venerdì 16 novembre 2012

Riflusso al femminile

Negli anni ’80 del secolo scorso andava di moda la parola riflusso. L’immagine che suggeriva era quella di una marea che, dopo essere salita al massimo, tristemente si ritrae lasciando solo detriti. All’epoca il riflusso riguardava l’impegno politico e le contrapposte ideologie dopo gli anni di piombo. Tempi lontani. Ma oggi si potrebbe tornare a parlare di riflusso e lo spunto potrebbe fornircelo quella che è stata la foto della scorsa settimana. Barack Obama è stato rieletto, come tutti sappiamo. In molti in Italia hanno gioito e si sono commossi davanti alle parole immediatamente post-elezione. Quelle dedicate a Michelle e che sono la perfetta didascalia della foto di cui sopra. Barack in maniche di camicia che abbraccia Michelle. Lui, ovviamente, porge il volto all’obiettivo. Michelle è di spalle. Perché, è risaputo, dietro ogni grande uomo c’è una grande donna. La cui importanza è riconosciuta. “Non sarei l’uomo che sono se 20 anni fa non avessi sposato Michelle”, ha dichiarato il neo-eletto presidente degli Stati Uniti. Ma riconosciuta a patto, appunto, che la grande donna resti alle spalle del grande uomo. Riflusso. Rifluiscono verso il focolare le manager in carriera americane, ammettendo la sconfitta. Perché una donna, nel secondo decennio del terzo millennio, ormai lo sa che non si può avere tutto: casa, amore, figli, successo personale. A una cosa si deve rinunciare e sarebbe egoistico farlo per aspetti dell’esistenza che coinvolgono terze persone (casa, amore, figli). Quindi via il successo personale. Via il lavoro. Via gli obiettivi di realizzazione. Via l’indipendenza. Così succede, come racconta Natalia Aspesi in un editoriale di domenica scorsa, che il film ebraico ultraortodosso “La sposa promessa”, in uscita questa settimana ma visto in anteprima alla Mostra di Venezia, abbia “sedotto e turbato” le donne presenti. Scopriamo così dalla penna di una donna di acuta e ironica intelligenza qual è la Aspesi, che la regista del film si chiama Rama Burshtein, ha 46 anni. Era laica e americana, oggi è ortodossa ed ebraica, ha cinque figli, come prescrive la legge ebraica, obbedisce al marito e al rabbino ed è felice. Talmente felice che “dovunque l film venga proiettato, conquista soprattutto le donne, per lo meno quelle che cominciano a sentirsi affaticate dalla loro indipendenza”. Per la cronaca, il film racconta di una ragazza cui i genitori scelgono il marito in una società dove le donne vivono separate dagli uomini, si sposano vergini con uno sconosciuto e lo rendono padre di quanti più figli possibili mentre lo servono e lo riveriscono ben chiuse in casa. Dopo i contratti sadomaso, le sottomesse e i dominatori, scopriamo che le donne italiane anelano a rifluire in massa nell’apartheid sessista delle religioni più estreme. Stanche come sono di lottare per una parità che sembrava a portata di mano solo pochi anni fa. Poi la marea si è ritratta e Cenerentola è tornata di gran moda.

Laura Costantini

1 commento:

  1. Più che riflusso, direi reflusso.
    Nel senso proprio di acidità di stomaco che risale.
    Parlare di parità è non aver ancora scandagliato le differenze e limitarsi all'imitazione degli aspetti superficiali del potere maschile, sempre predatorio e privo d'anima.
    E quando mi noto intorno questi nuovi, cioè vecchissimi desideri di ritorno al ruolo di riposo del guerriero o di badante a zero compenso, a me viene da pensare solo che non vi è trasformazione di ruolo della donna nella società che non contenga una minaccia implicita alla sua libertà.
    E in questo mondo così impoverito di valori, a sentir magnificare il ritorno al focolare delle donne, sempre (chissà come mai), sostenute da conversioni spirituali ad hoc, mi si acidifica lo stomaco e mi vien subito voglia di nascondermi nella foresta, così da rispolverare in me la fattucchiera solitaria e temibile per i benpensanti dediti alle genuflessioni.
    Non mi stupirebbe il ritorno alle scomuniche di qui a breve, o ai roghi in nome di Dio e alle A cucite sul petto.
    Son tempi bui, è tempo di fare ciò che le nostre progenitrici hanno fatto per millenni: nascondere le parole giù giù, in fondo all'anima, prima che ci esproprino pure di quelle.

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