giovedì 23 giugno 2011

I miei articoli per "La Sesia": uomini piccoli e piccoli uomini

Dalle stalle alle stelle nel giro di tre giorni. I precari italiani sono abituati a tutto, ma c’è di che avere le idee confuse. Era il 15 giugno e un ministro della Repubblica, noto per le uscite infelici e la piccola statura, voltava le spalle a una delegazione di precari romani (l’aggettivo non è messo lì a caso) sibilando: “questa è l’Italia peggiore”. Poi, fedele alla moda del momento, dirà di essere stato frainteso. Non sarebbero i precari tout-court l’Italia peggiore. Lui si riferiva ai precari romani, notoriamente figli di papà che non han voglia di lavorare. Neanche il tempo di considerarsi fortunato per non esser nato nella vituperata capitale, ormai seconda solo ad Arcore come erede di Sodoma e Gomorra, che a Bologna il precariato nazionale veniva omaggiato dall’ipercinetico Roberto Benigni. A una platea di decine di migliaia di lavoratori il dantesco folletto premio Oscar gridava: “Siete voi l’Italia migliore”. Nell’altalena tra meglio e peggio, i precari hanno raccolto, mentre scriviamo, anche l’appoggio del Pontefice che non per la prima volta ha stigmatizzato una condizione sociale che impedisce ai giovani di pianificare una famiglia, una casa, un futuro. E se è vero che parlare di un problema è il primo passo per risolverlo, resta la situazione di chi, piccolo uomo insultato da un uomo piccolo, deve fare i conti con la realtà. Chiamiamolo Giacomo. Ha 22 anni e, forte di frotte di laureati disoccupati, dopo il diploma ha deciso di non studiare più. Giacomo è romano e aveva 18 anni quando ha cominciato a lavorare. Contratti di quattro mesi come magazziniere presso una catena di supermercati. Orari di lavoro massacranti, la pretesa che l’ultimo arrivato facesse i turni più pesanti, il miraggio di un contratto a sei mesi, poi quello di un anno, poi chissà? Giacomo tiene duro. Lavora duro. Guadagna 800 euro al mese e comincia a fare piccoli progetti. Una macchina, per esempio. Vive ancora con i genitori. Papà garantisce per il finanziamento. È contento, Giacomo. Si sente padrone della propria vita. Azzarda un regalo alla sorella, un pensierino alla mamma, un week-end con gli amici. Ma un bel giorno arriva la doccia fredda: non gli rinnovano il contratto. Da precario a disoccupato, senza la speranza di una chiamata dopo venti giorni. La macchina da finire di pagare, la famiglia che lo supporta, ma lo sprona a tentare altre strade. Invia curricula, pellegrina tra supermarket e centri commerciali. Passano i mesi e si apre uno spiraglio. Lo prendono in prova, gratis, per un mese. Giacomo ci rimette di benzina ma tace. Lavora 7 ore al giorno con una pausa di soli 5 minuti ma tace. Gli viene detto che mai e poi mai avrà un contratto a tempo indeterminato, ma tace. Anzi, spera di essere preso. Per pagare la macchina, per non essere di peso alla famiglia, per non sentirsi l’Italia peggiore. Lui che il peggio dell’Italia se lo vive sulla pelle ogni giorno.

Laura Costantini

2 commenti:

  1. Ha pensato a emigrare? Al suo posto, ancora anni fa, io l'ho fatto e tutto sommato con soddisfazione. Non mi pare che abbia niente a trattenerlo qui.

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  2. triste... ma se avesse studiato dopo le superiori, oggi avrebbe prospettive migliori, magari anche per emigrare, come dice Corentin. Non dimentichiamo che l'Italia è uno dei paesi d'Occidente con il minor numero di laureati; per me questo ha più di qualche relazione con la brutta situazione in cui ci troviamo.

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