Lo ha scritto Francesco Scipione e si intitola "Yellow fleet"
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Quando Luigi tornò a casa dopo la scuola, trovò suo padre,
il Colonnello Astolfi degli Incursori della Marina, seduto al tavolo della
camera da pranzo. Non gli era mai capitato di trovarlo a casa al suo ritorno.
Intorno a lui tanti scatoloni catalogati e un via vai di giovani militari che
li accatastavano uno sull’altro. Suo padre aveva un’espressione grave. Gli
appoggiò una mano sulla spalla e gli disse:
“Dobbiamo partire. Ti porterò in Egitto, dove ci sono le
piramidi dei faraoni” e abbozzò un sorriso, ben sapendo che stava indorando una
pillola molto più indigesta. Gli mise in mano cinque pacchetti di figurine
dell’album degli animali, sentendosi ancora più in colpa.
“Mentre finiamo di fare le valigie, vai ad attaccare le
figurine all’album. Tra un’ora arriverà la macchina che ci porterà
all’aeroporto”.
Sua madre aveva apparecchiato alla meno peggio il tavolo
della cucina. Luigi aveva fame, ma non aveva che un pensiero: Lisa.
“Mamma, posso chiamare Lisa per avvertirla che partiamo?”
“No Luigi, sai che non è possibile”
Pensò di inscenare un capriccio con pianti e urli, ma già
sapeva che sarebbe stata fatica sprecata e che nulla avrebbe smosso la militare
volontà di suo padre di tenere nascosta quella partenza.
Si mise allora in un angolo ad aprire i pacchetti di
figurine. E, quando aveva già perso le speranze, eccolo lì: l’ornitorinco. La
gioia del ritrovamento fu pari solo al rammarico di non poterla condividere.
Promise a se stesso di non attaccare quella figurina, l’ultima per completare
l’album, se non insieme a Lisa. Ed avrebbero riso insieme per aver completato
la collezione.
Il trasferimento in Egitto si completò in un paio di giorni.
Un anno circa di permanenza nella terra dei Faraoni. Quello era, nei piani di
suo padre e dei suoi superiori, il tempo da trascorrere lì. La crisi di Suez a
seguito della guerra dei sei giorni obbligava i convogli ad essere scortati
durante il delicato attraversamento del Canale. Ma la cosa che nessuno sapeva,
era che il Colonnello Astolfi avrebbe scortato una delle quindici unità di
quella che poi si sarebbe chiamata Yellow Fleet. Come quelle navi, rimasero
prigionieri in Egitto per otto lunghissimi anni.
Quando tornarono a Roma, Luigi era uno sportivo adolescente.
Dimostrava più anni della sua età. Ma durante il suo “esilio” non aveva
dimenticato Lisa e la prima cosa che fece fu di andare a cercarla a casa sua.
Mise in tasca la figurina dell’ornitorinco, che aveva gelosamente custodito in
una scatolina di metallo insieme ad altre cianfrusaglie. Avendo cambiato
quartiere, prese l’autobus per raggiungere la sua casa e, durante il tragitto,
sentì il cuore battere di un ritmo tutto suo: allegro e leggero. Esattamente
come si sentiva lui.
Ma Lisa e la sua famiglia non abitavano più li. Seppe da una
vicina che incontrò al portone che suo padre era morto e che la famiglia era
stata costretta a trasferirsi presso parenti, di cui nessuno conosceva
indirizzo o quartiere.
Luigi si appoggiò a una macchina, deluso. Era la seconda
volta, nella sua breve vita, che aveva avuto la certezza che le cose belle non
durano. E fu quella esperienza a segnare la sua vita. Che non volle mai
condividere con nessuno. “Le cose belle non durano”.
Luigi Astolfi diventò professore di latino e greco, seguendo
la sua passione per i classici e la sua intelligenza letteraria. Da cinque anni
insegnava al Liceo Classico di Rieti. Quel giorno, di ritorno da scuola, decise
di fare due passi per il corso principale e si fermò alla libreria “Book
Pusher”, dove era solito rifornirsi.
All’interno del locale notò le sedie e il tavolo in fondo
alla saletta, usata solitamente per la presentazione di libri e scrittori. I
due titolari erano molto attenti ai nuovi autori e Luigi aveva partecipato
spesso a quegli eventi.
“Cosa c’è in programma?” chiese Luigi.
“Una scrittrice esordiente, Lisa Costanzi. Presenta il suo
libro ‘Marcello da oggi non viene più’. È un bel libro e ha vinto un premio
importante. Sarei felice se venissi. Cristina farà da relatrice”.
Il cuore di Luigi prese a battere a modo suo. Come gli era
successo tanti anni prima su quell’autobus che, sperava, lo avrebbe riportato da
Lisa. Come non gli era più capitato nella sua vita.
Rientrò a casa senza accorgersene. Mangiò qualcosa
controvoglia e si mise a correggere i compiti dei suoi alunni, sperando che il
tempo passasse come voleva lui. Ma non fu così.
Prima di uscire di casa cercò, nel fondo di un cassetto,
quella scatolina metallica con dentro la figurina dell’ornitorinco, ingiallita
dal tempo, ma vivida nel ricordo. La mise nella tasca interna della giacca, per
essere sicuro di non perderla.
Quasi non si accorse della pioggia mista a neve che da venti
minuti sta preludiando l’inverno. Aprì la porta della libreria, accompagnato
dal suono argentino della campanella vintage.
…Si toglie il cappotto umido, non ha freddo. Si muove
lateralmente, in punta di piedi, per non disturbare la piccola platea. Si siede
in prima fila, dopo aver appallottolato e messo in tasca il cartellino
“riservato” presente sulla sedia.
Lisa è lì, che lo guarda senza capire il perché. Ha lasciato
il pubblico in sospeso in attesa di una risposta, gli pare di capire. Per lui
non è importante. Mette la mano nella tasca interna della giacca, prende la
figurina e si alza per porgerla a Lisa.
“L’ornitorinco!”, esclama soddisfatto, sovrapponendo la sua
voce a quella di Cristina. E ride, felice, coprendosi la bocca con le mani,
come faceva da bambino per coprire il moncone dell’incisivo sinistro. E capisce
che Lisa lo ha riconosciuto quando la sente esclamare confusa “Luigi è tornato…
Cioè ‘Marcello è tornato’. Questo, questo è il titolo del prossimo romanzo”.
In serata celebrarono felici il funerale a “Le cose belle
non durano”.
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