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venerdì 17 novembre 2017
Il Rumore delle Pagine: Recensione - Il Ragazzo Ombra
Il Rumore delle Pagine: Recensione - Il Ragazzo Ombra: Il ragazzo ombra di Laura Costantini __________________ Diario Vittoriano #1 Pagine: 267 Prezzo: EUR 4.99/11.03 Pubblicazione: 19 Giug...
lunedì 6 novembre 2017
Doccia fredda #26 L'appuntamento
E con questo "appuntamento" molto particolare si conclude il contest. Il vincitore o la vincitrice di uno dei nostri romanzi verrà proclamato dalla socia a suo insindacabile giudizio. Restate connessi.
________________________
________________________
L’appuntamento
“Sei
mio.”
Un
lento sorriso incurva le labbra di Deanna, mentre il suo sguardo avvolge la
figura solitaria seduta al banco del bar. Rimane per un momento a bearsi di
quella vista e di quel pensiero, scaturito nella mente nell’istante in cui i
suoi occhi si sono posati sull’uomo che, nell’impeccabile gessato blu,
sorseggia il suo Sazerac senza prestare troppa attenzione agli altri avventori.
È tipico del suo carattere, del resto. È bravissimo a far finta che il resto
del mondo non esista, almeno quanto lo è a concentrarsi completamente su quello
che gli interessa. Deanna lo sa bene. È una delle sue caratteristiche che l’ha
intrigata di più, fin dall’inizio.
Avanza
di un passo verso il bancone, aggiustandosi i capelli con un gesto inconsapevole.
Ha aspettato così a lungo quel momento. Lo ha sognato, perfino, e non è da lei.
Da quanto non le capitava di sognare un uomo? Forse non lo aveva mai fatto,
nemmeno quando era una ragazzina. Ma lui è diverso, niente da dire, è unico, e
l’ha fatta penare non poco, per arrivare a quell’appuntamento.
Un
altro passo. Un sospiro le sfugge dalle labbra, costringendola a fermarsi
ancora. E se non andasse bene? Esita, ma solo un istante. Non è il momento per
i dubbi, non è il momento per le paure. Ormai è così vicino, ancora qualche
passo e potrebbe toccarlo. Toccarlo… La curva dritta e precisa delle spalle
fasciate dalla giacca dal taglio ineccepibile è in effetti molto invitante. Ti
fa venire voglia di lasciar scorrere le mani su quella simmetria perfetta, di
misurarne la consistenza, la solidità attraverso il tessuto. Chissà se lui ne è
consapevole? Ovvio. Lui è consapevole di tutto quello che lo riguarda. O quasi.
Per questo è sempre stato così difficile coglierlo di sorpresa. Chissà se
questa volta lei ci riuscirà?
Respira
profondamente, facendosi coraggio. Un uomo elegante seduto a un tavolino la
squadra con evidente approvazione. Sa di essersi preparata con particolare
cura, quella sera. Insolito per una come lei, sempre attenta solo alla praticità.
Ma quel completo dal taglio severo le sta bene, glielo hanno sempre detto. Il
trucco è leggero, come sempre, ma enfatizza i suoi lineamenti vagamente
androgini, le labbra naturalmente turgide. Ci sono poche donne nel bar,
nonostante l’ora, ma lei è sicuramente la più attraente. Inutile negarlo. Quel
pensiero le fa nascere un nuovo sorriso, e anche un po’ d’imbarazzo. Lui
apprezzerà? Si renderà conto che è per incontrarlo che si è fatta bella?
Quell’interrogativo,
e lo sguardo di gradimento dello sconosciuto, le infondono sicurezza. Raggiunge
il bancone senza ulteriori indugi e prende posto allo sgabello accanto al suo.
Per un momento non gli si rivolge direttamente, consapevole dello sguardo di
lui su di sé, del modo in cui percorre il suo profilo, la curva del lungo
collo. Solo quando è certa che l’abbia guardata bene, si gira lentamente e lo
fissa negli occhi.
“Sono
impressionato, signorina Ernani.” Lo sembra davvero. La sua voce è calda, il
suo sguardo avvolgente. Deanna non abbassa gli occhi, ma si ritrova a
deglutire, suo malgrado. Forse è anche arrossita.
“Lieta
di essere riuscita a impressionarla, signor Leanti” ammette lei, arricciando le
labbra in un piccolo sorriso. “Non è certo facile, con un tipo come lei.” Lui
pare prenderlo come un complimento, e fa cenno al barman perché gli serva un
altro cocktail.
“Immagino
che offrirle da bere sia fuori luogo” aggiunge poi, mentre il barista resta in
attesa. Deanna lo congeda con un breve cenno di diniego.
“Grazie.
Magari un’altra volta. Ma le lascerò il tempo di finire il suo drink, non si
preoccupi. L’albergo è circondato, nel caso pensasse di riuscire a scappare”
chiarisce, senza smettere di sorridergli.
Lui
la soppesa, un’espressione sorniona, che qualsiasi altra donna troverebbe
irresistibile. E sì, inutile negarlo, lo trova irresistibile anche lei,
accidenti a quegli occhi ardenti, a quella bocca sfrontata!
“Sono
suo prigioniero, dunque?” domanda Walter Leanti, in un sussurro complice.
“All’incirca.
Più propriamente è in arresto” lo corregge lei. “Ma se si comporterà bene
eviterò di ammanettarla qui davanti a tutti” aggiunge, protendendosi verso di
lui e sussurrando a sua volta. Probabilmente dall’esterno sembrano due amanti
che si scambino parole tenere e audaci.
“Credo
che non mi dispiacerebbe essere ammanettato da lei, signorina Ernani” ammette l’uomo,
e sorride come un gatto al sole. “Magari in un’altra occasione…”
“Dubito
avrà molte occasioni, da qui ai prossimi quindici anni” ribatte lei, sorridendo
a sua volta. “Ma non si può mai dire” conclude, strizzandogli l’occhio.
Walter
Leanti fa una faccia dispiaciuta, che rimane pur sempre una gran bella faccia.
Si alza dallo sgabello, si sistema la cravatta di seta, rivolge un cenno di
saluto al barista. Poi guarda Deanna.
“È stato
comunque un piacere, signorina Ernani” la saluta, con una nota di rammarico
nella voce.
“Ispettore
capo Ernani, se non le dispiace” lo corregge Deanna, alzandosi a sua volta. “Vogliamo
andare?” Gli indica l’uscita, e gli agenti in borghese che lo stanno
aspettando. Mentre lo scorta fuori è consapevole degli sguardi di invidia degli
uomini e delle donne che li vedono sfilare insieme. Dopotutto quella è la sua
serata.
domenica 5 novembre 2017
Doccia fredda #25 Sono tra noi
ffrrrsssshhhhfffffrrr
05 529 FELAK 17 09 08 98 TEPEPShchIK 95 59 95 59 TPLEABF 95 25 25 9
ffrrrsssshhhhfffffrrr
Una voce robotica con accento russo aveva interrotto il fruscìo che ormai da quarantanni contraddistingueva la stazione radio UVB-76. Tutto faceva pensare a un codice cifrato. Ivan andava a caccia di misteri radiofonici per hobby: dal suo covo, lo scantinato di casa sua, registrava e ascoltava le trasmissioni, con un orecchio sempre puntato verso UVB-76. Nessuno conosceva il significato di quei messaggi in codice, né l'origine: Ivan era convinto si trovasse a Pskov, in Russia; altri erano pronti a giurare di averla individuata in altri luoghi di mezzo mondo.
Stanco e assonnato, la mezzanotte era passata da poco, controllò lo stato della pubblicazione della registrazione in Rete: completo! Pensò e decise di andare a dormire.
Cond0r46 era riuscito a intrufolarsi nei sistemi di sicurezza della Dassault Group, specializzata in aviazione militare, ed era sicuro che avrebbe trovato i dati super segreti di un nuovo modello di jet da guerra. «Tombola!» Esclamò. Era dentro. Adesso non doveva far altro che passare per i corridoi e riempire il carrello. Man mano che i dati venivano analizzati dal suo programma, notò che per qualche strana anomalia nella rete, di essere atterrato nel sistema di sicurezza dell'edificio, controllo delle telecamere compreso. Se non fosse stato per gli allarmi lanciati dai sensori, sarebbe uscito e avrebbe killato la connessione. Avviò lo streaming di una telecamera a circuito chiuso, la quale puntava verso l'ingresso in direzione delle porte. Due uomini uguali, gemelli verrebbe da pensare, apparentemente albini e glabri, indossavano un completo nero quando entrarono decisi e puntarono verso gli uffici, dove la telecamera non poteva vedere.
Cond0r46 cercò un'altra telecamera. Provò a rilevare altri allarmi dai sensori ma... connection timed out. Provò a ricollegarsi, ma niente: schermo nero. Fine dei giochi.
ffrrrsssshhhhfffffrrr 04 979 DRENDOUT 28 52 44 71 TRENERSKIJ 37 52 13 21 ffrrrsssshhhhfffffrrr
Annagiulia era da poco rientrata a casa. Accese la tv e, mentre svolgeva le faccende di casa, la sua attenzione fu catturata da un'edizione speciale del telegiornale; si accomodò sul divano, alzò il volume e seguì con attenzione l'inviata, che appariva visibilmente scossa. La tv però aveva qualche problema di ricezione.
«Qui Laura in diretta da zzZZZZzzzzZZZ per raccontarvi di un evento eccezionale: sembrava un nuovo attacco terroristico zzzzZZZZZzzz, quando una gruppo di velivoli ZZZzzzzzZZZ. I testimoni hanno riferito che erano neri e non sembravano fossero zzzZZZzzzzZZZ... per il momento la situazione sembra esser tornata alla normalità se non fosse per lo spavento. zzzZZZZZzzz.»
Si agitava nel sonno. Sembrava che tutti, lì, teste di cuoio comprese, potessero leggere nella sua mente. Dal passamontagna si intravedevano quegli occhi vitrei simili a quelli di un rettile, così freddi e dallo sguardo truce. Aspettavano qualcosa al buio, in silenzio, chini e con le armi pronte. Poi, piano piano cominciarono a sciamare verso un edificio abbandonato come se qualcuno avesse lanciato il comando. Uno di loro la fissava dritta negli occhi. Era nella sua mente: vedeva tutto ciò che lei vedeva, ne avvertiva la presenza dentro di sé, ma non comunicava, era familiare.
Si girò di nuovo dall'altra parte, nel sonno. Le teste di cuoio, così com'erano entrate nell'edificio, uscirono nel totale silenzio per poi ritornare ai loro furgoni neri e senza insegne, né targhe.
«Ma cosa...» Sognò di dire. Due uomini vestiti di nero, apparentemente albini e glabri, le davano le spalle, mentre in silenzio osservavano l'edificio bruciare. Quando le teste di cuoio furono tutte di nuovo a bordo dei furgoni, i due uomini vestiti di nero entrarono in una Ford modello anni ‘80 anch'essa nera, senza insegne, né targhe e andarono via. Il suo contatore geiger effettivamente segnalava la presenza di radiazioni insolitamente alte per la zona, tuttavia niente di pericoloso per la salute. Andy era giunto nei pressi di un edificio abbandonato dopo che la notizia del rogo spontaneo aveva scatenato la comunità ufologica internazionale. I segni di un rogo erano evidenti e alcuni muri diroccati poco più in là presentavano fori i cui contorni erano anneriti e netti: un laser così potente in grado di perforare i muri? Decenni fa una frana impediva l'accesso dalla ferrovia e dalla strada, così i treni furono dirottati verso un'altra linea più moderna e la piccola stazione fu abbandonata. Prima la sterpaglia e poi via via il bosco ingoiava l'edificio. Mentre proseguiva il giro raccontando il luogo e riprendendo con la sua GO PRO, notava che i binari erano fusi. Senso di smarrimento, di confusione,... si risvegliò nel suo letto; il sogno era ancora vivido nella sua mente, ricordava una forte luce che lo accecava un attimo prima di svegliarsi. Ricordava fin troppo e le sensazioni sembravano troppo reali per essere solo un sogno; forse si stava eccessivamente preoccupando, forse il lavoro era diventato troppo stressante e invasivo.
Una voce robotica con accento russo aveva interrotto il fruscìo che ormai da quarantanni contraddistingueva la stazione radio UVB-76. Tutto faceva pensare a un codice cifrato. Ivan andava a caccia di misteri radiofonici per hobby: dal suo covo, lo scantinato di casa sua, registrava e ascoltava le trasmissioni, con un orecchio sempre puntato verso UVB-76. Nessuno conosceva il significato di quei messaggi in codice, né l'origine: Ivan era convinto si trovasse a Pskov, in Russia; altri erano pronti a giurare di averla individuata in altri luoghi di mezzo mondo.
Stanco e assonnato, la mezzanotte era passata da poco, controllò lo stato della pubblicazione della registrazione in Rete: completo! Pensò e decise di andare a dormire.
Cond0r46 era riuscito a intrufolarsi nei sistemi di sicurezza della Dassault Group, specializzata in aviazione militare, ed era sicuro che avrebbe trovato i dati super segreti di un nuovo modello di jet da guerra. «Tombola!» Esclamò. Era dentro. Adesso non doveva far altro che passare per i corridoi e riempire il carrello. Man mano che i dati venivano analizzati dal suo programma, notò che per qualche strana anomalia nella rete, di essere atterrato nel sistema di sicurezza dell'edificio, controllo delle telecamere compreso. Se non fosse stato per gli allarmi lanciati dai sensori, sarebbe uscito e avrebbe killato la connessione. Avviò lo streaming di una telecamera a circuito chiuso, la quale puntava verso l'ingresso in direzione delle porte. Due uomini uguali, gemelli verrebbe da pensare, apparentemente albini e glabri, indossavano un completo nero quando entrarono decisi e puntarono verso gli uffici, dove la telecamera non poteva vedere.
Cond0r46 cercò un'altra telecamera. Provò a rilevare altri allarmi dai sensori ma... connection timed out. Provò a ricollegarsi, ma niente: schermo nero. Fine dei giochi.
ffrrrsssshhhhfffffrrr 04 979 DRENDOUT 28 52 44 71 TRENERSKIJ 37 52 13 21 ffrrrsssshhhhfffffrrr
Annagiulia era da poco rientrata a casa. Accese la tv e, mentre svolgeva le faccende di casa, la sua attenzione fu catturata da un'edizione speciale del telegiornale; si accomodò sul divano, alzò il volume e seguì con attenzione l'inviata, che appariva visibilmente scossa. La tv però aveva qualche problema di ricezione.
«Qui Laura in diretta da zzZZZZzzzzZZZ per raccontarvi di un evento eccezionale: sembrava un nuovo attacco terroristico zzzzZZZZZzzz, quando una gruppo di velivoli ZZZzzzzzZZZ. I testimoni hanno riferito che erano neri e non sembravano fossero zzzZZZzzzzZZZ... per il momento la situazione sembra esser tornata alla normalità se non fosse per lo spavento. zzzZZZZZzzz.»
Si agitava nel sonno. Sembrava che tutti, lì, teste di cuoio comprese, potessero leggere nella sua mente. Dal passamontagna si intravedevano quegli occhi vitrei simili a quelli di un rettile, così freddi e dallo sguardo truce. Aspettavano qualcosa al buio, in silenzio, chini e con le armi pronte. Poi, piano piano cominciarono a sciamare verso un edificio abbandonato come se qualcuno avesse lanciato il comando. Uno di loro la fissava dritta negli occhi. Era nella sua mente: vedeva tutto ciò che lei vedeva, ne avvertiva la presenza dentro di sé, ma non comunicava, era familiare.
Si girò di nuovo dall'altra parte, nel sonno. Le teste di cuoio, così com'erano entrate nell'edificio, uscirono nel totale silenzio per poi ritornare ai loro furgoni neri e senza insegne, né targhe.
«Ma cosa...» Sognò di dire. Due uomini vestiti di nero, apparentemente albini e glabri, le davano le spalle, mentre in silenzio osservavano l'edificio bruciare. Quando le teste di cuoio furono tutte di nuovo a bordo dei furgoni, i due uomini vestiti di nero entrarono in una Ford modello anni ‘80 anch'essa nera, senza insegne, né targhe e andarono via. Il suo contatore geiger effettivamente segnalava la presenza di radiazioni insolitamente alte per la zona, tuttavia niente di pericoloso per la salute. Andy era giunto nei pressi di un edificio abbandonato dopo che la notizia del rogo spontaneo aveva scatenato la comunità ufologica internazionale. I segni di un rogo erano evidenti e alcuni muri diroccati poco più in là presentavano fori i cui contorni erano anneriti e netti: un laser così potente in grado di perforare i muri? Decenni fa una frana impediva l'accesso dalla ferrovia e dalla strada, così i treni furono dirottati verso un'altra linea più moderna e la piccola stazione fu abbandonata. Prima la sterpaglia e poi via via il bosco ingoiava l'edificio. Mentre proseguiva il giro raccontando il luogo e riprendendo con la sua GO PRO, notava che i binari erano fusi. Senso di smarrimento, di confusione,... si risvegliò nel suo letto; il sogno era ancora vivido nella sua mente, ricordava una forte luce che lo accecava un attimo prima di svegliarsi. Ricordava fin troppo e le sensazioni sembravano troppo reali per essere solo un sogno; forse si stava eccessivamente preoccupando, forse il lavoro era diventato troppo stressante e invasivo.
venerdì 3 novembre 2017
doccia fredda #24 Help
9 settembre
Seguito il
consiglio dell’amica Anna: basta riempire la casa di detersivi, meglio
comprarne uno multiuso. Trovata offerta al minimarket. Con pochi centesimi ho
avuto un litro di detergente.
Ansiosa di
verificare i risultati promessi.
10 settembre
Lavate finestre
del soggiorno. Smontate tende e messe in lavatrice. Passato battitappeto sul
divano.
Il nuovo
detersivo, HELP, è faaantastico.
11 settembre
Materassi
deacarizzati. Raschiata muffa dalle pareti della doccia. Scozzonati pensili
della cucina e rivestiti con carta a fiori rossi e blu.
Gli stessi
colori del flacone del mio nuovo detergente per la casa.
12 settembre
Lucidata
libreria in camera dei ragazzi. Lustrati ottoni delle testiere dei letti.
Sgominata polvere dalle mensole. La moquette non è venuta molto bene, avrà
bisogno di una seconda passata. In compenso il meraviglioso profumo del nuovo
detergente sta diventando il profumo della mia casa.
Soddisfatta.
13 settembre
Ho usato Help
per il forno e la lavastoviglie. Mi-ra-co-lo-so. Domani se non piove provo a
sgrassare il barbecue. Dovrebbe farlo Lui, visto che lo insudicia per le sue
serate tra uomini, ma sono troppo curiosa di vedere se il mio nuovo amico
funziona anche sul grasso bruciato.
Elettrizzata.
14 settembre
Il barbecue sembra
appena uscito dal negozio del ferramenta qui all’angolo. Mi piange il cuore al
pensiero che basterà una grigliata per rovinare un così bel lavoro.
Incredibile: la
stanza dei ragazzi è ancora in ordine. Peccato per quelle macchie sulla
moquette. Ma non mi arrendo.
Determinata.
15 settembre
La vicina di
casa mi osserva nascosta dietro le tende mentre tiro a lucido le assi dello
steccato. Sono sicura che muore dalla voglia di chiedermi il nome del mio nuovo
detersivo.
Crepa vecchia
ciabatta, non lo saprai mai!
16 settembre
Ho aspettato
un’ora davanti alla serranda chiusa del market. Ieri ho vaporizzato l’ultima
goccia di Help sul calcare ingiallito del water del bagno degli ospiti. Deve
essersi sparsa la voce: sullo scaffale era rimasta una sola bottiglia di Help.
Ora è mia!
17 settembre
La pentola dei
fagioli che ho cucinato… ieri? è ancora piena. Benedetti ragazzi e le loro
diete ipocaloriche. Ora mi tocca buttare tutto nella spazzatura. Questo lezzo
di legumi stantii sta vanificando il profumo meraviglioso che mi riempie le
narici da quando Help è con me.
17 settembre, ore diciannove e trenta
Non riesco a
leggere le istruzioni sul retro del flacone. Possibile che Help possa aiutarmi
a riportare in vita il servizio di argenteria di mia madre? Quanto sono
stupida, non mi resta che provare.
17 settembre, ore ventitré e trenta
E’ buffo
osservare la mia faccia sulla lama lucida del coltello da pietanza. Ma come
brilla! Cavolo, dovrei rifarmi la tinta, il solco nero che mi divide in due la
testa sembra lasciato dal dito sporco di grasso di un meccanico. Un meccanico
che non ha incontrato te, mio dolce, caro, preziosissimo Help.
18 settembre, ore due del mattino
Che strano,
credevo di aver un mucchio di panni sporchi da lavare e invece la cesta è vuota.
Ci avranno pensato i ragazzi? Magari sono mortificati di vedere la loro mamma
sgobbare come una forsennata da mattina a sera. Quasi, quasi domani gli preparo
una cheese cake… magari no, il forno è così puuulito.
18 settembre, ore sette
Sei pronto per
la sfida delle sfide, mio amato, adorato, insostituibile amico? Si, lo sei. Per
questo stamattina affronteremo le piastrelle della cucina. Il nemico che
abbiamo di fronte si fa forte di anni e anni di fritture. Ma noi lo
annienteremo… e adesso che ti succede? Ti si è otturato il beccuccio? Ho
capito, mi metti il broncio per via delle macchie persistenti sulla moquette in
camera dei ragazzi. Prometto che appena avremo finito con le piastrelle saliamo
di sopra.
Ora fa’ il tuo
dovere, da braaaavo.
18 settembre ore cinque del pomeriggio
Cazzo, cazzo,
cazzo. Ne ho abbastanza di voi, maledette macchie figlie di puttana. Non potete
farmi questo. Non potete restarvene lì dopo ore e ore che strofino, strofino, strofino.
Non vi permetterò di rovinare tutto. E non state lì a fissarmi, la colpa non è
di Help, lui è perfetto. La colpa è di quel deficiente che ho sposato. Gliel’ho
avrò detto mille volte che il panna non era adatto a una camera per ragazzi.
Adolescenti con la mania delle diete e del succo di mirtillo.
Ma a mali
estremi, estremi rimedi. In fondo mi basta un taglierino.
18 settembre ore cinque e un quarto
E’ sempre la
solita storia: quando hai bisogno di qualcosa non la trovi neanche se ti
impicchi. Eppure ricordo di averlo usato quel maledetto taglierino, dove
diavolo l’avrò lasciato? Forse…non resta che andare a vedere.
Sono così
stanca.
18 settembre ore cinque e trenta del pomeriggio
Cerco di non
lasciarmi prendere dallo sconforto. I piedi si trascinano sul parquet lucido
del corridoio. La porta del ripostiglio è a pochi metri ma sento che potrei non
farcela. Qualcosa mi chiude la gola, un miasma che sembra arrivare
dall’inferno. E una tremenda verità si fa strada nella mia testa: ho dimenticato
di pulire il ripostiglio.
Mi
avvicino, adesso ci sono. La mano destra
si ritira davanti alla maniglia tutta incrostata. Un liquido scuro scivola
fuori da sotto la porta e aggredisce la punta delle ciabatte. Mio Dio ha un
odore orribile. Mi tappo il naso e la bocca reprimendo l’impulso di vuotare lo
stomaco. Ma mentre resto paralizzata dal disgusto questa merda continua a
uscire, mi circonda. Se mi muovo la spanderò dappertutto.
Okay, resto
ferma. Tanto si sta facendo ora di cena. Tra poco rientreranno tutti.
A salvarmi.
mercoledì 1 novembre 2017
Doccia fredda #23 Il piano
Il piano
«Troppo rischioso» disse Stan, la faccia torva.
Joey annuì. «Non ho alternative.»
«Come no?» Stan allargò le braccia. «Aspetti il processo, ti danno due o tre anni, ti armi di pazienza e quando esci stai meglio di prima.»
«Seee!» Joey allargò le mani. «Sai in due o tre anni quanti altri se ne trova Sarah?»
«Chi se ne frega di Sarah, mica devi sposarla.»
«Veramente sì.»
«Ma chi, quella?» Stan si spalmò la mano sulla fronte. «Joey, a suo tempo l’ho conosciuta pure io, Sarah. In senso biblico, mi capisci? Io e tutta la banda.»
Joey strinse i denti. «Non mi provocare, Stan. Guarda che Sarah con me fa sul serio. Quindi non mi provocare o ti ammazzo.»
«Eh. Bravo. Allora sì che la galera te la fai a vita.»
«La galera non me la faccio, io.» Si chinò e abbassò il volume. «Perché stanotte scappo.»
Stan si guardò intorno: nessuno che facesse caso a loro. «Questo me l’hai detto. Mi hai pure detto che prima vuoi scendere dalla finestra che hai scardinato, e poi scavalcare l’angolo del cortile vicino alla grondaia. Ma lo sai che ci mettono un attimo, i secondini, a tirarti giù a colpi di fucile?»
Joey sogghignò. «Non questa notte.»
«Ah no.»
«No, perché stanotte alle torrette del cortile ci sono Gordeyev e Lewis.» Proseguì con un filo di voce. «Gli ho fatto avere dei soldi.»
Stan curvò le sopracciglia. «A Lewis?»
«No, a Gordeyev.»
«Oh cazzo. Quanto?»
«Trecento subito. Altri millesette fra due settimane. Gli fanno comodo: divorzio, alimenti, debiti.» Intrecciò le dita e le fece scrocchiare. «Ha accettato quasi subito, quando gliel’ho fatto capire. Non è uno stupido.»
«Su questo ci sarebbe da discutere.»
«Okay, non sarà un genio, ma a due più due ci arriva.»
«Joey.» Stan gli mise una mano sulla spalla. «Alex Gordeyev è quello che al bingo di Natale non si era accorto di aver fatto cinquina. Quello che si è fatto beccare dalla moglie pluricornuta perché non cancellava i messaggi dal telefonino.»
«E allora? Se è un cretino che si mette nei guai, vantaggio mio. Non si accontenterà di un uovo oggi; starà ai patti per avere anche la gallina domani.»
«Ma tu ce l’hai, la gallina?»
«Se esco, sì che ce l’ho. Quasi ottomila galline, ben nascoste.» Notò lo sguardo stupito di Stan. «Ho risparmiato.»
«E per l’uovo come fai?»
«Già consegnato.» Sorrise. «Ci ha pensato Sarah.»
Stan spalancò gli occhi. «Quindi lei sa dove stanno i… le galline?»
«Per forza, se no dove li prendeva i trecento?»
«E se adesso sparisce con tutto il pollaio?»
Joey sbattè il pugno contro la panca. «T’ho detto di smetterla, Stan! E poi anche se volesse farlo, e comunque non vuole, sa che troverei il modo di mandarle dietro qualcuno.»
«Quindi rispiegami» sospirò Stan. «Com’è che funziona…?»
«Alle tre, tutte le notti che è di turno, Lewis si assenta un paio di minuti, il tempo di prendere non so quale medicina.» Guardò bene in faccia Stan per assicurarsi che lo seguisse. «Io un po’ prima mi calo dalla finestra, che c’ho impiegato tre settimane a venire a capo delle sbarre e ho dovuto farmi aiutare da Rico. Dicevo, scendo e mi piazzo dietro il cassonetto della parete dove stanno le cucine. Appena Lewis va di sotto, Gordeyev fa finta di stiracchiarsi, e quello è il segnale. Corro fino all’angolo, salgo, arrivo in cima e scendo dall’altra parte.»
«Sali? Come niente fosse?»
«Eddai, Stan. Sono quattro anni che faccio furti in appartamento e mi alleno alle scalate. Dammi una parete con due crepe e mezzo mattone, e io vado su come uno scoiattolo.»
L’altro lo guardò per traverso. «E il filo spinato?»
«Cesoie belle affilate» sussurrò Joey, con il sorriso tronfio di chi rivela un segreto importante. «Procurate ieri, proprio da Gordeyev.»
«Oh.» Stan si accarezzò il mento. «Allora c’è dentro per davvero.»
«Dentro fino al collo.»
Le dita di Stan tamburellavano. Faceva sempre così, Stan, quando pensava. Dopo un po’, emise un verso che non si capiva se fosse perplesso o convinto. «Resta un piano rischioso. Tante cose che devono filare lisce, una dietro l’altra.»
«Ci credo, è un’evasione.»
«Se ti beccano?»
Joey alzò le spalle. «Se mi beccano, mi aumentano la pena. Ma è uguale, tre anni o cinque o dieci, se devo perdere Sarah. Lei ha detto che mi aspetta, ma… lo sai come va. Adesso ci crede, magari fra sei mesi no.»
Stan gli piantò gli occhi addosso. «Vorrei dirti che sei un coglione. E infatti lo sei. Però ti dico anche che hai le palle.» Gli diede una pacca su una spalla. «Può funzionare, ma prudenza e occhi aperti, eh?»
Joey gli strinse forte la mano. «Prima o poi ci si rivede, Stan.»
* * * * *
«E dunque?»
«Dunque, encomio e premio.» L’uomo ridacchiò e stese le gambe. «Per l’ottimo svolgimento del mio lavoro.»
«Dici che Joey ha sofferto?»
«Nah.» Un ultimo sorso dalla bottiglietta. «Due proiettili dritti in mezzo alla schiena, non avrà fatto in tempo a dire bao.»
Lei si fregò le mani. «Sapevo che su di te potevo contare, Alex. Sei stato fantastico.»
«E certo.» La tirò verso di sé. «Joey era un coglione. Secondo me credeva di averlo pensato lui, il piano.»
La ragazza rise. «A certi uomini basta buttare la parola giusta al momento giusto, e il cervello gli va dritto dove conviene che vada.»
«Sei stupenda, Sarah.» Il secondino la baciò vorace, lei lo lasciò fare. «Mi allunghi un’altra birra?»
«Certo, tesoro.» Sarah si alzò e raggiunse il tavolo su cui erano appoggiati il sacchetto della spesa, uno zaino semiaperto da cui sbucavano delle banconote, e il suo giacchetto. Infilò una mano nella tasca, estrasse una calibro 22 col silenziatore. «Arriva subito.»
«Troppo rischioso» disse Stan, la faccia torva.
Joey annuì. «Non ho alternative.»
«Come no?» Stan allargò le braccia. «Aspetti il processo, ti danno due o tre anni, ti armi di pazienza e quando esci stai meglio di prima.»
«Seee!» Joey allargò le mani. «Sai in due o tre anni quanti altri se ne trova Sarah?»
«Chi se ne frega di Sarah, mica devi sposarla.»
«Veramente sì.»
«Ma chi, quella?» Stan si spalmò la mano sulla fronte. «Joey, a suo tempo l’ho conosciuta pure io, Sarah. In senso biblico, mi capisci? Io e tutta la banda.»
Joey strinse i denti. «Non mi provocare, Stan. Guarda che Sarah con me fa sul serio. Quindi non mi provocare o ti ammazzo.»
«Eh. Bravo. Allora sì che la galera te la fai a vita.»
«La galera non me la faccio, io.» Si chinò e abbassò il volume. «Perché stanotte scappo.»
Stan si guardò intorno: nessuno che facesse caso a loro. «Questo me l’hai detto. Mi hai pure detto che prima vuoi scendere dalla finestra che hai scardinato, e poi scavalcare l’angolo del cortile vicino alla grondaia. Ma lo sai che ci mettono un attimo, i secondini, a tirarti giù a colpi di fucile?»
Joey sogghignò. «Non questa notte.»
«Ah no.»
«No, perché stanotte alle torrette del cortile ci sono Gordeyev e Lewis.» Proseguì con un filo di voce. «Gli ho fatto avere dei soldi.»
Stan curvò le sopracciglia. «A Lewis?»
«No, a Gordeyev.»
«Oh cazzo. Quanto?»
«Trecento subito. Altri millesette fra due settimane. Gli fanno comodo: divorzio, alimenti, debiti.» Intrecciò le dita e le fece scrocchiare. «Ha accettato quasi subito, quando gliel’ho fatto capire. Non è uno stupido.»
«Su questo ci sarebbe da discutere.»
«Okay, non sarà un genio, ma a due più due ci arriva.»
«Joey.» Stan gli mise una mano sulla spalla. «Alex Gordeyev è quello che al bingo di Natale non si era accorto di aver fatto cinquina. Quello che si è fatto beccare dalla moglie pluricornuta perché non cancellava i messaggi dal telefonino.»
«E allora? Se è un cretino che si mette nei guai, vantaggio mio. Non si accontenterà di un uovo oggi; starà ai patti per avere anche la gallina domani.»
«Ma tu ce l’hai, la gallina?»
«Se esco, sì che ce l’ho. Quasi ottomila galline, ben nascoste.» Notò lo sguardo stupito di Stan. «Ho risparmiato.»
«E per l’uovo come fai?»
«Già consegnato.» Sorrise. «Ci ha pensato Sarah.»
Stan spalancò gli occhi. «Quindi lei sa dove stanno i… le galline?»
«Per forza, se no dove li prendeva i trecento?»
«E se adesso sparisce con tutto il pollaio?»
Joey sbattè il pugno contro la panca. «T’ho detto di smetterla, Stan! E poi anche se volesse farlo, e comunque non vuole, sa che troverei il modo di mandarle dietro qualcuno.»
«Quindi rispiegami» sospirò Stan. «Com’è che funziona…?»
«Alle tre, tutte le notti che è di turno, Lewis si assenta un paio di minuti, il tempo di prendere non so quale medicina.» Guardò bene in faccia Stan per assicurarsi che lo seguisse. «Io un po’ prima mi calo dalla finestra, che c’ho impiegato tre settimane a venire a capo delle sbarre e ho dovuto farmi aiutare da Rico. Dicevo, scendo e mi piazzo dietro il cassonetto della parete dove stanno le cucine. Appena Lewis va di sotto, Gordeyev fa finta di stiracchiarsi, e quello è il segnale. Corro fino all’angolo, salgo, arrivo in cima e scendo dall’altra parte.»
«Sali? Come niente fosse?»
«Eddai, Stan. Sono quattro anni che faccio furti in appartamento e mi alleno alle scalate. Dammi una parete con due crepe e mezzo mattone, e io vado su come uno scoiattolo.»
L’altro lo guardò per traverso. «E il filo spinato?»
«Cesoie belle affilate» sussurrò Joey, con il sorriso tronfio di chi rivela un segreto importante. «Procurate ieri, proprio da Gordeyev.»
«Oh.» Stan si accarezzò il mento. «Allora c’è dentro per davvero.»
«Dentro fino al collo.»
Le dita di Stan tamburellavano. Faceva sempre così, Stan, quando pensava. Dopo un po’, emise un verso che non si capiva se fosse perplesso o convinto. «Resta un piano rischioso. Tante cose che devono filare lisce, una dietro l’altra.»
«Ci credo, è un’evasione.»
«Se ti beccano?»
Joey alzò le spalle. «Se mi beccano, mi aumentano la pena. Ma è uguale, tre anni o cinque o dieci, se devo perdere Sarah. Lei ha detto che mi aspetta, ma… lo sai come va. Adesso ci crede, magari fra sei mesi no.»
Stan gli piantò gli occhi addosso. «Vorrei dirti che sei un coglione. E infatti lo sei. Però ti dico anche che hai le palle.» Gli diede una pacca su una spalla. «Può funzionare, ma prudenza e occhi aperti, eh?»
Joey gli strinse forte la mano. «Prima o poi ci si rivede, Stan.»
* * * * *
«E dunque?»
«Dunque, encomio e premio.» L’uomo ridacchiò e stese le gambe. «Per l’ottimo svolgimento del mio lavoro.»
«Dici che Joey ha sofferto?»
«Nah.» Un ultimo sorso dalla bottiglietta. «Due proiettili dritti in mezzo alla schiena, non avrà fatto in tempo a dire bao.»
Lei si fregò le mani. «Sapevo che su di te potevo contare, Alex. Sei stato fantastico.»
«E certo.» La tirò verso di sé. «Joey era un coglione. Secondo me credeva di averlo pensato lui, il piano.»
La ragazza rise. «A certi uomini basta buttare la parola giusta al momento giusto, e il cervello gli va dritto dove conviene che vada.»
«Sei stupenda, Sarah.» Il secondino la baciò vorace, lei lo lasciò fare. «Mi allunghi un’altra birra?»
«Certo, tesoro.» Sarah si alzò e raggiunse il tavolo su cui erano appoggiati il sacchetto della spesa, uno zaino semiaperto da cui sbucavano delle banconote, e il suo giacchetto. Infilò una mano nella tasca, estrasse una calibro 22 col silenziatore. «Arriva subito.»
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