E poi succede che non ci importa più. Che i
numeri hanno la meglio e più crescono e meno impattano sulle nostre coscienze.
È successo la scorsa settimana, l’11 luglio. Su quotidiani, tv e siti online
rimbalza la notizia dell’ennesima strage in mare. Sì, ennesima. E basta questo
aggettivo dalla portata numerica infinita a spiegare quello che poi è successo.
Perché, parlando solo degli ultimi mesi, era aprile e i superstiti raccontavano
di 10 persone morte di stenti e gettate in mare; era maggio e i corpi gettati
in mare erano 7 su 90; era giugno e una piccola barca naufragava causando la
morte di quattro persone. Migranti, tutti. Migranti come i 54 di cui lo scorso
11 luglio ci ha raccontato l’unico superstite. I fatti. Il gommone parte da
Tripoli a fine giugno. Puntano in Italia, sono 55, per la maggior parte
eritrei. Dopo un giorno sono già in vista della meta ma il vento li respinge,
trascinandoli in mare aperto. Inizia così l’agonia di cinquantacinque persone.
Proviamo a contare fino a 55,
a renderci conto di quanti erano. Il gommone comincia a
sgonfiarsi, a bordo non c'è acqua. Molti, compreso il superstite recuperato da
pescatori tunisini in fin di vita, cominciano a bere acqua di mare. Non serve.
Uno dopo l’altro muoiono per disidratazione. A dare la notizia è l'Alto
Commissariato dell'Onu per i Rifugiati. "Una vera tragedia", ha
commentato il vice commissario Alexander Aleinikoff, facendo appello "ai
comandanti delle imbarcazioni nel Mediterraneo affinché l'antica tradizione del
salvataggio in mare continui ad essere rispettata". E come no? Nello
stesso giorno, 50 persone tra eritrei e somali, si sono viste rifiutare soccorso
delle Forze Armate maltesi. Non solo, dopo aver fatto notare che non c’erano
conferme, ovvero corpi da recuperare, di quanto raccontato dall’eritreo
superstite, i media hanno dimenticato la vicenda tornando a parlare di crisi,
di rating, di spread e di elezioni. Perché succede, appunto, che non ci importa
più. Che abbiamo altro a cui pensare. Cinquantaquattro morti. Contiamoli e
proviamo a immaginare come si muore di disidratazione in mare aperto, sotto un
sole implacabile, durante un’estate tra le più calde. La sete, la stanchezza,
il mal di testa, la pressione che precipita, gli svenimenti. Poi arrivano la
nausea, il formicolio agli arti, le convulsioni, i crampi. Si seccano gli
occhi, non si urina più, se si piange, le lacrime non escono. Si vedono cose
che non esistono, si delira, tutto si confonde. Dicono che si possa, in modo
approssimativo, paragonare la morte per disidratazione a quella da
dissanguamento. Dicono sia una morte dolce, posto che dolce possa essere la
sensazione del proprio cuore che si sforza di pompare un liquido che diminuisce
di ora in ora. Siamo fatti di acqua, per un 70%. Possiamo sopravvivere molto
senza cibo, pochissimo senza bere. Cinquantaquattro vite, spente come candele.
E noi le abbiamo liquidate come roba della settimana scorsa.
Laura
Costantini
Importa importa...
RispondiEliminaSono i media nazionali servi a pesare le notizie servendoci quelle che importano a "loro".
Pezzo straziante e bello.
Vorrei che straziasse davvero e che non fosse recepito solo da chi ha l'animo già aperto a queste situazioni. Continuo a illudermi che le parole possano fare la differenza.
EliminaE cosa dovremmo fare più di quello che si fa? Secoli di assistenzialismo, di medici senza frontiere e tante costosissime associaizioni non sono servite a nulla, loro continuano a non muovere un dito per migliorarsi. E' troppo comodo inorridirsi solo.
RispondiEliminaPaola G.
Il problema non si risolve, ma è giusto parlarne, anche perché se siamo impotenti di fronte a quello che succede nel mare lontano dalle nostre abitazioni non lo siamo altrettanto con i sopravissuti e quando si presentano alla porta di casa nostra o li incontriamo per strada possiamo in qualche modo offrirgli un piccolo aiuto, a volte basta un semplice sorriso, un gesto di semplice accoglienza, un pane, una mela un bicchiere d'acqua, tutti possiamo fare qualcosa, dobbiamo anche solo per il fatto che se guardiamo nei oro occhi possiamo immaginare tutta la tragedia che hanno vissuto e continuano a vivere. Si pensa sempre che si debbano fare grandi cose, invece a volte basta poco. Non dimentichiamolo. @Non dimenticarlo Paola G
RispondiElimina