passatempo. Siamo il puzzle di Dio: troppo impegnativi per occuparsi di noi a lungo, con gli occhi che si stancano e il nervosismo che ti prende quando il pezzo che avevi tanto cercato non si incastra per l'ennesima volta. Quella notte Dio ha buttato all'aria la scatola, ma dentro c'era la mia vita".

Ma non è stata la sola concorrente e pubblicheremo anche gli altri contributi.

martedì 4 novembre 2014

sabato 1 novembre 2014

Personaggi in cerca di (altre) pagine

La cucina, quella di Lory, è affollata. Vociare, rumore di sedie spostate e di corpi che si pigiano.
"Vogliamo cominciare? Propongo che, prima di parlare, ognuno dica il proprio nome e anche il proprio romanzo."
"Ecco, appunto, Quirì. Io 'sta cosa de chiamà pure l'inediti non l'ho capita."
"Nome e romanzo, prima."
"Quanto rompi! Nemo Rossini, Fiume pagano e Carne innocente. Ce doveva essere pure er terzo, 'na trilogia romana. E 'nvece quelle due c'hanno lasciato a piedi, a me e pure a te."
"Non siamo gli unici e..."
"Nome e romanzo prima, l'hai detto te..."
"Meno spirito. Quirino Vergassola, Fiume pagano e Carne innocente. Ho convocato io questa assemblea e, contrariamente a quanto ritenuto dal mio amico e co-protagonista, ho ritenuto importante che partecipassero tutti."
"Pensate che serva?"
"Vi prego: nome e romanzo prima, altrimenti non ci raccapezziamo."
"Colonnello Lorenzo Demedici, Il puzzle di Dio."
"Che dovemo scattà sull'attenti?"
"Nemo, finiscila. Colonnello, dica pure."
"Pensate che questa assemblea possa servire a cambiare le cose? Io e il maggiore Mattias Landi siamo rimasti praticamente irrisolti..."
"Ma voi sete appena stati pubblicati. Noi è dal 2010 che aspettamo de vedè come annamo a finì. Se prometti 'na trilogia, poi non è che te poi rimagnà l'impegno. C'è gente che c'aspetta. Lettori che se sò appassionati."
"Shenandoah Aquila che grida ha lo stesso problema."
"E chi sarebbe?"
"Io."
"Allora perché parli in terza persona?"
"Nemo, sta' zitto. Signorina, dica pure."
"Shenandoah, Il destino attende a Canyon Apache. Mi sono messa in viaggio due anni fa per ritrovare il mio David e le creatrici non hanno alcuna intenzione di scrivere di me."
"Benvenuta ner club, regazzì."
"Nemo, per favore. Lei, lì dietro, che alza la mano."
"Sergente Lanee Marler, Viole(n)t red. Il caso mio e dei miei compagni di pagina è ancora più complesso. Le creatrici ci hanno concesso altre pagine, ma non le hanno mai proposte a un editore. L'idea, anche per noi, era di una trilogia noir. E la seconda avventura ha un finale che più aperto e sospeso non si potrebbe."
"Il problema è che una trilogia noir, ambientata tra Stati Uniti e Italia, scritta da due donne difficilmente trova mercato. Il noir è inflazionato, dicono gli addetti ai lavori."
"Perché il giallo te lo raccomanno. A Quirì, a me me pareno tutte scuse. Er problema è che so' femmine. Volubili. Te pensano, te creano, te danno n'anima e poi se stufeno e passano al prossimo. Tiè, guarda quelli là che sembrano appena usciti da 'n firm de Star Trek."
"Colonnello Yael Logie Baird, romanzo di fantascienza ancora senza un titolo..."
"Aridaje co li colonnelli!"
"Scusa collega, ma ritengo che, come è già stato osservato, gli inediti abbiano meno diritto a lamentarsi rispetto a chi ha già saputo conquistarsi un pubblico."
"E bravo er colonnello Demedici, mo' l'hai detta giusta."
"È un punto di vista. Ma si potrebbe dire che voi l'occasione l'avete appunto avuta e dovreste lasciar spazio a noi..."
"Nome e romanzo, per piacere."
"Pepper, anzi, Rebecca Black, Pepper & Cream."
"E che è, un pornazzo anni '80?"
"Nemo, un'altra parola e ti faccio accompagnare fuori da Mister Liberty. Signorina Black..."
"Io e i miei compagni di storia aspettiamo un'occasione dal 1986. Anzi, l'occasione sembrava arrivata quando ci hanno fatto leggere, sotto forma di manoscritto, a un gruppo di lettori giovanissimi. E loro erano entusiasti. Poi una tipa di una casa editrice ci ha stroncati e siamo rimasti così, nel limbo."
"Voi neanche lo sapete cosa sia un limbo."
"No, vabbeh, ma questo da 'ndo viene? Da 'na telenovela?"
"Nemo, ti avevo avvertito."
"Non importa, senor Vergassola. Sono don Ricardo Calleja de Hormigas, Ricardo e Carolina. E nel limbo viviamo da quasi due anni. Ci hanno letti, apprezzati, proposti per una buona pubblicazione. Ma i mesi passano e non si conclude niente, nada de nada."
"Capisco che per gli inediti è ancora più frustrante, ma siamo tutti nella stessa barca. Vorremmo altre pagine, altra vita. Ma non abbiamo alcun modo per far pressione sulle creatrici. E loro intanto..."
"Intanto?"
Un coro di voci, di sguardi, di costumi, colori, origini diverse.
"Intanto stanno creando una storia nuova..."
"Bastarde!" sibila Nemo senza che nessuno lo rimbrotti.
"Non è possibile", protesta il comandante Logie Baird. "Sono appena scese dalla nostra astronave."
"Lo so. Ma ormai dovreste conoscerle. Una ne scrivono e mille ne pensano."
"Guardate che non c'è niente da invidiare a una nuova storia."
"Te chi saresti, scusa?"
"Guglielmo Zoltan, romanzo senza titolo che si svolge in un castello. A me e ai miei compagni ci hanno mollati a poche pagine dalla fine."
"Bastarde!"
"Anche stronze, direi. Non sapete cosa ci hanno fatto passare."
"Quindi non siete voi la nuova storia", sancisce il sergente Marler.
"No", si inserisce Quirino. "Non sono loro. La nuova storia è talmente segreta che non sono riuscito a saperne niente neanche entrando nei sogni delle creatrici. Ma una cosa è certa: finché non l'avranno finita, nessuno di noi avrà una sola pagina in più."
"Scusa, Quirì, trovamo 'sti stronzi de personaggi novi e scatenamoie Mister Liberty e tutti li colonnelli presenti. Mica perché so inventati non possono morì."
"Nemo, la violenza non è mai la soluzione."
"Questo lo dici te. Io a quelle due le pijerei a schiaffi a due a due finché..."
"Ssssttttt!", lo zittisce Shenandoah.
"Che succede?"
"Una delle creatrici è sveglia e sta per entrare qui."
"Via, via tutti, presto!"
"Sì, ma che avemo deciso?"
"Troviamo la nuova storia e i nuovi personaggi", risponde Mister Liberty. "E poi lasciate fare a me."
"Come nel Puzzle di Dio?", lo canzona Demedici.
"Sta' zitto mangiaspaghetti. Potresti avere delle sorprese."
"Le sorprese le avremo noi, se non ci dileguiamo all'istante. La seduta è tolta. Ci aggiorniamo al prossimo Halloween."
Fuggi fuggi generale. Rumore di sedie smosse. Voci bisbigliate. Lory apre la porta della cucina e accende la luce. Nessuno. Un sorrisetto, poi impugna la macchinetta del caffè.

venerdì 24 ottobre 2014

Dialogo sulle anticipazioni narrative


La – Quindi non ne devo parlare.
Lo – No.

La – Secondo me non è una mossa intelligente.
Lo – Ti è concesso dissentire.

La – Però non ne posso parlare.
Lo – No.

La – Pensi che potrebbero rubarci l’idea?
Lo – No.

La – Pensi che ci giochiamo l’effetto sorpresa?
Lo – No.

La – Creare un clima di attesa aiuta a…
Lo – Immagina di aver incontrato un uomo bellissimo, il più bello che tu abbia mai visto. Ci sei?

La – Sì, anche se…
Lo – Immagina che lui ti guardi in quel certo modo che ti fa capire che qualcosa potrebbe accadere. Hai presente?

La – Vagamente, però…
Lo – Immagina di coccolarti l’idea di quello che potreste vivere insieme.
La - Stiamo scrivendo un erotico?
Lo - No. Ma avresti voglia di raccontarlo a tutti?
La – Beh, a tutti proprio tutti no.

Lo – E a chi lo racconteresti, nel caso?
La – Ovvio, a te.

Lo – E chi sono io?
La – La mia migliore amica.

Lo – E poi?
La – La mia socia di scrittura.

Lo – E poi?
La – Una grandiosa rompicoglioni?

Lo – Anche, ma soprattutto sono la persona con cui puoi rendere reale, in inchiostro, carta e pagine, quella storia.
La – Uhm, sì, però…

Lo – Però se vuoi che quella storia diventi reale, deve essere nostra.
La – Stiamo ancora parlando dell’uomo bellissimo  e bla bla bla?

Lo – No, stiamo parlando del nostro nuovo romanzo.
La – Quindi non ne devo parlare.

Lo – No.
La – Posso dire: cheppalle?

Lo – Ti è concesso. E adesso concentrati, ché la documentazione non è ancora completa.

mercoledì 22 ottobre 2014

A cosa servono le presentazioni?

Ci sono moltissimi scrittori che odiano le presentazioni. Le trovano noiose. Oppure ci sono quelli che le temono, mettono loro ansia. Poi ci sono quelli che le snobbano, perché ritengono che lo scrittore non debba mai apparire in quanto tale, ma lasciare che sia il libro a parlare. A me le presentazioni piacciono. Soprattutto quando mi permettono di "guardare" il nostro lavoro (mio e della socia) attraverso gli occhi del relatore di turno. Martedì è successa una cosa che non ci era mai capitata prima: siamo state presentate da una persona, Margi De Filpo, che non ci conosceva, non ci aveva mai lette prima, proprio non sapeva chi fossimo. Di più: Margi non ama il genere western e quando le è stato proposto, dalla casa editrice, di presentarci, ha avuto dei dubbi. Testuali parole: "No, un western no!" Poi ha cominciato a leggere. E ha cambiato idea. Su tutto. Sul western. Su una "storia d'amore assoluto" come, sempre testualmente, non se ne leggono più ormai da anni. Su una trama che riesce, sempre lei a dirlo, a far passare il messaggio dell'accettazione della diversità e a farsi attuale, pur trattando di un mondo e di un'epoca ormai lontani. Margi ci ha fatto vedere cosa e quanto un romanzo storico con chiari intenti di intrattenimento possa trasmettere, perché un libro valido trasmette e arricchisce sempre, a un lettore attento. Per questo vogliamo dirle ancora grazie, per l'attenzione, la sensibilità, la capacità di andare a fondo nel testo, senza lasciarsi fuorviare da pregiudizi che, ammette lei stessa, c'erano.
Ecco a cosa servono le presentazioni, anche quelle in una sera di Roma nel caos (anche calcisticamente parlando) e con pochi coraggiosi presenti: a dire che ne vale la pena. Sì, ne vale proprio la pena.

martedì 21 ottobre 2014

Maleficent e la fortuna di avere delle nipoti

Maleficent e la fortuna di avere delle nipoti

Lo avevo perso al cinema il film ispirato alla fiaba della Bella Addormentata. Mi capita spesso di perdere film. Manca il tempo, manca la compagnia. Difficile che qualcuno abbia voglia di andarsi a vedere una favola al cinema, fosse pure in 3d e con una strepitosa Angelina Jolie. Ma fortuna vuole che io abbia delle nipotine e un cognato che le ascolta. Così, grazie a loro, ho potuto vedere il film in dvd. E avere conferma che sarebbe valsa la pena pagare un biglietto. La Bella Addormentata non è mai stata tra le mie favole preferite, neanche quando lo vidi in versione cartoon disneyano (per inciso uno dei migliori dal punto di vista dei disegni). Io le favole, da bambina, le ho lette. E le ho lette nelle versioni integrali, spesso più argomentate e sfaccettate di come vengono presentate ai bambini. Nella fiaba originale il sonno della principessa Aurora, e di tutto il suo castello, abitanti compresi, dura cento anni prima che un principe ardimentoso si spinga tra i rovi per scoprire cosa vi si cela. Però siam sempre lì: per liberare una principessa ci vuole un principe. Come il bacio dell'azzurro fanciullo in questione possa essere di amore vero, nessuno ce lo spiega. Aurora, nella fiaba, non lo ha proprio mai visto 'sto tipo, visto che ha cento anni più di lui. Le altre principesse disneyane son tutte fulminate dalla prima occhiata del principe destriero-dotato. Ed è amore. Punto. La sceneggiatura di Maleficent, da molti criticata a quel che ho letto, è un piccolo capolavoro perché spiega, argomenta, approfondisce. Malefica non è stronza per questioni genetiche, nonostante piaccia da secoli pensarlo delle donne con un qualche potere. È una fata, si innamora di un umano pusillanime ma ambizioso. Si fida e rimane fregata in modo sanguinoso, crudele. Si incattivisce, decide di vendicarsi e lancia un incantesimo sulla figlia dell'ex moroso che strappandole le ali ha ottenuto il trono. A sedici anni Aurora si pungerà e cadrà in un sonno simile alla morte dal quale solo un bacio dell'amore vero e bla bla bla. Ma sedici anni sono tanti e non è facile vivere di interposto rancore mentre una bimbetta, bionda e mal custodita da tre fate svampite, ti cresce sotto gli occhi. Malefica veglia su di lei, suo malgrado. Impara a volerle bene, suo malgrado. Vorrebbe annullare l'incantesimo (solo gli imbecilli non cambiano idea), ma non può. Tenta il tutto per tutto per salvare Aurora, rischia la propria vita consapevole che l'amore vero, cui anche lei aveva creduto prima di perdere le ali e la fiducia negli uomini, non esiste. Se Aurora si addormenta, sarà per sempre. Ci prova, Malefica, ma neanche il belloccio Filippo, che Aurora ha intravisto nel bosco ed apprezzato (ma di amore neanche a parlarne, come è giusto che sia), riesce nel miracolo. La bacia e Aurora continua a dormire. Malefica, madre suo malgrado, piange il proprio errore ma non chiede perdono. Sa di non meritarselo. Si limita a un bacio sulla fronte di quella figlia non voluta eppure adorata. E Aurora si sveglia. Perché non esiste amore più vero di quello che Malefica ha saputo concepire. Non so perché a molti questo film non sia piaciuto. Io sono felice che le mie nipoti lo abbiano visto e apprezzato. Perché insegna molto. E comincia a depennare dall'immaginario femminile quella ridicola figurina che chiamano Principe Azzurro.

sabato 11 ottobre 2014

F.A.Q. sulla mia vita da molisana

 
Dal 17 marzo di quest'anno, vivo in Molise. A Campobasso.
Lavoro nella testata giornalistica regionale della Rai e ne sono felice. E' un bel traguardo raggiunto. Ci siamo, fin qui?
Bene. Perché è da qui che cominciano i problemi. Come tutti i giornalisti, sono turnista. Cinque giorni di lavoro, due di riposo. Indipendenti dai riposi comandati (sabati e domeniche) degli altri lavoratori non turnisti. E cominciamo con le frequently asked questions:
Ti pesa questo metodo di lavoro?
No, mai avuta la routine del sabato e della domenica.
Durante i giorni di riposo, resti a Campobasso?
No, torno a Roma.
Tutte le volte?
Mai saltato un turno di riposo fino a oggi.
Non è pesante fisicamente?
Farsi 500 km. in auto a settimana? Sì, lo è.
Non è dispendioso?
Tra benzina e autostrada? Sì, lo è.
Allora perché non resti in Molise e ti riposi?
a) Perché a Roma ho la mia mamma che ha bisogno di me, avrebbe bisogno di me ogni santo giorno;
b) Perché non sono una ragazzina e la mia vita, i miei affetti, tutto ciò che per me conta è a Roma;
c) Perché scrivo romanzi a quattro mani con la mia migliore amica e la mia migliore amica è a Roma.
Quindi tu non vedi l'ora di tornare a Roma in pianta stabile?
Esattamente.
Non è una mancanza di rispetto nei confronti dei tuoi colleghi molisani?
No, perché loro non sono stati costretti a lasciare casa, amici, famiglia e trasferirsi in un'altra regione. Loro lavorano nel loro contesto di sempre e io vorrei fare lo stesso. Senza contare che, da non proprietaria di casa a Roma né in Molise, mi pago pure due volte la Tasi.
Sei consapevole che in inverno questa forma di pendolarismo non sarà possibile per cause atmosferiche?
Mi attrezzerò con pneumatici adeguati. E se farà la nevicata del secolo, prenderò il treno e mi sobbarcherò quattro ore abbondanti di viaggio, senza contare le due ore abbondanti di mezzi pubblici romani per raggiungere casa mia.
E ne vale la pena?
Vale la pena respirare per vivere?
Quindi tu odi stare in Molise?
No. Mi piace stare in Molise. Ha un cielo e un territorio bellissimi, la sede di lavoro è migliore di qualsiasi altra a Roma, i colleghi sono splendidi.
Beh, ma allora perché...

a) Perché a Roma ho la mia mamma che ha bisogno di me, avrebbe bisogno di me ogni santo giorno;
b) Perché non sono una ragazzina e la mia vita, i miei affetti, tutto ciò che per me conta è a Roma;
c) Perché scrivo romanzi a quattro mani con la mia migliore amica e la mia migliore amica è a Roma.
Insomma sei una che si lamenta?
No, non mi lamento. Vivo la mia vita al meglio, da pendolare (senza offesa per i veri pendolari), ma spero con tutto il cuore di tornare presto a casa. A Roma.

venerdì 3 ottobre 2014

Occhi d'inverno torna a spezzare cuori.

 
 
Occhi d'inverno è uno dei protagonisti del nostro western "Il destino attende a Canyon Apache" (Las Vegas Edizioni). Di sicuro il più amato dalle lettrici. Ora, visto che il 21 ottobre prossimo, a Roma, nella suggestiva cornice del Valìa drink food music di via dei Durantini 18, se ne torna a parlare (del western, oltre che del nostro fascinoso bounty killer), ecco la sfida: guardate la foto qui sopra. Occhi di ghiaccio, sopracciglia folte, sguardo penetrante... Chi è?
Chi indovina vince una copia autografata del nostro western, da ritirare la sera del 21, alle 19 e trenta.
Poi dite che non vi vogliamo bene.


mercoledì 1 ottobre 2014

Di presentazioni, impegni e incombenze varie

Lo - dai, fammi st'elenco.
La - se vuoi ti mando un'e-mail.
Lo - lo sai che non le leggo.
La - uno status su facebook?
Lo - quello lo hai già fatto.
La - un tweet?
Lo- ho dimenticato la password. Lo fai st'elenco oppure riattacco?
La - okay, il 21 ottobre, a Roma, al Valìa, via dei Durantini.
Lo - via dei Durantini?
La - vicino via dei Monti Tiburtini.
Lo - ...?
La - va beh, ti vengo a prendere io, comunque ore 19 e trenta, presentiamo il western.
Lo - ...western, poi?
La - il 31 ottobre...
Lo - Halloween.
La - sì, Halloween, il posto è dalle parti del Pigneto, poi ti dico, comunque presentiamo con Isabella Moroni il Puzzle di Dio.
Lo - ...Pigneto, Puzzle, poi?
La - il 16 novembre, a Milano...
Lo - a Milano?!?!
La - sì, è una cosa molto fica, sempre per il Puzzle di Dio.
Lo - che intendi per molto fica?
La - che ci sarà da divertirsi, con un pubblico, una giuria...
Lo - io non vengo.
La - tu vieni eccome.
Lo - no, io non vengo.
La - è già organizzata e dobbiamo essere in due. Punto.
Lo - ti odio.
La - lo so. Hai preso nota?
Lo - ...Milano, Puzzle, farla pagare alla socia in modo cruento, poi?
La - il 6 dicembre, la festa di Historica a Più libri più liberi per le "Storiacce romane".
Lo - ...più libri più liberi, storiacce, abbiamo finito?
La - per il momento, sì.
Lo - hai esaurito il bonus presentazione per i prossimi tre anni, ti avverto.
La - sì, come no...
Lo - ti ho già detto che ti odio?
La - sì.
Lo - Milano è proprio necessaria?
La - sì.
Lo - questa me la paghi.
La - metti in conto.

Un nuovo blog da accogliere

Comunicazione di servizio:
Lauraetlory seguono questo blog

https://beizauberei.wordpress.com/

sabato 27 settembre 2014

Dialogo da un anniversario di matrimonio

La - quanti anni sono?
Lo - ventisette, ci pensi?
La - ci avresti mai creduto che...
Lo - che durava così tanto il mio matrimonio?
La - no, che ci saremmo ritrovate a parlarne, io e te, a distanza di quasi trent'anni.
Lo - sì.
La - sì?
Lo - certo. Sapevo che ci saremmo ritrovate a parlarne, sapevo che tu ci saresti stata, sapeva che saresti stata presente nella mia vita e in quella dei miei figli. Se ti ricordi, te lo dissi pochi giorni prima del matrimonio come lo vedevo il futuro: io moglie e madre, tu scavezzacollo e zia impagabile per i miei figli. Solo che tu non ci credevi.
La - no?
Lo - no. Tu avevi paura.
La - tutti hanno paura quando il/la loro migliore amico/a si sposa. Si ha paura del cambiamento, delle priorità che diventano altre, non è colpa di nessuno, è che...
Lo - è che non mi conosci bene.
La - ...?
Lo - io scelgo una volta nella vita. E rimango coerente.
La - umh, quindi tu mi avresti scelta...
Lo - esattamente.
La - e sapevi già come sarebbe andata...
Lo - proprio così.
La - mi stai dicendo che non ho mai avuto scampo?
Lo - consolati, non sei la sola.

mercoledì 24 settembre 2014

C'è anche il mito di Atlantide nel Puzzle di Dio


"Hai mai sentito parlare di Tin Hinan?”

Mattias si limitò a scuotere la testa. Il silenzio del deserto era come amplificato dal borbottio sconosciuto di Ahmed e i suoi uomini. Poi uno di loro intonò un canto che sembrò aprire lo scrigno dei pensieri di Nesayem.

“Tin Hinan sarebbe stata una nobile donna musulmana, arrivata in questa zona dal Marocco, in compagnia della sua ancella Takama. All’epoca qui vivevano gli Isebeten, il popolo che ha preceduto gli Imohag nelle terre dell’Hoggar. Forse gli ultimi Garamanti. La leggenda dice che questa gente era ingenua e primitiva, adoravano gli dei e parlavano un’altra lingua, ma Tin Hinan si sarebbe accoppiata con uno di loro e avrebbe avuto una figlia, Kella, che, a sua volta, avrebbe sposato un guerriero Isebeten facendone il primo amenokal, cioè capotribù, che la storia del nostro popolo ricordi: Sidi ag Mohammed Elkhir.”

“E’ un nome arabo”, notò Mattias. “Ero convinto che la tua gente non amasse molto gli arabi.”

Nesayem sorrise.

“Dice un nostro detto: loro avevano il Corano, noi avevamo le terre. Oggi noi abbiamo il Corano e loro hanno le nostre terre. In realtà la leggenda ha un fondo di verità che risale a molto prima che il profeta Maometto pensasse bene di dare a un popolo rissoso e straccione come quello arabo una religione e uno scopo da perseguire. Tin Hinan è veramente esistita e a provarlo c’è la sua tomba, un colossale monumento megalitico nei pressi di Abalessa, a neanche due giorni di cammino da qui. E’ un accumulo di massi a forma di mezzaluna, noi li chiamiamo édebnì e secondo un’altra delle nostre leggere sarebbero le tombe di una popolazione di giganti dell’antichità, gli ljabbaren.”

Il canto continuava con un andamento ipnotico che rendeva favolose e credibili al tempo stesso le parole di Nesayem.

“Vuoi dire che Tin Hinan era una gigantessa?”

Lei scosse la testa.

“Era una regina”, disse in tono ispirato. “La sua tomba comprende undici stanze sotterranee circondate da una spessa muraglia. In una di queste, nel 1935, è stato trovato il suo scheletro e il suo corredo funebre. E’ stata sepolta con gli onori di una grande sovrana. Grande anche nel senso fisico del termine perché era alta almeno un metro e settantacinque. Una statura non comune per l’epoca, per una donna e per il popolo degli Isebeten. Quando gli europei sono venuti a contatto con la civiltà della mia gente, ciò che li impressionò fu il ruolo della donna nella società. Contrariamente agli usi imposti dalle popolazioni musulmane, per gli Imohag la donna ha una grande importanza, non porta il velo, che è destinato agli uomini in ricordo della vergogna di un’antica battaglia persa dai nostri guerrieri per viltà, e soprattutto trasmette il potere per via matrilineare.”

“E tutto questo deriverebbe da Tin Hinan?”

Il canto si era esaurito e adesso i tuareg parlottavano tra loro e ridevano.

“Si”, rispose Nesayem, “la regina Tin Hinan o, come la riportano i miti occidentali, la regina Antinea.”

Mattias sorrise.

“Quella di Atlantide?”, esclamò senza nascondere il proprio scetticismo.

“Atlantide è solo il nome che gli europei, a partire da Platone, hanno voluto dare al ricordo ancestrale di una civiltà molto evoluta che è stata spazzata via da una qualche catastrofe. Potrebbe essere stata l’esplosione e il successivo maremoto dell’isola di Santorini, potrebbe essere stato il crollo della barriera che teneva l’oceano fuori da quello che oggi è lo stretto di Gibilterra, potrebbe essere stata la desertificazione definitiva del Sahara. Qui oggi la vita sembra estinta ed è stato ascoltando le storie degli uomini che tornavano con le carovane del sale dal Niger o dal Mali che, quando ero bambina, ho scoperto che esistevano davvero tutti quegli animali che avevo visto disegnati nelle grotte sacre: leoni, giraffe, zebre, struzzi. A tutto il mio popolo piace raccontare, evocare con la sola forza delle parole il mondo che abbiamo perduto.”

mercoledì 10 settembre 2014

Ci propongono un'altra presentazione per Il puzzle di Dio e...


Lo. Okay, ma dopo questa spero che ti dai una calmata co' 'ste presentazioni

La. Ma se ne abbiamo fatta solo una.

Lo. Già, ma gli e-book non prevedono presentazioni e io non ero preparata

La. Preparata a cosa, scusa?

Lo. Lo sai.

La. Se diventassimo famose dovresti farci l'abitudine

Lo. Perché?

La. Che domanda è? Il successo significa essere sotto i riflettori.

Lo. Sotto i riflettori ci sei già tu, basterà continuare così.

La. Dimmi che non ho sentito quello che hai appena detto.

Lo. Non mi stupirebbe, stai diventando sorda.

La. E se ne avessi abbastanza di doverti pregare per fare qualcosa che va a vantaggio di entrambe?

Lo. Te ne sarei grata?

La. Per atteggiarti a Mina della situazione devi prima diventare famosa. Alle prime centomila copie ti do il permesso di sparire.

Lo. Io sparisco alla prossima foto che metti su fb.

La. Tu non sei normale, lo sai?

Lo. Si, e lo sapevi anche tu. Quindi preparati, perché se davvero faremo il botto, avrai i tuoi problemi a gestire il lavoro, le presentazioni, le interviste radio e tv e i servizi fotografici.

La. Sai che ti dico?

Lo. Risparmiati. Conosco la strada.
 
 
p.s. Notate lo sguardo nella foto... (e grazie ad Emilia Ferrara per aver documentato)

martedì 9 settembre 2014

Personaggi del Puzzle di Dio: Mattias Landi


La cena, che si era fatto portare direttamente dalle prestigiose cucine del vicino hotel Eden, aveva dato i frutti sperati. Sofia, bionda e sofisticata avvocatessa di grido, era nuda sotto di lui e gli stava succhiando la lingua mentre con le lunghe dita esplorava l’interno dei suoi boxer. Mattias le lasciò la bocca e scese a leccarle i seni, piccoli ma perfetti. Sofia mugolò a tempo con Lenny Kravitz che cantava Believe in me e strinse le dita intorno alla sua erezione con movimenti lenti ed esperti.

Sei fantastica”, sussurrò Mattias contro il suo collo profumato.

E non hai ancora provato niente”, rispose lei, roca, prima di rovesciarlo sotto di sé.

Lui si riempì gli occhi del corpo perfetto, accarezzato dal chiaroscuro delle luci soffuse, e continuò a guardarla mentre lei lanciava indietro i lunghi capelli biondi e cominciava a leccargli il torace glabro, il ventre, l’ombelico. Non chiuse gli occhi neanche quando Sofia si dedicò, golosa, al suo pene.

Affascinato dal movimento delle sue labbra, e dalle sensazioni stupende che gli stava procurando, non si accorse subito del suono fastidioso del citofono.

Aspetti qualcuno?”, chiese Sofia, seccata.

Certo che no.”

A giudicare da come insistono, non si direbbe.”

Lenny Kravitz cantava ancora, ma la magia si era dileguata. Mattias infilò al volo i boxer e si alzò dal divano. Gli bastò attivare il videocitofono per inquadrare la faccia di Lorenzo.

Che succede?”, chiese allarmato dalla sua espressione.

Ho bisogno di parlarti”, rispose attraverso l’altoparlante.

Adesso?”

Adesso. Apri questo cazzo di portone e fa’ rivestire la tua amichetta.”

Lorenzo, è domenica sera.”

Maggiore”, disse il colonnello con una voce che non lasciava adito a dubbi, “le è appena stato dato un ordine.”

Fanculo!”, sibilò Mattias premendo il tasto che apriva il portone.

Sofia era rimasta sul divano. Si era accesa una sigaretta ed era uno spettacolo, così, accoccolata contro i cuscini, nuda e con la pelle ancora accesa dall’eccitazione.

Fanculo!”, ripeté mentre si sforzava di sorriderle. “Mi dispiace tesoro, un imprevisto di lavoro.”

Il viso della donna non prometteva niente di buono.

A quest’ora?”, chiese ironica mentre raccoglieva la propria biancheria intima. “Hanno assassinato qualche ministro?”

A lei, come a tutte le altre, Mattias aveva raccontato di essere un consulente per la sicurezza distaccato presso il Viminale.

Lo sai che non posso dirti altro. Mi dispiace, veramente.”

Sofia stava infilando le autoreggenti senza aver ancora indossato il perizoma. L’immagine era da togliere il fiato.

Ho idea che scopi da dio, Mattias, e forse mi resterà la voglia di verificarlo. Ma fossi in te, non ne sarei così sicuro.”

La afferrò per i fianchi e se la tirò contro il bacino.

Io ci conto”, sussurrò prima di impadronirsi voracemente della sua bocca.

lunedì 8 settembre 2014

Il puzzle di Dio: dialogo dopo la presentazione

La - e quindi io sarei la pignola...
Lo - ti suona nuovo?
La - e sarei anche la razionale...
Lo - sì.
La - che detto in altre parole suona "la rompiballe".
Lo - l'esegesi non era necessaria, ma sì, in effetti...
La - quella che "buona la prima".
Lo - di che ti stupisci? Eri l'unica a non aver bisogno di ricopiare il tema in bella copia prima di consegnarlo.
La - quella che trova tutti i doppi spazi...
Lo - tu odi i doppi spazi.
La - e che interrompe il tuo flusso creativo.
Lo - per correggere la virgola, sì.
La - mentre tu scrivi di pancia.
Lo - e poi cancello tutto, o quasi.
La - non mi piace il ruolo di quella...
Lo - quella?
La - trovala tu la parola.
Lo - saccente?
La - beh, io non...
Lo - irritante?
La - adesso però...
Lo - secchiona?
La - mi sembra un po'...
Lo - prima della classe?
La - ho capito, ma...
Lo - ce l'ho: saputella! Una insopportabile saputella.
La - se qualcuno ti sentisse potrebbe pensare che...
Lo - che sono l'unica a conoscere i tuoi lati buoni? Avrebbe ragione.
La - per la legge dell'equilibrio adesso dovresti elencarli, i lati buoni.
Lo - uhm... lasciamici pensare un paio di giorni.
La - bastarda!


venerdì 5 settembre 2014

Il puzzle di Dio: dialogo prima della presentazione

Lo - quante ne abbiamo fatte, secondo te?
La - abbiamo pubblicato dieci romanzi, quindi dieci, come minimo.
Lo - almeno il doppio, direi.
La - sì, sono tante in effetti... Ti sei stancata?
Lo - e tu?
La - a me piacciono, le presentazioni, mi divertono.
Lo - a me un po' meno...
La - eccola là, la metà oscura.
Lo - ti ho mai lasciata sola?
La - mmm... No, in effetti no.
Lo - allora apprezza il sacrificio.
La - sacrificio?
Lo - lascerei parlare i libri, io.
La - e parleranno, stanne certa, lo hanno sempre fatto.
Lo - ti sembra possibile che siano già dieci?
La - hai voglia di smettere?
Lo - chiedimelo tra i prossimi dieci.
La - c'è gente che se ti sentisse dire queste parole...
Lo - lasciali dire.
La - sei pronta?
Lo - pronta, sì.
La - andiamo?
Lo - te la sei studiata la strada?
La - ho provato, ma i sensi unici del sindaco Marino sono un enigma...
Lo - ce l'hai il numero di Newton & Compton?
La - ...
Lo - l'enigma dei sensi unici.
La - ...
Lo - basterà il titolo per convincerli a commissionarci il prossimo best seller.
La - tu sei matta.
Lo - e tu non hai il senso del marketing.
La - ma se tu neanche i post scrivi.
Lo - non ci arrivi? Guarda Mina, guarda Greta Garbo.
La - ...
Lo - si chiama fascino dell'assenza.
La - machec*#¥*}>€@!!!!
Lo - e non dire le parolacce.

Vi aspettiamo domani, 6 settembre 2014, ore 19.30 al chiostro di San Pietro in vincoli, Roma.


giovedì 28 agosto 2014

C'erano una volta. E ci sono ancora.

Un paio di sere fa un post di Isabella Moroni mi ha riportato indietro di molti, moltissimi anni. La foto di un vecchio nastro bicolore per macchina da scrivere è stato il trampolino di lancio per un viaggio nel passato, il passato di due studentesse del liceo classico che si riunivano dopo la scuola per studiare, ma non solo. Alla luce di questi ricordi, sono portata a pensare che se ho buttato tanto tempo sui libri, se sono riuscita a prendere un diploma il merito va anche alla mia/nostra passione per la scrittura. Era solo per trovare il tempo necessario di metterci davanti alla macchina da scrivere che mi affannavo sui libri con la socia. Prima tiravamo via libri e quaderni e prima potevamo tuffarci nelle  nostre storie. Storie mirabolanti, incredibili. Fatte di folli passioni, di avventure spettacolari in mondi mai visitati. In quelle storie c’era il nostro presente ma soprattutto il nostro futuro. Volta per volta mi immaginavo eroina di una rivoluzione, passione segreta di uomini affascinanti e irraggiungibili, donna libera e realizzata in ambienti lontani da me anni luce. Come correvano via quelle ore, com’era difficile lasciare la vecchia Olivetti per tornare a casa prima del coprifuocoLa voglia di raccontare, di raccontarci, era talmente forte da spingerci a dare corpo a più idee contemporaneamente. Lavoravamo su più fronti, passavamo dagli spazi siderali alla polvere dell’arena di un improbabile BowlingbrokeCircus ( non ho la più pallida idea da dove sia saltato fuori quel nome) con la stessa facilità con cui oggi i bambini cambiano canale sul televisore. La fantasia era l’unica droga della quella eravamo dipendenti, ci teneva in pugno, tormentandoci giorno e notte. Si, perché anche quando la macchina da scrivere taceva, il nostro cervello continuava a mulinare idee, era come essere davanti al cappello di un prestigiatore. Fra ieri e oggi c’è dimezzo… la vita. Con i suoi ritmi, con le sue esigenze, con tutti i problemi che si tira dietro. La vecchia Olivetti è in cantina, chiusa nella polverosa custodia di finta pelle color avion. Sotto le nostre dita i tasti del computer suonano la loro musica soft, leggera come le dita che li percorrono. Al posto della versione di latino o greco si sono i panni da stirare o il pezzo da mandare in onda. Non indossiamo più jeans a sigaretta e maglioni over size e se ci facciamo la tinta non è per essere trendy ma per coprire i segni che il tempo ci lascia sulla pelle. Ma l’anima, quella non riesce a scalfirla. Quando siamo davanti al computer, se ci guardiamo negli occhi, l’immagine che abbiamo una dell’altra non è quella della signora di mezza età (termine bruttissimo ma non me ne viene uno migliore) ma quella di due adolescenti con lo sguardo acceso dalla fantasia e la bocca sempre pronta al sorriso.Perché, mi spiace per chi pensa che debba essere il contrario, io e la socia quando scriviamo ci divertiamo da morire. Voi, a leggerci, un po’ meno, forse. Ma non è un nostro è problema.