Leggendario, epico e visivamente senza precedenti. Così
recita la pubblicità di Capitan Harlock 3D, attribuendo la frase al Cameron di
Avatar.
Leggendario, sì, perché parla di una leggenda recente eppure
millenaria, una leggenda che ci portiamo dietro, noi 40/50enni, dall’infanzia,
ma che affonda le radici nell’immaginario collettivo dell’eroe solo, taciturno,
tormentato. Non senza macchia e non senza paura, ma proprio per questo più
grande.
Epico, sì, di quell’epica che la vedi, la senti e pensi
Giappone. L’epica dei gesti, degli sguardi, dei movimenti felini velocissimi ma
rallentati, delle arti marziali, dello sventolio di bandiere (ma come sventola
una bandiera nello spazio?), di mantelli, di capelli.
Visivamente senza precedenti, vero. Avatar è stato una
scoperta, ma questo Capitan Harlock va oltre, coniugando una computer grafica
con un impatto realistico eppure totalmente artificiale che apre a un nuovo
modo di realizzare film.
Eppure… eppure si poteva, si doveva fare di più.
Il capitano silente, troppo, ombroso, troppo, sofferto,
troppo e presente poco. Il film è il suo, ma non interagisce quasi mai e ci
regala solo rari sprazzi di ciò che noi, pubblico per lo più di adulti rimasti
adolescenti dentro, cercavamo.
È la trasposizione manga di Sandokan, del Corsaro Nero, di
Ulisse, ma anche di Achille. È immortale come Highlander e ne soffre. È
sfregiato e cieco di un occhio, eppure è bellissimo. Soprattutto, ed è la sua
forza, è un uomo che ha sbagliato nel modo più atroce. Che ha distrutto ciò che
amava di più e che sta, da oltre cento anni, cercando il modo di rimediare.
Scopriremo, con fatica e con molte lacune, che il rimedio
che pensa di aver trovato sarebbe un’apocalisse totale. Lui lo sa, fin dall’inizio,
e questo lo colloca in una luce di eroe cattivo, di cupio dissolvi, come denuncia il suo antagonista disabile e feroce.
Perfino la sua ciurma ne rimane sconvolta, quando scopre a cosa serve l’aver
disposto cento bombe a variazione
dimensionale (o qualcosa del genere, i termini scientifici sono terribili
da ricordare e troppi).
Da sempre l’eroe fortissimo, e Harlock lo è, ricercato in
tutto l’Universo, temuto, invincibile ma fragile nello spirito, ferito e in
cerca di riscatto parla alla nostra fantasia. Anzi, alla nostra anima. E parla
in modo che vorremmo conoscerlo meglio, cosa che questo film non ci consente di
fare. Così dobbiamo affidarci a scorci improvvisi: il primo arrembaggio, quando
il capitano afferra il timone e, non diversamente da quanto avrebbe fatto il
Corsaro Nero, scaglia la propria Arcadia contro un’astronave nemica in un
frenetico girar di timone e sventolar di mantello; il salvataggio di Yama sul
pianeta Tokarga, quando il capitano si tuffa in caduta libera per recuperare il
pivello dell’equipaggio, ben sapendo che è una spia e accettando il rischio di
esserne ucciso; l’unico momento di tenerezza e di rassegnazione, quando l’aliena
detentrice del segreto del motore a dark-matter gli passa una carezza sul viso
prima di dissolversi in particelle di luce; i duelli e quell’unica goccia di
sangue che stilla dal corpo del capitano a rivelarci che, finalmente, ha perso
l’immortalità derivata dalla materia oscura; il passaggio di consegne, di
timone, forse di potere, con Yama che fin dall’inizio gli somigliava e alla
fine sembra un clone di Harlock, cicatrice sul viso compresa.
Nel mezzo ci sono fuochi d’artificio visivi eccezionali. C’è
la tragedia della Terra. C’è la speranza, ci sono i fiori che rinascono dall’oscurità.
C’è una guerriera ben poco credibile (unica nota veramente stonata, al limite
del ridicolo) con le tette corazzate e il perizoma sulla tuta spaziale (ma per
piacere!). Ci sono armi di distruzione di massa che i potenti vogliono comunque
utilizzare. C’è il riscatto del cattivo…
Sapete che vi dico? Dopo averne scritto, mi è venuta voglia
di rivederlo da capo.
Ho voglia di vederlo , in film , dopo vne assorbito le vicende in tv con la m a deliziosa figliola. Ma ora forse si capisce diversamente! Rita
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