lunedì 14 marzo 2011

Il maestro, Margherita e la magia di una lettura difficile


Partiamo dall'inizio. Non ero convinta. Sul romanzo di Bulgakov avevo ricevuto pareri contrastanti: da capolavoro assoluto e una fantozziana cagata pazzesca. Restava il fatto che "Il maestro e Margherita" era ed e' uno di quei libri che "devi" aver letto, non foss'altro per poterne parlare con cognizione di causa (cosa che, per inciso, non e' prassi consolidata tra dotti commentatori in Rete). Cosi', sconfitta in partenza da "Guerra e pace" (che giace sul mio comodino ormai da tempi immemori), ho decido di prendere Woland per le corna e ho dato inizio al cimento. Non e' stata una lettura facile. La mia familiarita' con i chilometrici nomi russi e con la traslitterazione del cirillico si perde nei tempi eroici dell'universita', quando dopo due trenta e lode in storia della Russia e dell'Asia Centrale accarezzai l'idea di studiare il russo. L'idea mi si rivolto' contro come il grosso gatto di Bulgakov accarezzato contropelo e quindi desistetti. Non e' stata una lettura facile. La scrittura di Bulgakov e' densa di non detto, di rimandi storici, di satira contro il regime che lo tenne ai margini negandogli la tessera di scrittore (come se tale qualifica potesse darla un governo, un partito... meditate gente, meditate). Il romanzo va contestualizzato negli anni in cui venne scritto e riscritto e poi lasciato sostanzialmente incompiuto. E' un fuoco pirotecnico, uno spettacolo circense come solo un russo poteva immaginarlo. Ha gli stessi colori intensi della cattedrale di San Basilio, delle icone, dei mosaici. Ha lo splendore delle cupole dorate. C'e' l'anima russa dentro. Bulgakov ci ha lasciato una serie di scatole cinesi, anzi, una matrioska in forma scritta. E non e' un caso se la parte piu' preziosa sia quella custodita piu' a fondo tra le quasi 500 pagine di storie, di intrecci, di magie e di ricoveri in manicomio. Ho adorato il romanzo di Ponzio Pilato e ho condiviso la decisione di Margherita di vendersi l'anima al diavolo pur di salvare quel romanzo che ossessiona il maestro al punto da spingerlo alla pazzia. Il romanzo di Ponzio Pilato e' il nocciolo di questo libro e del messaggio che Bulgakov ci ha lasciato. Il maestro ha scritto la storia dell'uomo piu' frainteso nella storia dell'umanita'. Il vigliacco per eccellenza, colui che non seppe ascoltarsi e preferi' lavarsene le mani piuttosto che prendere la decisione di salvare il Nazareno. Il maestro lo immagina, di piu', lo crea devastato dall'impossibilita' di tornare indietro per salvare quel giovanotto. Ponzio Pilato si addormenta e sogna che il supplizio sul Golgota non sia mai accaduto. Ma la realta' lo riafferra, implacabile e lo destina a un limbo dove il tormento e' senza fine perche' e' rimpianto. Il maestro e' talmente ossessionato dalla storia e dal destino di Ponzio Pilato da decidere di distruggere il manoscritto e di rinchiudersi in manicomio. Ma non serve, perche' il manoscritto ce l'ha tutto scritto nella mente. La vera prigione di Ponzio Pilato, il vero rimpianto sul coraggio perduto (o mai trovato) e' proprio lui, il maestro. Per questo Woland, Azazello, Ippopotamo e Koroviev piombano su Mosca e sconvolgono tutto il mondo stantio dell'intellighenzia creando uno scompiglio, un vortice di distruzione che ha il suo fulcro nella necessita' di liberare il maestro dal manicomio, restituirlo all'amore incondizionato di Margherita. Ucciderlo. Anzi, ucciderli entrambi. Una morte che e' rinascita per i due amanti e liberta' per Ponzio Pilato. Il personaggio, cancellato dalla memoria del suo creatore, e' libero di riprendere la passeggiata col Nazareno su una strada di luna, di riprendere a parlare di umanita' e di filosofia con quel giovane dall'aspetto dimesso e dalla grandissima mente. Margherita e il maestro sono liberi a loro volta di continuare ad amarsi in un livello di esistenza superiore, che nulla ha a che spartire con la nostra idea di inferno. E Woland? La solitudine di Satana alla fine del romanzo e' il momento piu' alto, laddove egli spiega che l'ombra e' parte integrante della luce. Woland e' strumento di Cristo in persona. E' Cristo che lo ha mandato a liberare Ponzio Pilato dalla mente del maestro, a liberare il maestro dalla propria ossessione. Una simbologia che si dispiega e riannoda tutti i fili lasciati in sospeso dandoci la reale misura del potere della scrittura, anzi, della creazione attraverso le parole.

6 commenti:

  1. beh, se per scrivere una recensione così sinteticamente completa, ci hai messo tanto per deciderti a leggerlo, allora ben vengano i ritardi costantiniani (nel senso lauresco) e le loro conseguenze.
    ciao
    cri

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  2. Sottoscrivo Cristina. Si ha la sensazione che la "fatica" sia un prezzo ben pagato che sai tornare con "maestria".
    L'ho letto anni fa e ne ho un ricordo vago ma bello. Magari lo rileggerò questa estate.
    Chissà perché i russi li ho letti tutti in uno stesso periodo senza però mai tornarvi in seguito.
    Dovrò indagare.
    Non sarà che sono letture adatte o alla prima giovinezza o all'età matura? Quelle scritture che vengono bene solo se ti trovi in quei periodi della vita in cui hai bisogno di complessità e intensità?

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  3. Io credo sia esattamente cosi', Ross. Libri che vanno letti quando si ha fame di conoscenza, quando si e' vergini di intelletto, quando tutto appare bello e irraggiungibile. Poi si cresce. La lettura rimane sempre importante, ma non ha piu' lo stesso sapore. Per questo dubito che riusciro' ad affrontare Guerra e Pace. Ma mai dire mai :)

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  4. Eppure...
    Ho riletto recentemente un "libretto" sullo Zen, il primo letto in assoluto credo intorno ai 18 anni, realizzando che se certamente ha da allora influenzato un desiderio di ricerca e approfondimento che dura tutt'ora, solo ora mi è totalmente chiaro ciò che scrive l'autore.
    Mi è difficile dire con onestà se anche allora avevo "capito", forse sì, magari più per intuizione che per aver colto davvero la potente semplicità delle 140 pagine.
    Mi ha molto sorpreso però scoprire che era già tutto lì. Anche ciò che poi ho trovato in altri testi più corposi e impegnativi e attraverso l'esperienza personale.
    Leggendo la tua recensione sul libro di Bolgakov, mi sono fatta la stessa domanda: chissà come sarebbe rileggerlo ora.
    Proverei lo stesso piacere? Scoprirei cose nuove?
    I libri sono così, no?
    Lo stesso libro assume un valore diverso grazie anche a come sei nel momento in cui lo leggi.
    Per questo mi ripropongo di provare a fare questa lettura la prossima estate, con calma e tempo.
    Poi ti so dire come va a finire...

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  5. Ce ne hai messo di tempo per arrivare al miracolo Letterario che è "Il maestro e Margherita". Ce ne hai messo troppo, devi ammetterlo. E' uno dei pilastri della grandissima Letteratura ed è una delle letture che maggiormente hanno influenzato il mio pensiero nonché la mia immaginazione. La prima lettura del romanzo la affrontai ch'ero quindicenne. Ne rimasi folgorato, letteralmente. E così approfondii Bulgakov e lessi tutto quello che a noi è pervenuto.

    Non ci posso credere, ancora non hai letto "Guerra e pace"! O___o Non oso chiederti cos'altro non hai ancora letto. Ho paura. ;-)

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  6. Beppe, tesoro, non sono mai caduta nella trappola del "dover" leggere qualcosa perche' lo si "deve" leggere. Ho letto la Divina Commedia, ma non la Bibbia, ho letto John Steinbeck, ma non Tolstoj, ho letto Manzoni e non Tommaseo. Non ho letto "La coscienza di Zeno" perche' dopo 20 pagine non ne potevo piu'. Non ho letto "Il tamburo di latta" di Gunther Grass perche' a meta' di circa 600 pagine mi sono chiesta se qualcuno mi pagasse per quel sacrificio. Ma ho letto Capote, Conrad, Arundhati Roi (che adoro). Leggo tanto da tanti anni e mi lascio guidare dagli eventi e dagli stimoli che mi circondano. Oggi come oggi preferisco leggere contemporanei e cercare di capire dove stiamo andando. Anche se "Farenheit 451" e "1984" avevano gia' previsto tutto :)

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