Immaginate una giornata festiva di inizio dicembre. Traffico pigro, prime luminarie natalizie, pioggia e tappeti di foglie dorate. Arrivate al parcheggio. È festivo, siete esentati dal parcometro. Ma c’è lui. È vecchio, si ripara con l’ombrello e si trascina una bombola di ossigeno. Un elastico dietro le orecchie tiene i cannelli che si infilano nelle narici. Vi viene incontro, vi fornisce indicazioni per una manovra che ne non ha bisogno. E mentre lottate con ombrello, borsa e buste assortite, vi racconta che è appena uscito dall’ospedale e che ha bisogno di soldi. Sul cruscotto la raccolta dei tagliandi quotidiani del parcometro è un triste memorandum di quanto vi costa raggiungere ogni giorno un congiunto in ospedale. Date una moneta all’anziano, vi sentite aridi, perché era una moneta piccola, e allungate il passo verso la vostra meta. Immaginate di dover attraversare un ponte storico molto bello e di farlo con lo sguardo fisso al selciato viscido di pioggia e foglie cadute. Paura di cadere? Anche. Ma i motivi per cui vi sforzate di non incontrare sguardi sono, nell’ordine: una vecchina in sottana e fazzolettone neri che sembra la Befana come la disegnavate da piccoli, se ne sta seduta in terra, incurante della pioggia, e tende la mano al passaggio con voce di pianto; un punkabbestia circondato da cani macilenti, chiede l’elemosina e parla in un cellulare che sembra tanto un iPhone, voi non appurate, ma lo sguardo dei cani vi trapassa l’anima; un vecchio clochard dall’imponente barba bianca da Babbo Natale, zuccotto calato sulla testa, figura diritta anche se si appoggia a un bastone, mano tesa; una giovane zingara che si è assicurata il posto migliore, ben riparato dalle intemperie, con un gradino per sedersi e tendere il bicchiere di carta salmodiando: “Buongiorno signora, buonasera signora, auguri signora”, a seconda delle esigenze. Immaginate di averli evitati. Non è difficile, non quanto evitare il senso di colpa che vi attanaglia davanti all’ostacolo inedito. È un lui a giudicare dal poco che vedete, se ne sta in posizione fetale sul marciapiede. Non chiede nulla, dorme riparato da un ombrello aperto, le scarpe sfondate tenute per i lacci intrecciati tra le dita, le calze spesse sui piedi gonfi. Vi andrebbe di fargli un’offerta, ma non ha neanche un piattino accanto. Magari al ritorno lo trovate sveglio. Immaginate di essere giunti all’entrata dell’ospedale. Gli ostacoli non sono finiti. Una donna ben vestita brandisce un mazzo di foglietti, ve ne sbatte uno davanti agli occhi e non chiede. Lei pretende un’offerta per le malattie rare dei bambini. Stavolta non abbassate gli occhi, il “no” lo dite chiaro. E mentre la tipa vi bofonchia un ironico: “a Natale siamo tutti più buoni”, immaginate di scrollarvi di dosso i sensi di colpa per accogliere la consapevolezza di quanto sia perfido il ricatto della bontà. In un giorno d’inizio dicembre, con le luminarie natalizie, davanti a un luogo di sofferenza come un ospedale.
Laura Costantini
Un quadro desolante...
RispondiEliminaTagliente il giusto. Incisivo e dritto al punto, senza inutili orpelli.
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