lunedì 31 dicembre 2012

L'anno che sta arrivando...


... tra un anno passerà. Io mi sto preparando. E' questa la novità...
Così canta quel grandissimo di Lucio Dalla. Una delle sue canzoni più belle e più significative. E da qui parto. Odio fare gli auguri, perché si dimentica sempre qualcuno. Perché sembrano un obbligo. Perché sono, per forza di cose, superficiali. E perché ognuni di quelli che si aspettano di riceverli, vorrebbe che io dedicassi una telefonata, un biglietto, un tempo più o meno lungo.
Ebbene, siete tutti tutti tutti nei miei pensieri, ma di tempo non ne ho a sufficienza.
Oggi lavoro nonostante un poderoso raffreddore. Mia mamma è a casa che aspetta il mio ritorno e anche lei è raffreddatissima. Festeggeremo così, a suon di starnuti e soffiate di naso. Ma va bene lo stesso, perché questa giornata di festa obbligatoria, di casino istituzionalizzato non l'ho mai amata. Così come non ho mai amato il dovere di divertirsi.
A me le feste, quelle col trenino, le musichette sudamericane, i cotillons e tutti che gridano AUGURIIII, mi fanno una tristezza, ma una tristezza...
Insomma. Un nuovo anno sta arrivando. Come ho già detto varie volte, voglio con tutta me stessa (e lo voglio per tutti, compreso questo disastrato paese) che sia migliore di quello che sta finendo. E potrei dire che non ci vorrà molto. Ma sarei ingiusta.
Il 2012 è stato lunghissimo, faticoso, stressante, ma ha visto, per quel che mi riguarda, dei risultati importantissimi.
Vi avverto che, da questo punto in poi, andiamo sul personale e quindi siete autorizzati a fregarvene e cliccare altrove.
Dicevo dei risultati:
1) mia mamma sta bene;
2) sono stata assunta a tempo indeterminato;
3) ho pubblicato due romanzi (insieme a Lory) cui tenevamo molto, Carne Innocente (Historica Edizioni) e Il destino attende a Canyon Apache (Las Vegas Edizioni);
4) scrivo e mi sono inventata la rubrica Scrivere Donna sul sito www.scrivendovolo.com ;
5) scrivo e gestisco una piccola rubrica di opinioni sul bisettimanale "La Sesia" di Vercelli;
6) scrivo e, sempre insieme a Lory, abbiamo due racconti importati da consegnare entro gennaio;
7) non so se si è capito ma... scrivo.

Ho avuto modo di conoscere meglio delle persone splendide, di incontrarne di nuove, di entrare in contatto con donne che, come me, hanno fatto della scrittura una passione assoluta.
Non potevo chiedere di più all'anno della (mancata) fine del mondo.
Mi riservo tutte le richieste ulteriori per il 2013.
Un bel numero dispari, ma tondo, con un bel 3, come il mio anno di nascita.
Andra bene, ragazzi. Andrà meglio. Questo mi sento di augurarmi e augurarci. Con affetto.

giovedì 20 dicembre 2012

La fine del mondo...

Ammettiamolo. Ci stiamo pensando. Sul serio. Domani sarà il 21/12/2012. La fine del mondo, secondo il calendario Maya. Il fatto che tg nazionali si sentano in dovere di dedicare servizi e approfondimenti all'evento, per spiegarci che la data è frutto di un'interpretazione sbagliata del calendario precolombiano, la dice lunga sulla presa che la profezia ha avuto in anni (pare se ne parli dal 1975) di martellamento mediatico. Adesso ci siamo. Solo che la fine non è un sipario che cala bruscamente. È un processo in divenire e lo abbiamo sotto gli occhi. La fine del mondo, del mondo come lo abbiamo concepito negli ultimi decenni, è accaduta. Anzi, continua ad accadere. E se il primo a decifrare il calendario Maya si è sbagliato sulla data, possiamo però dargli  ragione sull'annus horribilis che ci siamo trovati a vivere. Duemiladodici. Oltretutto bisestile, per non farci mancare nulla. Abituati come siamo a piangerci addosso, la fine del mondo per noi italiani passa dalla rata definitiva dell'Imu, dal carobenzina e dal calo dei consumi, prima ancora che dalla scoperta che i nostri amministratori, da qualunque lato dell'arco costituzionale provengano, son convinti di potere e dovere vivere a nostre spese. Abbiamo, tutti noi, pagato le cartucce dell'amministratore con la passione venatoria o le creme di bellezza dell'igienista dentale. Intanto da gennaio a oggi sono state moltissime (100? 120? 80?) le donne assassinate da uomini che le consideravano una proprietà inalienabile. Intanto un giovane su tre è disoccupato e lo resterà. Intanto la nostra principale risorsa, il patrimonio artistico, se ne va in malora. Pompei si sgretola. Gli scavi si ricoprono di terra e deve lanciare un appello un australiano, Russel Crowe, per perorare il salvataggio della tomba del gladiatore Macrino. Il comune di Roma 3 milioni di euro non li ha. Ma se alziamo lo sguardo dalle disgrazie nazionali vediamo che in Spagna si sono suicidati in 7 negli ultimi tre mesi. Erano stati sfrattati. La crisi economica picchia duro. Mai quanto le bombe. Decine, forse centinaia i morti per i bombardamenti israeliani contro la striscia di Gaza. Mai quanto un dittatore. Centinaia, forse migliaia, le vittime in Siria nello scontro tra ribelli e truppe del presidente Assad. Mai quanto le pistole. A Denver, quest'estate in dodici morirono in un cinema per il raptus di un folle. A Newtown, piccolo centro del Connecticut, sono morti in 26 sotto i colpi a bruciapelo di un ventenne disturbato. America sotto choc, Obama in lacrime, lobby dei costruttori d'armi decise a tenere la posizione a ogni costo.

Non sono le pistole a sparare, sono le persone.
Non sono gli speculatori, è la crisi.
Non sono gli amministratori ladri, è l'antipolitica.
Non sono gli uomini violenti, è il raptus.
Non sono i Maya, è che il mondo è già finito.

Laura Costantini

lunedì 17 dicembre 2012

Cronisti cronici apocalittici (non pervenuti): Luca Fadda


Dice di sé: Luca Fadda (LFK), nasce il 20/10/1974 a La Maddalena. Vive a Gonnosfanadiga, dove è marito e padre. Dopo gli studi tecnici, in ragioneria, e l’abilitazione come Consulente del Lavoro, lavora dal 1996 nel campo della consulenza del lavoro e intraprende, nel 2005, l’attività di libero professionista.
A fine 2010 abbandona la sua attività per motivi personali e si dedica all’arte, prediligendo la scrittura tra questa, la musica e il disegno.
A fine 2011 conclude la sua prima raccolta di racconti, intitolata “La prigione delle paure”, edita dalla casa editrice (NOEAP) Nulla Die nel mese di Aprile 2012. Il genere verte sul paranormale, l’horror, l’assurdo, essendo i racconti di varie provenienze.
Attualmente sono in lavorazione un romanzo completo presso la casa editrice, di genere noir, e un nuovo romanzo a tinte comunque noir.

Diciamo di lui: E' l'autore che non c'è. Il suo racconto "Il pulsante rosso" si è battuto fino alla fine per il ripescaggio e per un solo voto mancante non è entrato nell'antologia. Come a dire che "per un punto Luchin perse la fine del mondo". Resta il fatto che è un animatore del gruppo dedicato alle Cronache su Facebook e che il suo racconto, surreale e ironico, meritava di più. Avrete presto modo di leggerlo (se Luca è d'accordo) su questo blog e proprio in occasione della data fatidica. Come a dire che una risata ci salverà dalle profezie menagrame.

p.s. a proposito di data fatidica, il 21 dicembre prossimo, ore 18,30, presso il centro culturale "Elsa Morante" (Roma, zona Laurentina) si terrà la megasupergalattica presentazione delle Cronache dalla fine del mondo. Chi non verrà, avrà perso un'occasione per divertirsi. Forse l'ultima... Hihihihihihihihihihih!

martedì 11 dicembre 2012

Responsabilità

Mai come in questi giorni vale la pena riflettere sulla parola "responsabilità". Una parola che altrove, nel mondo, può portare a decisioni estreme come quella di Jacintha Saldanha. Aveva 46 anni, un marito, due figli adolescenti e un lavoro che, evidentemente, amava. Faceva l'infermiera. In uno degli ospedali più importanti del Regno Unito, il King Edward VII Hospital. Ed è proprio lì che, ormai lo sappiamo tutti, la democraticissima duchessa di Cambridge è stata ricoverata nei giorni scorsi per una normalissima crisi di nausea da gravidanza. Chissà se Kate avrà concesso uno dei suoi smaglianti sorrisi a Jacintha. Di sicuro lei, indiana ma affezionata alla Corona, ci teneva che la famiglia Windsor fosse tranquillizzata sulle condizioni di salute della futura regina. Per questo, quando ha ricevuto una telefonata da Buckingham Palace, si è affrettata a fornire le informazioni richieste. Solo che i suoi interlocutori non erano, come lei aveva creduto, la regina Elisabetta e il principe Carlo. Erano due buontemponi australiani, Mel Greig e Michael Christian, dj radiofonici in vena di scherzi. Niente di tragico a ben guardare. Ma non l'ha pensata così Jacintha. Quando la telefonata è stata mandata in onda conquistandosi attenzione mondiale, lei, l'infermiera caduta nel tranello, non ha retto alla vergogna. La conferma dell'avvenuto suicidio, mentre scriviamo, non è arrivata. I risultati dell'esame autoptico non sono ancora stati diffusi. Ma la notizia della morte di Jacintha Saldanha ha avuto un'eco enorme. I due dj sono stati sospesi e posti sotto inchiesta, cancellati i loro profili facebook, l'emittente radiofonica privata dei maggiori sponsor pubblicitari. Dura la condanna di lord Glenarthur, direttore dell'ospedale londinese, che ha parlato di un «atto sconsiderato che ha portato a tragiche conseguenze». E ha rincarato definendo «veramente spaventoso scoprire che la telefonata era stata pre-registrata e la decisione di trasmetterla approvata dai vertici dell'emittente». Responsabilità. Pur affermando di non aver compiuto alcuna illegalità, la proprietà della radio australiana ha porto le proprie scuse e si è sottoposta al giudizio del Garante per le Comunicazioni australiano. Nessuno si è tirato indietro. A partire da Jacintha che considerava il prendersi cura della futura regina e del suo nascituro il massimo punto d'onore di un'impeccabile carriera. Aver mancato al proprio dovere le è apparso insostenibile errore. Se, come è probabile, Jacintha si è tolta la vita per la vergogna, faticheremo a capire fino in fondo le motivazioni del gesto. Non ci appartiene la cultura della responsabilità. Fosse successo da noi, nessuno avrebbe mai preteso un simile sacrificio in nome della privacy violata. E chi fosse caduto nel tranello sarebbe stato il primo a riderne. Perché diventare zimbello mondiale non ci spaventa. Lo abbiamo ampiamente dimostrato.

Laura Costantini

lunedì 10 dicembre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Stefano Olivieri

Dice di sé: Mi chiamo Stefano Olivieri, ho 61 anni e lavoro nella pubblica amministrazione. Sposato con Eugenia e con un figlio, Francesco.
Mi piace leggere e scrivere da sempre. Scrivo per passione e ho pubblicato un romanzo in ebook con la società editrice Dante Alighieri nel gennaio del 2012 (Il segreto di casa Tindamo).
Inoltre curo vari blog, fra i quali cito http://democraticoebasta.ilcannocchiale.it
E ho molti romanzi nel mio scaffale di inediti, mai pubblicati per diffidenza verso il mondo editoriale.
Poi, come accade spesso, in vecchiaia uno ci ripensa. Li trovate qui: http://www.calameo.com/subscriptions/1158821
Partecipo a questo concorso con un racconto particolare, una storia minima, un frame di ciò che potrebbe accadere.

Diciamo di lui: A Roma lo definiremmo uscito dalla porta e rientrato dalla finestra. Il suo racconto, pur con qualche perplessità, non superò la prima selezione. Pubblicato sul gruppo delle Cronache, però, piacque agli altri autori e, quando lanciammo (molto cinicamente e televisivamente) il ripescaggio, ottenne una specie di plebiscito. Per cui il suo "Lui tornava a casa" è il 25simo racconto della raccolta. Cronista cronico apocalittico e iperattivo, di sicuro ha animato il gruppo con un pizzico (ma giusto un pizzico, eh! ;-) ) di egocentrismo. Ma a lui dobbiamo lo schioppettante book-trailer dell'antologia:


Come non perdonarlo?

lunedì 3 dicembre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Enrico Gregori

Dice (poco) di sé: Nato a Roma nel 1954. Giornalista professionista dal 1983, si è sempre occupato di cronaca nera. Attualmente è caposervizio a Il Messaggero di Roma. È autore di quattro romanzi thriller: Un tè prima di morire (Bietti Media, 2007), Doppio squeeze (Bietti Media, 2008), Le mille facce della morte (Historica Edizioni, 2010), Il percorso degli incubi (Azimut, 2010). Ha inoltre pubblicato il racconto lungo Cinque verticale (Senzapatria, 2010) e alcuni racconti in varie antologie.
Diciamo di lui: Come rompe le balle lui, nessuno mai. E potrebbe essere la sua epigrafe. Scontroso, sarcastico, cinico, criticone (se direbbe a Roma) a prescindere. Potrebbe sembrare il fratello maggiore di Giovanni Stoto, messa così. Poi però scrive (oddio, pure Stoto) e gli si perdona tutto (a Stoto no, diciamocelo). Il suo racconto "Il pranzo di ringraziamento" è... lo scoprirete leggendolo. Uno dei racconti più originali mai pervenuti. Forse il più originale in assoluto.

giovedì 29 novembre 2012

Il nostro western è in libreria!

Carissimi, la normale collocazione di un libro appena uscito sono gli scaffali di una libreria. O forse è meglio dire sarebbero, vista la difficoltà con cui la narrativa della piccola editoria indipendente arriva all'attenzione dei distributori. Ebbene, dopo anni di vendite online (delle quali comunque, non ci lamentiamo, anzi), i nostri romanzi arrivano nelle librerie vere. ora, è chiaro che per vederli dovrete guadare fiumi di Bruni Vespa, di ricettari con la divetta del momento, di bibliotecari incazzati nei cimiteri maledetti, di sfumature erotiche assortite, ma i nostri romanzi CI SONO!
E qui sotto trovate la lista delle librerie romane dove potete entrare, prenderli e arrivare alla cassa. Figo, no? ;-)



Elenco librerie di Roma:

DPE                                     Viale Somalia 50/A

Fastbook                           Via di Tor Vergata 432

Feltrinelli Appia                      Via Camilla 8/C

Feltrinelli Argentina         Largo Torre Argentina

Feltrinelli Babuino                 Via del Babuino 40

Feltrinelli Chigi                                Centro Commerciale in Galleria Sordi

Feltrinelli Giulio Cesare                 Viale Giulio Cesare 88

Feltrinelli Libia                                Viale Libia

Feltrinelli Marconi                           Viale Marconi 176

Feltrinelli Orlando                           Via Vittorio Emanuele Orlando

IBS.it (ex Melbookstore)                Via Nazionale 254

Mondadori Appia                            Via Appia Nuova 51

Mondadori Cola di Rienzo             Piazza Cola di Rienzo 81

Mondadori Romanina                     Via Enrico Ferri 8

Adesso non avete più scuse. Sapevatelo.

lunedì 26 novembre 2012

Cronisti cronici apocalittici (incogniti): Ulissa Erre

Disse di sé: Ho scelto di chiamarmi Ulissa Erre. Altezza 1.55 per 58 kg.
Possibilista, curiosa, lettrice accanita e onnivora, da sempre cerco di esplorare i territori dell’anima e della psiche in modo trasversale, in bilico fra scetticismo e fantasia. Non mi precludo alcuna strada con la speranza di incontrare, un giorno, il divino, la piccola particella di Dio che scorazza nell’Universo. Ambizione assurda, certo, ma si deve pur avere uno scopo nella vita.
Spero che l’umanità rinsavisca e la smetta di sentirsi in diritto di distruggere il pianeta e gli altri viventi. Perciò tifo per gli animali e per la Terra che ci subiscono, incolpevoli. Dovesse continuare così, specie in Italia, con i disastri ambientali e tutto il resto, altro che profezia Maya. Ci vorrebbe davvero un Dio biblico. Anzi, due.
Penso che più importanti di me, siano le parole, i concetti. Perciò preferisco sia il mio scritto a essere in primo piano, se dovesse piacere.
Diciamo di lei: Il racconto "Fine del mondo in 3D" ci piacque, anche se gli occhialetti per la visione non ce li ha forniti. Se dovessimo indire un concorso sull'autrice più misteriosa lo vincerebbe senza ballottaggio. Nonn sappiamo chi sia, dove sia, che faccia. Dice che verrà a una qualche presentazione, senza specificare quale. Di sicuro non è lei il misterioso scrittore Rizzoli Perboni. Tutto il resto è... Mistero (e qui parte la canzone di Enrico Ruggeri)

martedì 20 novembre 2012

Quanto vale una vita

È di venerdì scorso la notizia che il professor Umberto Veronesi, uno che di valore della vita se ne intende, ha deciso di sostenere la campagna a favore dell’abolizione dell’ergastolo. Risale a giovedì scorso la prima udienza del processo d’appello a carico di Salvatore Capone, sergente dell’Aeronautica, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio volontario aggravato ai danni della moglie Maria Rita Russo e il tentato omicidio dei loro due bambini di tre anni. La difesa vuole ottenere la riduzione della pena sulla base di una nuova perizia psichiatrica che vorrebbe Capone incapace di intendere e di volere al momento dei fatti. E risale allo scorso 11 novembre la morte di Antonetta Paparo uccisa con quattro stilettate al cuore dal marito, Pasquale Iamone, in circostanze ancora da chiarire. Sostiene il professor Veronesi, poiché il nostro cervello ha cellule staminali che possono colmare il vuoto lasciato dalle cellule cerebrali che scompaiono, che il carcerato dopo 20 anni può essere una persona diversa da quando ha commesso il reato. “Dunque l’ ergastolo non risponde al bisogno di giustizia” argomenta, “ma a quello di vendetta, per soddisfare la reazione istintiva ed emotiva dei cittadini. Ma non risolve il problema reale, che è quello di vivere in un Paese civile e avanzato, in cui la sicurezza individuale è tutelata da una giustizia equa.” Come abbiamo già detto, Veronesi, impegnato da decenni nella lotta contro il cancro, è  persona che ben conosce il valore della vita. E lo rispetta, come tutti noi dovremmo rispettarlo. Ma il sergente Capone, che adesso invoca l’infermità mentale, ha dato fuoco a sua moglie alimentando le fiamme con la benzina acquistata il giorno prima. E Pasquale Iamone, che dice di aver ucciso Antonetta per esaudire il desiderio che lei aveva di morire, teneva in macchina uno stiletto. Quanti di noi hanno una tanica di benzina pronta in garage o uno stiletto nel portaoggetti dell’auto? Maria Rita Russo aveva due bambini di tre anni. Antonetta era madre di un bimbo. Melania Rea non vedrà mai crescere la sua bambina. Madri che mancheranno ai loro figli e noi, fortunati, non sapremo mai quanto. Figlie che mancheranno ai loro genitori costretti a sopravvivere al danno supremo. Le vite del sergente Capone, del caporal maggiore Parolisi e di tutti coloro che sono stati condannati all’ergastolo, meritano rispetto. Hanno un valore. Sono senz’altro vite defraudate del loro naturale sviluppo, anche ai sensi del dettato della Costituzione che, ci ricorda Veronesi, “all’articolo 27 recita che le pene devono essere tese alla rieducazione del condannato. Ma per chi è condannato a morire in carcere, il futuro si consuma nei pochi metri della sua cella, e senza futuro non ci può essere ravvedimento.” Ha ragione. Loro, i colpevoli, potranno cambiare e ravvedersi. La vita delle loro vittime, invece, sarà svanita. Come non avesse valore.

Laura Costantini

sabato 17 novembre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Donatella Righi

Dice di sé: vive da sempre in provincia di Reggio Emilia, a ridosso del fiume Po, per il quale nutre un’infatuazione inesauribile pur sognando costantemente esperienze in altri lidi. 
Svolge la professione di insegnante presso una sperduta scuola primaria di campagna, dove è ancora possibile fare capriole in giardino e andare in cerca di girini e tritoni nei canali,  oltre che imparare a leggere, scrivere e far di conto.
Scrive pigramente racconti che poi abbandona nei cassetti o negli interstizi del computer, finché, pungolata da amici, non decide di arieggiarli offrendoli in lettura.
Le piace scrivere in modo cooperativo avvalendosi di altre mani, quattro ma finanche 26, e con queste ultime ha partecipato alla stesura di un romanzo collettivo, “Malta femmina” Ed. Zona, scritto esclusivamente attraverso scambi di posta elettronica con 13 donne sconosciute, disseminate in tutta Italia. Alcune sue poesie sono contenute in raccolte di vari editori (Perrone, Aletti) e collabora più o meno attivamente con il lit-blog  “Viadellebelledonne”.
Diciamo di lei: Misteriosa e sfuggente e in questo non è certo sola nel gruppo dei 25 autori delle Cronache dalla fine del mondo. Di sicuro il suo "Sole notturno" splenderà alto nei cuori e nelle menti dei lettori prossimi venturi, spandendo raggi di pessimismo cosmico su ciò che ci aspetta dopo la data fatidica. Resta la curiosità di capire come sia possibile scrivere un romanzo a 26 mani a botte di e-mail e (lo diciamo forti dell'esperienza da giurati di questa selezione) non a botte di mazza da baseball.

venerdì 16 novembre 2012

Riflusso al femminile

Negli anni ’80 del secolo scorso andava di moda la parola riflusso. L’immagine che suggeriva era quella di una marea che, dopo essere salita al massimo, tristemente si ritrae lasciando solo detriti. All’epoca il riflusso riguardava l’impegno politico e le contrapposte ideologie dopo gli anni di piombo. Tempi lontani. Ma oggi si potrebbe tornare a parlare di riflusso e lo spunto potrebbe fornircelo quella che è stata la foto della scorsa settimana. Barack Obama è stato rieletto, come tutti sappiamo. In molti in Italia hanno gioito e si sono commossi davanti alle parole immediatamente post-elezione. Quelle dedicate a Michelle e che sono la perfetta didascalia della foto di cui sopra. Barack in maniche di camicia che abbraccia Michelle. Lui, ovviamente, porge il volto all’obiettivo. Michelle è di spalle. Perché, è risaputo, dietro ogni grande uomo c’è una grande donna. La cui importanza è riconosciuta. “Non sarei l’uomo che sono se 20 anni fa non avessi sposato Michelle”, ha dichiarato il neo-eletto presidente degli Stati Uniti. Ma riconosciuta a patto, appunto, che la grande donna resti alle spalle del grande uomo. Riflusso. Rifluiscono verso il focolare le manager in carriera americane, ammettendo la sconfitta. Perché una donna, nel secondo decennio del terzo millennio, ormai lo sa che non si può avere tutto: casa, amore, figli, successo personale. A una cosa si deve rinunciare e sarebbe egoistico farlo per aspetti dell’esistenza che coinvolgono terze persone (casa, amore, figli). Quindi via il successo personale. Via il lavoro. Via gli obiettivi di realizzazione. Via l’indipendenza. Così succede, come racconta Natalia Aspesi in un editoriale di domenica scorsa, che il film ebraico ultraortodosso “La sposa promessa”, in uscita questa settimana ma visto in anteprima alla Mostra di Venezia, abbia “sedotto e turbato” le donne presenti. Scopriamo così dalla penna di una donna di acuta e ironica intelligenza qual è la Aspesi, che la regista del film si chiama Rama Burshtein, ha 46 anni. Era laica e americana, oggi è ortodossa ed ebraica, ha cinque figli, come prescrive la legge ebraica, obbedisce al marito e al rabbino ed è felice. Talmente felice che “dovunque l film venga proiettato, conquista soprattutto le donne, per lo meno quelle che cominciano a sentirsi affaticate dalla loro indipendenza”. Per la cronaca, il film racconta di una ragazza cui i genitori scelgono il marito in una società dove le donne vivono separate dagli uomini, si sposano vergini con uno sconosciuto e lo rendono padre di quanti più figli possibili mentre lo servono e lo riveriscono ben chiuse in casa. Dopo i contratti sadomaso, le sottomesse e i dominatori, scopriamo che le donne italiane anelano a rifluire in massa nell’apartheid sessista delle religioni più estreme. Stanche come sono di lottare per una parità che sembrava a portata di mano solo pochi anni fa. Poi la marea si è ritratta e Cenerentola è tornata di gran moda.

Laura Costantini

martedì 13 novembre 2012

Progetto Scrivere Donna: Barbara Risoli

Barbara è una scrittrice di romance storici. E' appena approdata al self-publishing sulla piattaforma digitale di Amazon con il suo romanzo (già pubblicato in cartaceo anni fa) "Il veleno del cuore"

Hai mai avuto la sensazione che il tuo essere donna potesse, in qualche modo, ostacolare/favorire la tua passione per la scrittura?

Assolutamente no. Non concepisco la superiorità/inferiorità presunte della donna rispetto all’uomo e viceversa. Non sono femminista e neppure vittima del mio sesso, semplicemente uomo e donna sono diversi, è come parlare del giorno e della notte che comunque si compensano. Se dovessi trovarmi davanti a un simile dilemma, il problema non sarebbe mio...

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lunedì 12 novembre 2012

SCRIVERE DONNA, le linee guida

So che saranno molte le voci contrarie. Ma ritengo che, così come esiste nella società italiana di oggi, una questione femminile sia viva e presente anche nel mondo rarefatto dell’editoria. Non sto preparando il terreno per le quote rosa, cui non credo neanche dal punto di vista economico, politico e sociale. Ma ci sono dei dati di fatto sui quali vale la pena ragionare. Entrate in libreria e girate tra gli scaffali, focalizzate i libri esposti e, così a colpo d’occhio, cercate di quantificare quanti nomi di autori e quanti nomi di autrici. Vi accorgerete, soprattutto in ambito italiano, che sono molti di più gli autori. Poi allargate il punto di vista e concentratevi sulle persone che, come voi, circolano tra gli scaffali, prendono volumi, vanno alla cassa e acquistano. Senza troppo sforzo vi accorgerete che sono soprattutto donne. La dicotomia esasperata che ne potrebbe uscire è: gli uomini scrivono, le donne leggono. Ma solo la seconda parte della frase si avvicinerebbe alla realtà. Le donne leggono. In un paese come il nostro, dove i lettori cosiddetti forti sono una sparuta, ma agguerrita, minoranza, le lettrici sono di più. Il dato curioso è che anche le scrittrici, o aspiranti tali, sarebbero di più. Ma a parte pochi esempi di estrema e a volte discutibile attualità, gli editori non cercano donne. Mi si dirà che l’editore cerca la storia efficace. Giustissimo. Ma poiché le maggiori frequentatrici dei cosiddetti corsi di scrittura creativa sono donne, per la legge dei grandi numeri, verrebbe da pensare che la maggior parte dei manoscritti che giungano alle case editrici siano firmati da donne. E che qualcosa di efficace, tra tutti quei fogli, ci sia...
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venerdì 9 novembre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Vito Ferro

Dice di sé: Vito Ferro è nato a Torino, dove vive, nel 1977.
Autore di “L’ho lasciata perché l’amavo troppo” (Coniglio editore, Roma), “Condominio reale” (Edizioni di Latta, Milano), “Mentre la luce sale” (Lietocolle, Como). In uscita “Festival Maracan
ã” (Las Vegas edizioni, Torino).
E’ presidente e fondatore dell’Associazione Ombre.
Vive di espedienti, è felice.

Diciamo di lui: Che è felice si vede dalla sottostante foto:
notare la collana hawaian style, l'aria da turista del caso, la cresta smosciatella e il cerchietto al sopracciglio che richiama una recente pubblicità della Settimana Enigmistica. Avete presente quei tizi che, per avviare il cervello dovevano tirare la cordicella... ecco, per dire.
Ma non lasciatevi ingannare perché ha una vena polemica inesauribile e un scrittura efficace. Il suo racconto "La rivoluzione" riconciliò noi giurati perfidi e bistrattati con le Cronache dalla fine del mondo, convincendoci a non suicidarci su una pira di file disperanti.
Per inciso "Festival Maracana" (Las Vegas Edizioni) dovrebbe essere su piazza, se non vado errata. E credo valga la pena leggerlo... nonostante quell'inguardabile ghirlanda fluo O.o

mercoledì 7 novembre 2012

Progetto Scrivere Donna

Il mio lavoro principale, quello che mi dà di che vivere, consiste nel fare domande. Certo, oggi le domande, e quindi le interviste, le fanno tutti e tutti ritengono di cavarsela egregiamente anche se non lo fanno per mestiere o non hanno una qualsiasi qualifica professionale. Così va il mondo. Quindi, vi starete chiedendo, ha ancora senso fare interviste?
Non lo so. Io le faccio perché mi piace. Per questo ho proposto al sito www.scrivendovolo.com una rubrica quindicinale (ma non è detto che non diventi settimanale) di interviste.



Titolo: Progetto Scrivere Donna

Intervistare donne che scrivono, alcune già affermate, altre esordienti, tutte animate dall'entusiasmo per l'avventura creativa e dalla grinta necessaria per conciliare ciò che a nessun uomo verrebbe mai chiesto: vita e sogno, panni da stirare e capitoli da finire, cene che rischiano di bruciare e personaggi che pretendono attenzione, successi in pubblico e sensi di colpa nel privato. Perché vogliono quel tutto che quasi mai si declina in rosa

Come dite? Discrimino gli uomini? Beh, sì. Loro di spazi ne hanno tanti e a me interessa il punto di vista femminile. Anzi, se avete scrittrici da segnalarmi, donne di cui vi piacerebbe sapere di più, fatelo. Ve ne sarò grata.

martedì 6 novembre 2012

La prima recensione per il nostro Carne innocente

La prima cosa che salta agli occhi di "Carne innocente" è la precisione con la quale vengono descritti episodi e contesti del passato così come luoghi e particolari del presente. Potrebbe sembrare un dettaglio ininfluente, mentre invece impreziosisce la struttura del racconto. Un racconto che, in questo caso, viaggia su due piani paralleli: il rastrellamento degli ebrei da parte dei nazisti e la vicenda investigativa ai giorni nostri. Premetto che ho sempre avuto una idiosincrasia per i romanzi basati su più storie che si intersecano. Ma in "Carne innocente" avviene una separazione temporale ben definita pur conservando il filo ideale e necessario alla storia. In sostanza il lettore non dovrebbe fare sforzi nel riuscire a seguire entrambi i "tronconi" del romanzo. Credo che a Laura e Lory abbia giovato molto il fatto di essere innanzitutto delle lettrici "forti" e aver appreso (come giusto che sia) come rendere scorrevole anche una storia basata su un intreccio complesso. Peraltro la complessità è davvero limitata, visto che i personaggi si confrontano più volte a ripercorrere le tappe investigative in modo da accompagnare il lettore fino alla conclusione. Anche il linguaggio aiuta. Non c'è esasperata ricerca linguistica e stilistica che, a volte, serve a camuffare l'assenza di contenuto. In "Carne innocente", piaccia o meno, la storia c'è e il modo migliore per raccontarla è l'esposizione lineare e la scioltezza dei dialoghi. La linearità, se posso fare una personalissima e minuscola critica, talvolta porta le autrici all'utilizzo di cliché un po' abusati. Ma, essendo questa una sensazione puramente soggettiva, è possibile che anche certi passaggi possano colpire l'immaginario collettivo. Avendo letto anche "Fiume pagano", ossia il romanzo precedente della annunciata trilogia, noto un salto di qualità sia nell'elaborazione dell'intreccio quanto nei particolari che riguardano l'ambiente investigativo. Ho notato che a volte i personaggi sono un po' troppo (secondo me ovviamente) "caricati". Credo dipenda dall'affetto che le autrici hanno per i medesimi. Se alcune minuzie, che a mio sommesso parere ritengo evitabili, verranno sottoposte a una attenta revisione, c'è da attendere il terzo romanzo della trilogia con grandissima curiosità.

Enrico Gregori

domenica 4 novembre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Fabrizio Billero e Davide Belgradi

Dicono di sé: 

Fabrizio Billero è nato a Palermo nel 1987.
Da sempre vive a Torino, dove è laureando in Scienze Linguistiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e dove lavora come educatore in un Centro per ragazzi con disturbi dellapprendimento.
Da quasi un decennio il suo tempo libero è dedicato all'animazione e alla formazione di giovani e adolescenti del quartiere in cui abita, nella periferia sud della città.
Sogna un futuro da precario nella Pubblica Istruzione.

Davide Belgradi è nato l11 maggio del 1993.
Diplomatosi in un Istituto Professionale Commerciale, ora studia Lettere all'Università di Torino.
Onorato dall'amicizia del poeta Roberto Rossi Precerutti, suo insegnante durante lultimo anno scolastico, scopre e approfondisce la sua passione per la letteratura e per la poesia.
Troppo giovane per il futuro, sogna solo di avere diciannove anni.

Diciamo di loro: Nella foto, con la quale abbiamo lottato perché si rifiutava di essere esposta alla pubblica gogna, Billero è quello con la barbetta e Belgradi è quello con la kefiah. Sono in due, ma non scrivono insieme (prima che li torturiate con la solita domanda) perché Billero è un prosatore, Belgradi è un poeta. E nel bel racconto "Il silenzio perfetto delle ultime cose" difficile dire se sia meglio la parte in prosa o quella in poesia. Noi, per saper né leggere (come dicono tutti quelli che sono stati esclusi dall'antologia) né scrivere (come dicono tutti quelli di cui ci rifiutiamo di leggere e osannare i parti), abbiamo scritto loro in pvt. A Billero abbiamo detto che la poesia faceva pena, a Belgradi che il racconto si salva solo con i suoi versi. Così sono contenti tutti e due.

p.s. ovviamente si scherza, ma meglio chiarirlo, hai visto mai?


sabato 3 novembre 2012

Soggettiva di ZG: Quando il cielo era sempre più blu di Enrico Gregori

Conosco l'autore. Ho pubblicato e pubblico con lo stesso editore. L'editore è, anche, un carissimo amico. È giusto che lo sappiate, perché sto per scrivere una recensione assolutamente entusiastica. Sincera, ma vi dovrete fidare, viste le premesse. Non impazzivo per Rino Gaetano. Sì, Gianna, sì, Nuntereggaepiù, sì, Ma il cielo è sempre più blu. Ma non persi la testa per il menestrello in cilindro e ukulele a Sanremo. Mi dispiacque quando morì, perché era troppo giovane, perché era una morte stupida, perché non credo nel muor giovane colui che al cielo è caro. Lo conoscevo poco. Ora lo conosco come se lo avessi incontrato, frequentato, amato. L'autore questo libro non lo voleva scrivere, perché non si trattava solo di raccontare Rino, si trattava di raccontare un'amicizia di quelle che lasciano il segno. Non oso immaginare il dolore per quella notizia alla radio il 2 giugno 1981.  Eppure quel dolore c'è in queste pagine, così come c'è una dolente consapevolezza della fine. Certo, l'autore sapeva tutto mentre scriveva. Ma la consapevolezza di cui parlo serpeggia nelle parle di Rino, nei suoi silenzi, nei malumori. Senno di poi? Forzatura romanzata? Non lo direste se conosceste l'autore. Di sicuro questo libro ci restituisce Rino in una dimensione che nessuno di noi, prima, aveva avuto la fortuna di vivere. Da leggere, conservare, rileggere.

Quando il cielo era sempre più blu
Enrico Gregori
Historica Edizioni

mercoledì 31 ottobre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Mario Borghi

Dice di sé: Sono nato a Sanremo il 19 luglio 1964, dal 1989 abito a Ozieri, un paesino in provincia di Sassari. Tento di sopravvivere facendo l’imprenditore edile, sono sposato e ho una figlia nata nel 1993. Aderisco distrattamente al neomovimento culturale del “labirintismo” (www.labirintismo.it) di Max Badiali. Mi piace l’arte in ogni sua forma, leggo moltissimo (collaboro anche come lettore/valutatore volontario con alcune realtà letterarie) e a volte tento di scribacchiare qualcosa. Alcuni miei racconti appaiono su varie antologie, ma vado particolarmente fiero di “All’imbrunire”, il mio brano pubblicato su “Auroralia, un’antologia curata Gaja Cenciarelli su un’immagine di Jerry Uelsmann” (Zona Editore), e del mio pezzo “L’abbonamento alla TV”, che è stato rappresentato per quattro volte al Teatro Manhattan di Roma dalla compagnia Teatrale “GNUT Diversamente Stabili”. Sono abbastanza irriverente e anche un po’ – ma proprio poco – egoista. Tutto il resto, per me, è solo fuffa.

Diciamo di lui: Tutto il resto è noia, direbbe il Califfo. Anche perché basterebbe leggere il racconto di Mario "Initium Novi Regni Iudeorum" per capire che il soggetto in questione si posiziona a pieno diritto tra le menti più contorte e diaboliche presenti tra i magnifici venticinque. Oltretutto è uno che non le manda mai a dire e meno male che vive in sardegna, altrimenti la sua verve digitale sarebbe facilmente classificabile come propensione all'attaccabrighismo (inventato or ora e non facciamo commenti, please). Okay, adesso mi eclisso perché capace che riesca a lanciarmi una sassata direttamente da Ozieri.

martedì 30 ottobre 2012

Sentenze da televoto e incertezza della pena

“È stato condannato perché sta antipatico agli italiani”, con queste parole il criminologo più amato dai salotti televisivi, Alessandro Meluzzi, ha stigmatizzato l’ergastolo per Salvatore Parolisi. E forse non ha tutti i torti. Se in un rigurgito di reality si fosse aperto un televoto in attesa che il tribunale di Teramo deliberasse, alzi la mano chi non avrebbe decretato a suon di sms la colpevolezza del marito infedele più odiato e vituperato d’Italia. Tutti? No, perché non dobbiamo dimenticare che quest’uomo adultero e bugiardo, disposto a negare anche l’evidenza dei suoi comportamenti, riceve decine e decine, forse centinaia di lettere di ammiratrici. Che lasceremo alla loro incomprensibile ammirazione mentre prendiamo atto che le prove incontrovertibili della colpevolezza di Parolisi non ci sono. Come non ci sono mai state nel caso di Annamaria Franzoni, condannata in primo grado e confermata in appello a sedici anni di carcere  per l’assassinio del piccolo Samuele. Per lei valsero due considerazioni: era l’unica sospettata ed era incapace di suscitare la benché minima empatia. Esattamente come il caporale istruttore Parolisi, accostato alla Franzoni anche nella capacità di piangere a comando. Il criminologo Meluzzi si dice certo che la condanna non reggerà in appello e prevede per il caso Melania Rea uno sviluppo alla Meredith Kercher: gli indizi contro Parolisi non saranno sufficienti ad un secondo esame. E l’uomo che tradiva la moglie con l’amante e l’amante con le allieve potrebbe ritrovarsi innocente proprio come è accaduto a Raffaele Sollecito e Amanda Knox. Anche loro condannati in primo grado a 24 e 26 anni per l’omicidio della povera Meredith e poi assolti, lasciando in carcere il solo Rudy Guede. Chissà quanto responsabile, ma dal punto di vista di chi resta è già una conquista se si pensa a quanto accaduto a Chiara Poggi, la vittima di Garlasco. Massacrata e senza l’ombra di un colpevole dopo che due gradi di giudizio hanno riconosciuto innocente Alberto Stasi. Altro volto da aggiungere a questo poker di indecifrabili. Il silenzio arrogante di Parolisi, ben accetto dopo le deliranti intercettazioni delle sue telefonate con l’amante Ludovica. Lo sguardo allucinato eppure freddo di Annamaria Franzoni, poco credibile anche nelle lacrime per il suo Samuele. La civetteria processuale di Amanda Knox. La maschera inquietante di Alberto Stasi. E, dietro di loro, vittime innocenti che anche quando, come Samuele, ottengono la giustizia di una condanna restano sospese nel limbo dei perché. La loro morte continuerà a ispirare libri, documentari, inchieste e ricostruzioni tra plastici ed esperti. Ma non troverà la pace di una spiegazione. Un raptus per Samuele, un approccio respinto per Meredith, uno sconosciuto in casa per Chiara, un adulterio venuto alla luce per Melania. E tra lame di coltelli e corpi contundenti mai rinvenuti, resta la lotteria delle condanne agli antipatici in attesa dell’appello prossimo venturo.

Laura Costantini

domenica 28 ottobre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Roberto Riccardi


Dice di sé: Nato a Bari nel 1966, vive a Roma. Colonnello dell’Arma e giornalista, dirige la rivista Il Carabiniere. È ideatore e sceneggiatore di fumetti. Per Giuntina ha pubblicato Sono stato un numero. Alberto Sed racconta (Premio Acqui Storia 2009, finalista al Premio Narrativa per Ragazzi di “Adei-Wizo”), e La foto sulla spiaggia (2012). Nel Giallo Mondadori sono usciti Legame di sangue (Premio Tedeschi 2009) e I condannati (2012). Ha appena dato alle stampe per E/O collana Sabot/Age Undercovered. Suoi racconti sono presenti in antologie del Giallo Mondadori, del premio GialloLatino e dell’editore Hobby & Work Publishing.

Diciamo di lui: Possiamo sbizzarrirci ben poco, visto il personaggio e il grado. Capace che ci fa scattare tutti sugli "At-tenti". Però di buono ha che apprezza il nostro carabiniere di fantasia, Quirino Vergassola, e le sue avventure. Non solo, il racconto che ha scritto per le Cronache, ovvero "Lettera per Vostro Onore" è stato una vera sorpresa. Da un giallista come lui ci aspettavamo tutt'altro tema. E invece...

sabato 27 ottobre 2012

Era una notte buia e tempestosa


Era una notte buia e tempestosa. Non se ne abbia a male Snoopy se osiamo utilizzare il suo mitico e mai eguagliato incipit, ma questa volta ci sta tutto. Dunque, era una notte buia e tempestosa, una notte di allerta meteo quella di ieri. A Roma si era fermata pure la metro per la paura di finire allagata. Eppure due avventurose signore osarono mettersi in macchina insieme al cavalier Stoto, recuperato in un pomeriggio di traffico in tilt, manifestazioni e mezzi pubblici in panne. Un pomeriggio ancora non proprio buio, ma di sicuro tempestoso. Com'è come non è le nostre, più il loquace cavalier Stoto, si mettono in macchina incuranti dell'ira celeste. Anzi, dell'ira blu scuro tendente al nero, e affrontano la famigerata e temibilissima Pontina. Tra spruzzi di pioggia, proclami apocalittici alla radio e telefonate preoccupate di tutti i parenti e gli amici vicini e lontani. Insomma bomba o non bomba (d'acqua) avrebbe detto Venditti, arrivano a Latina. Breve pit stop nella Stoto house, quindi raggiungimento della Rosa del deserto, associazione culturale. Neanche il tempo di entrare che le preghiere della Protezione civile e del servizio meteo nazionale ottengono ascolto. E si scatena l'inferno. Ma dentro le nostre temerarie scrittrici snobbano la furia degli elementi, mangiano un'ottima pizza, chiacchierano convivialmente con le organizzatrici della trasferta in Agro pontino, Elisabetta e Silvia, ovvero Goodmorning Italia, quindi presentano il loro "Le colpe dei padri". Dice: ma non è un libro vecchio? Sì, ammesso che i libri possano mai invecchiare. È uscito nel 2008 con Historica che era ancora un abbozzo nella mente di Francesco Giubilei. Eppure. Eppure ieri sera, complici un pubblico attento (coraggiosissimi, anche loro), le domande di Silvia ed Elisabetta, la musica dei Trumpers e i brani scelti per le letture... Beh, ancora una volta quel romanzo, quella saga familiare, ci ha costrette a dichiararci orgogliose di averlo scritto. La chiusura della serata con un bellissimo arrangiamento dei Trumpers dell'immortale Halleluja di Leonard Cohen, ci ha portate per mano fuori della Rosa del deserto. E aveva smesso di piovere. Il ritorno a casa è stato accompagnato da spruzzi di pioggia lieve, sprazzi di cielo stellato e flash di saette in lontananza a indicare la strada per Roma. Una serata bellissima.

mercoledì 24 ottobre 2012

Cronisti cronici apocalittici: Carlo Vecchiarelli

Dice di sé: ventottenne umbro, studente in Chimica all’Università di Perugia. Amante di quella letteratura che non lascia i denti bianchi, appassionato di cinema d’autore e linguaggio cinematografico, di arte contemporanea e moderna.
Scrivo racconti per piacere, consapevole di dover passare prima o poi a qualcosa di più impegnativo. Questo è il primo tentativo di promuovere e pubblicare ciò che scrivo.
Nel tempo libero mi dedico a recensioni cinematografiche, sceneggiature, progetti artistici disparati (attualmente installazioni sul concetto di croce e l’influenza del simbolo nell’affermazione di un’idea nella società). Credo fermamente che, nel mondo d’oggi colpito da una crisi decadente che coinvolge molti aspetti, l’artista o potenzialmente tale abbia il dovere di veicolare quanto più possibile delle idee e dei messaggi che smuovano le coscienze, allontanandole dall’egoismo apatico e profittatore tipico della cultura del nuovo millennio.

Diciamo di lui: Sarà per assonanza con il nome, sarà per il tipo di racconto inviato, ma ce lo figuravamo moooolto più vecchio di come si dichiara. Notato che non abbiamo scritto "di come è"? Perché il tipo ama mantenere il mistero, come appare evidente dalla lapide... pardon, dalla foto che ha voluto a illustrazione del post a lui intestato. Ergo, come facciamo noi ad affermare che veramente trattasi di ventottenne umbro? Quello che possiamo affermare senza tema di smentite è che il suo racconto "Alla fine sempre in coda" detiene il primato del più cervellotico dell'antologia. Aspettiamo i commenti dei lettori per sapere se cervellotico attenga alla categoria del positivo o a quella del negativo.
p.s. Se il Vecchiarelli pensa che esporre la propria faccia possa essere pericoloso, chi siamo noi per non avvertire CIA, FBI, MI5 e James Bond che siamo in possesso del suo cellulare? Come dite? L'apparecchio si autodistruggerà dopo il primo squillo? Beh, allora speriamo che non lo tenga all'orecchio mentre, in coda, attende la fine del mondo.