Le note lo raggiunsero insieme all’odore freddo e umido della
pioggia che lo aspettava all’uscita dalla metro. Demis riconobbe L’Inverno di Vivaldi nel
volteggio dell’archetto sul violino e rallentò il passo. Il musicista ambulante
non gli badò. D’altronde erano mesi che si esibiva in quell’angolo al riparo
dal vento e Demis non lo aveva mai degnato di attenzione. Tantomeno di un
obolo.
“Sarà che manca un mese a Natale…”, si disse lanciando un euro
nella custodia aperta del violino. Il suono della moneta a contatto con le
altre fu lievissimo. Ma bastò a fermare il profluvio di musica. L’ambulante
aprì gli occhi e per la prima volta Demis si rese conto che aveva una faccia.
“Da oggi a Natale”, disse trapassandolo con pupille di castagna,
“sta’ lontano dai fili.”
“Come?”
L’uomo abbassò lo strumento e si protese verso di lui.
“Ho detto: da oggi a Natale, sta’ lontano dai fili.”
Poi l’archetto tornò a stuzzicare le corde e la musica
interruppe ogni contatto.
Demis si strinse nelle spalle.
“Pioggia e oracolo delirante. ‘Sta giornata è tutto un
programma”, borbottò affrontando il primo scroscio sulle strisce pedonali. Fu
fradicio prima ancora di raggiungere il marciapiede opposto. Più che entrare in
sede, si tuffò nel tepore al di là delle porte a vetri.
“Ma vaffanc…”
“Problemi con la nuova fotocopiatrice?”, chiese Giovanna
aiutandolo ad alzarsi.
“Chi è quel genio che ha teso il filo in mezzo alla stanza?”, la
assalì, massaggiandosi un ginocchio.
“Volevo provarla. Fatto molto male?”
Stava per risponderle a tono, poi il suo sguardo fu catturato
dal grosso, spesso filo
nero che l’ultimo acquisto dell’agenzia (ultima conquista del capo) si affrettò
a riavvolgere.
Da oggi a Natale sta’ lontano dai fili.
L’avvertimento gli rimbalzò addosso ma il disagio arrivò solo
quando, una volta a casa, si scoprì a pensare che potevano essere fili anche le corde del
vecchio ascensore che toccava terra cigolante. Inforcò le scale sentendosi un
idiota. Di più, rise di se stesso mentre apriva la porta e si trovava davanti
Susanna in piedi sulla scala.
“Arrivi a proposito. Si è incastrato il carrello della tenda.”
Demis si ritrovò il filo in mano prima di avere il tempo di
pensare.
“Facciamo il contrario”, propose sentendosi subdolo.
Fu felice di lasciarle la manovra e di salire sulla scala.
“Ora sembra tutto a posto…”, disse, la testa ancora infilata tra
le pieghe della mantovana.
“Ok, allora scendi.”
Non ne ebbe bisogno. La scala gli si aprì sotto, catapultandolo
sul divano.
“Bel numero!” rise Susanna.
“Bel numero un cazzo. Vado a farmi una doccia.”
Ormai era alla paranoia. Se ne stava sotto il getto della
cipolla meditando se era giusto pensare al tubo della doccia come a un filo. A scanso di
equivoci, evitò di toccarlo.
Quando poi impedì a Susanna di legarlo alla testata del letto
con la cinta dell’accappatoio, privandola del suo giochetto preferito, realizzò
che il violinista ambulante aveva vinto. Fino a Natale si sarebbe tenuto alla
larga da tutto ciò che anche lontanamente poteva chiamarsi filo. Compreso quello
interdentale.
Fu un mese lunghissimo. Si privò dell’auricolare per il
telefonino e delle cuffiette dell’Ipod. Rinunciò in un colpo solo alle Nike,
alla corda e alle lezioni di boxe. Si tenne a distanza dai fili per il bucato e
dagli elettrodomestici in genere. Si rifiutò di fare l’albero di Natale, troppi
fili, preferendo per la prima volta in vita sua il presepe. Ma senza luci.
Bandì gli adorati spaghetti dalla sua dieta e chiuse in un cassetto la catenina
d’oro che avrebbe potuto strangolarlo nel sonno. Era talmente preso a dribblare
le migliaia di fili
che lo assediavano da rendersi a stento conto delle perplessità sempre più
forti di Susanna.
“Demis, si può sapere dove stai andando? I miei stanno per
arrivare.”
“Ho dimenticato una cosa. Faccio in un lampo.”
Corse giù per le scale. Ancora un solo giorno e quella follia
sarebbe finita. Intanto però aveva dimenticato di prendere un regalo per
Susanna. Il vicino centro commerciale restava aperto fino a tardi e lo benedì
mentre lanciava l’auto nel parcheggio e correva dentro. La folla dei
ritardatari natalizi stava scemando. La cena della Vigilia era praticamente in
tavola e Demis si guardò intorno, alla ricerca di una profumeria.
Era da stronzi presentarsi col solito profumo, però meglio che
niente. Avrebbe rimediato non appena il conto alla rovescia si fosse fermato
con lo scoccare della mezzanotte.
“Avresti fatto meglio ad ascoltare il mio consiglio.”
Quella voce si materializzò alle sue spalle. Demis si voltò e lo
vide.
Vide lui.
Vide la custodia del violino.
Vide il mitra che ne uscì.
Ma, soprattutto, vide lo striscione che dava il benvenuto ai
clienti del centro commerciale “I Fili”.
Poi Demis non vide più nulla.
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