Vittorio, Debora e Daniele. Tre persone qualunque. Due di loro, casualmente, lavoravano intv. Ma non si conoscevano. Avevano età, esperienze, luoghi di nascita diversi. Vite che non si sono mai incrociate se non su queste righe, esattamente mentre le leggete. Perché Vittorio, Debora e Daniele avevano, tutti e tre, un profilo facebook. Come milioni di altre persone in questo paese. Vero. Ma Vittorio, Debora e Daniele sono morti. E i loro profili continuano a vivere. Le loro foto ad apparire nella home-page degli “amici”, i loro status di quando erano ancora tra noi a essere ricordati in una delle nuove funzioni del social network. Virtualmente Vittorio, Debora e Daniele sono e resteranno vivi, almeno fino a quando qualcuno non si prenderà la briga di comunicare con la casa madre di Facebook, in quel di Palo Alto, California, per ottenere la fine di questa struggente, crudele simulazione di immortalità. Vittorio era una persona di mezza età. Il social network lo teneva in contatto con persone che non conosceva né avrebbe mai conosciuto fisicamente. Con loro scambiava pensieri, opinioni, le canzoni preferite, un giudizio politico ogni tanto, il parere su un film o una partita. Poi, un giorno, Vittorio si è sparato. Non aveva dato alcun segno. Non su facebook. Il giorno prima si spara e il giorno dopo sul suo profilo ci sono le solite cose: il buongiorno, leggi questo e fatti due risate, il link all’articolo che denuncia, ancora e sempre, l’arroganza della casta. Ci vuole tempo perché gli amici, quelli veri, diano la notizia. E allora il profilo di Vittorio si anima come mai prima. Preghiere, ricordi, invettive, un lutto digitale e collettivo sovrastato dalla domanda di sempre: Perché non abbiamo capito? Perché, nel momento in cui hai deciso, non c’era nessuno davanti allo schermo a dirti di non farlo? Il profilo di Vittorio, a distanza di due anni dal suicidio, è ancora lì. Nessuno ha la password per chiuderlo e gli amici continuano a frequentarlo. Debora avrebbe compiuto 28 anni ad agosto. Due giorni prima è stata investita da un’auto. Prima che si sapesse della sua morte, il profilo è stato tutto un fiorire di foto di torte e rose rosse per omaggiare il suo compleanno e la sua voglia di vivere. Dopo e chissà ancora per quanto, è tutto un incontrarsi di persone che le volevano bene. Magari non l’avevano mai incontrata, ma continuano a volerle bene e a cercare nello scambio consolazione all’ennesimo perché. Perché morire così, in una sera d’estate, a pochi passi da casa? Daniele aveva 32 anni e centinaia di amici. Ma erano in pochi a sapere che quella cicatrice sulla fronte non la doveva a un incidente, ma a un tumore al cervello che, alla fine, se l’è portato via. Sul suo profilo restano le foto, sempre sorridenti, e la testimonianza di quanto fosse realmente amato. Chissà che ne pensa sua madre, ma viene da pensare che la morte, ai tempi di Facebook, possa avere un sapore diverso. Magari appena più dolce.
Laura Costantini
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti non espressamente firmati e/o sgradevoli verranno cancellati dalle proprietarie di questo blog.