sabato 22 aprile 2017

Questo NON è un corso di scrittura #3

Ambientazione e descrizione dei luoghi

Potrebbe essere una (non) lezione due bis, perché il discorso ambientazione è conseguenziale al discorso scrivi di ciò che conosci. Come giustamente faceva notare Carlotta Borasio di Las Vegas Edizioni il problema non è tanto dove ambientare la nostra storia, ma il motivo per cui decidiamo di ambientarla in quel determinato luogo. Ed è un fatto che la maggior parte degli aspiranti scrittori hanno una vera e propria fascinazione per le location di tendenza. New York, per dirne una su tutte. Molti, moltissimi romance si svolgono a New York. Pare che innamorarsi davanti alle vetrine della Fifth Avenue sia molto più fico che innamorarsi in vicolo delle Zoccolette, a Roma. Ma è davvero così? E, soprattutto, quali caratteristiche deve avere una storia per raccontare anche il luogo dove si svolge?
Andiamo per gradi. Se sei di Milano, ambientare una storia a Scicli, in Sicilia, potrebbe presentare le stesse difficoltà che ambientarla a Ulan Bator, in Mongolia. Ci sei stato a Scicli? Mettiamo di no. Magari hai visto tutte le serie di Montalbano, che aiuta, ma non ci sei stato, non hai passeggiato per i vicoli, non hai sentito l’odore dell’aria, il caldo estivo, i suoni. Rinunci? No. Sfatiamo un mito, anzi più di uno. Con la scrittura non ci si arricchisce, salvo alcuni talenti che si possono contare sulla punta di una mano, per quanto riguarda l’Italia. Quindi, a meno di non essere ricchi di famiglia, sarà difficile prendere su un cambio di biancheria e andare a documentarsi sul posto. E allora? Allora subentra l’enorme fortuna di vivere nell’epoca di Internet, di Google Earth, Street, Maps e via digitando. È sufficiente? No. Perché per essere efficace un’ambientazione deve raccontare lo spiritus loci. Ovvero una realtà immaginale che possa essere riconosciuta come reale. Non è un lavoro facile e, badate, non è facile neanche se un romano decide di ambientare la propria storia a Roma. Intanto è fondamentale evitare quello che viene chiamato infodumping. A me lettore non importa un fico secco se tu autore mi descrivi il tragitto che il personaggio A percorre in auto per arrivare dal personaggio B meglio di un Tom-Tom con tanto di svolte, traverse, sensi unici e semafori. Ma se mi dici che il personaggio si muove nei sobborghi di Stoccolma e la canicola fa tremolare l’aria sui prati aridi di siccità, io prendo il tuo libro e lo inserisco direttamente nel cassonetto della carta da riciclo. L’esempio è tratto dalla realtà di un’aspirante scrittrice che abbiamo avuto, io e la socia, la sfortuna di leggere da inedita. Del fatto che non sia poi mai andata in stampa potete ringraziarci. L’eccezionalità climatica può accadere, certo, ma il lettore ha un proprio immaginario legato a suggestioni accumulate. E se pensa a Stoccolma, immagina un posto pulito, magari bello, tutto arredato Ikea, di sicuro freddo, piuttosto cupo e pieno di serial killer e di uomini che odiano le donne. Di certo non associa la Svezia alle ascelle sudate.
Quello che è importante capire è che l’ambientazione non è una piatta scenografia, ma un personaggio non diversamente da quelli in carne e ossa che avete deciso di far agire, amare, soffrire, tradire, uccidere, morire nella storia. Se il romanzo, o il racconto, è ambientato a Las Vegas, deve esserci un motivo che renda necessaria quell’ambientazione. La storia che state raccontando non avrebbe senso se fosse spostata dal Nevada in Brianza? È questa la domanda. Questo il discrimine. Perché se l’ambientazione è solo uno sfondo buttato lì, c’è qualcosa di profondamente sbagliato. Sarà capitato anche a voi di leggere libri dove l’autore o l’autrice piazzano un accenno a Piccadilly Circus, una passeggiata sul Black Friars Bridge, uno spuntino a base di fish and chips e pretendono di avervi collocato a Londra. Poi si dimenticano che si guida sulla sinistra, tanto per dirne una.
E qui torniamo al discorso dello scrivere ciò che si conosce per come lo intendo io. Mettiamo che vogliate ambientare una storia in Brasile. O ci siete nati e ci avete vissuto, come l’autrice Amneris Di Cesare, oppure vi armate di santa pazienza e andate oltre wikipedia. Il segreto è leggere libri di autori del posto; guardare film; trovare testimonianze di turisti, ma di quelli che non si limitano a chiudersi in un resort; guardare documentari. Accumulare informazioni e suggestioni. Riempirsi gli occhi di immagini, di colori, di modi di muoversi, di modi di vestirsi. Non importa se di tutto questo bagaglio solo una minima percentuale entrerà nella vostra storia. Non state scrivendo una guida turistica né uno stradario. Dovete restituire al lettore l’atmosfera, fargli visualizzare quel tipo di ambiente, di strada, di casa. E sì, fargli anche sentire odori e sapori. Se state pensando che non è facile, benvenuti in una delle mille difficoltà che incontra chi vuole scrivere e non buttare giù quel centinaio di paginette tanto per. E ricordate che stiamo parlando di ambientazioni e storie contemporanee. Per i viaggi nel passato avremo una (non) lezione apposita e lì saranno veramente dolori.
Vogliamo provare a tirare le somme?
Dovunque lo vogliate portare, il lettore deve arrivarci senza alcuno sforzo. Gli sforzi devono essere tutti vostri. E non si devono percepire. Se la storia è ambientata dal 2000 a oggi, a meno di non avere per protagonisti dei boscimani o delle tribù dell’Amazzonia, non sarà credibile che non siano muniti di smartphone. Se dovessero prendere un aereo, dovranno fare i conti con i controlli anti-terrorismo. Se nuotano nel Mediterraneo potranno affogare o essere punti da una medusa. L’attacco dello squalo bianco lo vedo poco probabile. Se sono a Londra e guidano l’auto, non potranno mai tenere il braccio sinistro fuori del finestrino. Se fanno trekking in Nepal verso il campo-base dell’Himalaya dovranno fare i conti con le difficoltà respiratorie ma se avranno bisogno di un caffè espresso, potranno berne uno in un rifugio gestito da profughi tibetani muniti di una macchina Cimbali; che ci crediate o no è una realtà. Se sono donne e si muovono in un paese islamico, sarà bene fare i conti con il vestiario e con il velo. Possono scegliere di non indossarlo, ma questo, come minimo, causerà salve di sguardi di riprovazione da parte degli autoctoni. Se immaginate un inseguimento a Venezia, immaginatelo a piedi o, al massimo, in motoscafo. Vedo il sopracciglio alzato e allora rilancio: ad Amsterdam un inseguimento in auto può trovare seri ostacoli, lì opterei per biciclette o, al limite, moto.
Superate gli stereotipi legati alla nazionalità: il mafioso russo, il terrorista ceceno, la prostituta ucraina, la badante romena, il riccone americano, il francese lezioso, l’inglese rigido, l’italiano arruffone.
Superate gli stereotipi legati ai luoghi: Napoli sporca e assolata, Londra piovosa, New York luccicante e glamour, Milano nebbiosa, Mosca innevata, Pechino oppressa dalla coltre di smog. I luoghi, come i personaggi, hanno uno spessore e molte sfaccettature. Assodato che a Stoccolma la canicola e i miraggi della fata Morgana sui prati aridi li vedo difficili, descrivere Londra sotto un bel sole primaverile o San Pietroburgo assediata da nugoli di zanzare durante le notti bianche estive può offrire spunti diversi e dimostrare lo sforzo di conoscenza che l’autore vuole mettere al servizio della storia e del lettore.
Se poi, dopo quanto detto, decidete di ambientare la storia nel vostro condominio, posso comprendervi. E anche leggervi con piacere. A patto che quel vostro condominio me lo descriviate con lo stesso trasporto che usereste per Greenwich Village a New York.


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